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L’assistente sociale 1 L’assistente sociale

LAVORARE NEL FINE VITA

6.2 L’assistente sociale 1 L’assistente sociale

“Destinatario del servizio sociale è colui che ha un problema di carattere

fisico, psichico e sociale e che, non riuscendo a risolverlo da sé, ha bisogno d’aiuto per recuperare le sue capacità di autogestione”.51

L’assistente sociale, quindi, è colui che offre una consulenza e un supporto tecnico tra i bisogni del singolo e le risorse della comunità, punti fondamentali della professione sono l’astenersi dal giudizio sulle scelte di vita dell’utente mantenendo però la valutazione tecnica del problema; personalizzare l’intervento su misura dell’utente dopo aver raccolto il suo assenso; stimolare l’autodeterminazione e la partecipazione dell’utente; rispettare il segreto professionale e lavorare in equipe. Le capacità professionali proprie dell’assistente sociale fanno si che il suo intervento sia efficace anche nell’ambito di fine vita, il paziente non è una persona isolata ma è inserito in un gruppo familiare e amicale che sicuramente ha avuto dei contraccolpi in seguito alla sua malattia.

Compito dell’assistente sociale è proprio quello di rimuovere gli ostacoli sia di natura ambientale sia di atteggiamento individuale in modo che il paziente possa trarre il massimo beneficio dal trattamento stesso e possa vivere la sua condizione di malato con un po’ più di serenità.

Considerare il malato come parte di un gruppo, e quindi non un’isola, significa anche saper comprendere e interpretare i fattori culturali che possono influenzare l’assistenza della famiglia al paziente. Fondamentale è

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M. Leoni, “L’assistenza psico-sociale nella malattia inguaribile”, Assisi, Cittadella Editrice, 1992, pag. 274.

che l’assistente sociale conosca le risorse che ha la comunità e il modo in cui procurarsele, in questo modo potrà informare il paziente e la sua famiglia sui sussidi assistenziali e economici disponibili e avviare le pratiche per ottenerli, ad esempio assegno di cura, riconoscimento dell’invalidità civile, assegnazione di alloggi popolari e vi dicendo.

Nei paesi anglosassoni, dove il lavoro dell’assistente sociale è ormai da anni ampiamente conosciuto e riconosciuto, è l’assistente sociale dell’hospice che fornisce informazione per redigere il testamento e organizzare il funerale e la sepoltura di pazienti che non hanno parenti o amici.

In questo modo l’assistente sociale si troverà a lavorare su due piani: quello dei bisogni primari pratici (abitativi, economici, igienici) e quello del soddisfacimento dei bisogni emotivo-relazionali, ma le modalità operative non saranno mai predeterminate, verranno adottate in maniera individualizzata facendo attenzione alle esigenze di ogni malato e del suo nucleo familiare.

“Penso che l’assistente sociale sia una figura chiave nell’assistenza

domiciliare ai malati di tumore, soprattutto nel momento in cui il malato, dopo il ricovero, viene reinserito nell’ambito familiare. L’infermiera è una figura altrettanto chiave, il medico e lo psicologo sono importanti nel loro settore, ma l’attenzione, la sensibilità alle interrelazioni, alle modifiche dei ruoli connessi a una malattia così depauperante dal punto di vista delle relazioni con l’ambiente sociale, questa è specifica dell’assistente sociale. Tutta la famiglia è ammalata di cancro, c’è tutto un contesto di cui occorre tener conto, tutta una serie di contraccolpi sul gruppo-famiglia, in particolare sui figli, specie se minori.”52

L’intervento dell’assistente sociale può essere circoscritto a dei momenti di crisi, è in questi momenti che l’intervento deve poggiare su tre punti fermi: 1) Una valutazione della situazione globale;

2) Un aiuto al paziente e alla famiglia per uscire dall’ottica assistenzialistica e prendere pienamente coscienza del problema, solo in questo modo sarà possibile riposizionare il malato e la famiglia al centro di un percorso condiviso e autonomo;

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3) Un aiuto al paziente e alla famiglia per rimettere in gioco le risorse già esistenti e attivarsi per sviluppare nuovi metodi di approccio al problema. Il lavoro sociale con la morte deve essere tradotto in protocolli operativi, in altre parole in una sequenza di azioni da offrire all’interlocutore secondo il bisogno.

Il counseling: Si tratta di dare risposte a un bisogno di orientamento

nella vita espresso da parte di chi è vicino alla morte, questa non è improvvisa ma porta con sé diverse fasi che vanno accolte e accompagnate tramite un ascolto attivo e restituente.

Si tratta di accogliere la frustrazione che deriva dallo stato di non autosufficienza, di dover accettare la morte, di doversi adattare a questa prospettiva cercando di adempiere a tutti i compiti che comunque spettano. L’azione di counseling serve a raccogliere la narrazione della vita del malato prima dell’arrivo della malattia e aiuta a focalizzare gli elementi di rottura, inoltre, aiuta a riformulare un nuovo progetto di vita, usando le competenze che sono ancora a disposizione.

L’accoglienza: Uno dei momenti più importanti nel servizio sociale è

l’accoglienza dell’utente, e lo è ancora di più nel momento della malattia quando la persona si rende conto che da un giorno all’altro la sua vita sta cambiando. Dopo la notizia della malattia, la persona vive uno shock che la porta a rivedere tutta la vita già vissuta e quell’ancora da vivere, con occhi diversi.

In questo momento così delicato, l’assistente sociale deve chiamare a raccolta tutta la sua empatia e sensibilità per aiutare al meglio la persona malata.

L’accoglienza, in questi casi, si traduce in silenzio, in ascolto, nello stare davanti alla persona, ecco che l’accoglienza non è solo un atteggiamento etico dell’assistente sociale, ma diventa uno strumento di lavoro. L’accoglienza diventa un modo per rispondere ai bisogni che derivano dalla crisi familiare e singola della persona, molto spesso le persone da noi non vogliono nulla, solo la nostra presenza.

Il “setting di accoglienza” è importante e dovrebbe essere una stanza senza disturbi come telefono, cellulare o altro personale presente, in questo caso è importante anche la riduzione delle distanze spaziali tra persona e professionista, quindi l’ideale sarebbe non barricarsi dietro la scrivania. Molto spesso il setting è la casa del malato, siamo noi ad andare da lui e a entrare nella sua quotidianità e nella sua intimità, anche in questo caso siamo noi che dobbiamo avvicinarci al malato ed entrare nel suo spazio vitale comunicando l’accoglienza con i fatti.

La casa del paziente è l’ambiente ottimale per i colloqui, è in questo luogo che è possibile raccogliere informazioni riguardo alle dinamiche familiari e ai rapporti reciproci, oltre che conoscere l’organizzazione familiare.

La rappresentanza: La persona in stato di malattia o prossima alla

morte può non essere più in grado di sovrintendere ai propri interessi, oppure, in tale prospettiva, può voler regolare tali questioni.

Ci sono interessi molto connessi alla sua morte, come quelli a proposito dei diritti di successione, che richiedono istituti di rappresentanza vera e propria, i quali devono essere attivati per produrre effetti di protezione. Sono istituti di tipo giuridico, pensati per la gestione amministrata dei beni (come l’amministratore di sostegno) che vanno portati all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria. L’assistente sociale, l’estraneo di fiducia, può raccogliere le istanze dell’interessato o valutare fatti bisognosi di protezione per segnalarli direttamente al Procuratore della Repubblica per le valutazioni ritenute opportune.

Oltre la rappresentanza, insomma, non c’è il “fare” la segnalazione o la domanda, ma “l’essere” persona di fiducia che agisce “per conto di”. Anche il testamento biologico potrebbe essere uno degli atti di rappresentanza delle proprie volontà sulla cura, nella cui opzione lo stesso assistente sociale potrebbe avere un ruolo più ampio di rappresentanza e facilitazione.

Fronteggiare il dolore: Nel campo della non autosufficienza c’è una

qualità che diventa un requisito fondamentale per svolgere questo lavoro: saper stare di fronte al dolore.

Questa è una qualità che non hanno tutti e non deve essere data per scontato, il dolore, la morte, la malattia, la perdita sono tutti aspetti della vita dai quali si tende a scappare.

Il counseling, l’accoglienza, la rappresentanza richiedono un professionista non in fuga, ma sempre pronto e presente che riesce a guardare la morte non con lo sguardo freddo di un operatore in burnout, ma con l’umanità e l’intelligenza di chi conosce il proprio campo di lavoro.

Queste sono cose che non s’imparano tra i banchi di scuola, ma sono il frutto di un personale percorso umano in cui si parte dalle proprie esperienze con il dolore, dalle proprie motivazioni e aspirazioni per riuscire a sostenere lo sguardo con la morte, per non scappare.

In Italia il lavoro dell’assistente sociale è ancora poco conosciuto o conosciuto male, molte famiglie che si sentono proporre un colloquio con l’assistente sociale si mettono sulla difensiva e il pensiero comune è “Non

abbiamo nessun bisogno dell’assistente sociale, siamo persone per bene noi!”.

E’ una figura con cui la gente non ha familiarità e di conseguenza fa fatica a fidarsi, anche perché quasi sempre lasci sorpresi la notizia che un’assistente sociale lavori nell’equipe di un hospice o di una struttura di cure domiciliari. Non tutte le famiglie hanno bisogno dell’assistente sociale, in moltissimi casi è sufficiente il sostegno emotivo di un infermiere o di un volontario con una buona formazione, se tra questi e l’assistente sociale c’è una buona comunicazione riceveranno tutto il counseling di cui hanno bisogno.

Un settore d’intervento per l’assistente sociale potrebbe essere il follow up per il lutto, come già avviene nel Regno Unito, dove è l’assistente sociale che gestisce e organizza i gruppi di auto mutuo aiuto per la rielaborazione della sofferenza provocata da una perdita.

In questo caso i gruppi potrebbero essere gestiti dall’assistente sociale assieme a dei volontari adeguatamente formati, le situazioni più difficoltose per problemi psichici preesistenti o che rischiano di degenerare potrebbero essere affidate allo psicologo.

In sinergia con lo psicologo, l’assistente sociale potrebbe curare il sostegno emotivo della famiglia e, sempre assieme, potrebbero collaborare nel monitoraggio dei volontari e nella gestione dei gruppi.

E’ importante che ogni azione professionale sia svolta con molta discrezione, con rispetto per le scelte e i tempi della famiglia, con attenzione sul modo di comunicare e con un atteggiamento di ascolto senza restrizioni, giudizi o false rassicurazioni.

Il “trattare le malattie” richiede competenze puramente mediche, “curare i

malati” presuppone una formazione più vasta, una conoscenza dell’uomo

che si appella ad atteggiamenti e valori etici profondamente radicati.

Lavorare quotidianamente con i malati terminai non è cosa facile, è una fatica diversa ogni giorno e con ogni paziente si vivono esperienze nuove, che mettono costantemente in gioco le motivazioni dell’operatore, ma fare questo lavoro è una sfida costante e permette di compiere un cammino che arricchisce continuamente.

6.2.2 Il Core Curriculum

Dopo anni di intenso lavoro, nell’ottobre 2013 è stato presentato al XX Congresso nazionale SICP (Società Italiana Cure Palliative) un importante documento, il Core Corriculum dell’assistente sociale in cure palliative. Questo documento vuole definire il punto di vista della SICP a proposito delle competenze e dei percorsi formativi che devono avere gli operatori delle cure palliative.

“Con Core Curriculum si intende l’insieme minimo delle competenze

(conoscenze, abilità, comportamenti) che ogni studente deve avere acquisito in maniera adeguata al termine di un percorso formativo specifico e costituiscono il punto di partenza per lo svolgimento della professione e la base della crescita professionale.” 53

Il Core Curriculum è uno strumento che serve ai professionisti e ai decisori perché possano progettare correttamente i percorsi assicurando coerenza e condivisione degli obiettivi importanti.

Le cure palliative pongono al centro la persona e i suoi valori, e fanno in modo che sia il malato al centro del proprio percorso di cura, riprogettandolo ogni volta che serve, ma per poter fare questo serve che ci

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sia un lavoro completo e armonico da parte di tutta l’equipe e una buona comunicazione con la famiglia del malato, queste sono le fondamenta. Il documento è molto chiaro per quanto riguarda le competenze dell’assistente sociale:

1) Saper valutare i malati e le famiglie per l’accesso alle cure palliative: