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L’ultimo giorno, il dodicesimo, il primogenito ritorna al fiume con

RELIGIONI: LA PROSPETTIVA DELLA REINCARNAZIONE

4) L’ultimo giorno, il dodicesimo, il primogenito ritorna al fiume con

di antenato, pitṛ. Sono offerti dodici pinda, uno per ogni mese attraverso cui il defunto deve passare, ogni giorno a partire dalla morte, infatti, rappresenta un mese di gestazione del preta.

L’ultima parte del rito serve ad unire il nuovo pitṛ con gli altri antenati, sono presenti cinque brāhmana, tre dei quali impersonano il bisnonno, il nonno e il padre del nuovo pitṛ mentre gli altri due sono testimoni e impersonano

Kāma (Dio dell’amore) e Kāla (Dio del tempo). Il defunto è rappresentato

da un mazzo annodato di kuśa (erba sacra al Dio Visnu), si versa un terzo di acqua contenuta in un vaso davanti a ciascuno dei brāhmana che rappresentano gli antenati e poi viene distribuito del riso bollito e altri cibi vegetali ai cinque sacerdoti. Il celebrante mescola il riso ad altri ingredienti e divide in composto in due parti, con una confeziona un grosso pinda per il defunto, mentre con l’altra parte confeziona tre pinda più piccoli per gli antenati. Dopo l’offerta nel solco, il pinda più grosso viene nuovamente diviso in tre parti uguali che vengono aggiunte ognuna al pinda dato precedentemente agli antenati. Alla fine del rito i dolci vengono gettati nel fiume oppure offerti ad una mucca, si completa con un abluzione completa, con l’offerta di cibo e denaro ai sacerdoti e, una volta tornati a casa, si offre cibo ai corvi.

Attraverso questo rito, il defunto è completamente assimilato ai suoi antenati.

Nel momento in cui il defunto passa da preta a pitṛ, terminano le sue sofferenze e smette così di disturbare i familiari e chi abita nella sua casa.

4.2.4 Il viaggio

Nel momento della morte l’anima viene strappata con dolore dal corpo, questo succede ad opera degli yamadūta, gli inviati di Yama o angeli della morte. Nel tredicesimo giorno dopo la morte l’anima maltrattata del defunto inizia il suo viaggio verso sud, verso il regno di Yama.

All’inizio del sentiero la strada è sorvegliata dai due cani di Yama che azzannano e feriscono i preta, ma sono la scorta delle anime giuste, i preta devono attraversare numerose città nel loro viaggio fino ad arrivare a al castello Vicitrabhavana dove regna Vicitra, il fratello minore di Yama.

Ad ognuna di queste tappe le anime vengono sottoposte a varie torture ma, al tempo stesso, trovano in ognuna di queste un pinda, inviato dai familiari in vita, con cui possono ristorarsi e proseguire il viaggio. Passata la città di

Vicitra si arriva al fiume Vaitaranī, il lurido fiume di sangue e sterco, che

deve essere attraversato con una barca e il Caronte induista chiede come pagamento tutti i doni rituali compiuti in vita. Attraversato il fiume, l’anima continua il suo viaggio passando attraverso ad altre città terribili, al compimento dell’anno il preta arriva finalmente a Yamanagara dove assume un corpo composto dall’essenza dei suoi meriti. La città è situata a sud-ovest ed è quadrata, con quattro entrate e sette cerchi di mura e al centro sorge il palazzo di Yama decorato con oro e pietre incastonate. L’anima del peccatore viene introdotta a palazzo e si trova di fronte a Yama seduto sul suo trono, il Dio dei morti ha gli occhi iniettati di sangue e lo sguardo truce, in una mano tiene una verga di ferro e nell’altra un cappio. Accanto al palazzo di Yama si trova il palazzo di ferro di Citragupta, il giudice dei morti, ed è qui che finisce il peccatore e, se giudicato colpevole, vengono mandati nelle dimore delle malattie,gli naraka, gli inferni.

Se il preta che arriva nel regno di Yama è un’anima che ha compiuto azioni giuste e sbagliate, trova uno scenario completamente diverso, la città gli appare meravigliosa e lo stesso Yama ha un aspetto benevolo. Viene mandato a giudizio da Citragupta e fa il conto delle sue azioni positive e negative e viene mandato nel Vivasvatapura, una sorta di purgatorio, dove sperimenta patimenti e godimenti in proporzione alle proprie azioni e alle offerte funebri che gli sono state dedicate.

Se, invece, il preta è un’anima giusta arriva in un luogo meraviglioso, allietato da musiche e profumi e si trova al cospetto del più benigno Yama, anche il viaggio è durato sempre un anno ma è stato estremamente piacevole e, dopo l’incontro con Yama, il pitṛ viene direttamente inviato al devaloka, il luogo degli dei, dove conduce un’esistenza beata.

I pitṛ che sono condannati ai naraka si reincarnano in piante o animali o, se uomini, in disabili fisici, mentali o intoccabili, mentre coloro che erano nel “purgatorio” si reincarneranno in esseri umani nelle quattro caste, le anime beate, infine, rinasceranno dei.

Finora abbiamo parlato delle anime che si trovano a giudizio a cospetto di

Yama, ma non tutti sono sottoposti al dominio del Dio dei morti, infatti, c’è

un’élite composta da coloro che hanno ricevuto un’iniziazione presso una via spirituale , sādhanā. Questa via verrà compiuta a tappe attraverso una delle discipline dello yoga , questo percorso è quello che porta alla conoscenza del Brahaman non-Supremo. Si può distinguere tra due tipi di allievi, il profano (laukika) che si adopera per ottenere la migliore condizione possibile per la propria anima sperando di arrivare a raggiungere la salvezza, e l’iniziato (dīkṣita) che si impegna ad abbandonare ogni legame con la sua individualità per far affiorare il suo spirito, l’ātman. L’ātman è il principio sopraindividuale e universale, è la vera natura di tutti gli esseri e, una volta conosciuto e realizzato, si identifica con il Brahman stesso, sono esattamente la stessa realtà e da questo è possibile che l’uomo si identifichi con l’Assoluto.

Ma oer arrivare a questo l’uomo deve mettere in pratica tutte le tecniche che il metodo iniziatico gli mette a disposizione, riducendo la sua individualità fino ad arrivare all’estinzione, cioè al nirvāna.

A questo punto l’uomo arriva alla mokṣa, cioè la liberazione e si identifica con il Principio Supremo. Per arrivare a questo occorre imboccare la via iniziatica, cercare un maestro che abbia una tradizione solida di insegnamenti ricevuti e che sia in grado di istruire sulla dottrina e sul modo di realizzarla, se ci sono tutte queste caratteristiche allora ci si potrà affidare agli insegnamenti del guru e iniziare l’itinerario di realizzazione interiore. A questo punto di aprono due vie: la via degli antenati (pitṛyana) che porta a una o più rinascite, e la via degli déi (devayana) con la quali si è liberi da ogni altra rinascita.

La prima via porta a una serie di nascite umane sempre più favorevoli, la seconda, invece, porta direttamente al mondo del Brahman e, alla fine dell’intero ciclo cosmico (kalpa) l’essere giunto al Brahman otterrà la liberazione raggiunta tramite le tappe.