• Non ci sono risultati.

TERAPIA FOTOTERMICA BASATA SUI NANORODS DI ORO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "TERAPIA FOTOTERMICA BASATA SUI NANORODS DI ORO"

Copied!
98
0
0

Testo completo

(1)

Universit`

a di Pisa

Facolt`

a di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Terapia fototermica

basata sui nanorods di oro

Relatore:

FRANCESCO FUSO

Candidato:

GIORGIO CAVALLO

Anno Accademico

2016/2017

(2)
(3)

Indice

Introduzione. 9

1 La terapia fototermica 13

1.1 Le risonanze plasmoniche di superficie . . . 14

1.1.1 Principi delle LSPR . . . 16

1.1.2 Propriet`a non radiative . . . 20

1.2 La funzionalizzazione dei nanorods . . . 22

2 La microscopia per la PTT 25 2.1 Principi del microscopio ottico . . . 26

2.1.1 Formazione parassiale dell’immagine . . . 27

2.1.2 La luce come un’onda: la risoluzione . . . 31

2.1.3 L’obbiettivo e i sistemi acromatici . . . 35

2.2 La microscopia di fluorescenza . . . 41

2.2.1 I fluorofori . . . 42

2.2.2 Il microscopio in configurazione EPI . . . 46

3 L’apparato sperimentale 49 3.1 Fotocamere . . . 52

3.2 I sistemi di illuminazione . . . 55

3.2.1 L’allargamento del fascio laser . . . 57

3.3 Le immagini ottenute nei test preliminari e caratterizzazione dell’il-luminazione . . . 62

3.4 Il laser infrarosso . . . 66

4 Misure e risultati 69 4.1 Metodologia e densit`a di potenze utilizzate . . . 70

4.2 La lettura delle immagini e i risultati attesi . . . 72

4.3 I risultati . . . 77

4.3.1 Zebrafish 6 . . . 78

4.3.2 Zebrafish4 . . . 83

4.4 Misura dello spettro di assorbimento dei Nanorods impiegati . . . 86

conclusioni. 91

(4)
(5)

Elenco delle figure

1.1 Illustrazione schematica delle risonanze plasmoniche di superficie lo-calizzate per una nanosfera a) e il relativo spettro di assorbimento b) per nanoparticelle di oro. . . 16 1.2 Simulazione dello spettro di assorbimento dovuto alle LSPR al variare

del diametro della nanosfera a), confronto tra simulazione (triangoli) e dati sperimentali (cerchi) b) [12] . . . 17 1.3 In a) illustrazione schematica delle risonanze plasmoniche trasversali

e longitudinali per un nanorod. In b) relativi spettro di assorbimento. 18 1.4 Immagini al TEM di diversi nanorods di oro con diversi aspect ratio

(A), colore apparente delle sospensioni colloidali contenenti nanorods di diversi aspect ratio(B) spettri di assorbimento (C). [20] . . . 20 1.5 Dipendenza della lunghezza d’onda delle LSPR al variare dell’aspect

ratio (sopra), e la dipendenza del quantum yeld di scattering al variare dell’aspect ratio (sotto). [20] . . . 21 2.1 Schema ottico base del microscopio . . . 26 2.2 Diagrammi di alcuni sistemi ottici in approssimazione di ottica

geome-trica: a) lente sottile e le distanze coniugate tra oggetto e immagine; b) sistema ottico con pi`u superfici aventi distanze focali differenti, pu`o essere schematizzato come un sistema avente un back e un front focal plane a distanza f ed f0; . . . 30 2.3 sistemi ottici coniugati al finito e all’infinito (in basso) . . . 30 2.4 a) formazione di onde sferiche da aperture secondo il principio di

Huy-gens (i semicerchi rappresentano fronti d’onda semisferici; b) un’onda piana incide su un reticolo di diffrazione e viene scatterata come un set di ordini di diffrazione. c) Visione schematica di illuminatore (in basso), oggetto (costituito da un reticolo di diffrazione) e obbiettivo (in alto), nel caso di illuminazione lungo l’asse. Sono rappresentati i modi diffratti -1, 0, +1 che vengono raccolti dall’obbiettivo; d) ana-logo nel caso di illuminazione obliqua: solo gli ordini 0 e 1 vengono accettati dall’obbiettivo. . . 34 2.5 a sinistra i tre criteri per il limite di risoluzione, a destra la figura

tipica del pattern di Airy . . . 35 2.6 Schema di aberrazione cromatica . . . 36 2.7 Il doppietto acromatico di Fraunhofer . . . 36 2.8 Indici di rifrazione in funzione del V-number per alcuni dei vetri tra

i pi`u utilizzati. . . 38 5

(6)

6 ELENCO DELLE FIGURE 2.9 Alcune linee spettrali di Frauhofer tra le pi`u usate . . . 38 2.10 Alcuni disegni di obbiettivi da microscopio: a) doppietti acromatici,

b) 10X 0.25 NA (Lister), c) 20-40X 0.5-0.4NA (Amici), d) obbiettivi a immersione, e)Apocromatic 10X 0.3NA, f)Apocromatic 50X 0.95NA [42] . . . 39 2.11 Transizioni elettroniche tipiche legate al fenomeno della fluorescenza

e della fosforescenza, rappresentate con l’ausilio dei diagrammi di Ja-blonski: in viola e blu i processi di assorbimento, in verde l’emissione spontanea, in rosso la fosforescenza.[35] . . . 41 2.12 Il doppio legame C = C in celeste viene evidenziato l’orbitale π . . . 42 2.13 Esempi di sistemi coniugati in fluorofori noti: A)clorofilla, B) β-carotene 43 2.14 Lunghezze d’onda d’assorbimento per molecole lineari calcolati con il

modello di particelle libere, e con una spaziatura tra gli atomi pari a 1nm [33] . . . 44 2.15 Struttura molecolare e lunghezze d’onda dei picchi di assorbimento

ed emissione dell’isotocianato di fluoresceina . . . 45 2.16 Spettri di emissione ed assorbimento dei due Fluorofori Alexa Fluor

555 e 488 . . . 45 2.17 Componenti principali di un microscopio ottico a fluorescenza:

Lam-pada per la luce incidente (L), condensatore (C), iris (f), filtro di eccitazione (EX), beam splitter dicroico (DR), filtro di emissione (EM). 47 3.1 Schema dell’apparato sperimentale. . . 50 3.2 sinistra: bande di assorbimento ed eccitazione del fluoroforo alexa 488

e bande passanti del filtro TRITC, destra: bande di assorbimento ed eccitazione del fluoroforo alexa555 e bande passanti del fitro FITC [38] 51 3.3 Immagine di una porzione della cavia acquisita con la fotocamera IDS. 54 3.4 Immagine di una cavia acquisita con la fotocamera Canon. . . 54 3.5 Spettro della sorgente Led a luce bianca . . . 55 3.6 Curve di trasmissione e riflessione del dicroico Edmund 86-394 . . . . 56 3.7 Principio di funzionamento di un mode cleaner [40]. . . 57 3.8 Setup definitivo dell’apparato sperimentale, b) Piano ottico e sistema

di lenti per l’allargamento del fascio. a)stage di posizionamento del campione, e spot del laser utilizzato per l’imaging. . . 58 3.9 Prescrizione per l’obbiettivo utilizzato nella simulazione . . . 60 3.10 Simulazione dell’obbiettivo 10X: tracing del beam size . . . 60 3.11 Simulazione del mode cleaner, obbiettivo + pin hall fino alla prima

lente . . . 60 3.12 Schema del piano ottico . . . 61 3.13 Simulazione del piano ottico, ottenuto con Virtual lab fusion

(Ligth-trans) [41] . . . 61 3.14 Illuminazione di un campioncino di prova, in a) l’illumnazione con il

laser verde, in b) l’illuminazione con la lampada LED. L’immagine `e acquisita tramite la fotocamera Canon . . . 62

(7)

ELENCO DELLE FIGURE 7 3.15 Illuminazione di un campioncino di prova, in a) l’illuminazione con il

laser verde, in b) l’illuminazione con la lampada LED. L’immagine `e acquisita tramite il sensore CMOS della IDS . . . 63 3.16 Immagini che mostrano l’eliminazione delle frange indotte dal

modu-latore acusto ottico (tempo di integrazione 250ms) . . . 64 3.17 Immagini di fluorescenza utilizzando luce bianca e filtro TRITC, in

tre zone differenti di 3 Zebrafish differenzi. . . 65 3.18 Immagini di zone fluorescenti per la cavia utilizzando come luce di

illuminazione il laser verde. . . 65 3.19 Analisi della potenza emessa del laser in funzione della corrente di

alimentazione. . . 67 3.20 Esempio di schermata del programma di gestione del beam profiler

WinCamD usato per studiare le caratteristiche del fascio di illumina-zione dei nanorods: L’esempio si riferisce a una acquisiillumina-zione a distanza 7.25 mm dalla lente frontale del focalizzatore . . . 67 3.21 Analisi del diametro del fascio in funzione della distanza dalla lente

frontale del focalizzatore: la linea continua riporta il risultato di un best fit descritto nel testo. . . 68 3.22 Trasmissivit`a dei filtri dicroici nel canale di eccitazione al variare

dell’alimentazione della sorgentee di eccitazione. . . 68 4.1 In a) e b) immagini di Zebrafish 6. Prima e dopo l’irraggiamento. In

c) e d) la posizione in cui `e stato osservato Zebrafish 8 prima e dopo l’irraggiamento. . . 73 4.2 In a) immagine dello spot del laser di ablazione, in b) l’immagine

della fluorescenza di Zebrafish1, in c) e d) la sovrapposizione del laser in due zone differenti della cavia. Da notare come l’allineamento non `

e risultato completo. . . 75 4.3 In a) l’immagine del laser in b)l’immagine della fluorescenza di

Zebra-fish 8, in c) e d) la sovrapposizione del laser in due zone differenti della cavia, in questo caso l’allineamento `e ottimale, poich`e l’immagine del laser `e ben sovrapposta alla cellula fluorescente. . . 76 4.4 immagini di fluorescenza raccolta da Zebrafish 6, in a) e b) le due

zone differenti esposte al laser. . . 78 4.5 Immagine della fluorescenza di Zebrafish6 24 ore dopo l’ablazione, in

zona 1 e 2 si notano cambiamenti evidenti rispetto alle immagini in figura 4.4. . . 79 4.6 Segmenti di estrazione dei profili di intensit`a in una direzione che

comprenda entrambe le zone di ablazione (~x). . . 79 4.7 Profilo di intensit`a estratto dall’immagine di fluorescenza di

Zebra-fish6 prima dell’ablazione. . . 80 4.8 Profili di intensit`a estratti da a) e b) di figura 4.4: i picchi 1 e 2

corrispondono a singoli cluster cellulari isolati osservabili ad occhio nudo in figura.4.4, si nota anche la figura diffrattiva indotta dal laser che indica in che zona `e stato allineato. . . 81

(8)

8 ELENCO DELLE FIGURE 4.9 Profilo di intensit`a corrispondente alla figura 4.5, si nota la scomparsa

dei picchi di intensit`a in zona 1 e una diminuzione di intensit`a molto accentuata in zona due, l’intensit`a massima risulta invariata rispetto ai grafici precedenti. . . 82 4.10 Immagini trattate tra prima e dopo l’ablazione, secondo quanto

de-scritto nel testo. . . 83 4.11 In a) immagine della fluorescenza acquisita prima dell’ablazione e

la sovrapposizione con il laser di ablazione (in blu), in b) l’immagi-ne della fluorescenza dopo l’ablaziol’immagi-ne, in zona 1 si nota una l’immagi-netta diminuzione di intensit`a. . . 83 4.12 Segmenti di estrazione dei profili di intensit`a. In direzione y e y’

per i profili di intensit`a della zona ablate (notare il laser in blu), in direzione x e x’ per i profili di normalizzazione. . . 84 4.13 Profili di intensit`a corrispondenti alle immagini a) e b) di figura 4.11,

la lettera L in verde indica la sovrapposizione del laser di ablazione. . 84 4.14 Profili di intensit`a in direzione trasversale e distante rispetto alla

zo-na esposta al laser, necessarie per la normalizzazione dei profili di intensit`a. . . 85 4.15 Immagini trattate prima e dopo l’ablazione secondo quanto descritto

nel testo. . . 85 4.16 Spettro di emissione della luce di illuminazione del campione. . . 86 4.17 Apparato sperimentale per la misura degli spettri di assorbimento dei

nanorods. . . 87 4.18 Trasmissivit`a dell’obbiettivo EC Epiplan-Neofluar 20X, 0.5N.A. . . . 88 4.19 Spettro della luce diretta di illuminazione. . . 88 4.20 Confronto tra le intensit`a della luce diretta e la luce trasmessa dal

campione, composto da una soluzione di nanorods puri in una dilui-zione di 10−2 rispetto alle concentrazioni iniziali. . . 89 4.21 Spettro della luce assorbita dal campione composto dai nanorods puri,

fittato con una polinomiale di grado 5,che funge da guida per gli occhi. 89 4.22 Spettro della luce assorbita dal campione composto dai nanorods

fun-zionalizzati, fittato con una polinomiale di grado 5, il massimo si trova a 775.01±5.4nm. . . 90

(9)

Introduzione

L’argomento principale di questo lavoro di tesi `e la realizzazione di un esperimento di terapia fototermica (PhotoThermal Therapy, PTT) in-vivo, effettuato su cavie di Zebrafish inoculate con cellule di tumore mammario. Il lavoro `e stato svolto in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, Dr. France-sco Tantussi, e il Dipartimento di Biologia dell’Universit`a di Pisa, Dr.ssa Marti-na GianMarti-naccini e Prof.ssa SimoMarti-na Raffa, che si sono occupati della preparazione e manipolazione delle cavie.

La terapia fototermica si propone di rimuovere le cellule tumorali mediante fotoa-blazione: la radiazione di un laser, opportunamente preparata, viene inviata selet-tivamente sulle cellule malate e qui, attraverso processi di assorbimento della luce e successiva conversione in calore, si ottiene la rimozione per apoptosi (morte cel-lulare) del tumore. Questa breve descrizione mette in evidenza due aspetti cruciali che devono essere soddisfatti per il buon funzionamento della terapia, e che sono oggetto attuale di numerose ricerche:

ˆ le presenza e la posizione del tumore devono essere individuate con sufficiente sensibilit`a e risoluzione spaziale;

ˆ devono essere presenti efficienti meccanismi di assorbimento della radiazione laser e conversione in calore all’interno, o in prossimit`a, delle cellule malate. Nella configurazione usata in questo lavoro, la localizzazione delle cellule malate `e af-fidata alla microscopia di fluorescenza. Infatti le cellule sono legate a un fluoroforo la cui emissione permette di individuare le zone da irraggiare per l’ablazione. L’assor-bimento della radiazione e la conversione in calore sono ottenute con nanoparticelle di oro dotate di risonanze localizzate nel vicino infrarosso, una regione spettrale dove l’assorbimento da parte dei tessuti `e comparativamente meno rilevante che nel visibile. Queste nanoparticelle, che hanno la forma di nanorods, vengono funzio-nalizzate e legate alle cellule tumorate attraverso specifiche procedure progettate e realizzate da IIT e DIpartimento di Biologia.

Oltre a questi due aspetti distintivi, a differenza di lavori precedenti, in cui si faceva uso di laser impulsati, la fotoablazione viene qui condotta mediante radiazione laser continua, fortemente focalizzata e indirizzata su regioni specifiche del campione grazie a un sistema di posizionamento micrometrico a tre direzioni indipendente da quello di imaging.

Nell’ultimo decennio le nanostrutture di metalli nobili sono state oggetto di un crescente interesse dovuto alle loro propriet`a uniche. In particolare, il fenomeno chiamato risonanza plasmonica superficiale localizzata (Localized Surface Plasmon

(10)

10 ELENCO DELLE FIGURE Resonance, LSPR), che `e tipico delle nanostrutture di metalli nobili (oro e argen-to), produce significative modifiche delle propriet`a di interazione con la radiazione elettromagnetica. Tra le conseguenze, si pu`o verificare un forte incremento (anche di diversi ordini di grandezza) delle sezioni d’urto di assorbimento e scattering della luce in corrispondenza di determinati intervalli spettrali. Lo sviluppo delle tecniche di fabbricazione ha permesso di selezionare la posizione della risonanza in un ran-ge che copre anche il vicino infrarosso. I nanorods impiegati in questo lavoro, che hanno origine commerciale, presentano un picco di assorbimento attorno a 780 nm, una lunghezza d’onda ottenibile da sorgenti laser a diodo e per la quale l’acqua, il maggior costituente dei tessuti biologici, `e relativamente poco assorbente. Oltre che in numerosi altri settori, la disponibilit`a di nanostrutture dotate di LSPR ha avu-to un grande impatavu-to nella nanomedicina, soprattutavu-to in ambiavu-to oncologico, dove l’idea di base `e quella di sfruttarne le specifiche propriet`a ottiche in tecniche per l’imaging e per la terapia fototermica. Quest’ultima, in particolare, stimola grande interesse per il trattamento di alcuni tumori, per esempio quelli epiteliali, situati a breve profondit`a rispetto alla pelle e quindi raggiungibili dalla radiazione laser. Nell’esperimento presentato in questa tesi, le cellule tumorali inoculate nelle cavie esprimono l’over-espressione del recettore Her2 e sono legate a un fluoroforo (Alexa Fluor 555, derivato del TRITC) che assorbe radiazione verde e ha un picco di emis-sione nella banda del rosso. Grazie a un’opportuna funzionalizzazione, basata su un anticorpo monoclonale (anti-Her-2) in grado di riconoscere il recettore posto sulla membrana citoplasmatica cellulare, il fluoroforo si lega selettivamente alle cellule malate, la cui localizzazione `e quindi possibile con tecniche di microscopia di fluore-scenza. Per lo svolgimento dell’esperimento `e stato necessario disegnare, realizzare e sviluppare ex-novo un apparato di microscopia di fluorescenza. Esso `e basato su un microscopio ottico invertito Nikon ti-e Eclipse sul quale sono stati integrati due distinti sistemi di illuminazione che sfruttano rispettivamente la radiazione di un laser a stato solido operante a 473 nm, dunque quasi risonante con la banda di as-sorbimento del fluoroforo, e una sorgente a banda larga, un LED “a luce bianca”, seguito da opportune configurazioni di filtri spettrali. Poich`e il microscopio, gi`a di-sponibile in laboratorio, `e impiegato di routine in altri esperimenti (microscopia a campo ottico prossimo, non usata in questa tesi), nella realizzazione sperimentale `e stato necessario studiare dei compromessi che permettessero di evitare di smontare i componenti ottici e meccanici necessari per le altre configurazioni.

I due sistemi di illuminazione sono stati caratterizzati in questo lavoro di tesi at-traverso una serie di prove specifiche, che hanno dimostrato come l’illuminazione mediante sorgente a banda larga sia preferibile per gli scopi dell’esperimento grazie a una maggiore omogeneit`a della regione illuminata, al maggior grado di controllo della intensit`a di illuminazione, alla possibilit`a di selezionare diversi intervalli spet-trali per l’imaging. Il lavoro di tesi `e stato infatti impostato per la realizzazione di esperimenti di co-localizzazione delle cellule tumorali e dei nanorods, in cui questi ultimi sono funzionalizzati con un ulteriore fluoroforo (Alexa Fluor 488, derivato del FITC) che assorbe nel blu ed emette nel verde e quindi possono essere individuati nel campione attraverso microscopia di fluorescenza usando una diversa combinazio-ne di filtri spettrali. Complicazioni combinazio-nella procedura di funzionalizzaziocombinazio-ne non hanno per ora reso possibile l’esecuzione di test con nanorods funzionalizzati su cavie, per

(11)

ELENCO DELLE FIGURE 11 cui negli esperimenti riportati in questa tesi l’effettiva localizzazione e la densit`a spaziale dei nanorods all’interno delle cellule tumorali non sono state analizzate. In parallelo con i sistemi di illuminazione, sono stati realizzati e sviluppati tutti gli altri componenti dell’apparato sperimentale, in particolare per l’imaging e per l’ottenimento della radiazione di ablazione. Sono state testate due diverse camere, entrambe montate sul microscopio, in relazione alle richieste dell’esperimento. Per l’ablazione, `e stato realizzato un sistema in cui la radiazione di un laser a diodo a 780 nm `e stato accoppiato a una fibra ottica a singolo modo terminata da un foca-lizzatore, costituito da un obbiettivo a corta distanza focale. Il focalizzatore `e stato montato su un traslatore micrometrico a tre direzioni fissato sul tavolino portacam-pioni del microscopio, in modo da poter indirizzare la radiazione di fotoablazione dall’alto sulle cavie e di poterne controllare la focalizzazione. Le performance del sistema sono state analizzate studiando la distribuzione spaziale dello spot focale. Infine `e stato messo a punto un protocollo di procedura sperimentale per la terapia fototermica che prevede:

ˆ l’individuazione delle cellule tumorali all’interno di specifici organi della cavia attraverso imaging di fluorescenza e a luce bianca;

ˆ il posizionamento dello spot focale del laser di ablazione su specifiche regioni delle cellule tumorali;

ˆ l’esposizione al laser di ablazione con dosi di energia variabili, ottenute varian-do la potenza, le dimensioni dello spot focale, la durata;

ˆ la verifica dell’effetto di fotoablazione tramite imaging di fluorescenza a tempi successivi, tipicamente dopo 24 ore dall’ablazione.

Tale protocollo `e stato applicato a un ridotto numero di cavie, rese disponibili nel corso del lavoro di tesi.

La tesi `e cos`ı strutturata:

ˆ nel capitolo 1 si illustrano i principi alla base della terapia fototermica e si fornisce un quadro generale delle risonanze plasmoniche e delle propriet`a delle nanoparticelle usate in questo lavoro di tesi;

ˆ il capitolo 2 `e dedicato ad una presentazione delle tecniche di microscopia di fluorescenza, indirizzata in particolare agli scopi e alle apparecchiature sperimentali usate in questa tesi;

ˆ nel capitolo 3 viene presentato l’apparato progettato e messo a punto per l’esperimento di terapia fototermica e vengono discusse alcune delle principali misure di caratterizzazione strumentale;

ˆ il capitolo 4 riporta, infine, alcuni dei risultati ottenuti nell’esperimento di terapia fototermica mediante ablazione laser di cellule tumorali in cavie di Zebrafish.

(12)
(13)

Capitolo 1

La terapia fototermica

L’impiego del calore come agente terapeutico era noto gi`a nell’antichit`a, ad esempio in un papiro egizio datato intorno al 3000a.c.[1] viene illustrato il trattamento di un tumore del seno tramite la cauterizzazione con ferri ardenti.

In epoche successive, fino alla medicina contemporanea, sempre pi`u evidenze scien-tifiche indicavano la possibilit`a di sfruttare il calore nel trattamento di alcune pato-logie, come ad esempio i tumori.

Vi `e stata quindi una continua ricerca di tecniche in grado di aumentare selettiva-mente la temperatura in specifiche zone bersaglio del corpo umano.

In letteratura, comunemente viene definita hyperthermia il riscaldamento di un tes-suto a 41-47◦C: a queste temperature, come poi `e stato dimostrato [2], si ottiene un danno irreversibile delle membrane cellulari e la denaturazione di alcune proteine, effetto che viene amplificato se riferito alle cellule tumorali, che non essendo dotate di sistemi efficienti per la dissipazione del calore e per la riparazione dei danni cel-lulari risultano pi`u sensibili al calore rispetto alle cellule normali [3].

Allo scopo di applicare l’hypertermia in campo biomedico sono state esplorate diver-se sorgenti come ad ediver-sempio: le radiofrequenze, le microonde, gli ultrasuoni [4][5][6]. Verso la seconda met`a degli anni 60 dest`o molta attenzione la possibilit`a di utilizzare i laser ad alta potenza come sorgente di ablazione per i tumori, dove per ablazione si intende la rimozione del materiale biologico, fino alla prima eradicazione ablati-va avvenuta nel 1965 [7]. Il pi`u grande svantaggio dovuto a questo approccio `e la mancanza di selettivit`a: sia le cellule tumorali che quelle sane vengono danneggiate lungo il percorso ottico della luce, oltre al fatto che per indurre l’ablazione occorre una densit`a di potenza molto elevata (dell’ordine delle centinaia di W/cm2).

Un’alternativa pi`u recente `e lo sviluppo della terapia fototermica (PTT); l’idea alla base di questa tecnica consiste nello sfruttare la capacit`a di alcuni materiali di as-sorbire la luce e convertirla in calore con elevata efficienza tramite i meccanismi non radiativi. Il calore prodotto localmente `e in grado di indurre l’apoptosi (ovvero la morte cellulare programmata) delle cellule tumorali.

Nel recente passato gli sforzi iniziali della comunit`a scientifica si sono focalizzati, in primo luogo, proprio nel ricercare un materiale, o un sistema materiale in grado di compiere la trasduzione luce-calore nel modo pi`u efficiente possibile, che sia biocom-patibile e infine di facile sintetizzazione e funzionalizzazione.

I primi materiali ad essere stati testati e poi implementati come agenti per la tera-13

(14)

14 CAPITOLO 1. LA TERAPIA FOTOTERMICA pia fototermica sono stati alcuni fluorofori naturali come ad esempio l’indocyanine green, e le porporine [8]. I fluorofori naturali tuttavia non riescono ad assorbire la luce in modo sufficientemente efficace, mentre la scelta di agenti esogeni per la tera-pia fototermica viene fatta proprio sulla base di una sezione d’urto d’assorbimento molto alta e di una efficiente conversione luce-calore.

In anni recenti, il veloce sviluppo della nanotecnologia e della nanomedicina ha fornito una grande variet`a di nanostrutture le cui propriet`a ottiche uniche sono particolarmente utili in biologia e nelle applicazioni biomediche. Le nanoparticelle basate sui metalli nobili hanno destato particolare attenzione riguardo la PTT. In particolare, il fenomeno chiamato risonanza plasmonica superciale localizzata (Lo-calized Surface Plasmon Resonance, LSPR), che `e particolarmente accentuato in nanostrutture di metalli nobili (oro, argento), produce significative modifiche delle propriet`a di interazione con la radiazione elettromagnetica, portando a un incre-mento (anche di diversi ordini di grandezza) delle sezioni d’urto di assorbiincre-mento e scattering della luce in corrispondenza di determinati intervalli spettrali nel visibile o nel vicino infrarosso. L’idea che si `e progressivamente affacciata in questo campo di ricerca `e quella di sfruttare queste risonanze per la terapia fototermica, come sug-gerito nei lavori pioneristici di El Sayed e collaboratori [10] in cui viene introdotta la tecnica PPTT (Plasmon based Photothermal Therapy)

Le nanoparticelle in questione esibiscono diverse propriet`a che le rendono candidate ideali per l’applicazione della PPTT, in particolare:

ˆ Le LSPR possono essere eccitate nel vicino infrarosso variando opportuna-mente le dimensioni delle nanoparticelle, questo consente di utilizzare una radiazione capace di penetrare i tessuti biologici per qualche mm grazie al basso assorbimento dell’acqua a quelle lunghezze d’onda (per dettagli si veda ad esempio[9] ).

ˆ La propriet`a radiative e non radiative, amplificate dalle LSPR, consentono di applicare la PTT utilizzando densit`a di potenza del laser molto basse e quindi meno invasive.

ˆ Inoltre le nanostrutture hanno alta fotostabilit`a e una buona biocompatibilit`a. Quanto affermato verr`a approfondito nel seguito del seguente capitolo e in questo lavoro di tesi verr`a mostrata un’applicazione della tecnica PPTT.

1.1

Le risonanze plasmoniche di superficie

Al fine di meglio comprendere i meccanismi alla base della PPTT `e utile illustrare un p`o pi`u in dettaglio il fenomeno delle risonanze plasmoniche di superficie, e quali sono le conseguenze di queste sulle propriet`a ottiche delle nanostrutture.

La plasmonica in generale si basa sui processi di interazione tra la radiazione elet-tromagnetica e gli elettroni di conduzione dei metalli, ed ha acquistato nel tempo un interesse sempre maggiore, poich`e consente il confinamento e la manipolazione della luce in scale dimensionali al di sotto della lunghezza d’onda della stessa, cosa

(15)

1.1. LE RISONANZE PLASMONICHE DI SUPERFICIE 15 impensabile nell’ambito dell’ottica convenzionale. Per questo motivo la plasmonica `e diventato uno degli ingredienti principali della nanofotonica.

L’oscillazione collettiva della densit`a di carica del gas di elettroni liberi presenti in un metallo viene chiamata Plasmone, le eccitazioni dei modi plasmonici vengono appunto descritte in termini di risonanze.

Esistono diversi tipi di eccitazioni di queste risonanze. Riferendoci alle risonanze di superficie, storicamente queste vengono divise in due tipi differenti: il polaritone superficiale plasmoniico (SPP), e i plasmone localizzato di superficie (LSPR). Il polaritone superficiale plasmonico `e prodotto grazie all’accoppiamento tra un pla-smone superficiale ed un fotone all’interfaccia dielettrico-metallo. `E un’onda elet-tromagnetica dal carattere longitudinale e non radiativo che viene eccitata quan-do coesistono oscillazioni collettive parallele alla superficie e un opportuno campo elettromagnetico. La prima descrizione matematica di queste onde di superficie av-venneoltre un secolo fa da parte di Sommerfeld (1899) per quanto riguarda le onde radio propaganti sull’interfaccia di un conduttore. Nella regione del visibile fu Wood (1902) ad osservare una diminuzione anomala dell’intensit`a nello spettro prodotto da luce riflessa da un reticolo metallico, mentre la descrizione teorica avvenne molto dopo, nel 1968 giungendo finalmente a una teoria unificata dei fenomeni coinvolti in termini di polaritoni superficiali [11].

Le LSPR possono invece esistere in altre geometrie, in particolare sulla superficie di nanoparticelle metalliche immerse in un dielettrico. I fenomeni collegati a questi tipi di risonanze erano noti gi`a in epoca antica, i romani utilizzavano inconsapevolmente le nanoparticelle d’oro come coloranti per i vetri, mentre la descrizione matematica fu avviata da Mie (1908). Come vedremo, tali eccitazioni superficiali sono fortemente correlate alla geometria delle nanoparticelle e all’indice di rifrazione del mezzo in cui sono immerse; le propriet`a ottiche delle strutture possono quindi essere controllate variando queste caratteristiche, rendendole estremamente interessanti nell’ambito della PPTT e per tutta una serie di applicazioni attualmente impiegate con successo in vari ambiti.

In particolare, oltre all’utilizzo delle risonanze plasmoniche come agente terapeutico vorremmo citarne almeno due:

ˆ Biosensori: depositando uno strato sottile dielettrico su un substrato metallico ed eccitando plasmoni superficiali all’interfaccia mediante tecniche specifiche, per esempio usando onde evaneescenti, si ottiene un sistema che `e altamen-te sensibile alle variazioni di indice di rifrazione dello strato dielettrico, do-vuto ad esempio all’adsorbimento, eventualmente selettivo, di molecole sullo all’interfaccia[19]. Questo consente la realizzazione di una spettroscopia ot-tica detta plasmonica, che ha un’elevata sensibilit`a ed `e in grado di rivelare piccolissime quantit`a di molecole adsorbite.

ˆ Spectroscopic Cancer Detection:il campo indotto dalle risonanze plasmoniche oltre ad amplificare le propriet`a radiative quali assorbimento e scattering, `e in grado di amplificare lo scattering Raman di molecole adiacenti, poich`e lo scattering Raman ha un’intensit`a proporzionale al quadrato del campo che

(16)

16 CAPITOLO 1. LA TERAPIA FOTOTERMICA

Figura 1.1: Illustrazione schematica delle risonanze plasmoniche di superficie localiz-zate per una nanosfera a) e il relativo spettro di assorbimento b) per nanoparticelle di oro.

investe la molecola. Infatti in prossimit`a delle nanostrutture dotate di LSPR si verifica un auento locale del campo elettrico. Questo fenomeno `e chiamato ”surface enached Raman scattering” (SERS). Substrati opportuni, per esempio che presentano arrays di nanostrutture di metalli nobili in supeficie, possono essere utilizzati per aumentare anche di diversi ordini di grandezza la sensibilit`a della spettroscopia Raman, ottenendo un metodo dotato di elevata selettivit`a ed in grado, per esempio, di rivelare fingerprints di molecole anomale prodotte dalle cellule tumorali.[20]

.

1.1.1

Principi delle LSPR

Quando della luce incidente interagisce con le nanoparticelle metalliche (Metal Na-noparticles, MNPs), il campo elettromagnetico della luce induce una oscillazione degli elettroni di conduzione di quest’ultime.

Il campo elettrico, interagendo con gli elettroni liberi della nanoparticella porta a una separazione di carica tra gli elettroni e gli ioni del reticolo. La forza Coulom-biana tende a ripristinare la neutralit`a di carica del sistema, tirando nuovamente gli elettroni nella direzione opposta. Il risultato `e un’oscillazione collettiva degli elettroni liberi, in altre parole, l’eccitazione delle LSPR.

L’emergere delle LSPR comporta un forte incremento della capacit`a di assorbimento e di scattering della luce. In figura 1.1a, viene illustrata l’eccitazione delle LSPR per una nanoparticella di forma sferica. Lo spettro in figura 1.1b, realizzato speri-mentalmente su un campione di nanoparticelle del diametro medio di 40nm, mostra una banda di assorbimento.

Le propriet`a di assorbimento delle MNPs di forma sferica vengono descritte dalla soluzione delle equazioni di Maxwell proposte dalla teoria di Mie, una trattazione completa pu`o essere trovata in [11].

In accordo con la teoria di Mie, per nanoparticelle ben separate con raggio “R” molto pi`u piccolo della lunghezza d’onda della luce λ (R/λ < 0.1), la sezione d’urto d’estinzione Cext, definita come la somma delle sezioni d’urto di scattering (Csca) e

(17)

1.1. LE RISONANZE PLASMONICHE DI SUPERFICIE 17

Figura 1.2: Simulazione dello spettro di assorbimento dovuto alle LSPR al variare del diametro della nanosfera a), confronto tra simulazione (triangoli) e dati sperimentali (cerchi) b) [12]

di assorbimento (CAbs), pu`o essere espressa come:

Cext= Cabs+ Csca =

24π2R3N 3/2 m λ i (r+ 2m)2+ 2i (1.1) dove m `e la costante dielettrica del mezzo circostante, mentre i e r sono la parte

immaginaria e reale della funzione costante dielettrica della nanoparticella ed N `e il numero di nanoparticelle del campione.

In un metallo, la costante dielettrica `e funzione della frequenza angolare ω della radiazione. Come mostrato in eq. 1.1, la risonanza appare laddove r = −2m,

quest’ultima chiamata condizione di Fr¨olich [11].

Ulteriori lavori presenti il letteratura [12] hanno poi indagato la relazione tra il diametro delle nanosfere e la lunghezza d’onda di eccitazione della risonanza, di-mostrando sia sperimentalmente sia tramite simulazioni basate sulla teoria di Mie come aumentando il diametro delle nanosfere si ottenga uno spostamento verso il rosso dello spettro di assorbimento. La figura 1.2 illustra quanto affermato.

Per quanto riguarda i nanorods metallici, cio`e nanostrutture di forma elongata, come quelle usate in questo lavoro gi`a nel 1915 Gans [13] aveva predetto che quando le na-noparticelle hanno una forma ellissoidale e non sferica la risonanza plasmonica viene divisa in due bande: una banda molto accentuata nel vicino infrarosso corrispon-dente all’oscillazione elettronica lungo l’asse, chiamata banda longitudinale (LPB), e una banda pi`u debole, nella regione del visibile simile a quella delle nanosfere, chiamata banda trasversa (TPB) fig1.3 (a) e (b).

Le TPB dei nanorods non dipendono in maniera marcata dalla dimensione dei nano-rods e neanche dall’indice di rifrazione del mezzo circostante, mentre le LPB esibisco-no uesibisco-no spostamento verso lunghezze d’onda verso il rosso all’aumentare dell’aspect ratio (lunghezza/spessore) della nanoparticella, ed inoltre sono particolarmente sen-sibili al variare dell’indice di rifrazione del mezzo [14] [15].

Dal punto di vista qualitativo, tale differenza di comportamento pu`o essere anche legata alla circostanza che, normalmente, le nanoparticelle di forma allungata come i nanorods, sono realizzate con dimensioni trasversali che variano di poco, essendo generalmente dell’ordine di poche decine di nanometri, mentre il range di variazio-ne della lunghezza pu`o estendersi in intervalli ben maggiori (da alcune decine fino a centinaia di nanometri). Queste propriet`a rendono particolarmente interessanti

(18)

18 CAPITOLO 1. LA TERAPIA FOTOTERMICA

Figura 1.3: In a) illustrazione schematica delle risonanze plasmoniche trasversali e longitudinali per un nanorod. In b) relativi spettro di assorbimento.

i nanorods, poich`e variando l’aspect ratio si pu`o spostare la risonanza plasmonica alle lunghezze d’onda di interesse. L’aspect ratio che pu`o essere controllato in mo-do sufficientemente preciso fissanmo-do opportunamente i parametri sperimentali dei vari metodi con cui i nanorods vengono prodotti (ad esempio: il seed mediated method[16], o i metodi elettrochimici).

Considerando la teoria di Gans il coefficiente di estinzione pu`o essere quantitave-mente espresso come:

Cext = 24πV N 3/2m 3λ X j (1/Pj2)i (r+ (1−Pj) Pj m) 2+ 2 i (1.2)

Dove N `e il numero di particelle per unit`a di volume, V `e il volume, e Pj viene

chiamato fattore di de-polarizzazione. L’indice j identifica gli assi del nanorods: A,B e C. Per una particella elongata in cui le lunghezze lungo le direzioni B C coincidono abbiamo: PA= 1 − e2 e2  1 2eln 1 + e 1 − e − 1 (1.3) PB = PC = 1 − P − A 2 (1.4)

L’ellitticit`a della nanoparticella e, `e definita come:

e = s 1 − B A 2 (1.5) Mentre A/B `e proprio l’aspect ratio. La risonanza avviene quando:

r= −  (1 − Pj) Pj m 2 (1.6) dove j=A per la risonanza longitudinale e j=B,C per la risonanza trasversale. Basan-dosi sull’eq.1.2 il gruppo di Link ed El Sayed [17] ha ottenuto una relazione lineare

(19)

1.1. LE RISONANZE PLASMONICHE DI SUPERFICIE 19 e molto semplice tra le l’unghezze d’onda di picco delle risonanze longitudinale e l’aspect ratio r nei nanorods di oro.

λmax = 95r + 420[nm] (1.7)

Il picco `e shiftato verso il rosso incrementando l’aspect ratio. Nanorods di oro con diversi aspect ratio sono disponibili commercialmente sotto forma di sospensioni col-loidali. La figura 1.4 mostra delle immagini al microscopio TEM di alcuni campioni, il colore apparente di diverse sospensioni e gli spettri di assorbimento corrispondenti. La teoria di Gans `e stata sviluppata considerando rods aventi simmetria cilindrica e considerando solo le oscillazioni di dipolo. Per nanorods aventi forma arbitraria, bisogna ricorrere ad altre tecniche di calcolo; la pi`u utilizzata `e forse l’approssi-mazione discreta dipolare (DDA), che consente di calcolare le propriet`a ottiche di nanoparticelle di forma arbitraria.

In questo metodo la particella `e vista come un array cubico di dipoli. Ogni elemento `e talmente piccolo che interagisce con il campo elettrico della luce incidente e con il campo indotto dagli altri dipoli vicini. Questo riduce le soluzioni dell’equazio-ne di Maxwell a un problema algebrico fissando un appropriato guess iniziale della polarizzabilit`a dipolare di ogni elemento. In letteratura `e possibile trovare simula-zioni effettuate con la DDA in grado di calcolare le sesimula-zioni d’urto assorbimento, di scattering e i coefficienti di estinzione utili per i nostri interessi. `E stato dimostrato (ad esempio in [18]) come per nanosfere aventi dimensione di 20nm il contributo al coefficiente di estinzione `e dovuto principalmente all’assorbimento, mentre quando questa aumenta fino a 40 nm inizia ad esserci un contributo dovuto allo scattering, il contributo aumenta all’aumentare della dimensione delle particelle e diventa domi-nante per particelle di 80nm. Tale risultato `e in sostanziale accordo con le previsioni basate sullo scattering di Mie.

Il comportamento cambia sensibilmente per quanto riguarda i nanorods, per cui si ha un aumento dell’efficienza di scattering all’aumentare dell’aspect ratio seguito da un plateu o una leggera diminuzione per un aspect ratio maggiore di 3.4, come mostrato in figura 1.5.

Per concludere, tutte queste considerazioni forniscono la scelta del materiale da utilizzare per la fotoablazione e per le applicazioni biomediche, per l’imaging sono preferibili nanoparticelle pi`u larghe ma con un aspect ratio non superiore a 3.4, men-tre per la terapia fototermica sono preferite in ogni caso particelle dalla dimensione minore, pioch`e la luce viene assorbita maggiormente e quindi convertita in calore in modo pi`u efficiente.

(20)

20 CAPITOLO 1. LA TERAPIA FOTOTERMICA

Figura 1.4: Immagini al TEM di diversi nanorods di oro con diversi aspect ratio (A), colore apparente delle sospensioni colloidali contenenti nanorods di diversi aspect ratio(B) spettri di assorbimento (C). [20]

1.1.2

Propriet`

a non radiative

I primi tentativi di applicazione della terapia fototermica sfruttando le risonanze plasmoniche delle nanoparticelle furono fatti utilizzando i laser impulsati dal grup-po di Zharov e collaboratori [23, 24]: si pensava che trasferire la maggiore quantit`a di potenza nel minor tempo possibile fosse il modo migliore per sfruttare le LSPR in maniera pi`u efficiente.

In particolare il gruppo di Link ed El Sayed ha dedicato molte energie allo studio dei processi non radiativi delle nanoparticelle e delle propriet`a di conversione luce calore [25, 26, 27].

Fondamentalmente, il processoche conduce al riscaldamento localizzato avviene in due fasi:

1. Una fase veloce (femtosecondi) che riguarda la perdita di coerenza degli elet-troni eccitati dall’interazione con il laser impulsato tramite collisioni elettrone-elettrone, che porta a elettroni caldi aventi temperature dell’ordine dei 1000K. 2. Gli elettroni cedono energia ai fononi del reticolo circostante tramite un’inte-razione elettrone-fonone (durata tipica dell’ordine del picosecondo), che porta a un aumento della temperatura del reticolo e dunque del materiale dell’ordine delle decine di gradi Kelvin.

Il secondo processo, l’interazione elettrone-fonone, `e supposto indipendente dalla di-mensione e dalla forma dei nanorods e non dipende dal tipo di risonanza plasmonica (longitudinale o trasversale) coinvolta. Finita questa fase, possono avvenire altri tre processi successivi a seconda della quantit`a di energia contenuta nel sistema:

1. Il reticolo si raffredda rilasciando calore al mezzo circostante tramite processi fononi-fononi (durata circa 100 ps), il risultato `e un aumento di temperatura del mezzo in cui `e immersa la nanoparticella.

(21)

1.1. LE RISONANZE PLASMONICHE DI SUPERFICIE 21

Figura 1.5: Dipendenza della lunghezza d’onda delle LSPR al variare dell’aspect ratio (sopra), e la dipendenza del quantum yeld di scattering al variare dell’aspect ratio (sotto). [20]

2. Il contenuto di calore del reticolo `e talmente elevato da portare al melting e alla frammentazione delle particelle (ablazione della nanostruttura).

3. I primi due processi entrano in competizione: se il rate di riscaldamento `e trop-po veloce rispetto al raffreddamento, cambia la struttura delle nanoparticelle che possono fondersi o frammentarsi, altrimenti, se domina il primo processo e il contenuto di calore `e sufficiente per danneggiare le cellule cancerogene, si attiva il processo di PTT.

I lavori citati precedentemente [23] [24], riguardano esperimenti compiuti sia in vitro che in vivo, e hanno dimostrato come l’utilizzo di laser impulsati (in genere laser Nd:YAG, 565 nm, con impulsi aventi durata sui ns) risulta efficiente nel caso il tar-get sia la singola cellula cancerogena, la morte cellulare viene indotta principalmente dalla generazione di bolle d’aria su scala micrometrica nelle vicinanze della nano-particella indotte dal laser ad alta potenza. Il processo tuttavia risulta inefficiente per indurre hypertemia su scala macroscopica. In tal caso risulta conveniente usare i laser ad onda continua, evitando la rapida e massiva produzione di calore data dalla densit`a di energia molto alta rilasciata in un tempo troppo basso, evitando inoltre il rischio di fondere le nanoparticelle, al costo per`o di irraggiamenti pi`u lenti e trattamenti della durata maggiore (dell’ordine di qualche minuto).

Lo studio dei fenomeni non radiativi delle nanoparticelle `e un campo di studio anco-ra aperto sia dal punto di vista sperimentale che teorico, vi `e la necessit`a di indagare in modo pi`u preciso la relazione tra la temperatura indotta nell’ambiente circostante e la quantit`a di energia assorbita dalle nanoparticelle. Ad esempio un campo recente di indagine `e lo studio dei fenomeni non radiativi al variare della funzionalizzazione

(22)

22 CAPITOLO 1. LA TERAPIA FOTOTERMICA dei nanorods come in [28], e in generale al variare dell’ambiente circostante in cui sono immersi, come in [29, 30].

1.2

La funzionalizzazione dei nanorods

La funzionalizzazione delle nanoparticelle `e un aspetto decisivo per l’esito della te-rapia fototermica. Per funzionalizzazione si intende il coating dalle nanostrutture atto a fornire alcune propriet`a chimico fisiche di fondamentale importanza alla na-noparticella. La propriet`a in genere ricercata per una funzionalizzazione `e quella che permette di massimizzare il “il cellular uptake” ovvero l’accumulo delle nano-particelle all’interno delle cellule tumorali. `E chiaro infatti che maggiore sar`a la quantit`a di nanoparticelle che riescono a infiltrarsi nella cellula tumorale, maggiore sar`a l’effetto della risonanza plasmonica sulla stessa.

In secondo luogo si cerca anche di funzionalizzare il materiale in modo da migliorare le propriet`a di accoppiamento tra luce e calore e in generale amplificare le propriet`a non radiative della nanoparticella. Normalmente la funzionalizzazione consiste in due strati differenti, un primo coating aggiunto in fase di sintesi della nanostrut-tura, che agisce da “template” , cio`e ha la funzione di ricoprire la nanostruttura e aumentarne la stabilit`a, impedendo che diverse nanoparticelle si uniscano tra loro. Esso agisce da base su cui si lega un secondo strato, il “ligando”, ovvero molecole o anticorpi che hanno lo scopo di aumentare il cellular uptake. Normalmente il ligando `e un anticorpo che `e in grado di riconoscere le cellule malate, o pi`u in generale una molecola in grado di sfruttare l’overespressione di alcuni geni delle cellule malate, per legarsi preferenzialmente alla cellula malata rispetto a quella sana. In letteratura la funzionalizzazione pi`u frequente di questi nanorods per le applicazioni di fotoa-blazione prevede come primo coating il CTAB (cetyltrimethyl-ammoniumbromide) e come ligando un anticorpo che sfrutti ad esempio l’overespressione del gene EG-FR, o HER2 (come nel nostro caso). Il problema di questa funzionalizzazione `e che il residuo del CTAB `e tossico, e quindi dannoso per l’organismo sano. Per ovviare a questi problemi sono state studiate nuove funzionalizzazioni, ad esempio usando [22] il poly(ethylene glycol) PEG, che non risulta tossico per l’organismo sano e inoltre, come dimostrato in [21], questo tipo di funzionalizzazione migliora la capacit`a di conversione luce-calore rispetto ai nanorods funzionalizzati col CTAB. Con le funzionalizzazioni e le ottimizzazioni citate spesso si ottengono, in vivo, ri-sultati terapeutici sorprendenti, tuttavia la completa soppressione del tumore per hypertermia non `e stata ancora riportata in letteratura. Una delle ipotesi per spie-gare ci`o `e che i nanorods PEGylated vengono eliminati dall’organismo con un tempo di escrezione molto rapido (1h) e quindi l’accumulo dei nanorods nei siti tumorali non avviene in modo efficiente. Per ovviare a questo problema sono state studiate diverse funzionalizzazioni [22]; una delle pi`u importanti e sicuramente pi`u studiata `e quella con i materiali mesoporici di silicio (silica coated gold nanords Au@SiO2). In questo caso, il vantaggio maggiore risiede nel fatto che la funzionalizzazione tra-mite materiali mesoporici aumenta il numero di superfici attive della nanoparticella in cui `e possibile legare i ligandi. In questo modo si ottiene una maggiore variet`a della funzionalit`a biochimica della nanoparticella. Negli articoli pi`u recenti infatti,

(23)

1.2. LA FUNZIONALIZZAZIONE DEI NANORODS 23 la funzionalizzazione delle nanostrutture tendono ad essere studiate per coniugare la terapia Phototermale (PTT) ad altri tipi di terapia, come ad esempio il traspor-to di molecole chemioterapiche direttamente nelle cellule malate, oppure la terapia fotodinamica (PTD).

(24)
(25)

Capitolo 2

La microscopia per la PTT

In oltre 300 anni di storia del microscopio ottico, da quando cio`e Hooke e Leeuwen-hoek lo perfezionarono e osservarono per la prima volta l’esistenza dei microrganismi e delle strutture cellulari, ci si potrebbe aspettare che questa invenzione sia ormai definitivamente consolidata. Al contrario, i decenni passati hanno portato con s`e un eccezionale insieme di miglioramenti: sviluppi nei materiali e nella loro fabbricazione, nei rivelatori e nelle telecamere, l’avvento dei laser e dei calcolatori, rappresentano avanzamenti che hanno aumentato enormemente la potenza di questo strumento e ampliato i campi della scienza e della tecnologia in cui esso rappresenta lo strumento principe di indagine.

In questo capitolo verranno illustrati brevemente i principi della microscopia e in particolare della microscopia di fluorescenza, soffermandosi su come questa tecnica sia stata utilizzata per il lavoro di questa tesi.

Come gi`a accennato nell’introduzione, l’esperimento di termoablazione, basato sui gold nanorods, viene guidato mappando spazialmente punto per punto le zone del campione da irradiare. Per fare ci`o `e necessario da un lato visualizzare le cellule tar-get, e dall’altro riuscire a individuare dove e in che concentrazione i nanorods siano penetrati all’interno della cellula; le dimensioni dei nanorods spesso sono al di sotto del limite di risoluzione dell’ottica convenzionale (circa 0.2µm), come ad esempio i nanorods da noi utilizzati in questo lavoro, che hanno dimensioni di 40 × 10 × 10nm. Gli elementi vengono quindi funzionalizzati utilizzando dei fluorofori in modo da poterne mappare la fluorescenza. In questo capitolo verr`a illustrato come attraverso tecniche di microscopia di fluorescenza sia stato possibile visualizzare le zone di inte-resse per l’esperimento. Come verr`a spiegato nel seguito, per eccitare efficacemente i fluorofori viene tipicamente utilizzata una luce “bianca” a banda larga appositamen-te filtrata da filtri dicroici disegnati per separare la radiazione incidenappositamen-te da quella di emissione. Un approccio alternativo che si `e sviluppato in questo lavoro di tesi consiste nell’illuminare il campione con un laser avente lunghezza d’onda risonante con il picco di assorbimento del fluoroforo, cercando in questo modo di aumentare il contrasto e l’intensit`a della radiazione emessa, senza fare uso della sorgente a banda larga.

(26)

26 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT

2.1

Principi del microscopio ottico

I tre componenti essenziali di ogni microscopio ottico convenzionale sono (fig. 2.1): ˆ Un obbiettivo: il sistema ottico pi`u vicino al campione, deputato alla raccolta

della luce e alla creazione dell’immagine magnificata.

ˆ Un oculare: generalmente composto da una lente o un sistema di lenti, posi-zionato poco prima dell’osservatore, che ha il compito di magnificare ulterior-mente l’immagine creata dall’obbiettivo.

ˆ Un preciso sistema di posizionamento del campione: in genere un piano dotato di traslatori micrometrici lungo tutte e tre le direzioni spaziali.

Figura 2.1: Schema ottico base del microscopio

L’utilizzo e il campo di applicazione di questo strumento sono definiti dalle caratte-ristiche di questi elementi.

Ad esempio, l’obbiettivo viene disegnato con delle caratteristiche molto peculiari ri-spetto alle lenti utilizzate in altri strumenti deputati alla formazione delle immagini (come potrebbe essere una macchina fotografica o un telescopio). In microscopia gli obbiettivi devono avere la capacit`a di minimizzare le aberrazioni e massimizzare la risoluzione, e vengono di conseguenza utilizzati sotto condizioni molto stringenti. Nei sistemi ottici utilizzati solitamente in fotografia, il fuoco pu`o essere aggiustato lungo un range molto ampio di distanze dell’oggetto, senza cambiamenti di perfor-mance lungo il corrispondente range di demagnificazione. Al contrario, gli obbiettivi da microscopio sono studiati per costruire l’immagine con una magnificazione fis-sata, per una particolare e ben precisa posizione dell’oggetto; il guadagno `e che

(27)

2.1. PRINCIPI DEL MICROSCOPIO OTTICO 27 l’immagine formata da un microscopio ha una risoluzione molto pi`u vicina al limite di diffrazione rispetto a qualsiasi macchina fotografica. Modificare il sistema ottico in modo che l’obbiettivo sia focalizzato ad una distanza dal campione diversa dal-l’usuale “working distance”, provoca la degradazione dell’immagine.

Allo stesso modo, quando l’indice di rifrazione del mezzo in cui `e immerso il campione differisce di molto rispetto al valore per cui l’obbiettivo `e stato costruito inizialmen-te, si possono avere grandi perdite nel contrasto e nella risoluzione nel momento in cui si focalizza in profondit`a.

Oltre ai componenti per la formazione dell’immagine, anche l’illuminazione del cam-pione `e un aspetto estremamente cruciale. Per esempio il condensatore, cio`e l’ele-mento attraverso cui viene illuminato il campione, viene anch’esso disegnato con propriet`a ben precise. Lo scopo del seguente paragrafo sar`a di spiegare queste e altre prescrizioni utili all’utilizzo del microscopio, e verrano illustrati i principi ottici di base e le configurazioni in cui esso viene utilizzato, soffermandosi sulle carat-teristiche pi`u importanti, quali magnificazione, apertura numerica, e distanze tra le componenti. Verr`a approfondita la struttura dell’obbiettivo e delle combinazioni delle lenti con cui viene disegnato, e verrano collegati tutti questi concetti al sistema realmente usato nell’esperimento compiuto in questo lavoro.

2.1.1

Formazione parassiale dell’immagine

La maggior parte delle propriet`a base degli strumenti deputati alla formazione delle immagini pu`o essere compresa in termini di ottica geometrica (o gaussiana), ovvero nel limite concettuale in cui la lunghezza d’onda della luce diventa estremamente piccola rispetto alle dimensioni del sistema (λ → 0). In questo dominio gli effetti della diffrazione diventano trascurabili e la propagazione della luce pu`o essere de-scritta con semplici raggi.

Il pi`u semplice sistema ottico che si pu`o immaginare `e il diottro sferico: esso con-siste fondamentalmente in una superfice emisferica di separazione tra due materiali dielettrici differenti (per esempio vetro e aria). La prima evidenza dimostrabile del-l’ottica geometrica `e il fatto che il diottro sferico ha le stesse propriet`a di una lente. Definendo l’asse ottico come la linea immaginaria che definisce la traiettoria della luce attraverso il sistema (nel caso di semplici lenti e specchi curvi, l’asse ottico passa attraverso il loro centro di curvatura e coincide con l’asse di simmetria rotazionale), dato un set di raggi propaganti vicino a un asse ottico e parallelamente (o quasi) ad esso, il diottro produrr`a un’immagine focalizzata del set di raggi stesso.

Questo risultato si pu`o ottenere anche con lenti sottili e con sistemi ottici pi`u com-plicati, come ad esempio un set di lenti, a patto di mantenere la restrizione della propagazione vicino all’asse o quasi parallelamente ad esso.

Questa restrizione viene anche chiamata “limite parassiale”, limite che vale finch`e diventa possibile linearizzare le leggi della diffrazione. Nel limite parassiale le caratteristiche principali della lente possono essere riassunte in queste due leggi:

ˆ La lente possiede un front e un back focal plane, definiti sull’asse comune passante per il centro della lente.

(28)

28 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT ˆ I raggi entranti nella lente parallelamente all’asse vengono rifratti in modo da

compiere un percorso passante per il fuoco del lato opposto.

Seguendo solo queste due regole `e possibile ottenere le equazioni per la magnifica-zione e le distanze coniugate tra oggetto e immagine. Sistemi composti da pi`u lenti possono essere rappresentati applicando in serie queste regole, considerando l’imma-gine dell’elemento “n-esimo” come oggetto reale o virtuale dell’elemento successivo. Un importante risultato, conosciuto come relazione di Helmoltz, stabilisce che le distanze dei piani focali back e front sono legate tra loro in rapporto agli indici di rifrazione del mezzo degli spazi di oggetto e immagine: ff0 = nn0, dove l’apice

iden-tifica uno dei due spazi a prescindere dalla sequenza specifica di lenti tra l’ultima e la prima superficie.

Una derivazione molto concisa ma che permette di ottenere interessanti risultati `e la seguente [36] [37]. In riferimento alla fig.2.2b indicando con: n l’indice di rifrazione nello spazio dell’oggetto, s la coordinata dell’oggetto lungo le direzioni assiali, h la dimensione dell’oggetto nella direzione ortogonale a quella assiale ed f il fuoco della lente, mentre con n0, s0, h0, f0 le medesime quantit`a nello spazio dell’immagine, considerando semplicemente le relazioni di similarit`a tra triangoli si ha:

( h (s−f ) = h0 f h0 (s−f0) = fh0 (2.1)

Risolvendo rispetto ad s ed s0 e definendo la magnificazione M = h/h0 si ottengono le posizioni coniugate per oggetto e immagine.

s = (1 + 1/M )f

s0 = (M + 1)f0 (2.2) Queste equazioni mostrano come l’oggetto deve essere posto leggermente al di fuori della distanza focale frontale, e l’immagine ottenuta viene situata a una distanza mol-to maggiore dal back focal plane. Normalmente in microscopia la distanza (M + 1)f0 viene chiamata “body tube length” (nei sistemi coniugati al finito), corrisponde al-la distanza in cui viene raccolta l’immagine dall’ocual-lare, oppure corrisponde alal-la distanza focale della lente di tubo (nei sistemi coniugati all’infinito) di cui appro-fondiremo in seguito i dettagli.

Facendo il rapporto tra le due equazioni in 2.2 si ottiene: s s 0 = Mf 0 f = M n0 n (2.3)

ed utilizzando la relazione di Helmoltz f /f0 = n/n0 e considerando lo stesso mezzo nei due spazi (n = n0) si ottiene l’equazione forse pi`u familiare:

1 f = 1 s + 1 s0 (2.4)

(29)

2.1. PRINCIPI DEL MICROSCOPIO OTTICO 29 Combinando le ultime due equazioni si ottengono le relazioni che legano la posizione dell’oggetto a immagine e magnificazione:

s0 = f 0s (s − f ) M = f (s − f ) (2.5)

L’eq.(2.5) mostra che sia la magnificazione trasversa, sia la posizione dell’immagine variano con la posizione dell’oggetto. Come mostrato in fig. 2.2, per una eventua-le traslazione ∆s dell’oggetto viene prodotta un’immagine avente magnificazione e posizione defferenti. Per questo motivo, nei sistemi coniugati al finito, per ottenere una magnificazione fissa gli obbiettivi vengono disegnati con un back focal plane ad una distanza standard (in genere 200mm o 160mm), concidente con la tube length del microscopio.

In molti casi risulta utile interporre tra obbiettivo ed oculare elementi privi di poten-za ottica ( beam splitter, filtri dicroici, specchi, polarizpoten-zatori e altri componenti),cio`e che non modificano l’ingrandimento (essendo a facce piane). Tuttavia essi possono traslare l’immagine intermedia, provocando una perdita di parfocalit`a o aberrazioni nel caso di obbiettivi con grande magnificazione [44].

Per ovviare a questo problema i microscopi pi`u moderni sfruttano i sistemi afocali: l’obbiettivo in questo caso `e disegnato in modo che la luce generata da una sorgente puntiforme posizionata esattamente nel front focal plane emerga dalla pupilla po-steriore come luce collimata. Questo tipo di obbiettivo viene chiamato “corretto all’infinito”, IC.

Gli obbiettivi IC generano un’immagine intermedia a distanza infinita e quindi inu-tilizzabile, vengono allora fatti seguire da una lente convergente (chiamata lente di tubo) che focalizza l’immagine nel primo fuoco dell’oculare (fig. 2.3). Il vantaggio `e che nello spazio tra la lente di tubo e l’obbiettivo `e possibile inserire componen-ti privi di potenza otcomponen-tica senza introdurre aberrazioni nel sistema, o significacomponen-tive traslazioni dell’immagine. Inoltre la magnificazione `e fissa, indipendente dalla di-stanza dell’oggetto e pari al rapporto tra la focale della lente di tubo ftl e la focale

dell’obbiettivo fobj:

M = ftl fobj

(2.6) Le distanze coniugate sono connesse tra loro in un’equazione lineare:

(30)

30 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT

Figura 2.2: Diagrammi di alcuni sistemi ottici in approssimazione di ottica geome-trica: a) lente sottile e le distanze coniugate tra oggetto e immagine; b) sistema ottico con pi`u superfici aventi distanze focali differenti, pu`o essere schematizzato come un sistema avente un back e un front focal plane a distanza f ed f0;

(31)

2.1. PRINCIPI DEL MICROSCOPIO OTTICO 31

2.1.2

La luce come un’onda: la risoluzione

Per la discussione che segue non `e pi`u sufficiente impiegare l’approssimazione a rag-gi impiegata finora. Quando infatti bisogna indagare propriet`a quali, ad esempio, la risoluzione di un microscopio, o gli effetti di una fenditura, bisogna necessaria-mente considerare la natura ondulatoria del campo elettromagnetico. Per questa trattazione consideriamo inizialmente un’onda piana monocromatica, un’onda cio`e in cui il campo ha un’esatta e definita lunghezza d’onda e frequenza, che `e soluzione dell’equazione d’onda ottenuta considerando la sorgente a distanza infinita rispetto al punto in cui si osserva, in questa rappresentazione supponiamo di esprimere il campo come:

~

A(~r, t) = ~A0sin[~k · ~r − ωt + φ] (2.8)

Dove il termine ~A0 , che rappresenta l’ampiezza dell’onda, `e in generale un vettore

orientato in una direzione normale alla direzione di propagazione dell’onda.

Per i nostri scopi, si vuole indagare cosa avviene quando un’onda avente forma del-l’eq 2.8 investe un’apertura, avente dimensioni pi`u o meno rilevanti (come potrebbe essere la pupilla di un obbiettivo, o un’apertura circolare detta anche pin hole). Il problema fu affrontato e risolto da Huygens, e il proposito da cui egli part`ı fu quel-lo di riuscire ad isolare un singoquel-lo raggio luminoso. Per farquel-lo tent`o di collimare il pi`u possibile della luce prodotta da una lampada e la invi`o su una fenditura raccogliendo l’immagine ottenuta su uno schermo opaco. Quanto scopr`ı fu ci`o che comunemente chiamiamo come principio di Huygens, cio`e il principio che si pu`o ritenere alla base delle leggi della diffrazione.

Il principio di Huygens stabilisce che, quando un’onda piana incide su un’apertura, la luce emerge come onde sferiche propaganti e il fronte d’onda `e l’inviluppo di queste onde, e ci`o che in ottica geometrica viene chiamato “raggio” pu`o essere interpretato come la direzione di propagazione di questi fronti d’onda.

Anticipando quanto sar`a discusso nel seguito, quando l’apertura ha dimensioni pic-cole rispetto alla lunghezza d’onda i raggi che ne emergono sono contenuti in un cono con un ampio semiangolo. La capacit`a di un componente ottico, come una lente, di raccogliere raggi sparpagliati rispetto alla direzione parassiale si indica con l’aper-tura numerica (N.A), che quindi rappresenta l’accettanza angolare del componente. La relazione tra risoluzione spaziale e apertura, fu descritta da E. Abbe [32] in un modello in cui il campione veniva considerato come un reticolo di diffrazione planare, fig.2.4. Il reticolo viene supposto immerso in un mezzo avente indice di rifrazione n, per cui la lunghezza d’onda della luce incidente `e vista dal reticolo come λ0/n.

Se il reticolo `e illuminato da un fascio omogeneo di onde piane monocromatiche, la luce trasmessa `e un set di ordini (o modi) di diffrazione che viaggiano ad angoli ben definiti rispetto alla direzione della luce incidente.

Per un reticolo composto da una serie di fenditure aventi periodo p e luce avente lunghezza d’onda λ0/n, gli ordini di diffrazione si presentano ad angoli θN tali per

cui la differenza di cammino ottico `e un multiplo intero della lunghezza d’onda, condizione che garantisce interferenza costruttiva.

Nel caso in cui l’onda piana arrivi sul reticolo con incidenza normale si ha:

(32)

32 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT dove Nmax viene definito dalla condizione per cui: |sinθN| ≤ 1.

Nella trattazione di Abbe, l’obbiettivo ha la funzione di catturare e direzionare gli ordini di diffrazione in modo che essi interferiscano producendo l’immagine magni-ficata.

L’eq. 2.9 indica chiaramente che gli ordini di diffrazione diventano sempre pi`u di-vergenti per reticoli aventi una spaziatura tra le fenditure pi`u fine.

Infatti:

θN = arcsin[N λ0/np] (2.10)

Il reticolo pi`u fine che potrebbe produrre un’immagine `e quello per cui solo i tre ordini centrali (N = −1, 0, 1) possono essere raccolti dall’obbiettivo, fig.2.4c.

L’idea di Abbe fu proprio quella di capire che la periodicit`a nell’immagine del reticolo era prodotta dall’interferenza tra l’ordine zero e gli ordini N = ±1.

Quando la luce incidente sul campione `e obliqua (angolo di incidenza θi) la condizione

per l’interferenza costruttiva cambia leggermente rispetto a eq. 2.9:

p(sin θN − sin θi) = N λ0/n (2.11)

Chiamando θmax l’angolo massimo per l’ingresso della luce nell’obbiettivo, si ha che

quando θi = −θmax, l’ordine zero che esce dal campione entra nell’obbiettivo a −θmax

e l’ordine 1 entra nell’obbiettivo con un angolo +θmax fig.2.4d.

In questo caso l’equazione precedente definisce la minima spaziatura (pmin) possibile

del reticolo che pu`o essere risolta:

pmin(sin θmax− sin(−θmax) = pmin(2 sin θmax) = λ0/n

ottenendo infine la formula:

pmin = λ0/(2n sin θmax) (2.12)

La quantit`a n sin θmax definisce l’apertura numerica.

Il potere risolutivo dell’obbiettivo, cio`e la minima distanza alla quale possono essere posti due oggetti affinch`e risultano distinti nell’immagine, a questo punto viene indicata come:

pmin =

λ0

2N A (2.13)

In quanto illustrato, per semplicit`a abbiamo supposto che illuminazione e obbiettivo avessero la stessa apertura numerica, nel caso non dovesse valere questa ipotesi avremmo:

pmin = λ0/(N Aobj+ N Acond)

L’equazione 2.13, in realt`a, rappresenta un limite massimo, sarebbe pi`u corretto scrivere pmin ≥ λ0/2N A, dove l’uguaglianza si ottiene nell’ipotesi in cui l’obbiettivo

minimizzi del tutto le aberrazioni, non possiede difetti, o imperfezioni di qualsiasi tipo. Questo tipo di sistemi ottici vengono chiamati anche “diffraction limited”. Per concludere `e bene citare anche un altri due criteri per il potere risolutivo che esistono in letteratura, e che conducono a risultati simili: il criterio di Rayleigh e il criterio di Sparrow. Essi sono ricavati considerando non pi`u l’immagine prodotta

(33)

2.1. PRINCIPI DEL MICROSCOPIO OTTICO 33 dalle fenditure di un reticolo, ma quella prodotta da due sorgenti puntiformi su uno schermo opaco: anche in questo caso l’immagine sar`a una figura di diffrazione, nota come pattern di Airy.

Tale figura (fig.2.5) ha l’ aspetto caratteristico delle frange di interferenza ed `e costituita da un disco centrale di massima intensit`a, ad orli sfumati (“disco di Airy”), circondato da un anello scuro, seguito da un anello chiaro e cos`ı via.

Il limite di risoluzione di Rayleigh viene raggiunto quando le due sorgenti sono separate dal raggio del primo intevallo scuro del disco di Airy, e si ottiene:

pRayleigh =

0.61λ0

N A (2.14)

Il criterio di Sparrow `e un po’ pi`u stringente e viene spesso utilizzato in astronomia: in questo caso il limite di risoluzione si raggiunge quando la luce sovrapposta di due dischi di Airy aventi la stessa luminosit`a `e costante lungo una linea che congiunge i due picchi di massima luminosit`a:

pSparrow =

0.41λ0

N A (2.15)

Si pu`o notare come, a parte una piccola differenza nel fattore numerico, la dipen-denza dalla lunghezza d’onda e dall’apertura `e identica per i tre criteri.

Anticipiamo che nell’esperimento effettuato in questo lavoro di tesi viene utilizzato un obbiettivo Nikon e-plan (M=10X, N.A.= 0.25) corretto all’infinito: per luce avente lunghezza d’onda nel verde (561nm) otteniamo un limite alla risoluzione del nostro sistema di: p = 2×0.25561 nm= 1122nm, quindi dell’ordine del µm, pienamente sufficiente per gli scopi del nostro lavoro.

(34)

34 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT

Figura 2.4: a) formazione di onde sferiche da aperture secondo il principio di Huy-gens (i semicerchi rappresentano fronti d’onda semisferici; b) un’onda piana incide su un reticolo di diffrazione e viene scatterata come un set di ordini di diffrazione. c) Visione schematica di illuminatore (in basso), oggetto (costituito da un reticolo di diffrazione) e obbiettivo (in alto), nel caso di illuminazione lungo l’asse. So-no rappresentati i modi diffratti -1, 0, +1 che vengoSo-no raccolti dall’obbiettivo; d) analogo nel caso di illuminazione obliqua: solo gli ordini 0 e 1 vengono accettati dall’obbiettivo.

(35)

2.1. PRINCIPI DEL MICROSCOPIO OTTICO 35

Figura 2.5: a sinistra i tre criteri per il limite di risoluzione, a destra la figura tipica del pattern di Airy

2.1.3

L’obbiettivo e i sistemi acromatici

L’obbiettivo, oltre a fornire un’immagine magnificata, ha la propriet`a di minimizzare le aberrazioni. La teoria dell’ottica parassiale, cio`e la teoria sviluppata linearizzando le leggi della diffrazione, `e un’approssimazione molto forte e se dovessimo compiere delle misure su un sistema ottico reale troveremmo delle forti incosistenze rispetto alla corrispondente descrizione teorica. Tutto ci`o che si discosta dalle condizioni idealizzate viene attribuito ai fenomeni di aberrazione.

Le principali aberrazioni sono di due tipi, acromatiche e cromatiche:

1. Le aberrazioni acromatiche sono dovute al discostarsi dall’approssimazione pa-rassiale, cio`e quando l’oggetto `e a grandi distanze dall’asse ottico, oppure mol-to vicino alle superfici delle ottiche, oppure ancora quando i raggi incontrano superfici molto curvate (astigmatismo, coma, aberrazione sferica).

2. Le aberrazioni cromatiche sono invece legate al fatto che l’indice di rifrazione n del dielettrico di cui `e fatta la lente dipende dalla lunghezza d’onda, n = n(λ), questo vuol dire ad esempio, che per una lente sottile aventi superfici di raggio R1 ed R2 si ha :

1

f (λ) = (n(λ) − 1)(1/R1− 1/R2) (2.16) ovvero il fuoco e quindi la formazione dell’immagine dipendono dalla lunghez-za d’onda della luce incidente. In fig.2.6 viene illustrata una schematizlunghez-zazio- schematizzazio-ne di aberrazioschematizzazio-ne acromatica, quando un fascio di luce bianca (WL) incide su una lente, le varie componenti monocromatiche della luce vengono foca-lizzate a distanze focali diverse al variare della lunghezza d’onda: fr, fy, fb

(rispettivamente per la componente rossa, gialla, e blu) .

Questo paragrafo `e dedicato a illustrare in che modo vengono disegnati gli obbiettivi allo scopo di eliminare le aberrazioni cromatiche, in particolare ci soffermeremo sulla scelta dei vetri e sulla forma delle lenti poste tipicamente al loro interno, in funzione della lunghezza focale che si vuole ottenere per il sistema (la trattazione completa pu`o essere trovata in [36] oppure [42]).

Lo scopo principale della trattazione qui presentata `e nella necessit`a, incontrata in fase di tesi e documentata nel cap.3, di descrivere il comportamento di un obbiettivo da miscroscopio coniugato al finito impiegato nel sistema di illuminazione con luce

(36)

36 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT

Figura 2.6: Schema di aberrazione cromatica

Figura 2.7: Il doppietto acromatico di Fraunhofer

laser.

La pi`u semplice combinazione di lenti possibili per acromatizzare un sistema `e quella formata da due lenti sottili poste a distanza d, L’equazione che individua il fuoco di un sistema composto da due lenti di lunghezza focale f1 ed f2, separate a distanza

d, `e semplicemente [36]: 1 f = 1 f1 + 1 f2 − d f1f2 (2.17) Ponendo ρi = (1/Ri1− 1/Ri2), dove R1 ed R2 sono i raggi di curvatura “interni”

ed “esterni” della lente i-esima, l’equazione per le lenti sottili (eq.2.16) pu`o essere riscritta come

1 fi

= (ni− 1)ρi (2.18)

dove ni `e l’indice di rifrazione dei vetri della lente i-esima.

Le aberrazioni cromatiche vengono schematizzate supponendo che il sistema abbia distanze focali differenti al variare del colore. Per la luce blu e per la luce rossa indichiamo tali distanze focali come: fb fr e allo stesso modo i vetri delle due lenti

esibiscono indici di rifrazione dipendenti dalla lunghezza d’onda: n1b, n1r, n2r, n2b.

Imponendo che d = 0 (lenti incollate) e che fr = fb, si ottiene dall’eq.2.17:

ρ1

ρ2

= −n2b− n2r n1b− n1r

Riferimenti

Documenti correlati

Notare a livello del dipolo dell’ablatore distale (ABLd) la presenza di potenziali frazionati e a basso voltaggio, con una prematurità di 26 ms ri- spetto alla P’ di superficie e con

Dall’analisi dei risultati dell’indice FVC (%) delle piante infestanti del primo volo, osservando il grafico della figura 5.2, possiamo notare che la rete neurale è stata

A De-Manufacturing strategy should find the right mix between (i) product remanufacturing and re-use, (ii) sub-assemblies and components re-use within manufacturing, (iii)

The attention in the last decades has been paid toward the creation of a general framework, whose steps could be utilised by institutions and especially firms to highlight the

Figure 7 presents an instance of THRIVE obtained as an integration of a model checker for PKSs and LTL based on three-valued semantics and the theorem prover presented in Section

Earlier on, there was quite a different and comprehensive set up of regulations concerning the combined income. The prohibition did not apply to old

E’ possibile, infatti definire, ad esempio, grado rosso di un nodo il numero di archi rossi che da esso dipartono e conseguentemente grado medio rosso di un grafo la media

Fissata la frequenza di ripetizione del