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2. Taylor, l’ingegnere sociale

2.1 L’attività alla Midvale e il perfezionamento della dottrina

Negli anni in cui lavorò come caporeparto e poi capofficina alla Midvale (1878-1890), un’acciaieria in via d’espansione, Taylor ebbe buon gioco nel guadagnarsi la fiducia dei propri superiori proprio in virtù delle sue origini non operaie, potendo così compiere le prime rilevazioni sui tempi e modi di lavoro in un clima di fiducia e pazienza che a nessun altro lavoratore sarebbe probabilmente stato concesso.

Gli esperimenti ebbero inizio nel 1880, e nonostante dovessero essere limitati nel tempo, proseguirono poi per ventisei anni, con un notevole impiego di capitali, energie e macchinari72. Inizialmente la sperimentazione si concentrò sulle macchine-utensili, nel tentativo di cercare il miglior modo di tagliare i metalli, con che velocità e con quale anticipo, attraverso formule matematiche ed un attento

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Georges Friedmann, “La crisi del progresso. Saggio di storia delle idee 1895-1935”, Guerini e Associati, Abbiategrasso 1994, p. 68.

72 Friedmann stima che occorsero “dieci macchine sperimentali, circa 40.000 prove, 4000 tonnellate

di ferro e di acciaio e una somma che sta fra 750.000 e un milione di franchi”. Cfr. G. Friedmann, “La

crisi del progresso. Saggio di storia delle idee 1895-1935”, Guerini e Associati, Abbiategrasso 1994, p.

studio delle macchine. “Anche se gli esperimenti non permisero di raggiungere immediatamente i risultati che Taylor cercava, produssero però informazioni aggiuntive riguardo alle relazioni tra la velocità, cioè il passo con cui il metallo si muove nel tornio, la alimentazione, cioè l’applicazione dell’attrezzo, la profondità del taglio, l’energia richiesta per le varie operazioni e i fattori esterni, come l’uso di acqua per il raffreddamento dell’attrezzo di taglio”73

L’ambizione di Taylor non si fermava però qui: occorreva razionalizzare in concomitanza il lavoro umano sulle macchine, che assumeva un valore universale grazie al cronometraggio dei tempi d’uso dell’utensile, per arrivare a determinare il tempo corretto per ogni macchinario. Si tratta della celebre one best way, il modello esemplare al quale tendere in ogni ambito dell’officina. Così come veniva ricercato il miglior macchinario da applicare ad una funzione, che garantisse cioè i risultati migliori nei tempi più bassi, allo stesso modo si cercava di determinare la migliore sequenza di movimenti e tempi da rispettare per ogni operaio addetto ad uno strumento: “le caratteristiche dell’uomo nel lavoro sono trattate in modo identico a quelle del metallo nel lavoro”74. Un ulteriore perfezionamento verrà apportato da uno dei più celebri allievi di Taylor, Frank B. Gilbreth, con il metodo cinematografico, rilevando i tempi e contestualmente filmando l’operaio al lavoro davanti a degli orologi che rilevano lo scorrere del tempo in frazioni di quindicesimi di secondo. Il metodo seguito per lavorare sulle macchine consisteva nella scomposizione parcellare delle varie parti del lavoro, l’analisi dello svolgimento e il rilevamento di intoppi, tempi morti e malfunzionamenti. Si cercava di portare la macchina a rendere al meglio delle sue possibilità. Questo metodo della scomposizione veniva però trasferito anche all’analisi del compito umano, in una secca distinzione tra i movimenti ritenuti utili al lavoro e quelli invece inutili, d’impaccio. Il problema, rileva Friedmann, è la mancanza assoluta di un criterio fisiologico o psicologico alla base di queste rilevazioni, condotte al lume di un’opinabile buon senso e incuranti dell’atteggiamento dell’operaio nei confronti

73

D. Nelson, op.cit., p.44.

74

G. Friedmann, “La crisi del progresso. Saggio di storia delle idee 1895-1935”, Guerini e Associati, Abbiategrasso 1994, p.73

della sua mansione, o del suo punto di vista sulle necessità cinetiche che occorrono per portare avanti i suoi compiti.

La concezione che rende possibile una scienza dell’industria così pensata è, agli occhi di Friedmann, una rigida distinzione tra il piano teorico dell’organizzazione lavorativa, redatto da dei conoscitori dello studio delle arti meccaniche, e un piano pratico, la messa in opera delle indicazioni di questi specialisti da parte degli operai. In questo sistema l’operaio non può, e non deve dare alcun contributo al modo in cui il lavoro è pensato ed organizzato per la fase della messa in opera. Questa controversa separazione tra la teoria e la pratica è uno dei motivi che Friedmann indica come responsabili della diffusione della razionalizzazione fuori dai confini statunitensi, come nel caso citato della Germania, ansiosa di recuperare velocemente il tempo e le risorse perdute dopo la guerra mondiale, anche a causa delle riparazioni imposte dagli Stati vincitori. La razionalizzazione suscitò entusiasmi facili e fu adottata in maniera diffusa.

Se agli operai veniva richiesto semplicemente di adattarsi alle rilevazioni e alle conseguenti indicazioni dall’alto, negli uffici direttivi si creava il nuovo “Thinking

Department”, affiancato ai servizi commerciali, di disegno industriale, contabilità e

così via, per organizzare il lavoro manuale ed ottimizzarne ogni passaggio. I quattro servizi posti sotto il controllo del dipartimento erano: ripartizione, fabbricazione, salari e personale. Il primo di questi curava il movimento delle merci all’interno della fabbrica, il passaggio da un’officina all’altra, e supervisionava il settore logistico di immagazzinamento, conservazione e gestione delle materie prime. Il perfezionamento di questo servizio era quello che avrebbe portato alla catena di montaggio e ai nastri trasportatori.

La seconda operazione, d’importanza capitale, si concentrava nella preparazione di apposite schede riguardo i compiti di ogni operaio, schede da distribuire poi nei vari settori della fabbrica. Le schede contenevano un quadro generale ma meticoloso al quale gli operai dovevano attenersi: mansioni da svolgere, pezzi necessari, velocità e tempi che occorrono, e i premi assegnati a chi mostrerà di sapersi attenere alle indicazioni registrate. Era il cuore della novità

rappresentato dall’OSL: da un lato i teorici pianificavano nei minimi dettagli costi, tempi e modi del lavoro manuale, dall’altra si ricevevano le indicazioni e ci si predisponeva placidamente ad eseguirle. Infine i servizi “salari” e “personale” gestivano le remunerazioni e l’assunzione/licenziamento, così come la disciplina, del personale di fabbrica. AI quattro servizi corrispondevano quattro capisquadra che agivano direttamente nell’officina, ognuno con un compito differente: manutenzioni, fabbricazione e velocità, ispezione, e manutenzione. La struttura gerarchia nella quale il lavoratore era inserito è molto ben delineata, strumentale al restringimento d’ogni spazio d’iniziativa personale dell’operaio.

“In questo modo, la direzione si affrancava da quel controllo che gli operai esercitavano sui modi e sui tempi del lavoro, che era anche alla base del soldiering, ossia il rallentamento concertato dei ritmi di lavoro. Nello stesso tempo si rendeva sistematica la raccolta dei dati e più facile la loro utilizzazione: i tempi già accertati delle singole operazioni elementari, infatti, avrebbero potuto essere utilizzati per qualunque nuovo, diverso lavoro, in cui fosse però presente lo stesso segmento del processo lavorativo”75.

Friedmann non può non notare la contraddizione: come può un sistema che si propone di valorizzare gli interessi e il lavoro operaio pensare di ridurre al minimo, se non cancellare ogni traccia d’approccio autonomo alla produzione, o persino di apporto occasionale, da parte di chi è chiamato a realizzarla manualmente? Taylor, negazionista com’era rispetto alla conflittualità di classe, poteva realmente immaginare una ricomposizione pacifica basata sui principi dell’organizzazione su base scientifica del lavoro? Riguardo a questo punto il sociologo francese è estremamente scettico, se non apertamente incredulo della buona coscienza di Taylor.

L’interesse per i rilievi tecnici mossi dagli operai, che Taylor suggerisce di tenere in considerazione ai futuri ingegneri e operatori del thinking department, gli sembrano più che altro un modo per blandire la fiducia dell’operaio, per convincerlo “che proprio lui ha tutto l’interesse a dare la sua adesione di uomo e di produttore a

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una organizzazione scientifica che gli viene imposta dall’esterno”76. Il sistema di valorizzazione delle proposte operaie precedentemente vagliate dai tecnici, su cui Taylor insiste, sarebbe stato un ottimo strumento di questa operazione d’inclusione emotiva del lavoratore all’interesse della fabbrica. D’altro canto il sistema delle ricompense appare piuttosto un modo per veicolare negli ambienti operai delle norme di comportamento etico e morale, che vengono pertanto fissate in quote precise, sufficienti a stimolare e abbastanza basse da non impigrire il senso critico. Taylor è estremamente metodico nel fissare queste quote, ove asserisce che contribuiscano a ottenere operai “non solo più economi, ma migliori sotto ogni rispetto: essi tengono un tenore di vita alquanto più elevato, incominciano a risparmiare, diventano più sobri e lavorano con maggiore continuità. Quando invece fruiscono di aumenti notevolmente superiori al 60%, molti tendono a lavorare irregolarmente, a divenire in misura maggiore o minore degli inetti ed a prendere l’abitudine di spendere e sprecare”77.