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L’EVOLUZIONE DELLA RICERCA SULLA SCHOOL EFFECTIVENESS

IL QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO: LA SCHOOL EFFECTIVENESS

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2.2 L’EVOLUZIONE DELLA RICERCA SULLA SCHOOL EFFECTIVENESS

Lo studio di Coleman et al. (1966)5, pubblicato dal Governo degli Stati Uniti d’America con il titolo “Equality of Educational Opportunity”, è considerato il punto di partenza del movimento sulla School Effectiveness Research (SER). In modo particolare, furono le sue conclusioni a dare l’avvio a una serie di ricerche e studi volti ad analizzare in maniera approfondita la relazione tra processo educativo e apprendimenti.

Obiettivo del Rapporto Coleman era quello di studiare la relazione tra il livello degli apprendimenti e il background socio-economico e culturale degli studenti. Lo studio prendeva in considerazione anche alcune variabili a livello scuola. Nello specifico, venivano analizzate tre tipi di caratteristiche della scuola: a) le caratteristiche degli insegnanti; b) le risorse materiali e il curricolo; c) le caratteristiche dei gruppi di studenti o delle classi. Una volta presa in considerazione l’influenza dell’appartenenza etnica e dello status socio-economico degli studenti, i tre gruppi di fattori a livello scuola, insieme, spiegavano solo una piccola percentuale della varianza nei risultati degli studenti. Va sottolineato il fatto che lo studio partiva dall’assunto che l’uguaglianza di opportunità deve essere valutata attraverso l’uguaglianza dei risultati piuttosto che attraverso l’uguaglianza degli input. Per questo motivo, i dati raccolti fanno riferimento non soltanto alle risorse educative a disposizione di diversi gruppi di studenti, ma anche ai loro apprendimenti, misurati attraverso i punteggi ottenuti a una prova. Per la prima volta, lo studio fornisce una risposta in merito alla misura e al modo in cui le scuole sono in grado di superare le disuguaglianze (in particolare quelle associate all’appartenenza etnica) che contraddistinguono i bambini al loro ingresso a scuola.

Lo studio di Coleman fornisce anche altri dati di estrema importanza. Per prima cosa, mette in evidenza che nel confronto tra scuole, con studenti con analogo background sociale, la relazione tra la qualità della scuola (misurata attraverso i più comuni indicatori quali, ad esempio, la spesa per allievo, le dimensioni della biblioteca scolastica, ecc.) e i livelli di istruzione degli studenti è debole. Al contrario, le differenze di background familiare risultano avere un forte impatto sugli apprendimenti degli studenti. In secondo luogo, il livello di istruzione di uno studente non è in relazione solo al suo background familiare, ma anche a quello degli altri studenti che frequentano la scuola. In seguito, la scarsa influenza dei fattori a

5 Il Rapporto è frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori (Coleman, Campbel, Hobson, McPartland, Mood,

44 livelli scuola trovò conferma in un altro studio6 condotto da Jencks e da alcuni sui colleghi (Jencks et al., 1972). Il lavoro, dal titolo Inequality: A Reassessment of the Effects of Family and Schooling in America, si basava su una nuova analisi dei dati del Rapporto Coleman. Il lavoro di Jencks mise ulteriormente in evidenza la schiacciante relazione tra background degli studenti e i loro apprendimenti e la scarsa possibilità per la scuola di intervenire per spezzare questa relazione.

Una serie di osservazioni sono state fatte al lavoro di Coleman, osservazioni che ancora oggi vengono prese in considerazione in tutte le ricerche sulla School Effectiveness.

Per prima cosa, rispetto al metodo, Goldstein (1997) sottolinea che non si tratta di uno studio longitudinale7, mentre «longitudinal approaches following one or more age cohorts over a period of time rather than cross sectional “snapshots” are necessary for the study of schools’ effects on their students, to allow issues of stability and consistency in schools’ effects from year to year to be addressed» (Sammons, P., 1999, p. 190). A sostenere la necessità di studi longitudinali è anche Willms (1992), il quale aggiunge che, al posto dei punteggi conseguiti dagli studenti in una singola prova una tantum, sarebbe opportuno prendere in considerazione i rates of growth degli studenti di una scuola.

Sempre rispetto al metodo utilizzato da Coleman per interpretare i risultati, ossia la percentuale di varianza come misura dell’impatto della scuola sugli apprendimenti degli studenti, Marzano (2003) fa notare che altri ricercatori, utilizzando misure diverse dalla varianza, sono arrivati a conclusioni diverse. L’approccio utilizzato da Rosenthal e Rubin (1982), ad esempio, fa riferimento al Binomial Effect Size Display (BESD) e prevede che le scuole siano distinte in due grandi categorie Effective Schools e Ineffective Schools, in funzione della percentuale di studenti che superano con successo una prova. L’assunto di base è che la metà degli studenti dovrebbe superare con successo la prova, l’altra metà non dovrebbe arrivare a tale risultato. All’interno di questa prospettiva, i risultati del Rapporto Coleman porterebbero a dire che “le scuole fanno la differenza”, in quanto oltre la metà degli studenti delle scuole individuate come Effective Schools superano la prova, diversamente da quanto accadrebbe nelle scuole che appartengono alla categoria delle Ineffective Schools.

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Anche Hauser (1976) conclude che i fattori a livello scuola spiegano valori minimi (1-2%) della varianza totale nei risultati degli studenti, una volta tenuto conto delle caratteristiche di background degli studenti all’interno della scuola.

45 Altre critiche sono state avanzate anche in riferimento alla misura utilizzata da Coleman - l’abilità verbale degli studenti, intesa come conoscenza del vocabolario - come variabile dipendente. Scelta che ha portato a una sottostima degli effetti della scuola sugli apprendimenti degli studenti.

«To assert that schools bring little influence to bear on a child’s general verbal ability that is independent of his background and general social context is not the same as asserting that schools bring little influence to bear on pupil’s achievement in a specific preparatory physic course … The fact that home background variables seem to be vastly more influential in explain verbal ability should not preclude or cloud any expectations we have that schools should have some independent effects on traditional curriculum areas which are systematically and explicitly treated as part of the instructional process» (Madaus et al., 1979, p. 210).

In questo modo, Madaus giunge alla conclusione che sono le Effective Schools a fare la vera differenza: differenze nelle caratteristiche delle scuole contribuiscono a determinare differenze negli apprendimenti degli studenti (Madaus et al., 1979).

«…studies […] utilizing tests of specific knowledge associated with school curricula as outcome measures are more likely to demonstrate a ‘large’ school effect» (Teddlie, C., Reynold, D., 2000, p. 91).

Come reazione ai risultati degli studi di Coleman e di Jencks, vennero condotti ulteriori studi, i cui risultati più importanti portarono alla conclusione che le scuole avevano in realtà un ruolo rilevante nello spiegare la variabilità delle performance (Brookover et al.,1979; Rutter et al., 1979). Questi risultati sono stati confermati anche da una serie di lavori condotti in tempi più recenti (Scheerens e Bosker, 1997; Teddlie e Reynolds, 2000).

Al di là della percentuale di varianza spiegata e al di là delle osservazioni in merito alla misura utilizzata come riferimento per individuare il peso delle variabili scuola, i diversi studi sulla School Effectiveness, in parte proprio per le loro criticità, sembrerebbero suggerire la necessità di continuare a perseguire l’idea che «le scuole possono fare la differenza» (Brookover et al., 1979). In realtà, spingendoci oltre l’idea espressa dal titolo dell’opera di Brookover, potremmo dire che le scuole debbono fare la differenza.

Poiché la scuola è un sistema, essa si articola in diversi livelli che interagiscono tra di loro. Al fine di poter analizzare l’eventuale relazione tra fattori scolastici e fattori individuali degli studenti ai diversi livelli, è necessario guardare alla struttura gerarchica dell’organizzazione scolastica. La necessità di adottare questa prospettiva pone la questione relativa al modello di analisi più appropriato per misurare, contemporaneamente, l’impatto di ciascuno di questi livelli:

46 «Multilevel modeling8 is a tool which has long been needed. There was a time when there was no solution to the problem that if you were working with the classroom as a unit of treatment you were nevertheless encouraged to use the student as the unit of analysis. The need to separate our effect at the various levels and model of data […] was acute. […] Because the data are more realistically modeled, multilevel modeling should be able to detect differences which other methods of analysis overlook.» (Fitz-Gibbon, 1996, in Teddlie e Reynolds, 2000, p. 62).

A livello statistico, le tecniche di analisi multilivello hanno rappresentato la possibilità di contribuire in maniera rilevante allo sviluppo di tale prospettiva. La loro introduzione ha permesso di tenere conto del background degli studenti rispetto ai loro risultati e ha consentito una stima dell’effetto di variabili che operano ai livelli più alti della gerarchia. A partire da queste considerazioni, sono stati proposti una serie di modelli in cui, all’interno dei diversi livelli, sono individuati una serie di fattori interrelati sia all’interno dei livelli che tra i livelli stessi. Tutti questi modelli si basano sui seguenti presupposti: a) gli apprendimenti degli studenti sono influenzati da fattori che operano a più livelli; b) gli effetti, sugli apprendimenti degli studenti, dei fattori - a livello classe e scuola - che possono essere modificati (dagli insegnanti, dalle scuole, dai decisori politici) dovrebbero essere controllati per il background degli studenti, c) i livelli più alti determinano le condizioni che a loro volta influenzano quanto accade nelle classi (Drent, Meelissen, van der Kleij, 2010).

Esempi significativi di tali modelli sono quelli proposti da Scheerens (1990), Creemers (1994), Stringfield e Slavin (1992)9 e Bosker (1997)10. I modelli generalmente comprendono quattro dimensioni: il contesto (esterno alla scuola), gli input, i processi educativi, articolati in diversi livelli, ad esempio: livello scuola e classe in Scheerens; livello scuola, classe e studente in Bosker; infine i risultati. Le dimensioni sono in relazione tra loro, così che i risultati conseguiti da una scuola sono necessariamente il prodotto di molteplici fattori.