• Non ci sono risultati.

L’annullabilità dell’atto amministrativo «anticomunitario»

3. Il regime di invalidità dell’atto amministrativo «anticomunitario»

3.3. L’annullabilità dell’atto amministrativo «anticomunitario»

In base alla tesi dell’annullabilità, condivisa dalla prevalente dottrina e giurisprudenza amministrativa, la violazione del diritto dell’Unione europea, determinando conseguenze analoghe rispetto alla violazione del diritto interno, va inquadrata nella nozione di invalidità-annullabilità.

In tale ambito, rimangono quindi fermi i principi generali relativi all’invalidità degli atti amministrativi, sia in termini di configurazione dei vizi, che di disciplina processuale per far valere tali vizi.

La tesi in argomento si fonda sulla teoria dell’integrazione tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale, in virtù della quale il diritto dell’Unione europea costituisce un parametro di legittimità dell’atto amministrativo. Un’ulteriore argomentazione a supporto dell’annullabilità è data dalla circostanza che anche gli atti emanati dalle istituzioni europee contrastanti con i Trattati sono sottoposti ad un regime di annullabilità analogo a quello introdotto dalla normativa nazionale che, come noto, si basa sull’impugnabilità, sull’annullamento giurisdizionale e sulla conseguente eventuale inoppugnabilità.

Al riguardo, va, infatti, evidenziato che può dirsi pacificamente «accettato che il regime generale delle invalidità degli atti comunitari è il classico regime dell’annullabilità, con la precisazione tuttavia che (come d’altronde negli ordinamenti nazionali) può aversi il regime della nullità quando i vizi risultino particolarmente gravi e, di conseguenza, in casi necessariamente ristretti» 69. La Corte di giustizia ha espressamente affermato che così

provvedimento amministrativo, e non vi rientra la violazione del diritto comunitario (Cons. Stato, VI, 22 novembre 2006, n. 6831; 31 maggio 2008, n. 2623)». […] Da tanto consegue: a) (sul piano processuale) l’onere dell'impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto comunitario, dinanzi al giudice amministrativo entro il termine di decadenza, pena la inoppugnabilità; b) (sul piano sostanziale) l’obbligo per l’Amministrazione di dar corso all’applicazione dell'atto, salva l’autotutela (Cons. Stato, V, 8 settembre 2008, n. 4263)».

68 Sul punto cfr. M. ROMAJOLI, R. VILLATA, Contrasto di un atto con il diritto europeo, in Treccani il

libro dell’anno del diritto 2012, op.cit., pp. 283-287.

117

come «nei diritti nazionali dei diversi Stati membri, un atto amministrativo, anche irregolare, gode, in diritto comunitario, d’una presunzione di validità, sino a quando non sia stato annullato o ritualmente revocato dall’istituzione da cui emana». Notando, inoltre, che «qualificare un atto come inesistente consente di constatare, al di fuori dei termini d’impugnazione, che tale atto non ha prodotto alcun effetto giuridico. Per manifesti motivi di certezza del diritto, questa qualificazione deve, quindi, essere riservata in diritto comunitario, come lo è nei diritti nazionali che la prevedono, agli atti inficiati da vizi particolarmente gravi ed evidenti»70.

Inoltre, l’art. 263 TFUE, nel prevedere che il termine di presentazione del ricorso di annullamento è di due mesi, preclude, per evidenti ragioni di certezza del diritto, ogni possibilità di rimettere in discussione la validità di atti europei produttivi di effetti giuridici non impugnati o non impugnati per tempo. Con riguardo a tale ultimo aspetto, autorevole dottrina ha messo in luce che la disposizione di cui all’art. 263 TFUE non solo è «simile a quella vigente nel diritto amministrativo italiano, ma la regola per la quale le azioni impugnatorie sono da esercitare entro un termine breve appare una delle costanti dell’esperienza comparata»71.

La tesi della «violazione di legge» risulta confortata dal disegno di legge recante modificazioni ed integrazioni alla legge generale sul procedimento amministrativo, approvato dal Consiglio dei ministri in data 7 marzo 2002, che prevedeva l’introduzione dell’art. 13-sexies, dove, tra i vizi di annullabilità del provvedimento, veniva espressamente menzionata la violazione di disposizioni di fonte europea.

La teoria in argomento è, inoltre, confermata dai lavori preparatori della legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante «modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241».

M.P. CHITI e G. GRECO, Milano, 2007, p. 712.

70 Così Corte di giustizia, Sez. V, 26 febbraio 1987, Consorzio cooperative d’Abruzzo c. Commissione, in http://www.eur-lex.europa.eu.

71 Così G. FALCON, La tutela giurisdizionale, op. cit., p. 732, l’autore rileva, inoltre, che ovunque «per determinati atti, ed in particolare per gli atti delle autorità amministrative, si pone l’esigenza – a salvaguardia della certezza delle situazioni giuridiche che ne derivano – di contenerne l’impugnabilità entro ristretti limiti temporali». Anche nell’ordinamento giuridico dell’Unione potrebbero essere impugnati atti successivi meramente confermativi del precedente, essendo «giurisprudenza costante che, qualora il ricorrente lasci scadere il termine per impugnare la decisione con cui sia stato stabilito in termini univoci un provvedimento produttivo di effetti giuridici di natura obbligatoria che incidano sui suoi interessi, tale termine non può essere ripristinato per effetto della richiesta rivolta all' istituzione di rivedere la sua decisione e della proposizione del ricorso avverso la decisione di diniego che confermi la decisione precedentemente emanata (v. sentenze della Corte 15 dicembre 1988, cause riunite 166/86 e 220/86, Irish Cement/Commissione, Racc. pag. 6473, punto 16, e 25 maggio 1993, causa C-199/91, Foyer culturel du Sart-Tilman/Commissione, Racc. pag. I-2667, punti 23 e 24)», così Tribunale di primo grado, causa T-514/93, Cobrecaf SA, Peche & Froid SA

118

Nella relazione al disegno di legge della I Commissione Permanente (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) è, infatti, riportato, con riferimento a quello che diventerà l’art.21-octies, che «la dizione “violazione di legge” deve intendersi, conformemente a quanto afferma la giurisprudenza, in senso lato, comprendendo tutti gli atti di normazione (primaria, secondaria e comunitaria)»72.

La teoria dell’annullabilità, espressa per la prima volta in maniera coerente sotto il profilo teorico in una sentenza del Consiglio di Stato73, si è attualmente radicata nella giurisprudenza maggioritaria. In particolare, il giudice amministrativo muovendosi in una logica monista ritiene che la disposizione europea, in quanto integrata nell’ordinamento giuridico nazionale, debba essere assunta a paradigma di validità dell’atto amministrativo nazionale.

Così come precisato dai giudici amministrativi, l’annullabilità dell’atto amministrativo si configura, sia nel caso di violazione diretta delle disposizioni europee, ossia in caso di violazione di una disposizione normativa europea direttamente applicabile, sia nell’ipotesi violazione indiretta del parametro europeo di legalità, ovvero nel caso in cui l’atto amministrativo venga adottato in conformità di una norma interna a sua volta contrastante con il diritto europeo.

In effetti, la giurisprudenza amministrativa, anche in ragione delle fattispecie decise, non ha affrontato esaustivamente la problematica del vizio di illegittimità comunitaria indiretta, tuttavia «quanto all’atto emanato sulla base di una norma statale anticomunitaria relativa al quomodo di esercizio del potere, non vi sono ragioni per differenziare il regime processuale da quello della illegittimità comunitaria “diretta”»74. Pertanto, in entrambi i casi l’atto amministrativo risulta affetto da un vizio di legittimità equiparabile alla violazione di legge e, pertanto, annullabile secondo gli ordinari canoni di valutazione della

72 Camera dei Deputati, N. 3890-1160-2574-A, Relazione della I Commissione Permanente (Affari

Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni), presentata alla presidenza il 6 novembre 2003, p.10,

in www.legxiv.camera.it.

73 In tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35, in www.giustizia-amministrativa.it. «Non può, anzitutto, dubitarsi che la disposizione comunitaria violata si ponga, soprattutto nel caso in cui risulti tradotta in una norma nazionale, come diretto parametro di legalità dell’atto amministrativo, anche tenuto conto del rapporto di integrazione tra i due ordinamenti (per come definito dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee), da giudicarsi preferibile rispetto a quello della loro separatezza ed autonomia (per come descritto dalla Corte Costituzionale). Appare, allora, agevole rilevare che la violazione della disposizione comunitaria implica un vizio di illegittimità-annullabilità dell’atto interno contrastante con il relativo paradigma di validità»; in senso analogo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 579, in

www.giustizia-amministrativa.it; Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 maggio 2005, n. 2566, in www.giustizia- amministrativa.it; Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 novembre 2006, n. 6831, in www.giustizia- amministrativa.it.

119 patologia dell’atto amministrativo.