Elementi per uno studio narratologico e strutturale di Si te dicen que caí
2.1 Analisi formale del testo
2.1.2 L’ambiguità come dote: il tema del doppio
Nel caleidoscopio di voci e volti dei personaggi, spesso sdoppiati perfidamente da Marsé attraverso l’uso di nomignoli e soprannomi che contribuiscono a rendere più difficile la comprensione di schemi narrativi già sufficientemente nebulosi27, è utile, all’inizio, focalizzare l’attenzione sul personaggio di Aurora Nin, la giovane prostituta nipote del defunto leader repubblicano Artemi Nin, un tempo domestica presso la famiglia Galán; non appare spropositato designarla come l’autentico input della maggior parte delle vicende che si sviluppano nell’opera, tanto da essere stata definita come l’ossessione verso la quale confluiscono tutti: alcuni per desiderio di vendetta,
25 AA.VV. (2005), Personalidad literaria y humana del autor. Arturo Pérez Reverte, Joan de
Sagarra y Javier Coma conversan con el autor. Modera Beatriz de Moura, in ROMEA CASTRO, Celia, Juan Marsé, su obra literaria: lectura, recepción y posibilidades didácticas, Horsori, Barcelona, p.94.
26 BELMONTE SERRANO, José – LÓPEZ DE ABIADA, José Manuel (2002), Nuevas tardes con
Marsé: ensayos sobre la obra de Juan Marsé, Nausícaä, Murcia, p.30. Chi parla è Marsé, naturalmente.
27 In tal senso può rivelarsi molto utile la consultazione, all’occorrenza, dell’appendice presente in
calce a questo studio, in cui è possibile rintracciare una breve scheda personale di ogni personaggio.
altri perché ne apprezzano i favori sessuali, altri ancora per semplice abitudine a cercare qualcosa o qualcuno in un periodo denso di desaparecidos28. Effettivamente l’instancabile ricerca di Aurora, scomparsa, avvistata, poi nuovamente nascosta, occupa tempi e spazi notevoli se si considera la ridotta influenza sociale che il personaggio può esercitare. Inoltre, a complicare la situazione, interviene il comune procedimento dello sdoppiamento, che, per colei che è stata identificata come il personaggio più ricercato del romanzo29, non può che rivestire un’importanza strategica: Aurora infatti, nel momento in cui si vede costretta a prostituirsi, decide autonomamente di servirsi di uno pseudonimo, Ramona, che, se da un lato protegge la sua vera identità dalle spasmodiche brame di vendetta dei Galán, dall’altro mira a fungere da scudo per ripararne, invano in realtà, la personalità ferita.
Ma, al di là del dualismo che si instaura nella mente del lettore tra la figura di Aurora, e quella, velata in un primo momento dall’aura affascinante del banditismo, di Ramona, ciò che maggiormente destabilizza sono da un lato gli altri innumerevoli epiteti che Marsé le attribuisce durante il testo30, dall’altro la sovrapposizione che spesso appare possibile con il personaggio di Carmen/Menchu. A riguardo Kim si domanda se una simile situazione non possa essere intesa addirittura come confusione, volontaria o meno da parte dell’autore, ma comunque oggettivo ostacolo anche alla comprensione del livello letterale del romanzo31; i dati biografici delle due prostitute, infatti, presentano in molti casi numerosi aspetti in comune, tanto che di entrambe conosciamo l’infanzia trascorsa presso la Casa de Familia di Las Ánimas, il passato come domestiche al servizio di falangisti benestanti e, in ultima analisi, la degradazione morale derivante dal prostituirsi. Menchu però, a differenza di Ramona e come già
28 MORÁN, Gregorio (2008), Si te dicen que caí, in RODRÍGUEZ FISCHER, Ana, Ronda Marsé,
Candaya, Canet de Mar, p.279. L’articolo risale tuttavia, come riportato in calce allo stesso, al 25- IX-1976 e fu pubblicato sulla rivista Cuadernos para el Diálogo, p.50.
29 SINNIGEN, Jack H. (1982), Narrativa e ideología, Nuestra Cultura, Madrid, p.94.
30 È conosciuta infatti anche come Ramoneta, la señorita Ramona, la muy roja o la puta roja, in
riferimento ai suoi legami sentimentali con esponenti antagonisti legati ad ideologie comuniste, la
Mujer Marcada, che richiama il tratto distintivo della sua cicatrice al seno, o la raspa perseguida.
31 KIM, Kwang-Hee (2006), El cine y la novelística de Juan Marsé, Biblioteca Nueva, Madrid,
anticipato, è spesso ritratta da Marsé intenta a godersi le ricchezze di cui si è potuta circondare in una lussuosa camera d’albergo del celebre Hotel Ritz, dove verrà sorpresa e derubata dai maquis, Palau in testa, durante un’azione criminale mascherata come propagandistica. I partigiani stessi non riescono a sfuggire allo strabiliante charme della donna, rimanendone per un attimo quasi ipnotizzati, come se Marsé volesse raccontarci dell’eterna validità di quest’arma a disposizione del sesso femminile e non percepiscono assolutamente la provenienza sociale di Menchu, sostanzialmente identica alla loro, tanto che per un attimo sembra che a Palau baleni in testa l’idea di violentarla, così da dimostrare con un segno di spregio sulla loro compagna il disprezzo nutrito verso gli odiati franchisti. Ciò può forse voler significare che la Guerra Civile ha prodotto un’alterazione evidente della facoltà di percezione e, al tempo stesso, che chi, fra i vinti, riesce in qualche modo ad arrimarse a los buenos automaticamente ne assume, almeno agli occhi degli sconfitti, tutte le caratteristiche peggiori, divenendo pertanto degno di ripudio violento; se in Carmen/Menchu questo processo di evoluzione sociale personale appare soltanto abbozzato non si potrà dire lo stesso di Java, come illustrerò a breve32.
Oltre alla biografia, come abbiamo visto in larga misura sovrapponibile, esistono altri due fattori che inducono all’equivocità al momento di considerare un personaggio e dover distinguere se si tratti di Aurora o di Carmen: il primo, collegato all’apparenza fisica, è il fatto che, in momenti diversi, entrambe sono presentate come bionde ossigenate, stravolgendo così eccezionalmente la portata semantica della tecnica secondo la quale Marsé conferisce ad ogni personaggio principale un tratto distintivo per renderlo riconoscibile immediatamente, di cui abbiamo parlato poco fa; il secondo, inserito con il deliberato intento di complicare l’intreccio, è costituito da certi passaggi dell’opera in cui, per riferirsi ad una qualsiasi delle due donne, la si chiama Ramona o Aurora o Carmen indistintamente, come se si trattasse della stessa persona. Tra gli elementi di
32 Tuttavia mi preme far notare, riguardo all’ostilità di cui è oggetto Menchu da parte dei maquis,
che saranno proprio alcuni di loro, in parallelo con il caso Broto, ad ucciderla cruentamente, chiudendo quindi il cerchio di questa vicenda nell’unico modo che Marsé ritiene percorribile e verosimile: con una frustrante, e definitiva, ricaduta verso il basso, come succederà anche a Java, seppur in circostanze leggermente diverse.
disturbo all’identificazione si segnala anche il racconto della morte di entrambi i personaggi, i cui cadaveri, secondo la descrizione del narratore, giacerebbero abbandonati nello stesso remoto spiazzo del quartiere.
Nonostante quanto detto sinora, tuttavia, ognuna delle due traiettorie personali possiede sufficiente chiarezza generale per contribuire a poter considerare entrambe le storie come distinte self-contained units, grazie anche alla ricorrente presenza del brazalete con el escorpión dorado, una sorta di feticcio portasfortuna di cui Menchu è la proprietaria originale ma che passerà di mano in mano, comprese quelle del Taylor e di Margarita, arrecando sventure a tutti i suoi possessori, senza mai, in ogni caso, entrare in contatto diretto con Ramona.
Un altro personaggio fondamentale che fa della duplicità, più sostanziale che nominale, un proprio aspetto distintivo è probabilmente Daniel Javaloyes, noto come Java, dall’abbreviazione del cognome. Si tratta dell’adolescente della
pandilla attorno al quale ruotano, in un modo o nell’altro, tutte le aventis dell’amico Sarnita, catturato, come il resto dei componenti del piccolo gruppo di amici, dalle sue doti di leadership e dall’atmosfera di maledetto che lo circonda. Riconosciuto dalla critica come l’incarnazione perfetta dell’arrivista senza scrupoli, è famoso nel quartiere per la lista infinita di soprannomi con cui può essere identificato, eco dell’ampia disponibilità del personaggio ad un continuo riadattamento che non tiene in alcuna considerazione le più comuni norme morali di autoregolazione33. Egli, infatti, mostra un atteggiamento costante durante tutta la narrazione, palesando la volontà di tendere al miglioramento delle proprie condizioni di vita o, piuttosto, di sopravvivenza, anche scendendo a degradanti compromessi: spesso con l’inganno o con la frode, come nel caso delle false informazioni circa la sorte di Ramona propinate alla signora Galán solo per continuare a ottenerne un lauto riconoscimento economico, oppure con l’uso sconsiderato della violenza, come accade quando spezza un braccio al malcapitato
33 I più frequenti appellativi che lo riguardano, come segnalato in KIM, Kwang-Hee (2006), El
cine y la novelística de Juan Marsé, Biblioteca Nueva, Madrid, p.66, sono il già analizzato el
legañoso, el trapero, che fa riferimento al misero mestiere che svolge in giovane età, el ahogado, crudo rimando alle circostanze della morte, el puto ed ancora Java Luzbel, Satanás, Lucifer,
Demonio e Diablo, questi ultimi tutti utilizzati in relazione al personaggio che Java interpreta nella rappresentazione teatrale diretta da Conradito ed alla quale partecipano sia i fanciulli che le orfane di Las Ánimas.
Miguel, reo solamente di aver ricevuto da Conrado l’incarico ad interpretare il demonio in una rappresentazione teatrale che egli vuole accaparrarsi tanto per corteggiare La Fueguiña come per ben figurare agli occhi dello stesso Conrado, escogita infatti tutta una serie di mosse che possano apportargli benefici nell’immediato ma, soprattutto, in un futuro a medio-lungo termine. È colui che interpreta, per puro desiderio di arricchimento, le scene di sesso esplicito insieme ad alcune prostitute, compresa Ramona, sotto gli occhi del voyeur Galán, raggiungendo il climax dello squallore quando accetta di avere un rapporto con il travestito Ado, il quale tuttavia gli garantisce di poter avviare un redditizio percorso professionale come gioielliere che, effettivamente, lo porterà a poter essere considerato a pieno titolo come un borghese modello.
Di questa sua spasmodica rincorsa al benessere ritengo significativo segnalare l’episodio nel quale Java, ormai pienamente assuefatto al modus operandi della classe media, valuta opportuno ritornare alla vecchia baracca dove viveva da ragazzino insieme alla nonna sordomuta ed al fratello maggiore per distruggere completamente il proprio passato, ripudiato per sempre nel grande falò che accende di fronte all’abitazione semidistrutta, alimentato da tutte le cianfrusaglie che è riuscito a recuperare all’interno. Questo fuoco simbolico, tuttavia, prelude ad un tragico finale che, evidentemente, Marsé deve aver predisposto con accuratezza durante la fase preliminare della stesura del romanzo, vista la rilevanza che gli si può attribuire; come afferma Seligson, infatti, «la víctima se convierte en verdugo por la ley de la conservación. Java quema su pasado de trapero [...] y se equivoca, pues queriéndose salvar no hace sino enfangarse más, participar más activamente en ese escenario de voyeuristas»34. Ci troviamo allora di fronte, come ho spiegato, ad un giovane e poi ad un uomo che fondamentalmente odia la propria condizione svantaggiata, causata da contingenze storico-sociali di cui non è responsabile, tanto da portarlo ad affermare, durante l’interrogatorio cui lo sottopone Justiniano:
34 SELIGSON, Esther (2008), Los goyescos laberintos de la Guerra Civil española, in
RODRÍGUEZ FISCHER, Ana, Ronda Marsé, Candaya, Canet de Mar, p.292. Il saggio risale al 1973 e fu pubblicato originariamente sulla rivista Excelsior. Diorama de la cultura, anche se non è chiaro in quale numero di quell’anno.
Escuche esto, camarada, he de abrirme camino como sea, quiero sacudirme los piojos y la mugre de la trapería y perder de vista este saco y esta romana, olvidarme para siempre del barrio y las denuncias, las revanchas y los abusos, la intolerancia de unos y la sumisión de otros y el canguelo de todos, usted me entiende35.
Java, quindi, è una figura che vive oppressa tra la depressione del disagio provocato della miseria e la possibilità di sfuggirne accettando vili compromessi, e come tale è collegabile ad alcuni dei suoi più celebri antecedenti all’interno della narrativa marsiana, in primis con Manolo Reyes, il protagonista di Últimas tardes
con Teresa e de La oscura historia de la prima Montse, ma anche con il Miguel Dot di Esta cara de la luna e con Salvador Vilella, anch’egli raffigurato ne La
oscura historia de la prima Montse36. Occorre tuttavia fare attenzione: ciò che certamente accomuna Java al Pijoaparte di Últimas tardes con Teresa è l’epilogo che Marsé tiene in serbo per loro, una disfatta dalle proporzioni colossali che testimonia la scarsissima fiducia dell’autore nella mobilità sociale all’interno di un sistema bloccato come quello instaurato in Spagna dal franchismo a partire dagli anni Quaranta37. Marsé stesso, riferendosi a Reyes, commenta: «De todos modos yo no le concedo ninguna posibilidad. No tiene la menor posibilidad de salir victorioso»38. Al tempo stesso è possibile affermare che i due personaggi sono contraddistinti dal misterioso fascino che sprigionano, unica freccia di cui dispongono per farsi strada nel mondo accanto a penalizzanti limitazioni quali la povertà o la disoccupazione. Ciononostante altri studiosi hanno ipotizzato che Java assuma in sé caratteri peculiari tali da distinguerlo da Manolo Reyes e dagli altri antieroi dell’opera di Marsé, nella misura in cui la sua ambizione non nasce in seno ad una semplice vanità o avidità per la ricchezza in quanto tale, bensì deriverebbe dal contesto di cui il personaggio si sente prigioniero; questa
35 MARSÉ, Juan (2010), Si te dicen que caí, RODRÍGUEZ FISCHER, Ana – JIMÉNEZ LEÓN,
Marcelino (a cura di), Cátedra, Madrid, p.392.
36 KIM, Kwang-Hee (2006), El cine y la novelística de Juan Marsé, Biblioteca Nueva, Madrid,
p.67.
37 È inoltre evidente anche il fatto che Marsé non ritenga eticamente comprensibili determinate
modalità di scalata sociale quali quelle messe in atto dai suoi protagonisti in Últimas tardes con
Teresa o Si te dicen que caí.
38 BELMONTE SERRANO, José – LÓPEZ DE ABIADA, José Manuel (2002), Nuevas tardes con
prospettiva d’analisi ci permette allora di affrontare il problema dandogli un maggiore respiro ed estendendo le considerazioni esposte sin qui riguardo al singolo a tutta la comunità dei republicanos, usciti sconfitti dalla Guerra Civile. In altre parole, dunque, Java è spinto a comportarsi in una maniera che a noi oggi appare gravemente immorale non tanto per un personale desiderio improvviso e stravagante, quanto piuttosto a causa delle penose circostanze sociali nelle quali le fasce popolari erano precipitate durante il dopoguerra. È forse opportuno, quindi, anche alla luce di quest’ultima riflessione, reinterpretare con una sfumatura differente la sua tragica fine: la morte violenta in un incidente stradale di cui è responsabile in prima persona potrebbe rappresentare, oltre al crollo che colpisce tutti gli arrivisti, anche la volontà di sollevare la questione delle diseguaglianze patite dai più svantaggiati. Ciò non significa, tuttavia, negare che Marsé provi istintivamente una certa avversione nei confronti dei vincitori, veri o presunti, riservando loro, come nel caso di Java, «el castigo de un final antiheroico y cruel»39. La sua fame di successo, infatti, icasticamente raffigurata nell’alta velocità che raggiunge la sua auto e nel sorpasso che azzarda, anche metaforicamente, per farsi strada, viene puntualmente frustrata.
Unito a Java da un legame di parentela, all’atto pratico, tutt’altro che fraterna, Marcos Javaloyes vive in una condizione in cui, in quegli anni, non era così infrequente ritrovarsi: è un giovane partigiano macchiatosi, come molti altri, di crimini di guerra, ricercato dai falangisti che, nella migliore delle ipotesi, lo lascerebbero marcire in carcere per il resto dei suoi giorni40. Trascorre così le proprie giornate nascosto in un tugurio ricavato all’interno della baracca dove abitano il fratello minore e la nonna, che provvede a fornirgli in gran segreto tutto ciò di cui ha bisogno.
39 MEDINA GALLEGO, José Miguel – MIGUEL VÉLEZ, María Jesús de (2001), Exilio,
franquismo y postmodernidad, Corona de Aragón, Zaragoza, p.38.
40 Per quanto appaia in certi momenti incredibile, il caso di Marcos non deve in assoluto stupire, se
si considera che la specie dei reduci fantasma ha caratterizzato gran parte delle guerre del Novecento, compresi i due conflitti mondiali; in particolare sono note le avventure di certi soldati giapponesi che nel 1945, rifiutandosi di credere alla notizia della resa del loro imperatore, hanno continuato a combattere, talvolta per decenni, una guerriglia singola contro il nemico americano negli isolotti del Pacifico in cui si trovavano al momento dell’armistizio.
Per quanto lo riguarda è forse improprio parlare di sdoppiamento, giacché Marsé non prevede un suo alter ego né lo fornisce di soprannomi fuorvianti: è sempre abbastanza chiaro, infatti, che quando si parla de el marinero o de el topo ci si riferisce direttamente a lui; tuttavia l’aspetto che lo rende assolutamente interessante nell’ambito dell’analisi del testo risiede nell’uso che l’autore fa del suo destino, al quale applica una dose massima di quell’ambiguità cui ho accennato in precedenza.
Costretto a nascondersi da tutto e da tutti per il timore di essere rastrellato in una delle frequenti irruzioni di rappresaglia dei franchisti, Marcos rappresenta dunque un personaggio quasi inerte, tanto che difficilmente lo sentiamo parlare, potendo disporre di informazioni sul suo conto in gran parte incerte e disputate poiché ricavate qua e là da fonti terze non sempre attendibili.
Questa sua situazione, allora, offre a Marsé un assist perfetto per far percepire al lettore le condizioni di estrema labilità in cui venivano recepite le informazioni ufficiali a partire dagli anni Quaranta; durante l’opera è infatti possibile imbattersi in ben quattro differenti relazioni circa la morte di Marcos: la prima, degradante versione, assai dettagliata, narra di un’intossicazione alimentare provocata da una scorpacciata di ceci e farina cruda, verificatasi in un campo di concentramento ad Argelés, nel quale el marinero sarebbe stato fatto prigioniero in seguito all’arresto. Si racconta poi, e secondo molti critici si tratta della versione più attendibile, che Marcos sarebbe morto insieme all’amante Aurora, di cui diviene compagno durante la latitanza, in seguito allo scoppio di una granata inesplosa calpestata dalla coppia in fuga dai franchisti; la terza rivelazione, dal sapore macabro e quasi grottesco, risale ad un colloquio intercorso negli anni Settanta tra i superstiti Palau e Luis Lage e ci informa che il maggiore dei fratelli Javaloyes sarebbe stato ritrovato senza vita fra le macerie della baracca dove continuava a nascondersi in preda al panico, inconsapevole dell’ordine di abbattimento di quest’ultima; l’ultima versione, anch’essa svelataci durante l’incontro fra i due ex partigiani, racconta come Marcos, insieme ad altri maquis, sarebbe stato
individuato ed arrestato dalla polizia sul finire degli anni Cinquanta, durante una retata41.
Un simile caleidoscopio di possibilità non può certo passare inosservato, a maggior ragione se ci rendiamo conto che Marsé utilizza con frequenza questo procedimento di oscuramento volontario dei fatti, spesso collegandolo, come vedremo fra poco, alle aventis, che ne amplificano enormemente la portata. Così facendo, l’autore catalano intende imitare il clima di diffuso e destabilizzante fraintendimento proprio del periodo della posguerra in Spagna: in un’epoca in cui il Regime lasciava filtrare pochissima, e spesso frammentaria, informazione, i cittadini, per conoscere l’effettiva verità riguardo a vicende come quella di Marcos, assolutamente all’ordine del giorno, dovevano affidarsi ad una lunga serie di voci che si rincorrevano, spesso trasformandosi in dicerie o poco più. Nascono in questo modo differenti e spesso discordanti versioni circa lo stesso avvenimento, narrato secondo un estremo relativismo che, potenzialmente, potrebbe non avere un termine definito, poiché non esiste una verità più vera delle altre. L’ambiguità che scaturisce da una trama che fa del prospettivismo sistematico un proprio segno distintivo mira dunque a far percepire sulla pelle del lettore la stessa condizione di caos ordinato che si respirava a Barcellona negli anni Quaranta, durante i quali non era possibile scartare in toto ed a priori nessuna delle interpretazioni che si rincorrevano circa uno stesso evento.
All’interno di quello che è stato acutamente definito come un «sereno