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l'urbanistica commerciale ad una svolta?

Roberto Gambino

1. Quali relazioni esistono o possono stabilirsi tra lo sviluppo del commercio e lo sviluppo ur-bano ? quali ponti occorre get-tare per superare il solco pro-fondissimo che si è venuto man mano allargando tra il commer-cio (commer-cioè gli operatori, le im-prese e gli enti che se ne occu-pano) e l'urbanistica (cioè gii urbanisti, i geografi, gli ammi-nistratori pubblici e tutti coloro che sono chiamati o vogliono concorrere a configurare la « po-litica urbana ») ? qual è il si-gnificato che l'evoluzione delle strutture commerciali assume nello sviluppo delle città e qua-le l'impatto delqua-le misure urba-nistiche nel deviare,

correg-7 o

gere, promuovere l'espansione delle attività commerciali ?

A questi interrogativi, che da qualche anno hanno ispi-rato i dibattiti, le ricerche ed i piani « urbanistico-commercia-li », il recente Congresso inter-nazionale di Versailles (1) for-nisce una risposta ambigua ed insoddisfacente, che in parte smentisce le indicazioni dei lire-cedenti Convegni. Per chia-rirlo, è necessario richiamare brevemente il senso e le diret-trici principali del dibattito in-ternazionale fin qui sviluppa-tosi sull'argomento (2).

2. Il 1° Congresso interna-zionale di Bruxelles (nel 1966) dando pubblica testimonianza dei contributi scientifici e cul-turali e delle esperienze prati-che nei diversi Paesi, e provo-candone uno stimolante

con-fronto, costituiva in effetti una tappa saliente per la presa di coscienza di una realtà in gran parte sottovalutata o misco-nosciuta dagli stessi diretta-mente interessati.

Il rapido, spettacolare svi-luppo che, soprattutto nei Paesi più avanzati, toccava negli ul-timi decenni le strutture com-merciali e distributive, in pre-senza di non meno sconvolgenti evoluzioni della mobilità e dei modi di vita della popolazione, e di una tumultuosa e genera-lizzata urbanizzazione, avevano da tempo gettato in una crisi irreversibile le concezioni del commercio (ancora in gran par-te dominapar-te da un liberismo anarchico o corporativo) e del-l'urbanistica tradizionale (an-cora sotto il segno della matri-ce razionalista, con le sue di-stinzioni innaturali delle atti-vità nello spazio): la malintesa libertà del commercio perde infatti gran parte del suo si-gnificato di fronte alle neces-sità di programmazione e di concentrazione che le moderne strutture distributive postulano in modo sempre più evidente; cosi come la pratica segregante dello « zoning » urbanistico, si rivela totalmente incapace di cogliere il significato « qualita-tivo » e il « rilievo » delle at-trezzature commerciali, come elemento base dell'armatura ur-bana e nuclei di polarizzazione nei confronti delle popolazioni e delle altre attività di servizio. Tutta una concezione aristo-cratica e « malthusiana » del

commercio (curiosamente con-trastante con l'origine mercan-tile di tante nostre città) crolla di fronte al valore strategico delle strutture commerciali nel caratterizzare il « cuore » della città e nel definirne il ruolo territoriale. Cadono, di fronte allo scontro con l'esperienza reale dei paesi di più avanzato sviluppo ed ai contributi inter-disciplinari dei diversi specia-listi, le illusioni, tenacemente coltivate, di poter affidare la ricerca dell'equilibrio tra i ser-vizi e la popolazione al caso o all'iniziativa privata, o di

po-l po-l a tempo "Cronache Economiche" dedica particolare attenzione ai problemi della distribuzione, considerata da diverse angolature, strutturale, organizzativa, fun-zionale, urbanistica, ecc. Nel fascicolo di maggio-giugno 1971 è stato riportato un ampio resoconto del 3° Congresso interna-zionale organizzato recentemente a Ver-sailles dall' Associazione " Urbanisme et commerce " sul tema " Le commerce, mo-teur du dcveloppement urbain ".

Il presente articolo ritorna in argo-mento per mettere criticamente in luce, dal punto di vista di uno specialista di ur-banistica commerciale, certe insufficienze e contraddizioni emerse dal Congresso rispetto ai precedenti dibattiti, circa i molteplici fattori impliciti nel rapporto sviluppo commerciate-sviluppo urbano. (n. d. r.).

(1) 3° Congresso internazionale orga-nizzato a Parigi-Versailles nel mag-gio 1971 dall'Associazione internazionale « Urbanisme et commerce » sul tema: « Le commerce, moteur du développc-ment urbain ».

(2) Ai tre Congressi organizzati dal-l'Associazione « Urbanisme et commer-ce » (Bruxelles, Stoccolma, Parigi) oc-corre aggiungere, per l'Italia, quelli organizzati dall'Aicro a Milano (1967), dalla locale Camera di commercio a Bologna (maggio 1968), dalla Società di studi annonari a Trento, Torino, ecc. Si aggiungono poi le pubblicazioni di studi, ricerche, considerazioni critiche su riviste specializzate e non.

S h o p p i n g C e n t r e « N o r t h l a n d » ( D e t r o i t , U S A ) - U n e s e m p i o classico, t r a i più famosi, degli s h o p p i n g - c e n t e r s della « p r i m a g e n e r a z i o n e »: un'oasi in una r a d u r a p e r a u t o m o b i l i , nel v e r d e della campagna. C o n c e p i t o negli anni '50 da V. G r u e n , che oggi lo p o r t a ad e s e m p i o n e g a t i v o di u n ' e s p e r i e n z a da

n o n r i p e t e r e in E u r o p a , (da « L ' A r c h i t e c t u r e d ' a u j o u r d ' h u i » n. 83).

terlo perseguire in termini di semplice « adeguamento » nu-merico e quantitativo, con « ad-dizioni » generiche ed impre-cisate sul territorio.

Emerge la complessità delle interrelazioni tra la distribu-zione e lo sviluppo delle attività commerciali e di servizio e la crescita delle città nel territo-rio; e si manifesta in tutta la sua gravità il fallimento delle solu-zioni « settoriali », (V. Gruen, il padre degli shopping centers, ci rappresenta infatti ammo-nendoci a non ripetere l'espe-rienza, la « tragedia americana » della crisi dei centri commer-ciali, semplicistica risposta ai problemi irrisolti del commer-cio nelle grandi città americane e causa essi stessi di nuovi più

gravi problemi sulle aree e-sterne).

Si fa strada, anche negli am-bienti degli operatori pubblici e privati, quel concetto dell'or-ganizzazione gerarchica dei cen-tri e delle funzioni urbane nel territorio, fondato su prestigiosi e consolidati contributi teorici di geografi ed economisti (3), che doveva, proprio a Bruxel-les, ricevere una delle sue più clamorose affermazioni. L'in-cidenza del commercio nel de-terminare e qualificare i feno-meni di « centralità » urbana (e viceversa) era cosi posta definitivamente all'ordine del giorno.

3. Ma era inevitabile che i problemi del commercio

fos-sero cosi coinvolti nella pro-blematica, più vasta e generale, che proprio la « crisi della cen-tralità » nelle sue diverse acce-zioni, propone ormai all'atten-zione di tutti. Il 2° Congresso internazionale di Stoccolma (4) ne prendeva atto, affrontando il nocciolo della questione, con l'esaminare il ruolo del com-mercio in rapporto al declino generale dei centri urbani.

(3) Ci riferiamo in particolare alle « teorie delle località eentrali » ed a quelle sulle localizzazioni delle attività nello spazio economico, dal Christaller e dal Lòsch alle più recenti elaborazioni degli studiosi anglosassoni, come il Berry, il Garrison, il Curry, il Carol, ecc.

(4) 2° Congresso internazionale orga-nizzato dall'Associazione « Urbanisme et commerce» a Stoccolma nel maggio 1969, sul tema: «Le eentre-ville a-t-il encore un avenir ? ».

V à l l i n g b y ( S t o c c o l m a , Svezia) - U n a delle p r i m e r i s p o s t e e u r o p e e , a l l ' i n i z i o degli anni '60: il c e n t r o c o m m e r c i a l e c o m e « c u o r e » della « c i t t à - s a t e l l i t e » , distaccata nella campagna dalla c i t t à p r i n c i p a l e ,

m a ad essa s u b o r d i n a t a p e r le f u n z i o n i m a g g i o r i .

I] deperimento (« generale, ma non ineluttabile », secondo Lapalu) dei centri urbani si staglia infatti, con preoccu-panti contorni, su uno sfondo di imponènti modificazioni so-ciali, dominate dai « consumi di massa » e caratterizzate da un accentuato spreco di risorse economiche ed umane.

Rapporti dai più diversi Paesi documentano i vari mec-canismi per i quali si verifica lo svuotamento progressivo dei centri urbani, con una esplo-sione disordinata di decentra-menti e nuove coagulazioni pe-riferiche che determinano as-setti non prevedibili (anche i piani, quando vi sono, sono continuamente contraddetti dal mutare della realtà, grazie so-prattutto alla politica di loca-lizzazione delle grandi società) e presto superati da nuove con-figurazioni insediative. Tutta una tipologia in continua evo-luzione (gli « ipermercati » ed i « discount » fuori città, i grandi magazzini di mobili lungo le strade, i garden centers, gli autocenters, i motels, ecc.) scen-de a competere con 1 vecchi centri urbani, afflitti da sva-riati e complessi « fattori di

deperimento » (cui, nelle nostre città storiche, si aggiunge la rigidità del quadro architetto-nico-strutturale ereditato dal jiassato), sfruttando nel modo più vantaggioso la mobilità del-le cose e deldel-le persone.

Decisiva è certo, al riguardo, la funzione dei trasporti

pub-blici, per conservare o aumen-tare la competitività dei vec-chi centri assicurandone una adeguata accessibilità (e non è certo il caso di ricordare le

ingenti spese che, a questo pro-posito, i Paesi del Nord Eu-ropa, ed in particolare la Sve-zia, destinano); decisive le ope-razioni di ristrutturazione

ur-bana, che valorizzano l'assetto pluri-funzionale dei centri. Ma l'esperienza dimostra che, nep-pure nelle regioni urbane più « pianificate » (tipica la regione di Stoccolma) lo sviluppo dei trasporti pubblici e le più ar-dite ristrutturazioni urbane non possono assicurare una illimi-tata competitività dei vecchi centri principali rispetto a quel-li periferici, e salvaguardarne a lungo l'antica supremazia ge-rarchica: per molte ragioni, la concezione gerarchica (che pre-suppone un assetto piramidale a cascata, dal centro metro-politano ai centri urbani mi-nori, fino a quelli « locali », di vicinato) è in crisi, e si impone una organizzazione policentrica, in cui i centri periferici ten-dono ad assumere funzioni glo-bali sul territorio, non neces-sariamente subordinate rispetto al centro principale.

Rispetto al precedente Con-gresso di Bruxelles, quello di Stoccolma evidenziava dunque la necessità di un approccio globale ai problemi urbanistico-commerciali e proponeva

im-S k à r h o l m e n (im-Stoccolma, im-Svezia) - U n a r e a l i z z a z i o n e c o m p l e t a e m a t u r a di un « c e n t r o r e g i o n a l e » n e l l ' o r g a n i z z a z i o n e p o l i c e n t r i c a della r e g i o n e di Stoccolma. Il c e n t r o (pressoché u l t i m a t o ) ha f u n

-z i o n i c o m m e r c i a l i , sociali e c u l t u r a l i .

plicitamente un superamento (e, in certo senso, un vero ribaltamento) della concezione geografico-sociologica che lo aveva palesemente condiziona-to. L'ambiente in cui si svol-geva il Congresso dava con-torni reali a questa prospet-tiva, mostrando la regione di Stoccolma in via di assumere un assetto chiaramente poli-centrico, con centri regionali di prorompente vitalità, conce-piti con visione integrata del commercio, dei servizi pubblici e culturali, dei trasporti joub-blici e della viabilità ordinaria.

Quali sono stati gli svilup-pi successivi ? Quale il senso dell'ultimo Congresso di Ver-sailles ?

4. È difficile celare il senso di perplessità e di delusione ingenerato da un Congresso in cui gran parte delle preoccupa-zioni affacciate dai dibattiti precedenti sono state accanto-nate per far posto ad altre me-ramente funzionalistiche e set-toriali, in cui, dopo le gene-riche riaffermazioni del ruolo di « servizio pubblico » del set-tore terziario (ribadite dal pre-sidente, M. Cauwe), l'orizzonte ha potuto rinchiudersi sul pro-blema, ambiguo ed impreciso, del rapporto tra « libertà del commercio, ed esigenze di di-sciplina urbanistica ».

Il tono, in questo caso, vien dall'alto e, a dispetto di taluni interventi di cui diremo, è do-veroso rilevare che è sembrata dominante la preoccupazione di attirare l'attenzione pubblica sulla necessità di una concerta-zione dei « poteri pubblici » con quelli privati, per evitare che il commercio faccia le spese di ima politica urbanistica e ter-ritoriale approssimata, super-ficiale ed incoerente.

Questa preoccupazione è sta-ta espressa nel modo più espli-cito, oltreché dal presidente Cauwe, da G. Verdeil, diret-tore generale del commercio

interno e dei prezzi in Francia, che ha sottolineato come « l'o-biettivo di conciliare la libertà del commercio e della concor-renza con gli imperativi del-l'urbanistica ha costantemente guidato gli autori delle dispo-sizioni governative sul (Diano urbanistico-commerciale », e da M. David, segretario generale dell'Istituto francese del libero servizio e delle tecniche mo-derne di distribuzione, che ha riassunto le « ragioni dell'in-tervento pubblico » nel campo commerciale nella necessità di opporsi all'urbanizzazione « sel-vaggia », e di razionalizzarla, evitando anche la « prolifera-zione anarchica » delle grandi superfìci di vendita.

Il quadro comparativo della situazione dei diversi Paesi a questo riguardo pone in parti-colare evidenza l'orientamento francese. Se infatti negli altri Paesi, segnatamente quelli del-l'Europa orientale e del Nord (ed eccettuata l'Italia, in re-gime anteriore a quello instau-rato dalla nuova disciplina del commercio) la programmazione del commercio si inquadra nella pianificazione economica ed ur-banistica generale (non c'è una « urbanistica-commerciale » in

senso stretto), in Francia si esprime nel modo più chiaro il regime di «libertà tempera-ta ». Progressivamente maturati dalla C.M. del 24 agosto 1961, a quella del 29 luglio 1969 a quella del 22 maggio 1970, gli orientamenti assunti dal VI Pia-no ecoPia-nomico nazionale pos-sono essere cosi riassunti:

-— necessità di stretta con-certazione pubblica-privata;

-— pericolo di norme rigide; — necessità di migliorare la base informativa.

Talune altre raccomandazio-ni, riprese autorevolmente dal David, vanno eerto segnalate: -— l'opportunità di evitare le previsioni troppo rigide ed in particolare il rifiuto di stan-dards uniformi ed ufficiali;

— l'opportunità di un at-teggiamento « neutrale » rispet-to alle diverse forme di com-mercio (piccolo e grande) le quali sono complementari e tutte potenzialmente valide;

— l'opportunità di pianifi-care ad un livello territoriale adeguato, promuovendo «fe-derazioni di comuni ».

Il fatto che queste racco-mandazioni nascano da una

esperienza precisa durata oltre un decennio, le rende partico-larmente interessanti oltreché di viva attualità per il nostro Paese, che sta ora per affron-tare in modo più sistematico questi problemi. Ma non è chi non veda come esse si inscri-vano in una manovra globale, che ha già dato, jiroprio in Francia, vistosi risultati (basti pensare ai grossi interventi di Parly-2 e de La Defense) di

razionalizzazione e di decon-gestionamento del sistema, in modo da migliorarne l'efficienza e la funzionalità. Esse infatti combaciano perfettamente con quella « filosofia delle imprese », lumeggiata, per gli altri, da J. Yigneras (dei Grandi Ma-gazzini « Au Printemps »), che, di fronte all'insorgere, in com-petizione coi centri tradizio-nali, dei nuovi tipi di attrez-zature (a: le grandi superfici isolate, tipo ipermagazzini, b: i centri commerciali interamente pianificati, regionali, come Par-ly-2, o « discount ») prevede:

— lo spostamento

dell'atti-vità commerciale verso la peri-feria e l'aumento della concor-renza tra i centri periferici;

— la diversificazione delle formule commerciali, in quanto esse si integrano;

• — la personalizzazione più netta di ciascuna di esse (che deve essere chiaramente avver-tita dalla clientela);

— una politica commerciale molto elastica, con un adatta-mento continuo ai bisogni della clientela.

Non v'è dubbio che l'avve-nire del commercio al dettaglio dipende in Sempre più larga misura dall'appoggio dei pub-blici poteri e dalle misure ca-paci di incidere sulle modifi-cazioni globali della società.

Come osserva Sternlieb, il dettagliante è sempre più « l'uo-mo incaricato di distribuire un modo di vita »: l'evoluzione del-l'attività del dettaglio (la con-tabilità centralizzata dei costi e la crescente « computerizza-zione », la crescita delle società multinazionali, ecc.) lo

sposta-mento dei consumi dagli

og-o og-o

getti alla loro utilizzazione, la crescente mobilità residenziale e l'influenza decisiva dei con-sumatori jiiù giovani, fan si che il dettagliante debba trovarsi «in testa piuttosto che in coda », anticipare il futuro, prevenire e « soddisfare i bisogni del con-sumatore, prima ancora che egli sappia di averli ». Il pro-blema di vendere passa in se-conda linea mentre ciò che conta è imporre uno stile di vita: il centro commerciale del futuro (anche per offrire una alternativa agli acquisti per posta, per telefono, e soprat-tutto « per televisione ») dovrà offrire uno shopping che « costi-tuisca un'esperienza di cui nes-suno vorrà privarsi », come dice W. Rouse. Centri, dunque, di grandi dimensioni, a più piani, interamente climatizzati, estre-mamente attraenti e plurifun-zionali, facilmente accessibili soprattutto in auto ed intera-mente percorribili a piedi.

La dilatazione, in termini fisici e di contenuto, della fun-zione commerciale nel processo di sviluppo delle società dei consumi di massa pone in ter-mini affatto nuovi problemi che ancora ieri potevano conside-rarsi marginali. Basti pensare a quello della circolazione e dei trasporti. Poiché gli sposta-menti giornalieri per acquisto delle famiglie crescono col cre-scere della motorizzazione, e le nuove attrezzature commerciali intendono approfittarne al mas-simo, cresce l'incidenza dei par-cheggi (per gli ipermercati, in Francia, da 1 parcheggio ogni 6,4 mq di vendita nel 1967, ad un parcheggio ogni 5 mq di vendita nel 1971) e, in gene-rale, « l'impatto dei centri peri-ferici sul sistema dei trasporti » come osserva A. C. Dick. La scala assunta da questi pro-blemi è ormai tale che essi non possono essere affrontati se non con un'azione congiunta dei poteri pubblici e privati.

J J - c d e ^ ^ì - C J f i i e ^ - i c j - ' J W

Ma di fronte a queste pro-spettive, dominate da uno svi-luppo illimitato del consumi-smo e della motorizzazione pri-vata, è plausibile un atteggia-mento relativamente « neutra-le », tendente alla semplice «ra-zionalizzazione » del sistema ? Possono essere elusi gli interro-gativi di fondo che l'acceso di-battito culturale degli ultimi anni ha sollevato e che anche nei precedenti Congressi di Bru-xelles e soprattutto di Stoc-colma avevano avuto un'eco non remota ? Non è forse troppo evidente il l'ischio che la invo-cata « concertazione coi pub-blici poteri » finisca per assi-curare al capitale privato la « mano pubblica » che gli è ne-cessaria per gli sviluppi fu-turi ?

Anche la C.M. del 22 mag-gio 1970 in Francia sottolinea « l'importanza psicologica e

po-litica che hanno preso i pro-blemi d'attrezzatura commer-ciale ». E non sorprende, quin-di, al recente Congresso, sen-tire V. Bulf, direttore dell'Isti-tuto del commercio cecoslo-vacco, sottolineare le differenze profonde tra la Cecoslovacchia e l'Europa occidentale e ri-cordare che, in Cecoslovacchia, « lo sviluppo pianificato del-l'istituzione del commercio è adattato ai joiani complessivi dell'evoluzione socialista della società, in particolare l'evolu-zione del livello di vita e del-l'ambiente socialista ».

5. Era forse inevitabile che, in contesti non troppo diversi dal nostro, e per l'influenza, troppo poco criticamente rece-pita, dell'esperienza più avan-zata nordamericana, i problemi della libertà di commercio, le necessità « funzionali », e le contraddizioni interne causa-te dalla coesiscausa-tenza delle di-verse forme di associazione e di gestione, finissero per assor-bire l'attenzione delle istitu-zioni.

Ma sarebbe ingiusto non ri-cordare i numerosi interventi che, anche a Versailles, hanno ripetutamente debordato dalle linee direttive fissate dall'Asso-ciazione, ed evocato proprio quei problemi che — oggetti-vamente — si impongono jirio-ritariamente all'attenzione.

Poiché, dice L. Ginsburg, oc-corre che « non soltanto i bi-sogni economici, ma anche gli obiettivi sociali della società siano interamente raggiunti e soddisfatti », poiché « la cre-scita della popolazione e l'im-migrazione fanno esplodere le nostre città, che divengono città-regione, senza che questa nuova, forma regionale sia strut-turata e che sia assicurata la migliore utilizzazione delle ri-sorse fisiche ed umane », i pro-blemi centrali concernono il tipo di sviluppo, il « modello » di città cui occorre guardare, ed il ruolo strutturante che, per quel modello, può svolgere il commercio.

Qui l'interesse sta proprio nel confronto delle esperienze e delle intenzioni che stanno ma-nifestandosi nei diversi Paesi. Già si è detto dell'orientamento svedese, per una struttura

re-H d t o r g e t , nel c u o r e di Stoccolma, un e s e m p i o a r d i t o e complesso di r i n n o v a m e n t o u r b a n o di un c e n t r o e u r o p e o : ma l ' o p e r a z i o n e si i n q u a d r a o r m a i in una c o n c e z i o n e diversa da quella in cui nacque, poiché con il C . B . D . della m e t r o p o l i gareggiano o r m a i i c e n t r i r e g i o n a l i della r e g i o n e

di S t o c c o l m a .

gionale nettamente policentri-ca: il progetto per il nuovo centro a Jàrva city, illustrato da J. Hòjer, prevede un centro regionale che servirà 700.000 abitanti, di cui meno di 1/4 abitano o lavorano nei pressi. Ma l'esperienza di Stoccolma

La Defense, Parigi - U n n u o v o p o l o u r b a n o per una « Parigi m a i u s c o l a » , p i ù razionale, più efficiente, ma anche s e m p r e più g r a n d e e c o n c e n t r a t a . D o p o le affascinanti i p o t e s i delia « Parigi parallela », della « Parigi spaziale » e p e r s i n o della « Parigi s o t t e r r a n e a », una delle più grosse o p e r a z i o n i di r a z i o n a l i z z a z i o n e

d e l l ' i r r a z i o n a l e u r b a n o (da « L ' A r c h i t e c t u r e d ' a u j o u r d ' h u i »).

(ed il fallimento della imposta-zione gerarchica, con la corona di « città satelliti » dipendenti dal centro principale, in base al quale era stato inizialmente concepito lo sviluppo della re-gione) ha fatto scuola: il piano per la regione di Bielefeld, in Germania, illustrato da J. Hot-zan, si muove su due diret-trici:

— estensione urbana nella regione;

— rinnovamento urbano in-terno.

Poiché « la creazione di centri commerciali urbanisticamente isolati nel verde dei nostri spazi sarebbe indubbiamente da con-siderare come uno sviluppo mancato », i modelli di sviluppo della regione puntano decisa-mente sulla promozione di una rete di centri integrati (unità ottimale d'insediamento: 12.000

abitanti) che, in un quadro storico rinnovato all'interno, consentano, insieme ad una equilibrata distribuzione dei servizi nel territorio regionale, la valorizzazione del patrimo-nio storico, sociale, economico ed urbanistico.

La guerra agli shopping-cen-ters, è dichiarata: riferendosi al grande centro commerciale (di