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Il Ruolo della Società Civile nella Transizione Democratica in Kenya

3.3 Società civile e Transizione Kenyana: il ruolo del NCEC

3.3.2 L’azione dell’NCEC nel periodo post elettorale

Il periodo post elettorale si sviluppò con una profonda ridefinizione dell’NCEC e un riemergere della sua posizione di leader nel confronto con lo stato che fu costretto a sviluppare una nuova strategia per contrastarne la crescita.

La ricetta del regime fu quella di avvicinarsi ai leader del NDP e del FORD- Kenya rompendo in maniera netta il fronte delle opposizioni e alimentando le divisioni su base etnica.

Questa situazione spinse l’NCEC a cercare di riorganizzarsi ma la mancanza di una leadership forte, capace di costruire una nuova strategia in grado di contrastare il regime e di presentarsi come voce alternativa all’IPPG, ne rese sterile l’azione.

È in questo clima che l’NCEC convocò la sua quarta assemblea plenaria nel febbraio del 1998. Come le precedenti sessioni, quest’ultima vide la partecipazione dei rappresentanti dei gruppi religiosi, dei gruppi professionali, di un piccolo numero di industriali, di banchieri, di organizzazioni di base, di gruppi di donne e di giovani, dei media, dei sindacati e di un gruppo ristrettissimo di politici.

Questo convegno sottolineò il parere negativo dell’NCEC sulle riforme dell’IPPG e propose la sostituzione del Constitution on Kenya Review Act con la Constitution of Kenya Conference Act che avrebbe dovuto facilitare la formazione di un’assemblea costituente che portasse reali cambiamenti democratici nel paese. Fondamentale era per l’avvio di un serio dialogo un segno di buona volontà da parte del regime che per l’NCEC significava soprattutto fine delle violenze politiche, pene severe per i colpevoli di crimini contro i civili, risarcimenti per le vittime e fine delle restrizioni sulla libertà di associazione. A questi punti fermi, si aggiunse la richiesta di un

131 governo di unità nazionale con lo scopo di evitare la disintegrazione dell’unità nazionale e il collasso dell’economia.133

Queste richieste arrivarono sul tavolo del Interparties Parlamentary Group, un gruppo informale formato da 25 parlamentari guidati dall’Attorney General che si riuniva presso il centro culturale Bomas of Kenya di Nairobi con l’obiettivo di discutere emendamenti alla Consitution Review Act.134 L’NCEC chiese pubblicamente che negli incontri di questo gruppo fossero invitati anche i rappresentanti dei gruppi di interesse della società kenyana come segno di apertura al dialogo da parte del governo.135

La reazione del regime fu quella di cercare di isolare l’NCEC dalle altre forze di opposizione e questo atteggiamento emerse in tutta la sua chiarezza durante la prima assemblea Bomas I aperta ai gruppi non parlamentarti che si tenne il 10 maggio del 1998.

L’NCEC espresse immediatamente i suoi dubbi su questa assemblea sottolineando l’impossibilità per le 400 persone aventi diritto di intervenire in una sola giornata durante i lavori dell’assemblea e suggerì un mese per negoziare e stilare un’agenda delle attività dell’IPPG che coinvolgessero tutti i gruppi politici e non interessati a dare il proprio contributo al processo di revisione costituzionale.

Nella discussione che ne seguì, l’Attorney General si adoperò per escludere l’NCEC dal processo decisionale e la reazione del NCEC fu quella di cercare di delegittimare in tutti i modi Bomas I invitando gli appartenenti ai partiti d’opposizione ad abbandonare l’assemblea.

Il successivo Bomas II fu convocato per il 23 giugno del 1998. In risposta alle richieste della società civile, il regime aprì la partecipazione ai

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Resolution 15, NCA Febbraio, 1998, Ufungamano House, Nairobi

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Il Bomas of Kenya è una museo etnografico a cielo aperto dove sono rappresentate le realtà dei villaggi tradizionali di alcune (circa una decina) tribù del Kenya

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Documentazione del NCEC, Towards a Muti-Sectoral Forum on the establishment of a

framework for the comprehensive review of the constitution. Memorandum presented to the Hon. Amos Wako, Attorney General, Nairobi, 20 Aprile 1998

132 rappresentanti dei 65 distretti e ai membri delle organizzazioni della società civile come l’arcivescovo cattolico Phillip Sulumeti, la Dr. Wanjiku Kabira rappresentante dei gruppi femminili, Erastus Wamugo rappresentante dei gruppi giovanili e il Prof. Kivutha Kibwana autorevole personalità del mondo delle NGO.136

La’attenzione delle formazioni politiche fu in tutto questo tempo apparentemente rivolta al processo di revisione costituzionale ma, alla prova dei fatti, i partiti erano totalmente concentrati sulle manovre legate alla successione di Moi.

Le intenzioni reali del regime iniziarono a manifestarsi quando, nei primi mesi del 1999, apparve chiaro che il processo di revisione costituzionale dovesse essere totalmente nelle mani dei rappresentanti del Parlamento. La risposta dell’NCEC non si fece attendere e il 7 luglio si svolse una manifestazione al parco Kamukunji di Nairobi il cui risultato fu quello di mettere in primo piano l’importanza dell’azione del NCEC in un processo di riforma che i Kenyani volevano sempre meno nelle mani del KANU.

Tuttavia, la capacità del NCEC di incidere su questo processo in maniera decisiva era legata alla mancanza di una vera e propria strategia d’azione. Questo era dovuto alla sua incapacità di radicarsi nelle realtà locali e in particolare nelle province rurali limitandosi ad agire nei contesti urbani. Per questo l’NCEC non riuscì a far evolvere dal suo spirito di movimento di resistenza alla repressione.

Il più grande contributo che l’esperienza del NCEC diede al movimento per la transizione democratica in Kenya fu quello di demistificare lo Stato e le sue forme di violenza e dimostrare al mondo quanto e come fosse possibile mettere pressione al regime.

Così il regime, di fronte alle manifestazioni di massa organizzate dal NCEC, fu costretto ad abrogare le leggi che avevano ristretto la libertà d’azione

133 della società civile dimostrando una grande abilità nell’adattarsi alle nuove spinte provenienti dal mondo dell’associazionismo.

Un adattamento del tutto formale visto che alla prova dei fatti il regime delegò l’uso della violenza contro gli oppositori a gruppi paramilitari privati che riuscirono a creare nel paese un clima di terrore e a screditare i gruppi dell’associazionismo civile come il NCEC.

L’incapacità del NCEC di far breccia fra la popolazione rurale permise al regime di trovare appoggio e legarsi a tutte le forme sociali ed economiche tradizionali e a sfruttare le divisioni etniche presenti nel paese ed in particolare in aree come Trans Nzoia, Marakwet e Turkana.

Un altro limite del NCEC fu quello di non essersi saputo evolvere da unico movimento civile capace di denunciare la volontà del regime di non modificare nel processo di revisione costituzionale: l’apertura al dialogo verso opposizione e società civile da parte del regime si tradusse in un’opportunità per auto legittimarsi da parte del governo di Moi agli occhi dell’opinione pubblica.