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Lo stile: un idioletto rivoluzionario

Elementi per uno studio narratologico e strutturale di Si te dicen que caí

2.1 Analisi formale del testo

2.1.9 Lo stile: un idioletto rivoluzionario

Giunti a questo punto dell’esame delle caratteristiche del testo potremmo avere l’impressione di aver già tracciato un profilo piuttosto netto delle preferenze stilistiche di Juan Marsé che si riverberano in Si te dicen que caí; ritengo tuttavia che la questione possa essere approfondita maggiormente, prendendo come spunto l’osservazione che a tal proposito realizza García Montero:

Marsé cogió el toro por los cuernos y buscó las soluciones dentro del propio realismo, preocupado sólo por el impulso de contar y seducir. Nunca procuró inventar palabras, retorcer el lenguaje, pelearse con los signos de puntuación, confundir la calidad con la pedantería o el aburrimiento108.

Come ho infatti già marginalmente avuto modo di indicare, e come del resto riconosciuto non solo dalla critica ma anche dallo stesso autore, Marsé concepisce un tipo di scrittura che si allontana dal concettismo gratuito, dalle forme astratte e vuote di significato, dall’eccessivo sperimentalismo linguistico fine a se stesso, a tutto vantaggio, invece, di una prosa interessante e concreta, che non costringa il lettore a possedere approfonditi prerequisiti di formazione retorica ma che, al tempo stesso, gli consenta, con la dovuta dose di concentrazione richiesta, di dedicarsi solamente ad assaporare il gusto della storia raccontata, quasi senza accorgersi che sta leggendo qualcosa. Quando accade, come abbiamo visto, che la

107 I primi due, di origine inglese, indicano rispettivamente, nell’argot giovanile barcellonese degli

anni Quaranta, qualcuno di eccessivamente grasso, modellato sull’aggettivo fat e sul sostantivo

bomba, ed il fuorigioco, da una deformazione dell’originale offside; il secondo, più diffuso durante il testo, si utilizza in riferimento ad un postribolo, giacché il significato originario era quello di hotel senza servizio di ristorante.

108 GARCÍA MONTERO, Luis (2008), Si te dicen que Marsé, in RODRÍGUEZ FISCHER, Ana,

Ronda Marsé, Candaya, Canet de Mar, p.61. Il saggio fu originariamente pubblicato sulla rivista

tecnica narrativa compare nell’opera, si tratta di utilizzarla esclusivamente a vantaggio ed al servizio della trama, senza volerle riservare, almeno intenzionalmente, alcuno spazio privilegiato. Ciò che interessa a Marsé, prima di tutto, è «contar una historia, procurar que la historia sea buena, y contarla bien»109; tanta è l’energia che l’autore profonde in quest’occupazione da puntare all’obiettivo massimo, a produrre un testo dove non esistano cali di tensione tali da far disaffezionare il lettore, rispettando quello che sembra quasi un aforisma comune a tutta la sua produzione: «todo menos el aburrimiento, esto sí que no»110. Questo rifiuto di conformarsi alla tendenza che, a suo parere, instaura una dittatura della scrittura nei confronti della storia narrata lo inserisce a pieno titolo all’interno dell’orientamento realista, che tanta fortuna ha avuto in Spagna sin dalle origini del romanzo picaresco e che lo stesso Marsé apprezza sinceramente nei celebri modelli della maturità quali Cervantes, Stendhal e Balzac. Discostarsi così nettamente dalle avanguardie contemporanee, tuttavia, non significa necessariamente ridursi ad una stilistica trita ed asfittica, tanto che Si te dicen que

caí rappresenta, come abbiamo visto, una scommessa estetica di grande originalità, che traccia un segno importante nel sentiero del romanzo moderno nella misura in cui rinnova strumenti espressivi tradizionali, come il realismo, attraverso la ricerca e l’utilizzo di tecniche formali che possano essere impiegate al servizio, e non al posto, del soggetto della narrazione111.

Tra le risorse di cui Marsé si vale figura senza dubbio l’ironia, implicita sin dal titolo dell’opera, grazie alla quale sferza tutti i propri obiettivi sensibili: il Regime, la Chiesa, i fautori della tendencia formal e, in misura minore, i maquis; i momenti in cui ciò è più evidente sono i già citati monodialoghi di Sarnita e de El Tetas con Justiniano ed il grottesco valzer che Java concede al vescovo Gregorio112. Emblematico, a tal proposito, è un breve passaggio della

109 AMELL, Samuel (1984), La narrativa de Juan Marsé, contador de aventis, Playor, Madrid,

p.28.

110 KIM, Kwang-Hee (2006), El cine y la novelística de Juan Marsé, Biblioteca Nueva, Madrid,

p.33.

111 Ibidem, p.95.

112 Durante gli interrogatori del falangista ai due adolescenti il sarcasmo antifranchista raggiunge

livelli che sicuramente avranno urtato la sensibilità della censura, come quando Sarnita descrive, burlandosene, sia i cromitos dei Salvadores de España, raffigurandoli come se si trattasse di

conversazione immaginaria tra un romanziere avanguardista ed un suo lettore, in cui Marsé dirige un’aspra e sarcastica critica al modello sperimentale:

Lector: No he entendido su última novela.

Novelista: Ofrece varios niveles de lectura. ¿Cómo la ha leído usted?

Lector: La he leído sentado.

Novelista: Tenga usted en cuenta que en esa obra hay una consciente e higiénica destrucción del lenguaje.

Lector: Ya. He procurado moverme con soltura entre tanta destrucción y ruina, pero todo ha sido inútil. Mi pregunta es: ¿Si destruimos el lenguaje, cómo nos entenderemos los pobres transeúntes extraviados en una ciudad, por ejemplo, Logroño? [...]113.

A livello pratico lo stile di Marsé si fonda su un’accurata tessitura della struttura aggettivale, che conferisce all’opera un’enorme forza visuale: i processi di aggettivazione, costruiti attraverso numerose possibilità di combinazione con i sostantivi, e le comparazioni, infatti, contribuiscono in maniera determinante a rendere efficacemente percepibili le numerose immagini che Marsé dissemina nel testo114. Interessante risulta essere anche la funzione svolta dai verbi di movimento, che collaborano a vivificare la sensazione di assistere in prima persona ai fatti narrati, come nel caso della escena matriz. Il disprezzo dell’ingiustizia sociale e la denuncia del ristagno culturale che favorisce comportamenti e costumi bigotti e decadenti si riflette anche nel meticoloso

pupazzi o cartoni animati, sia il povero Conrado, dipinto come un disgraziato eroe vincitore della minaccia bolscevica. Relativamente alla figura del prelato ed alla satira anticlericale in generale sarò più preciso nel capitolo seguente.

113 AMELL, Samuel (1984), La narrativa de Juan Marsé, contador de aventis, Playor, Madrid,

pp.22-23. La citazione proviene a sua volta da MARSÉ, Juan (1978), Informe sobre intelectuales

en absoluto inquietantes, in «Por favor», n. 186 del 23 gennaio 1978, p.19.

114 Tra i vari modelli utilizzati sono frequenti quelli del tipo aggettivo-nome-aggettivo, nome-

utilizzo, in certe occasioni, del canale uditivo in sostituzione del più convenzionale mezzo visivo, come accade durante le scenette sessuali rappresentate per Conradito: se del paralítico ci è magistralmente precluso vedere l’immagine, oscurata dietro una tenda che ne maschera la vigliaccheria, Marsé si preoccupa tuttavia di fornirci una sua manifestazione sonora altrettanto pregnante, costituita dai colpi di bastone dati sul pavimento che intendono comunicare ai due occasionali performers, secondo un linguaggio in codice prestabilito, come muoversi e quali specifiche posizioni assumere.

La prospettiva d’osservazione della realtà sfocia a volte nell’uso di rappresentazioni o dettagli di gusto naturalista o addirittura tremendista, che ben evidenziano un certo ritorno delle condizioni di vita alla brutalità animalesca durante il grigio periodo della posguerra; assumono particolare rilievo, senza tuttavia diventare esagerate, immagini crude collegate alla fame, al carcere ed alla morte, tra le quali si distingue quella in cui Ñito, forse con l’allegorico significato di lasciarsi alle spalle un passato ancora indelebile a causa della sua violenza inaudita, getta le viscere di Java e dei suoi familiari in pasto ai cani randagi che si occupa di custodire e sfamare presso l’ospedale. Istituendo un interessante parallelo intertestuale si rintraccia in Kirsch una possibile giustificazione plausibile all’impiego di un simile stile, che si risolve, più che in tragedia, in farsa grottesca ed in deformazione espressiva di una realtà moralmente e fisicamente maltrattata, come già accaduto in Quevedo o in Valle-Inclán115.

In ultima istanza mi interessa focalizzare l’attenzione sul pessimismo, neanche troppo latente, che alcuni critici hanno debitamente riscontrato sprigionarsi da Si te dicen que caí116. Lo scorrere degli anni, innanzitutto, non porta significative migliorie agli occhi di Marsé, giacché il testo, che abbraccia un arco di tempo di almeno una trentina d’anni, mette in luce, attraverso le parole di Palau e Luis Lage nel loro incontro agli inizi degli anni Settanta, una situazione che continua ad essere grave e fotografa una repressione ancora attiva e

115 KIRSCH, Jeffrey Allen (1986), Técnica novelística en la obra de Juan Marsé, University

Microfilms International, Ann Arbor, p.211.

116 In particolare AMELL, Samuel (1984), La narrativa de Juan Marsé, contador de aventis,

Playor, Madrid, pp.131-133 e SINNIGEN, Jack H. (1982), Narrativa e ideología, Nuestra Cultura, Madrid, pp.97-98.

funzionante a pieno ritmo. Tutte le modalità attuate dai vari personaggi per sfuggirne, inoltre, si risolvono sempre in un nulla di fatto o, peggio ancora, in una condanna definitiva, se è vero che le diverse alternative proposte da un sistema vizioso tendono a concludersi nella morte, come nel caso di Aurora, Marcos e numerosi maquis, nel timido allineamento al sistema stesso, incarnato da Ñito e Luis Lage, o ancora nella prostituzione degli ideali e della propria personalità, come accade a Java, fino alla cecità utopistica di Palau. Si tratta di rapportarsi ad un universo, come abbiamo già visto, in cui non c’è posto né per la solidarietà né per la filantropia, dove ogni tentativo di evoluzione viene regolarmente frustrato, come nel caso dei maquis, anche per comprovata incapacità di chi lo conduce. In questo contesto le aventis assumono un ruolo ed un valore fondamentali, poiché consentono a Marsé di disporre di una forma di resistenza del tutto originale e personale e di sviluppare una realtà parallela dalla quale poter finalmente desumere gli strumenti per combattere l’oblio cui altrimenti sarebbero condannati tutti i vinti della società del dopoguerra. In quest’ottica appare particolarmente rappresentativo quanto afferma Amell, che crede che, «a pesar de todo, el pesimismo de Marsé deja un resquicio para que el escritor, por medio de sus novelas, intente en cierto modo librarse de él. Su búsqueda de la verdad a través de la ficción está detrás de toda su creación novelesca»117.

117 AMELL, Samuel (1984), La narrativa de Juan Marsé, contador de aventis, Playor, Madrid,