• Non ci sono risultati.

Riti funebri e riti post mortem

RELIGIONI: LA PROSPETTIVA DELLA REINCARNAZIONE

4.2 Il fine vita e la morte nell’Induismo 1 L’Induismo

4.2.3 Riti funebri e riti post mortem

Prima del funerale la salma viene preparata: il corpo viene lavato e i capelli rasati, nella bocca viene inserita una foglia del basilico indiano (tulasī) assieme ad alcune gocce di acqua del Gange, la fronte viene spalmata di argilla o, nel caso di un celibe o di una donna non vedova, viene dipinta di rosso e le persone che assistono a questo rituale continuano a ripete il monosillabo sacro Oṃ. Questo stabilisce che il trapasso è definitivamente compiuto e solo dopo il compimento del rito è permesso uscire dalla stanza e liberarsi al pianto.

Il defunto non può mai rimanere da solo, per questo nella stanza rimane un parente anziano o un vecchio amico, qualcuno comunque che abbia le capacità di difendere la salma da eventuali attacchi da parte di spiriti maligni, questo momento infatti è particolarmente delicato perché l’anima si sta staccando dal corpo. A questo punto il corpo viene portato nel campo di incinerazione, il corpo viene adagiato su una stuoia stesa sopra una lettiga, la stuoia rappresenta la placenta con cui l’essere viene avvolto in una nuova vita. Gli alluci e i pollici vengono legati tra loro, con il sudario le braccia vengono fasciate strettamente lungo i fianchi e questo deve essere fatto con un sudario di seta mai usato prima, per gli uomini è bianco o giallo mentre per le donne è sempre rosso.

Il brāhmana che officia la cerimonia si munisce di cinque dolci sferici (pinda) impastati con acqua e farina e servono per compiere il “rito del viaggiatore”.

Il primo dolce viene offerto al genio che abita il suolo della stanza dove è avvenuta la morte, il secondo allo spirito della soglia della casa, il terzo alla divinità dell’incrocio che il corteo funebre attraverserà, il quarto al genio del terreno dove verrà posata la bara e il quinto al fuoco della pira.

A capo del corteo funebre c’è il figlio maggiore, subito dopo la bara portata da sei persone, la seguono i parenti più stretti dal più vecchio al più giovane, i membri dello stesso clan e gli amici, le donne invece stanno a casa a eccezione della vedova.

All’arrivo nel campo di incinerazione viene scavata la fossa nella quale verranno messe le fondamenta di legno per costruire la pira, quando questa è

pronta i portatori immergono la salma fino al ginocchio nell’acqua sacra, dopo l’ultima purificazione la salma viene stesa sulla pira con la testa a nord e i piedi verso sud. A questo punto si inizia a procedere in senso antiorario attorno alla pira, il sudario viene sciolto e si tagliano le corde che legavano le dita e vengono bruciate assieme al corpo le cose usate per il culto dal defunto mentre era in vita.

In epoca antica la vedova veniva bruciata viva assieme al corpo del marito, per evitare questo rito crudele è stato creato un rito sostitutivo che è stato usato fino a pochi decenni fa per le personalità più importanti.

La mogli del defunto viene fatta salire sulla pira dietro alla testa del marito, il conduttore del rito, il figlio maggiore, dice queste parole: “O defunto,

questa tua moglie, che desidera essere unita a te nel mondo futuro, giace con il tuo cadavere. Ella ha sempre osservato i doveri di una moglie fedele: concedile il permesso di rimanere in questo mondo e lascia la tua ricchezza ai tuoi discendenti”.21

A questo punto un uomo del corteo prende la vedova per mano e la aiuta a scendere pronunciando queste parole “In piedi, o

donna, tu che giaci accanto al defunto, vieni nel mondo dei viventi, lontana dal marito, e diventa moglie di colui che prenderà le tue mani e vorrà sposarti”.22

A questo punto il primogenito impugna dell’erba kuśa assieme a delle braci e, aiutato dai parenti più stretti, compie cinque deambulazioni e poi accende il fuoco sulla pira.

I presenti attendono dalle tre alle cinque ore perché il cadavere sia completamente scomparso, a causa del calore dopo un po’ di tempo la calotta cranica scoppia, ma se ciò non dovesse succedere è compito del figlio maggiore romperla con una bastone. Questo rito viene compiuto con estrema serenità e con la consapevolezza che la salma non è più la persona cara.

Le ceneri vengono raccolte e disperse nel corso d’acqua più vicino, i partecipanti poi, dopo aver presenziato alla cerimonia, devono purificarsi immergendosi nell’acqua, infine viene portato un giogo sotto il quale

21

G. G. Filippi, “Il mistero della morte nell’India tradizionale”, Itinera progetti, Caselle di Sommacampagna,, 2010, pag. 92.

22

devono passare tutti i partecipanti alla cerimonia, l’ultimo che passa attraverso è il primogenito che così conclude ufficialmente il rito.

A questo punto si può tornare a casa e quando il corteo arriva vicino alla casa del defunto, le donne che non hanno partecipato alla cerimonia, fanno sentire i propri pianti e lamenti, il corteo si scioglie e prima di entrare in casa tutti si laveranno i piedi e toccheranno oggetti benedetti, compiranno un’abluzione completa e indosseranno vestiti puliti.

Nei giorni a seguire la famiglia eviterà una vita normale, non è permesso lavarsi, pettinarsi e compiere riti e riceverà ogni giorno la visita di un

brāhman che leggerà i testi sacri che parlano del viaggio dell’anima

nell’aldilà in modo che la famiglia sia confortata nell’ascoltare quello che sta vivendo l’anima del proprio caro.

Dal giorno dopo il funerale iniziano una serie di riti che durano in totale dodici giorni: