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3. Il regime di invalidità dell’atto amministrativo «anticomunitario»

3.2. La teoria della nullità

La seconda tesi, configura la radicale nullità per carenza di potere dell’atto amministrativo applicativo di una norma di legge contrastante con il diritto europeo, senza distinguere tra l’ipotesi in cui essa attribuisca il potere di emanazione dell’atto e quella in cui si limiti a disciplinarne le modalità di esercizio.

In particolare, tale argomentazione sostiene la radicale nullità dell’atto affetto da

59 Così G. GARDINI, Rinvio pregiudiziale, disapplicazione, interpretazione conforme: i deboli anticorpi

europei e la “forza sovrana” dell’atto amministrativo inoppugnabile, op. cit., p. 6.

60 C. IANNONE, Commento all’art. 263 TFUE, in Trattati dell’Unione europea a cura di A. TIZZANO, Milano, 2014, pp. 2078-2081. I termini di presentazione del ricorso di annullamento ai sensi del sesto comma dell’art.263 TFUE sono di due mesi. «Il termine di presentazione del ricorso è una regola di ordine pubblico, rilevabile dunque d’ufficio, ed è intesa dal giudice dell’unione come volta a “garantire la chiarezza e la certezza delle situazioni giuridiche ed evitare qualsiasi discriminazione o trattamento arbitrario nell’amministrazione della giustizia”. Unicamente nel caso in cui un ricorrente provi che il mancato rispetto di tale regola è dovuto ad un errore scusabile, ad un caso fortuito o di forza maggiore, il ricorso intempestivo è ricevibile (art. 45, co.2, Statuto Corte). Le cause che giustificano il mancato rispetto dei termini sono interpretate in modo restrittivo. Secondo in principi interpretativi enunciati dalla Corte, perché sussista la forza maggiore o il caso fortuito occorre che ricorra (e che dunque l’interessato provi) la sussistenza di un “elemento oggettivo” relativo all’intervento di circostanze anormali ed estranee all’interessato e di “un elemento soggettivo” consistente nell’avere l’interessato preso tutte le precauzioni per evitare le conseguenze dell’evento anormale. In particolare, questi deve aver seguito attentamente lo svolgimento della procedura e deve aver dato prova di diligenza nel rispettare i termini impartiti». Pertanto, la nozione di forza maggiore non trova applicazione in una situazione in cui un soggetto diligente ed accorto sarebbe stato oggettivamente in grado di evitare la decadenza di un termine di ricorso. Gli stessi principi trovano applicazione nel caso dell’errore scusabile. «La deroga all’applicazione dei termini è ammessa quindi solo nel caso in cui l’istituzione abbia tenuto un comportamento idoneo, da solo o in misura determinante, a generare una confusione ammissibile in un singolo in buona fede e che abbia dato prova di tutta la diligenza richiesta ad una persona normalmente accorta».

Al riguardo, occorre, inoltre, rilevare che la certezza del diritto costituisce un principio generale del diritto dell’Unione europea, riconosciuto in maniera unanime dalla giurisprudenza europea. Con specifico riguardo all’atto amministrativo, la Corte di giustizia ha evidenziato che «il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo», così Corte di giustizia, sentenza 13 gennaio 2004, causa C-453/00,

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«anticomunitarietà», in quanto adottato sulla base di una norma disapplicabile e, pertanto, inidonea a radicarne e disciplinarne il potere. L’applicazione concreta di tale iter argomentativo comporta sempre la disapplicazione di una norma statale contrastante con il diritto europeo, con la conseguente nullità, rilevabile d’ufficio, dell’atto amministrativo adottato in sua esecuzione.

L’incongruenza di tale impostazione risiede nella considerazione che, a rigore, la nullità potrebbe essere rilevata da chiunque, il vizio dovrebbe essere rilevato d’ufficio, la relativa statuizione dovrebbe essere di nullità; il tutto in evidente contrasto con il principio di tassatività delle cause di nullità oggi enunciato dall’art. 21-septies della legge n.241/1990, il quale non include tra le ipotesi di nullità la violazione del diritto europeo61.

La teoria in commento si fonda su un’impostazione rigidamente dualistica dei rapporti interordinamentali. La conseguenza di questa impostazione è che il conflitto tra norme europee e norme interne non determina l’invalidità di queste ultime, bensì la sola disapplicazione. Inoltre, le disposizioni del diritto europeo, non entrando nel tessuto normativo interno, «non sarebbero in grado di assurgere a parametro di legittimità dell’atto amministrativo, né potrebbero costituire la fonte attributiva del potere che ne consenta l’adozione»62.

La tesi in argomento, che come evidenziato propende per la radicale nullità degli atti amministrativi, «mostra evidenti limiti nella misura in cui generalizza una situazione che invece sembra da individuare in particolari circostanze». Essa, inoltre, determina paradossali conseguenze negative circa la rilevanza del diritto, dato che in questo modo si nega alle norme europee direttamente applicabili ogni efficacia diretta sull’operato amministrativo. «Soprattutto determina un radicale sconvolgimento del sistema processuale nazionale, che allo stato della evoluzione del diritto comunitario non sembra giustificato»63.

61 Art. 21-septies Nullità del provvedimento: «É nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge».

62 Così S. STICCHI DAMIANI, Violazioni del diritto comunitario e processo amministrativo, op. cit., p. 55.

63 Così M.P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, op.cit., pp. 496-497, con specifico riguardo al diritto processuale, l’autore rileva che «la Comunità ha progressivamente esteso il proprio ambito di influenza anche sul diritto processuale, essenziale al fine di garantire il principio di uniformità del diritto comunitario, ciò è avvenuto in modo incrementale attraverso una espansione progressiva tanto di discipline scritte (ad esempio per i ricorsi in materia di appalti pubblici), quanto di sentenze dei giudici comunitari che introducono di volta in volta nuovi principi comuni. Nell’insieme non vi sono ancora le condizioni per poter parlare di diritto comune dei rimedi giuridici, né di radicale sconvolgimento dei diritti processuali nazionali da affermarsi in sede giurisdizionale in virtù del solo riferimento alle esigenze comunitarie»; Cfr. G. GRECO, L’incidenza del

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Va infine evidenziato che questa teoria mostra degli evidenti limiti nella misura in cui presuppone che le norme statali siano le uniche a radicare il potere amministrativo. È infatti raro che nelle materie aventi una rilevanza europea, la normativa nazionale si sovrapponga a quella dell’Unione attributiva del potere, «essendo più frequente l’ipotesi che la legge italiana (nella parte incompatibile) si limiti a prevedere segmenti della fattispecie normativa di disciplina del potere amministrativo, ma non l’intera fattispecie che radica il potere medesimo»64.

In tali casi, trattandosi di norme sul modo di esercizio di detto potere, la loro disapplicazione non può ripercuotersi in termini di carenza di potere-nullità sull’atto amministrativo, bensì in termini di illegittimità-annullabilità, così come confermato dalla giurisprudenza amministrativa.

Questa tesi è stata sostenuta da una giurisprudenza risalente nel tempo, la quale aveva affermato che «l’esistenza della norma costituisce il presupposto necessario ed ineliminabile dell’atto amministrativo che pretende di farne applicazione […] se la norma che l’Amministrazione pretende di applicare non esiste o per qualsiasi motivo non produce effetti all’interno dell’ordinamento nel quale è destinata ad operare la pronuncia giurisdizionale, il giudice non può che accertare l’inesistenza del necessario parametro per la valutazione della legalità dell’azione amministrativa e, siccome non esiste attività amministrativa legibus soluta, egli non può che dare atto della radicale nullità dell’atto medesimo»65.

Tale tesi non ha invece trovato accoglimento nella successiva giurisprudenza amministrativa. Il Consiglio di Stato ha, infatti, confermato che l’entrata in vigore dell’art.21-septies della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n.15/2005, definisce

diritto comunitario sugli atti amministrativi nazionali, op.cit., pp. 940-941; Cfr. R. CHIEPPA, Commento

all’art. 21-septies, in Codice dell’azione amministrativa a cura di M. A. SANDULLI, op. cit., p. 149.

64 Così G. GRECO, L’incidenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi nazionali, op.cit., p. 940. 65 Così TAR Piemonte, Sez. II, 8 febbraio 1989, n. 34, in M. ROMAJOLI, R. VILLATA, Contrasto di un

atto con il diritto europeo, in Treccani il libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, p. 284. Il tribuanle

amministrativo ritiene che la patologia da contrarietà al diritto comunitario dell’atto amministrativo sia qualificabile come «nullità» od «inesistenza», T.A.R. Piemonte, sez. II, Sentenza 8 febbraio 1989, n. 34. In tale pronuncia, il giudice amministrativo ha sviluppato una tesi che ruota attorno al seguente sillogismo: a) l’esistenza della norma interna costituisce il necessario ed ineliminabile presupposto dell’atto amministrativo che pretende di farne applicazione; b) se la norma interna è in contrasto con il diritto europeo, essa va necessariamente disapplicata con conseguente venir meno del necessario parametro per la valutazione della legalità dell’azione amministrativa; c) in tal caso il giudice non può che dare atto della radicale nullità del provvedimento medesimo, poiché non può esistere attività amministrativa “senza norma” (legibus soluta). In sintesi, l’idea espressa dal TAR Piemonte è che non possa esistere un atto amministrativo legibus soluto: caduta la norma interna per disapplicazione, la norma europea non viene in soccorso, poiché i due ordinamenti sono separati.

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compiutamente le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, che costituiscono, quindi, un numero chiuso tra cui non rientra il vizio di violazione del diritto dell’Unione europea. In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha escluso la riconducibilità della patologia da violazione del diritto europeo all’art. 21-septies legge n. 241/1990, in quanto in tema di nullità del provvedimento non «si può sostenere che il provvedimento adottato in violazione del diritto comunitario sia nullo, in quanto l’entrata in vigore dell’art. 21- septies della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n.15/2005, ha codificato le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, che costituiscono quindi un numero chiuso e all’interno delle quali non rientra il vizio consistente nella violazione del diritto comunitario»66.

A tal proposito, molto chiara è la sentenza n.1498/2010, in cui il Consiglio di Stato evidenzia che la nullità del provvedimento amministrativo trova la sua disciplina dell’articolo 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241; tale norma «tra le varie opzioni possibili - ossia tra quella di inserire nel sistema della patologia dell’atto amministrativo tutte le ipotesi di nullità (testuale, strutturale e virtuale) previste dall’articolo 1418 del codice civile e quella di ritenere sufficiente la categoria dell’annullabilità per quanto riguarda i rapporti amministrativi - ha scelto la soluzione di compromesso, ossia quella di escludere la nullità per contrasto con norme imperative di legge, giudicando tale categoria particolarmente pericolosa rispetto alle esigenze di certezza e di stabilità dell’azione amministrativa». […] «Pertanto, le ipotesi astrattamente riconducibili alla nullità c.d. virtuale vanno ricondotte al vizio di violazione di legge, atteso che le norme riguardanti l’azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell’amministrazione. Quindi, esse si convertono in cause di annullabilità del provvedimento, da farsi valere entro il breve termine di decadenza, a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo»67.

66Così Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 novembre 2006, n. 683, in www.giustizia-amministrativa.it; cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 3 marzo 2006, n. 1023, in www.giustizia-amministrativa.it, dove viene stabilito che «il provvedimento amministrativo adottato in violazione delle disposizioni comunitarie, non è affetto da nullità, in quanto tale ipotesi non rientra tra i casi disciplinati dall’art. 21 septies, l. n. 241/90, che costituiscono un numero chiuso, da far valere anche oltre il termine decadenziale, ma è illegittimo, e, quindi, annullabile».

67 Consiglio di Stato, Sez. V, 15 marzo 2010, n. 1498, in www.giustizia-amministrativa.it; in senso conforme cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983 www.giustizia-amministrativa.it, in particolare, il Collegio ritiene che il contrasto tra l’atto amministrativo e il diritto dell’Unione europea «dia luogo ad un vizio di legittimità dell’atto, cioè alla sua annullabilità, e non alla sua radicale nullità. Va rammentato infatti il consolidato orientamento per cui la violazione del diritto comunitario implica solo un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità dell'atto amministrativo. L’art. 21-septies l. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del

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Per quanto evidenziato, nel diritto amministrativo non trovano collocazione le c.d. nullità virtuali, derivanti dalla violazione di norme imperative, con conseguente inapplicabilità della regola generale di cui all’art.1418, comma 1 cc. secondo cui «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente»68.