• Non ci sono risultati.

La regolamentazione del lavoro effettuato all'estero

Giorgio Cansacchi

Il nostro tempo è caratterizzato da uno spo-stamento sempre più ampio di masse di lavo-ratori da uno Stato ad un altro; si è, cioè, inten-sificato il fenomeno di persone che lavorano fuori del loro Stato nazionale, ancorché questa emigrazione sia per lo più temporanea. Si notano non soltanto correnti emigratorie di lavoratori da paesi sovrapopolati e sottosviluppati verso quelli maggiormente industrializzati e con più allettanti possibilità di impiego, ma anche il viceversa e cioè flussi di lavoratori — special-mente di operai specializzati, di tecnici, di esperti, di dirigenti — dai paesi progrediti ai jjaesi arretrati. I rapporti giuridici di lavoro che intercorrono fra il datore di lavoro ed il lavora-tore assumono in molti di questi casi carattere di estraneità rispetto all'ordinamento nazionale del lavoratore e se — come spesso accade — il giudice nazionale viene successivamente richie-sto per giudicare controversie insorte da questi rapporti, esso dovrà ricorrere al suo sistema di diritto internazionale privato per accertare quale legge, nazionale o straniera, debba regolare gli elementi del rapporto oggetto di contesta-zione.

Questo problema della scelta della legge re-golatrice del rapporto di lavoro ritenuto «

estra-neo » all'ordinamento nazionale perché collegato

con ordinamenti stranieri, è di difficile risolu-zione per vari motivi: anzitutto la qualifica-zione « contrattuale » del rapporto di lavoro è rifiutata come insoddisfacente da molta dottrina e giurisprudenza e quindi si vogliono escludere come regolatrici le leggi che sarebbero richia-mate dalla categoria « contratto »; in secondo luogo il richiamo della legge vigente nello Stato ove il lavoro si è svolto presenta l'inconveniente che questa legge potrebbe essere meno vantag-giosa per il lavoratore o addirittura ingiustifi-cata per certe forme di lavoro (per es., per i diri-genti, per gli agenti e commessi viaggiatori, per coloro che si spostano, nel loro lavoro, da uno ad un altro Stato, ecc.); in terzo luogo i tenta-tivi della dottrina di depezzare il rapporto di lavoro nei suoi diversi elementi e di farli rego-lare da leggi differenti (per es., gli aspetti più

propriamente contrattualistici dalla legge voluta dalle parti e gli aspetti più propriamente assi-stenziali dalla legge del luogo di lavoro) presen-tano spesso soluzioni insoddisfacenti.

Un'ulteriore difficoltà è data dai contratti collettivi e dalle istituzioni previdenziali. Attual-mente in tutti i paesi si vanno generalizzando i contratti collettivi di lavoro che disciplinano i rapporti di lavoro per ampie categorie di lavo-ratori; il contratto di lavoro individuale non esprime che l'adesione a quanto statuito dal contratto collettivo della categoria di apparte-nenza. Per lo più questi contratti collettivi pre-sentano disposizioni imperative che si applicano a tutti i lavoratori della categoria, anche stra-nieri, i quali svolgano attività di lavoro nel ter-ritorio dello Stato; orbene: può avvenire che essi intendano proteggere i lavoratori nazionali anche quando lavorano all'estero; ne consegue che uno stesso rapporto di lavoro potrebbe cadere sotto la regolamentazione di due diversi contratti collettivi, uno a base territoriale e l'altro a base nazionale, fra di loro discordanti.

Anche più complessa la coordinazione fra gli istituti previdenziali dei lavoratori che in molti Stati fanno capo ad enti pubblici alimentati da contributi obbligatori di datori di lavoro e di lavoratori. Le norme previdenziali sono, in que-sti casi, norme di diritto pubblico, obbligatorie per tutti; quindi anche il datore di lavoro ed il lavoratore stranieri sono tenuti ad ottemperarvi e cioè a corrispondere i contributi per l'attività di lavoro esplicata nel territorio dello Stato cui l'ente previdenziale appartiene. Senonché la pre-senza di una pluralità di enti pubblici statali e l'attività di lavoro esplicata successivamente dallo stesso lavoratore in vari Stati con ritorno finale, per lo più, nello Stato nazionale, com-porta la necessità di appositi accordi fra gli Stati interessati sia per ottenere che i lavoratori stranieri vengano parificati ai nazionali in og-getto all'assistenza previdenziale (infortuni sul lavoro, malattie, invalidità e vecchiaia, disoc-cupazione, ecc.), sia per ottenere che i contri-buti corrisposti all'ente previdenziale straniero vengano calcolati, ai fini previdenziali, in favore

del lavoratore assistito, alla stessa guisa di quelli versati all'ente previdenziale nazionale.

La disamina fin qui fatta non ha certo la pretesa di essere completa; essa vuole soltanto dimostrare la complessità della materia e la dubbiosità delle soluzioni accolte in astratto.

^ ^ ^

Il tema è stato recentemente affrontato con solida preparazione dottrinale e giurispruden-ziale dall'Institut de droit internationàl (che riu-nisce gli internazionalisti più qualificati di tutto il mondo) nella sua sessione di Zagabria protrat-tasi dal 26 agosto al 4 settembre 1971.

Alla fine della sessione Ylnstitwt adottò, alla quasi unanimità, una risoluzione relativa ai conflitti di legge in tema di lavoro, consistente in un preambolo, in nove articoli ed in una rac-comandazione in tre punti rivolta agli Stati. Si deve rilevare che VInstitut, in considerazione della difficoltà della materia e delle differenti vedute della dottrina giuridica su molti punti, preferì enunciare una risoluzione da servire come direttiva per le riforme legislative degli Stati, che non un progetto di convenzione, redatto in articoli, che avrebbe avuto poche possibilità di largo accoglimento da parte dei governi.

L'Institut. aveva già trattato in passato l'ar-gomento della legge applicabile al contratto di lavoro con caratteri di « estraneità » e vi aveva dedicato una sua sessione, quella del Lussem-burgo, del 19.37; ma il lungo tempo trascorso da tale data e i mutamenti verificatisi sia nel campo economico-sociale, sia nella scienza giu-ridica, giustificavano un riesame del problema.

La raccomandazione ai governi che accom-pagna la risoluzione esprime l'invito ai mede-simi di incrementare i trattati bilaterali e mul-tilaterali indirizzati a tutelare i lavoratori emi-granti in oggetto alle condizioni di lavoro e di dare esecuzione a quelli già conclusi sotto gli auspici dell'Organizzazione internazionale del lavoro; di attuare, nei loro ordinamenti interni, anche in mancanza di accordi internazionali, l'uguaglianza di condizioni tra lavoratori nazio-nali e lavoratori stranieri immigrati, soppri-mendo ogni residua discriminazione; di discipli-nare le condizioni dei lavoratori stranieri emi-grati tenendo conto delle difficoltà d'ordine so-ciale, familiare e patrimoniale generate dall'e-spatrio.

Nel preambolo della risoluzione si sottolinea l'importanza assunta nel mondo attuale dal fat-tore migratorio onde numerosi lavoratori oggi lavorano all'estero creando poi problemi gravi di regolamentazione giuridica e coinvolgendo gli interessi spesso contrastanti dello Stato

nazio-nale del lavoratore e dello Stato in cui il lavoro viene esplicato.

La risoluzione dell'Institut parte dal princi-pio — accettato dalla dottrina e dalla giuri-sprudenza prevalenti — che agli effetti della regolamentazione giuridica del rapporto di la-voro svoltosi all'estero debbano differenziarsi la capacità delle parti a concludere un contratto di lavoro, dalla sostanza e dagli effetti del mede-simo, nonché dalla forma che esso riveste. Que-sti tre elementi possono essere regolati rispetti-vamente da leggi diverse. Nell'art. 1 la risolu-zione propone che la capacità delle parti a con-cludere un contratto di lavoro sia regolata dalla legge personale dei contraenti, legge che per gran parte delle legislazioni di indirizzo nazio-nale è quella della cittadinanza, mentre per le legislazioni di indirizzo domiciliare (anglo-sas-soni) è la legge del loro domicilio. Nel 2° comma dell'articolo, per garantire la buona fede delle contrattazioni, si dice, però, che il contratto di lavoro, concluso da uno straniero incapace se-condo la sua legge personale, deve reputarsi valido se egli sarebbe considerato capace se-condo la legge dello Stato nel cui territorio il contratto venne conchiuso; questa disposizione è assai simile ed ha le medesime finalità del 2° comma dell'art. 17 delle nostre disposizioni pre-liminari al codice civile.

Il 1° comma dell'art. 1 della risoluzione considera un'ulteriore evenienza: che nello Stato in cui il lavoro si svolge vi siano norme indero-gabili di divieto o di limite in tema di assunzione di lavoro; per es., norme sul lavoro delle donne, dei fanciulli, degli stranieri o condizionanti l'as-sunzione del lavoratore al possesso di partico-lari requisiti professionali o ad autorizzazioni amministrative. Per tener conto di queste even-tuali disposizioni il primo comma suddetto af-ferma che la capacità ad eseguire un determinato

lavoro deve essere accertata anche in base alla legge che regola la sostanza del rapporto, cioè della legge che — come vedremo — è nel mag-gior numero dei casi la legge dello Stato dove il lavoro si svolge.

In concreto la capacità di una persona ad effettuare un dato tipo di lavoro dovrà essere accertata alla stregua di tre leggi: della legge personale (di cittadinanza o di domicilio), della legge del luogo di conclusione del contratto di lavoro, della legge del luogo di svolgimento del lavoro.

Nell'art. 2 la risoluzione tratta della « forma » del contratto di lavoro. Vi si adotta il criterio dell'alternatività fra diverse leggi; il contratto di lavoro sarà reputato valido, quanto alla for-ma, ove questa corrisponda alle disposizioni anche di una sola di queste leggi: la legge che

regola la sostanza del contratto (che sarà per 10 più la legge del luogo di lavoro) oppure la legge del luogo di conclusione del contratto oppure la legge nazionale comune delle parti contraenti oppure la legge del loro comune domi-cilio. Questa soluzione, assai simile a quella dell'art. 26 delle disposizioni preliminari del nostro codice civile, è improntata al favor negotii. 11 2° comma dell'articolo stabilisce, però, che le disposizioni statuenti esigenze particolari di forma imposte al contratto di lavoro dalla legge dello Stato nel cui ambito il lavoro viene espli-cato, devono parimente essere osservate; ne con-segue che un contratto di lavoro che si esplica all'estero potrà essere ritenuto invalido per non essere state adempiute le particolari formalità disposte imperativamente dalla legge del luogo di lavoro; per es., formalità di scrittura, di atto pubblico, di preventiva autorizzazione gover-nativa, ecc.

Gli articoli 3, 4 e 5 della risoluzione riflet-tono la disciplina legislativa della « sostanza » del contratto di lavoro, cioè del contenuto, della validità intrinseca, degli effetti, dell'estinzione del negozio; tutti questi elementi — secondo il giusto punto di vista della risoluzione

dell'/,sti-tuto — devono essere regolati da un'unica legge

essendo incongruo e spesso impossibile preten-derne una regolamentazione frammentaria con leggi provenienti da diversi ordinamenti.

Quale deve essere questa legge? Come è noto sul punto vi è vivo contrasto fra la concezione contrattualistica che propende per la legge pre-scelta dai contraenti e la concezione dell'obbli-gazione extra-contrattuale che preferisce la legge del luogo di lavoro. Per la prima il rapporto di lavoro nasce sempre da un accordo fra le parti e le relative obbligazioni devono perciò ricon-dursi alla tematica del contratto; per la seconda l'accordo è un elemento secondario, per lo più riducentesi alla semplice adesione del lavoratore ad uno schema precostituito dall'impresa assun-trice e può anche non esistere o venir dichia-rato nullo o rescisso. Questa seconda concezione, oggi largamente diffusa anche per considera-zioni di pratica convenienza, fa sorgere l'obbli-gazione fra datore di lavoro e lavoratore dal semplice « fatto » del lavoro espletato.

Nell'ampio dibattito sull'argomento svoltosi in seno ali'Institut prevalse la tesi contrattuale, nonostante le contrarie argomentazioni e la grande autorità del relatore, l'ungherese Szaszy, favorevole, invece, alla tesi dell'obbligazione extra-contrattuale. Anche altre tesi intermedie proposte per conciliare le due opposte tendenze furono rifiutate; si venne, però, infine ad un compromesso che, se anche non totalmente sod-disfacente, sembra largamente accoglibile.

Afferma, infatti, l'art. 5 della risoluzione la preminenza della legge voluta dai contraenti. Se le parti contraenti hanno designata, stipu-lando un contratto di lavoro, esplicitamente o inqjlicitamente una data legge, anche straniera, questa legge esclude l'applicazione delle leggi indicate negli artt. 3 e 4 della risoluzione. Il pericolo fatto presente dallo Szaszy e da altri giuristi sarebbe quello che il lavoratore, con-trattualmente più debole del datore di lavoro e spesso ignaro delle conseguenze dei suoi impe-gni, si lasci indurre a preferire una legge rego-latrice a lui più sfavorevole di quella vigente nello Stato dove esplicherà il suo lavoro. Per contro si è eccepito che il lavoratore può essere favorito dalla scelta volontaria della legge di uno Stato industrialmente più progredito rispet-to alla legge di uno Starispet-to sotrispet-tosvilupparispet-to nel cui ambito andrà a lavorare.

Rimane l'inconveniente di un possibile con-flitto normativo fra la legge estera prescelta dai contraenti e la legge vigente nel luogo di lavoro, specialmente in ordine alle disposizioni di que-st'ultima ritenute inderogabili ed applicabili a tutti i lavoratori, cittadini e stranieri, operanti nel proprio territorio; per superare questo con-flitto molto opportunamente la risoluzione ha previsto l'art. 7, il quale afferma: quando il contratto di lavoro non viene eseguito nel terri-torio dello Stato la cui legge è chiamata a rego-larlo (per es. è regolato da una legge estera voluta dai contraenti), il giudice della lex fori può tener conto delle leggi e dei regolamenti del luogo di esecuzione del lavoro, il cui carat-tere ne impone l'applicazione obbligatoria a qualsiasi lavoro esplicato nel suo territorio. Il giudice dello Stato del foro — si noti — non è obbligato a tenerne conto, ma ha una potestà discrezionale al riguardo. Potrà tenerne conto specialmente in quei casi, in cui le norme vigenti nel luogo di lavoro e le previdenze specialmente patrimoniali da esse disposte siano più favore-voli al lavoratore di quanto non siano quelle disposte dalla legge estera designata originaria-mente dai contraenti.

Ove i contraenti non abbiano scelta una data legge estera come regolatrice del loro rapporto di lavoro, l'art. 3 della risoluzione dà la prefe-renza alla legge dello Stato in cui il lavoro si è svolto o deve svolgersi. Come si è detto questa è la legge che la dottrina e la giurisprudenza largamente preferiscono ritenendo il collega-mento del luogo di lavoro il più idoneo e giusti-ficato ad individuare la legge regolatrice del contenuto, degli effetti, della rottura, della vali-dità intrinseca, ecc. del contratto di lavoro.

Conseguentemente secondo la direttiva del-l'Institut il giudice dello Stato del foro, dovendo

regolare una controversia su di un rapporto di lavoro svoltosi all'estero, dovrà, anzitutto, ricer-care se i contraenti abbiano esplicitamente o implicitamente designata una data legge estera 0 nazionale come regolatrice del loro rapporto; ove questa designazione non sia avvenuta il giudice applicherà la legge estera del luogo di lavoro.

^ Sfc

Per legge regolatrice del rapporto di lavoro l'art. 6 della risoluzione dichiara giustamente di considerare non soltanto le leggi propria-mente dette ed i regolamenti statuali, ma anche 1 contratti collettivi di lavoro e gli usi profes-sionali. Circa i contratti collettivi l'articolo pre-cisa che la loro applicabilità è subordinata alla circostanza che essi stessi si considerino appli-cabili. Il punto per la sua importanza richiede maggiori spiegazioni. Le ipotesi possibili sono le seguenti: che esista un contratto collettivo, nel territorio in cui il lavoro si svolge, al quale la legge locale attribuisce effetti nei confronti di tutti i lavoratori, cittadini e stranieri; che esista un contratto collettivo, sempre sul terri-torio in cui il lavoro si svolge, il quale si appli-chi soltanto agli aderenti dalle associazioni sin-dacali contrapposte, ma le due parti del con-tratto vi appartengano; che esista un concon-tratto collettivo di lavoro, sempre vigente nel luogo di lavoro, il quale si applica soltanto agli ade-renti delle associazioni sindacali contrapposte, ma le due parti del contratto non vi apparten-gano. È evidente che nelle due prime ipotesi il giudice dello Stato del foro applicherà le nor-me del contratto collettivo di lavoro richiamato, mentre non le applicherà nella terza ipotesi. In sostanza l'art. 6 della risoluzione ritiene logico che vengano rispettati i limiti di efficacia, subiet-tivi e spaziali, del contratto collettivo di lavoro, quali risultano dall'ordinamento estero dello Stato nel cui ambito il lavoro si è svolto; il giudice del foro, nel richiamare alla regolamen-tazione del rapporto controverso una legge estera dovrà tener conto anche di questa particolare situazione.

Il relatore Prof. Szaszy aveva illustrato all'as-semblea plenaria dell'Institut numerosi casi in oggetto ai quali, a suo giudizio, sarebbe stato più conveniente far regolare il rapporto di la-voro da una legge diversa da quella vigente nel luogo di lavoro, non sembrando giustificato que-sto criterio di collegamento; l'assemblea ritenne, però, esclusivamente per ragioni di opportunità pratica, che si dovessero limitare al massimo queste eccezioni, pur riconoscendo valide le considerazioni del relatore.

Nel caso che il rapporto di lavoro si svolge nel territorio di diversi Stati o appare di natura transitoria o si esplica in luoghi che non sono in sovranità di alcun Stato o in luogo indeter-minato, la legge applicabile deve essere quella vigente nello Stato della sede sociale dell'ipresa assuntrice oppure del domicilio dell'i m-prenditore.

Nel caso che il rapporto di lavoro sia rela-tivo alla navigazione marittima, fluviale o aerea, la legge regolatrice dovrà essere nel primo caso quella dello Stato della bandiera della nave; negli altri due casi quella dello Stato di regi-strazione della nave fluviale o dell'aeromobile. Il relatore avrebbe desiderato che tra le ecce-zioni fosse esplicitamente menzionata quella dei dirigenti, dei viaggiatori di commercio e dei rappresentanti; in oggetto al rapporto di lavoro di questi lavoratori il relatore consigliava l'ado-zione della legge vigente nello Stato della sede sociale dell'impresa assuntrice, salva diversa volontà delle parti. Fu obiettato che non occor-reva una disposizione particolare al riguardo, giacché per i commessi viaggiatori il lavoro si svolge in diversi Stati e quindi essi rientrano nella disposizione surricordata (legge della sede dell'impresa assuntrice); per i dirigenti ed i rappresentanti il contratto di lavoro è sempre regolato per scritto e normalmente vi è esplici-tamente o impliciesplici-tamente richiamata la legge dello Stato in cui l'impresa assuntrice ha la sua sede centrale o quella dello Stato in cui ha sede la filiale o l'ufficio di rappresentanza nel cui ambito il dirigente o il rappresentante esplicano la loro opera con carattere continuativo.

L'assemblea dell 'Institut ha anche dichiarato di voler escludere dal suo campo di studio i rapporti d'impiego delle Organizzazioni inter-nazionali; questi, infatti, sono regolati dalle norme specifiche vigenti nell'ordinamento di ogni Organizzazione. La risoluzione ribadisce ancora il punto che in nessun caso le disposizioni di una legge estera richiamata a regolare un rap-porto di lavoro possa essere applicata dal giu-dice dello Stato del foro quando essa sia mani-festamente incompatibile con l'ordine pubblico dello Stato del giudice.

L'assemblea dell'Institut ha pure deciso di escludere dalla sua risoluzione ogni riferimento al problema delle previdenze sociali ed in parti-colare di non consigliare ai governi regole sui conflitti di leggi in materia di assicurazioni so-ciali, pur riconoscendo il benemerito sforzo del relatore nel proporre anche in questa materia opportune direttive.

L'Assemblea ha omesso di prendere deci-sioni in proposito sia per la complessità delle questioni insorgende dati i diversi sistemi

pre-videnziali vigenti negli Stati, sia perché in que-sto campo il problema essenziale è quello di jDromuovere accordi bilaterali o multilaterali fra gli Stati al fine di ottenere questi due scopi: 1°) che i lavoratori stranieri emigrati, nel periodo in cui lavorano all'estero, godano delle