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Multitemporalità, multiprospettivismo ed altre tecniche narrative

Elementi per uno studio narratologico e strutturale di Si te dicen que caí

2.1 Analisi formale del testo

2.1.6 Multitemporalità, multiprospettivismo ed altre tecniche narrative

Fornire ordinatamente le coordinate esatte con le quali permettere di orientarsi in un testo dall’architettura così complessa qual è Si te dicen que caí può, alla luce di quanto analizzato sinora, apparire un’operazione titanica. In realtà, come ho più

volte ripetuto, si tratta di un procedimento di essenziale importanza: è bene, pertanto, ribadire ancora una volta che tutti gli strumenti tecnici di cui fa uso l’autore non rispondono che all’obiettivo di riflettere efficacemente nel testo l’incertezza e l’instabilità sociopolitica del periodo storico che viene affrontato.

Il più evidente e rappresentativo è forse la plurireferenziale struttura temporale che sottende allo schema narrativo, la quale, se non viene adeguatamente assimilata, rischia di apparire come un caotico susseguirsi di

flashbacks e flashforwards senza fine. Ma procediamo per gradi: il romanzo si appoggia su una partizione in tre distinti livelli, corrispondenti all’esposizione primaria di Ñito, ai principali flashbacks che in questa si producono ed al cosiddetto momento de escritura78. L’esposizione primaria è carente di una precisa indicazione temporale che ci consenta di identificarne con esattezza l’ubicazione sulla linea del tempo, ma possiamo ragionevolmente supporre che i cadaveri di Java e della sua famiglia giungano presso il dipartimento di Medicina Legale dell’ospedale di Barcellona all’inizio degli anni Settanta, deducendolo da una serie di informazioni contestuali79. Ciò che è indubbio, invece, è il riferimento diretto al mese di settembre, durante il quale, evidentemente, si svolge l’azione. Non riusciamo a definire con precisione, d’altro canto, neppure la durata del racconto primario, tanto sono vaghi i contorni temporali: se secondo alcuni critici trascorrono infatti almeno tre settimane, altri indicano solo qualche giorno80. Accanto, ma non necessariamente dentro, a questo stesso livello temporale è opportuno situare la breve conversazione che intercorre tra gli ex partigiani

78 Riprendo questa suddivisione, che ritengo la più convincente, da KIM, Kwang-Hee (2006), El

cine y la novelística de Juan Marsé, Biblioteca Nueva, Madrid, pp.80-81, dove si precisa che, in Si

te dicen que caí, la fase del racconto primario non coincide con il momento de escritura poiché quest’ultimo deve necessariamente essere posteriore, considerato che l’incipit del romanzo è l’emblematico Cuenta que.

79 Sono tali, ad esempio, la presenza della televisione presso il bar interno al nosocomio, del quale

Ñito è un frequente avventore, o il modello di auto, una Simca 1200 GLE della quale ci viene fornito anche il numero di targa, appartenente a Java al momento dell’incidente nel quale perde la vita.

80 KIM, Kwang-Hee (2006), El cine y la novelística de Juan Marsé, Biblioteca Nueva, Madrid,

p.81 e KIRSCH, Jeffrey Allen (1986), Técnica novelística en la obra de Juan Marsé, University Microfilms International, Ann Arbor, p.207.

superstiti, Palau e Luis Lage, i quali si riconoscono per caso, invecchiati di circa venticinque anni, in una stazione della metropolitana di Barcellona81.

Ben più articolato è il piano dei tre flashbacks operati da Ñito: se nel primo caso si tratta di un breve passo indietro di qualche ora, volto solamente a chiarire la dinamica dell’incidente stradale, tanto che il suo peso narrativo e spaziale è ridottissimo, assai diversa è la situazione relativa agli altri due, che costituiscono il vero e proprio nocciolo della trama; ci troviamo infatti di fronte ad una coppia di estese narrazioni retrospettive, quella della pandilla e quella dei maquis, che occupano, alternandosi nel ricordo di Ñito, la maggior parte dello spazio del libro. Ciò che è interessante osservare è la sostanziale indipendenza dei due filoni, i quali, pur essendo contemporanei giacché entrambi si dispiegano lungo tutto il decennio degli anni Quaranta, non rivelano che qualche intermittente punto di contatto diretto, rappresentato da personaggi quali Marcos, Luisito, Mingo e Ramona; mi preme aggiungere tuttavia che, come abbiamo visto, i due gruppi sono accomunati da condizioni di vita pressoché identiche, poiché entrambi defraudati, sfruttati e denigrati dall’insieme dei vincitori. La simbolica e definitiva sintesi tra l’uno e l’altro raggruppamento può forse essere rintracciata in una delle tante versioni della morte del marinero, quella che lo vuole ucciso insieme all’amante Ramona dallo scoppio di una granata inesplosa.

All’interno dei due flashbacks principali, poi, ne compaiono innumerevoli altri, generalmente costituiti da aventis, che frazionano indefinitamente la struttura del racconto; quel che interessa a Marsé sembra allora poter essere il desiderio di comunicare la non necessarietà di alcuna indicazione temporale in un periodo in cui i giorni, i mesi e gli anni trascorrevano immutati ed uguali a se stessi, nella costante lotta per la sopravvivenza. Quest’effetto di timelessness82 è conseguente alla mancanza di linearità, parziale o totale, riguardo all’esposizione degli avvenimenti da parte dell’autore, che lo raggiunge anche grazie alla frequente soppressione di qualsiasi indicazione che possa far percepire al lettore il salto

81 Dal loro breve colloquio, che occupa il capitolo finale, si deduce, ad esempio, che il Regime è

ancora in vita.

82 KIRSCH, Jeffrey Allen (1986), Técnica novelística en la obra de Juan Marsé, University

temporale che si sta producendo in quel determinato momento della narrazione83. In definitiva, dunque, si può affermare non solo che la vaghezza cronologica rappresenta un segno distintivo di Si te dicen que caí ma anche che «it is through just such a search of the disorder [...] that some unity is discovered and the message is revealed»84.

Per quanto riguarda la conformazione dei luoghi entro cui si svolge la trama abbiamo già abbondantemente trattato il tema dell’affetto per Barcellona, pertanto è ora il momento di illustrare come, accanto a dei riferimenti temporali a dir poco sfumati, ne esistano di spaziali sufficientemente coerenti e, anzi, tali da poter offrire al lettore un appiglio simile a quello descritto relativamente alle coordinate fisiche caratteristiche dei personaggi principali. Gli ambienti, infatti, rimandano con ridotto margine d’errore ad uno solo dei livelli narrativi, specificando spesso, nel caso del doppio flashback, a quale dei tre gruppi si sta facendo riferimento; prevalgono così, limitatamente agli adolescenti di Las Ánimas, spazi urbani o, in generale, aperti, anche se è possibile rintracciare nella trapería di Java, nel nascondiglio sotterraneo e nei locali parrocchiali altri punti del barrio presso cui la pandilla è solita ritrovarsi, accanto agli immancabili cinema di quartiere. I

maquis, al contrario, vista la natura clandestina e fuorilegge delle loro riunioni associative, si danno appuntamento in luoghi chiusi, meglio se nascosti e poco vistosi; non esiste, a voler essere precisi, uno spazio che li identifichi in maniera esclusiva, ma ricorrono spesso appartamenti tetri e fuori mano, oltre all’insospettabile Bar Alaska, punto di ritrovo in caso di emergenze o eventi straordinari. A tal proposito è d’uopo segnalare come Marsé disponga nel testo una vera e propria rete di caffè, la cui frequentazione, da parte di un personaggio, fatalmente ne identifica l’estrazione sociale, facilitandone la collocazione; appaiono, oltre al già citato Alaska, il Continental, squallido locale popolato da straccioni e perditempo, El Oro del Rin, dove si riunisce l’élite falangista, ed il meno rappresentativo bar dell’ospedale di Barcellona. Il gruppo dominante, quello

83 AMELL, Samuel (1984), La narrativa de Juan Marsé, contador de aventis, Playor, Madrid,

p.118.

84 SULLIVAN, Rosalie Katheri (1982), Juan Marsé as a social critic: a structural, thematic and

di Conradito e Justiniano, vive circondato dal lusso delle proprie abitazioni, anche se è opportuno notare che si sente in condizione di spadroneggiare pressoché ovunque. Il racconto primario, infine, si sviluppa solo all’interno della struttura ospedaliera. Meritano una piccola postilla le sale cinematografiche, onnipresenti nel testo, presso le quali, come abbiamo in parte già avuto modo di vedere, si sviluppa una folta serie di attività illegali o presunte tali; data la loro conformazione, infatti, rappresentano l’ambiente perfetto per lo scambio di informazioni segrete, protette dall’oscurità, o per l’attività delle pajilleras, che solitamente occupano le ultime file delle poltroncine; costituiscono, parallelamente, uno degli unici passatempi che i componenti del gruppo dei vinti possono permettersi.

A questo punto si rende necessario analizzare uno dei procedimenti tecnici utilizzati da Marsé che è possibile definire, con tutta probabilità, come il risultato di maggior spicco raggiunto attraverso Si te dicen que caí: il multiprospettivismo. All’interno dell’opera, infatti, non è possibile identificare nessun narratore onnisciente, dal momento che se ne susseguono, senza soluzione di continuità, almeno una mezza dozzina differenti; in molti casi, inoltre, risulta assai difficile riuscire ad identificare con assoluta certezza chi stia intervenendo. Ciononostante prevalgono di gran lunga i frammenti narrati da Ñito e, soprattutto, dalla sua versione giovanile, Sarnita, che si fa carico dell’onere narrativo durante numerosi episodi, o aventis, afferenti ai flashbacks; questa distinzione, ancorché possa apparire accademica e superflua, ha invece piena ragione d’esistere, poiché non necessariamente i punti di vista del personaggio sdoppiato sono destinati a coincidere. Se Ñito, dal canto suo, è costretto spesso da Sor Paulina, inflessibile custode della presunta verità, ad abbandonare il treno dei desideri, non può dirsi lo stesso di Sarnita, condizionato ben diversamente dagli adolescenti della pandilla, che, anzi, ne incitano volentieri l’addentrarsi nella dimensione parallela alla realtà quotidiana, sempre alla ricerca di una versione più veritiera di uno dei tanti eventi nebulosi. La suora, del cui innato conflitto con la socialità Marsé informa il lettore dipingendola, durante i flashbacks, come una bambina disadattata e rifiutata dai coetanei, non svolge in realtà alcun ruolo di narratore, ma, semplicemente, assume il funzionale compito di personaggio-specchio in riferimento al racconto di Ñito,

intervenendo di tanto in tanto solo per rettificare quanto detto dall’inserviente o, addirittura, per rimproverarne, a suo dire, la scarsa onestà intellettuale.

Tra gli altri narratori che compaiono fra le righe del testo si distinguono Marcos, Java, Palau, El Tetas e, in misura minore, Balbina e Ramona. Parallelamente a quanto accade in riferimento ai salti temporali, l’autore, molto spesso, non dota il testo, al momento dello switch al discorso diretto, delle più comuni ed imprescindibili indicazioni tipografiche, né tantomeno fa uso dei verba

dicendi che potrebbero facilitare la comprensione al lettore, cosicché, in numerosi casi, risulta davvero arduo riuscire a capire chi sta parlando e se stia riportando vicende esterne oppure soltanto contribuendo al dibattito in prima persona85. Inoltre, per mantenere costantemente elevato il livello di ambiguità, lo scrittore si serve, alternandole, di tutte e tre le persone narrative singolari: se per la terza non sussistono particolari difficoltà ai fini dell’intendimento del significato letterale, è utile aprire una piccola parentesi in relazione alla prima ed alla seconda; è stato con pertinenza osservato, infatti, e ne ho in parte già data comunicazione, che spesso si fa uso di un yo plural, teso a rappresentare quella voz de barrio spesso soffocata, negli anni Quaranta, dal bavaglio imposto dal regime dittatoriale di Franco e volta a riconquistarsi così il proprio spazio storico86. Accanto a questa appare ancor più enigmatico l’uso che Marsé fa della seconda persona singolare, la cui dignità narrativa è certo di gran lunga inferiore a quella delle due sorelle appena citate: la utilizza, in alcuni limitati casi, riferendosi a Marcos Javaloyes, forse a voler testimoniare, una volta di più, l’aura di mistero che attornia questo personaggio.

In un simile caleidoscopio di voci e suoni mi interessa segnalare l’originale dimensione monodialogica di tre capitoli particolari87, nei quali El Tetas, Sarnita e Java vengono sottoposti a singoli interrogatori dal falangista Justiniano, che

85 KIRSCH, Jeffrey Allen (1986), Técnica novelística en la obra de Juan Marsé, University

Microfilms International, Ann Arbor, p.188.

86 RIDRUEJO, Dionisio (2008), Lecturas de una semana indolente, in RODRÍGUEZ FISCHER,

Ana, Ronda Marsé, Candaya, Canet de Mar, p.286. Il saggio fu pubblicato originariamente sul numero 1895 della rivista Destino del 26 gennaio 1974, pp.17-18.

87 Nell’edizione più recente pubblicata in spagnolo, MARSÉ, Juan (2010), Si te dicen que caí,

RODRÍGUEZ FISCHER, Ana – JIMÉNEZ LEÓN, Marcelino (a cura di), Cátedra, Madrid, si tratta dei capitoli 11, 14 e 17.

intende far luce sulle dicerie sorte in seguito ad alcune dichiarazioni rese da certi

soplones de la bofia, compresa la scossa Paulina, riguardo presunte violenze sessuali che sarebbero state perpetrate ai danni di certe orfanelle della Casa de

Familia proprio dagli adolescenti di Las Ánimas. Se a livello tematico non stupisce che El Tetas e Sarnita neghino ogni responsabilità circa l’accaduto, mentre Java, accelerando il percorso verso la propria distruzione, coglie l’occasione per scendere a compromessi con il gerarca di quartiere, ciò che merita di essere osservato è la struttura narrativa di questi brevi ma densi passi: a parlare in prima persona è infatti sempre e soltanto l’interrogato che, benché in realtà intrattenga una conversazione con El Tuerto, rappresenta, agli occhi del lettore, l’unico protagonista del dialogo; le domande cui è sottoposto, infatti, vengono desunte attraverso le risposte che questi fornisce, allo stesso modo in cui si riescono a percepire anche alcuni gesti violenti dei quali Flecha Negra si rende responsabile per condizionare la confessione. Appare pertanto appropriata la definizione di Sherzer, che riconosce in questa tipologia di struttura narrativa un dialogo singolare, condotto cioè da un unico personaggio, Justiniano, che peraltro al tempo stesso se ne sottrae, contribuendo a rendere più disagevole la comprensione88.

In definitiva, dunque, le tecniche esposte in questo sottoparagrafo, unitamente a quanto detto a proposito dei personaggi e delle aventis, contribuiscono in misura decisiva a conferire al testo l’aspetto di incertezza, neutralità e complessità che Marsé si era proposto di ricreare in Si te dicen que caí, rappresentando altresì le vette formali di maggior successo del romanzo spagnolo nel dopoguerra.

Chi legge, spesso pervaso alla fine dell’opera dalla sensazione di non essere né più né meno edotto di quanto non lo fosse all’inizio circa la situazione dell’uno o dell’altro personaggio e, in particolare, di Ramona e Marcos, si trova in ogni momento a dover fare i conti con quella che appare come la principale preoccupazione di Marsé: l’infinita, labile dicotomia tra apparenza e realtà, tra giusto e sbagliato, tra attendibile e contraffatto, che, in fin dei conti, non solo

88 MARSÉ, Juan (1985), Si te dicen que caí, SHERZER, William M. (a cura di), Cátedra, Madrid,

vuole fedelmente riflettere un’epoca priva di qualsiasi certezza, in cui tutto era ritenuto verosimile o fantasioso allo stesso tempo, ma incarna anche l’amletico dubbio che la letteratura conserva da sempre, o almeno da Dante e Cervantes89.