• Non ci sono risultati.

Cronache Economiche. N.350-351, Febbraio - Marzo 1972

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Cronache Economiche. N.350-351, Febbraio - Marzo 1972"

Copied!
118
0
0

Testo completo

(1)

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

DI TORINO

350/1

SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE (III GRUPPO) • 70

CRONACHE

ECONOMICHE

(2)
(3)

cronache

economiche

mensile della camera di commercio industria artigianato e agricol-tura di forino numero 350/1 febbraio-marzo 1972 C o r r i s p o n d e n z a , m a n o s c r i t t i , pubblicazioni deb-bono essere i n d i r i z z a t i alla D i r e z i o n e della Ri-vista. L'accettazione degli a r t i c o l i d i p e n d e dal g i u d i z i o insindacabile della D i r e z i o n e . G l i s c r i t t i f i r m a t i o siglati rispecchiano s o l t a n t o il pen-siero d e l l ' A u t o r e e non i m p e g n a n o la D i r e z i o n e della Rivista né l ' A m m i n i s t r a z i o n e Camerale. Per le recensioni le p u b b l i c a z i o n i d e b b o n o essere i n v i a t e in d u p l i c e copia. È v i e t a t a la r i -p r o d u z i o n e degli a r t i c o l i e delle n o t e senza l ' a u t o r i z z a z i o n e della D i r e z i o n e . I m a n o s c r i t t i , anche se n o n p u b b l i c a t i , n o n si r e s t i t u i s c o n o .

sommario

L. Malie

3 Inediti di Federico Boccardo e precisazioni sul suo percorso F. Forte

17 La bilancia dei pagamenti italiana G. Cansacchi

43 La regolamentazione del lavoro effettuato all'estero G. Brosio

49 Le prospettive monetarie internazionali dopo gli accordi di Washington A. Panerai

57 Contabilità agraria, gestione aziendale ed assistenza tecnico-econo-mica in agricoltura

R. Gambino

64 Versailles: l'urbanistica commerciale ad una svolta? B. Brunetti

74 Circolazione automobilistica e risarcimento di danni P. Condulmer

77 Pensiero europeo tra valichi e trafori A. Cimino

83 Iniziativa estera e possibilità di sviluppo dell'Ecuador C. Costantino

88 Trasporti non stradali e comunicazioni nell'Iran A. Vigna

91 II 53° Salone internazionale dell'automobile: speranza e ripresa U. Bardelli

96 Aria ed acqua nei nuovi sviluppi industriali 102 Tra i libri

106 Dalle riviste

Figura in copertina:

F. Boccardo - Ingresso alla cascina Boccardo, Casalborgone - 1 8 9 8 circa (collezione privata)

Direttore responsabile: Primiano Lasorsa

Vice direttore:

(4)

CAMERA DI COMMERCIO

INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

E UFFICIO PROVINCIALE INDUSTRIA COMMERCIO E ARTIGIANATO

Sede: Palazzo Lascaris - Via Vittorio Alfieri, 15. Corrispondenza: 10121 Torino - Via Vittorio Alfieri, 15 10100 Torino - Casella Postale 413.

Telegrammi: Camcomm. Telefoni: 55.33.22 (5 linee). Telex: 21247 CCIAA Torino. C/c postale: 2/26170.

Servizio Cassa: Cassa di Risparmio di Torino - Sede Centrale - C/c 53.

BORSA VALORI

10123 Torino - Via San Francesco da Paola, 28. Telegrammi: Borsa.

Telefoni: Uffici 54.77.04 - Comitato Borsa 54.77.43 - Ispettore Tesoro 54.77.03.

BORSA MERCI

10123 Torino - Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi: Borsa Merci - Via Andrea Doria, 15. Telefoni: 55.31.21 (5 linee).

GABINETTO CHIMICO MERCEOLOGICO

(5)

Inediti di Federico Boccardo e precisazioni

sul suo percorso

1 Luigi Malie

Nel 1969, ricorrendo il cente-nario della nascita del pittore Federico Boccardo, pubblicavo su di lui un'ampia monografia, che intendeva essere una messa a punto, finalmente, della, sta-tura effettiva dell'artista, in sé e nell'ambiente in cui visse; poiché, in precedenza, soltanto Nietta. Aprà, nel 1951, aveva rilevato le singolari qualità del Boccardo in pagine di completa adesione, senza certi sottintesi limitativi o definizioni improprie che inficiavano note e articoli di quei pochi che a Boccardo ave-vano prestato sincere attenzioni, frammezzo ad una pressoché ge-nerale indifferenza.

Era, quella monografia, un sondaggio della personalità di Boccardo: impulsiva e control-lata, espansiva e prontissima a chiudersi, gentile e scontrosa, confidente e umbratile. Sondaggio condotto attraverso dipinti e di-segni, attraverso le lettere — non molte ma preziose — con-servate dalla figlia (lettere ai familiari, ma anche a terze persone), e attraverso le rievo-cazioni che la figlia stessa, paca-tamente, mi offerse della tor-mentata. e pur moralmente colma vita del padre.

Da quel sondaggio usci una configurazione dell'uomo e del-l'artista che ritengo costituisse — e tale rimanga ora — un apporto fondamentale alla com-prensione di Boccardo, penetrato nelle regioni più intime delle sue fedi, della sua poetica, dei suoi entusiasmi, dei suoi sco-ramenti, della sua ritrosia, ma anche della sua conscia valuta-zione della propria arte. Ap-partato, schivo, modesto, si; ma

non certo « umile », né tanto meno umilìantesi, bensì teso da una secca, anche se quasi sempre silenziosa, fierezza. Ma quando qualche malevolente contatto o qualche malcelata superbia lo pungevan troppo, la sua voce o la penna non si accontentavano soltanto di mezze parole.

Che quel, volume offrisse un apporto fondamentale, per gran pai-te costituito da elementi nuovi di giudizio, di confronto, di connessioni, di propensioni, di date, non vuol dire però che fosse un apporto né completo né definitivo. Ed infatti io stesso, ora, a. distanza di due anni, posso proporre, in queste pagine, nuovi elementi: non soltanto ma-teriali aggiunte al corpus boc-cardiano ma migliori possibilità di chiarirne gli sviluppi, di definire, meglio qualche momento di quella sua carriera che fu breve e pur non brevissima e nei riguardi della quale, due anni or sono, mentre potevo proporre

parecchie chiarificazioni e pre-cisazioni, non mancavo tuttavia di lamentar la difficoltà di /al-luce su alcuni problemi, di evi-denziar tutti i nessi, di metter pienamente, a fuoco la succes-sione delle opere.

In passato la conoscenza, della produzione di Boccardo partiva dal 1899: anno del ritratto, firmato e datato, della moglie. E forse è meglio dire che « sa-rebbe » dovuto partire, perché in realtà la considerazione ufficiale di Boccardo posava pressoché sempre su quattro o cinque di-pinti fra il 1903 e il 1912, più noti, o troppo facilmente rite-nuti i soli più rappresentativi dell' artista; e del ritratto della moglie, che è bellissimo e offre già la chiave del successivo figu-rismo boccardiano, realizzando un forte mutamento dalla vecchia donna di « Preparando la cena », datato 1898 e pressoché ignorato, di quel ritratto, appunto, non s'era mai tenuto conto come d'un

(6)

dato, ad un tempo, di sviluppo da una situazione culturale pre-cedente di sperimentazioni, e di partenza per un linguaggio uni-voco ed esclusivo.

Fu importante dunque, in primis, mettere a fuoco, o anche del tutto mettere in luce, un piccolo gruppo d'opere che, ac-costandosi a quella tela fir-mata e datata, e a due disegni preparatori per la figura della medesima, costituivano un grup-po di una dozzina fra tavolette, acquerelli, disegni, che assegnavo approssimativamente al biennio 1897-98, cui seguiva una quin-dicina di pezzi — per lo più disegni — databili con buona approssimazione al 1898-99 e al 1900. Poi verso il 1900 inco-minciavano i ritratti al natu-rale, a mezzo busto: si andava intanto definendo, nei disegni, un tratto più acuito, vibrante, di una eleganza ornata di cui forse non rilevai allora il timbro lievemente e personalmente « art nouveau », senza rischi di deco-rativismo né compiacenze deca-denti, ma sentendo di quella corrente, sobriamente, le attra-zioni leggiadre del ritmo, delle cadenze; nel 1902 si presentavano i « nudi » in interno, e nel 1903, con la « Bambina » Bertarelli, tro-vava piena formulazione l'inter-nismo boccardiano d'una « Stim-mung » silenziosa attorno a mo-deste cose e a ritrose anime:

che sarebbe proseguito, felicis-simo, per un decennio, lasciando gradualmente smorzare l'interesse vivissimo per il paesaggismo, che affascinò Boccardo fin dagli inizi e gli consenti spesso esiti splen-didi, rimasti per lo più ignorati perché pressoché tutti avvolti nel silenzio affettuoso di ultracasa-linghe e schive dimore di parenti e amici del pittore.

Nel particolarizzare in tal mo-do il curriculum boccardiano, pur trattenendomi allora ad un 1897 circa, per le cose più vec-chie, affermavo nel regesto bio-grafico che « sono collocabili agli anni 1895-98 tutti i dipinti e studi riferentisi alla Cascina Boccardo »; e cioè, pur non retro-cedendo opere note ad un mo-mento anteriore al 1897, per la difficoltà di ipotizzare date per un gruppo d'opere di cui nes-suna era stata datata dall' artista, allora in periodo di formazione {per la quale non era in alcun modo accertata, né agevolmente accertabile, la successione dei passi), mettevo pur in evidenza un avvio già da prima del 1897-98, almeno dal '95 quando Boccardo non era poi neppur un giovinetto, bensì, ventiseienne, aveva lasciato da poco l'Accade-mia Albertina di Torino, cui s'era iscritto ventenne nel 1889 e che frequentò, come mi con-fermava anche Emilia Boccardo, almeno fino al 1893, se non

oltre. Datavo, anzi, al 1890-92, un disegno, riprodotto nella mo-nografia, con motivi vari d'ornati d'Accademia, caratteristico c però assai fine esercizio scolastico, facente parte d'un gruppetto di pochi fogli analoghi che si pre-feri, in quel volume, non ripro-durre perché troppo scopertamente condizionato, invece che dalla personale ispirazione, da una disciplina precostituente i temi. E dico però, soltanto, i temi, perché i modi restavan pur sem-pre fuori da un'imposizione, almeno per chi avesse attitudini a sentir le cose da sé.

Se quel gruppetto di fogli appare un po' costretto e smor-zato da una certa noia del « compito », il disegno che ripro-ducevamo ne emergeva lasciando intravedere uno sguardo indi-pendente, un fissar gli oggetti più minuto che minuzioso, con un segno a tratti scomparente, per assorbir aria, o con ombre che maculavano pittoricamente la carta, in tocco indugiato e però più suggestivo che defini-torio. Insomma, sotto sotto, un silenzioso ma incostringibile sfug-gire alla « scuola ». Si potrà pur sentire l'eredità formidistica del-l'insegnamento d'un Enrico Gam-ba e d'un Andrea Gastaldi, ancor pesante canone dopo la scomparsa dei due illustri do-centi (Gamba nel 1883 e Gastaldi l'anno stesso dell'iscrizione di Boccardo all'Accademia), ma a parte l'esser tale eredità già corrosa dal più umoroso frizzo (non potremmo dirlo brivido o palpito) pittorico d'un Gilardi, Boccardo distruggeva già, sia pur timidamente, l'una e l'altro, fa-cendo fermentare, disfarsi, o coa-gulare, il tratto o la chiazza.

(7)

Accademia per un improvviso impulso, se la decisione avvenne in contrasto con l'opposizione paterna, che aveva ottenuto al-meno il conseguimento d'un di-ploma di scuola tecnica), al di là d'un nascere e primo crescere della vocazione artistica che non ci è più dato di ricostruire (né forse sarebbe utile), resta pur sempre il problema di come venne definendosi il dipingere del giovane Boccardo tra /'« uscita dall'Accademia e il 1898: un quinquennio all' incirca, in cui egli andò gradualmente matu-rando una propria visione, un proprio personale coglier cose e persone e aderirvi, un proprio senso della natura (montagne, acque, campagna o cortile che fosse) e della persona umana, ad un tempo conformandosi una propria tecnica, poiché è evidente che dalle prime opere note, balza un modo di dipìngere che ben poco divide, esteriormente, con i maestri per qualche tempo seguiti (per amore, oppure per forza); e l'impianto della compo-sizione, la. resa dei particolari, il segno, la gamma cromatica, la partecipazione morale, segnano un agire strettamente personale, una timbratura poetica sgorgan-te, si, da una individuale colo-razione d'animo ma che il proprio configurarsi e consolidarsi dovet-te raggiungerlo con parecchie e parecchie prove, dominando una situazione spirituale inizialmen-te contrastata, un poco aspra anche, un poco caparbiamente solitaria e coprente il calore interno sotto una certa ruvidezza, quasi una certa fredda ostilità.

Credo non sia arbitrario, né senza interesse, notare in « Prepa-rando la cena », come la secchez-za legnosa della donna, l'imme-diatezza del taglio, quasi da istan-tanea, della scena, la nudità risentita e quasi protestataria della gamma cromatica di gri-giastri e bruni e terre, qua e là illividiti, non siano, non dico in concordanza, ma almeno su un piano di risonanze morali

parzialmente analoghe con gli intenti (peraltro umanitariamen-te più dichiarati e pittorica-mente più aggressivi) d'un Gia-como Balìa agli inizi, il quale, torinese di nascita e a Torino iscrittosi, sia pur per poco, alla Albertina, era, non dimentichia-molo, di soli due anni più giovane di Boccardo e frequentò lo studio fotografico del padre di Pilade Bertìeri, che fu amico di giovinezza di Boccardo (forse anzi l'amicizia si legò proprio all' Accademia) e amico gli ri-mase, intimo, comprensivo, con-fortante, per tutta la vita.

Non è da escludere che proprio negli anni 1890-94 Boccardo, Bertieri, Balla, si trovassero tutti e tre legati, partecipandosi espe-rienze, per poi sviluppar tre vite diversissime.

Nel citato quinquennio 1893-98, Boccardo ebbe certo modo di dimenticar presto quell'Accade-mia che gli era stata di spinta temporanea e non supinamente accolta. Infatti la famiglia del giovane trascorreva annualmente soggiorni estivi alla propria ca-scina in Casalborgone: e Fede-rico, nella libera vita di cam-pagna non s'aduggiava davvero in studi dal nudo, né continuava, a disegnare o acquerellar capi-telli, cornicioni, membrature ar-chitettoniche o a disegnar membra umane come modello da caval-letto. C'era la campagna attorno

a fornirgli motivi finché voleva: campi, macchie d'alberi, burroni, colline, cascinali e casolari, muc-che; e se disegnava quest'ultime non era per mostrar conoscenze anatomiche, dell' animale ma per cogliere un brano di riposata vita agreste (le sue mucche ada-giate son respiranti come quelle di Fontanesi, però senza parte-cipare a un dramma cosmico; ed hanno l'evidenza di quelle di Pittar a pur rifiutandone la troppo scoperta verità ottica); e se disegnava o dipingeva per-sone non era. mai per far studio « di figura » ma per afferrare con acume e freschezza un mo-mento di vita — d'attività o di riposo — di donne di cascina o d'uomini dei campi: e basti pensare al « Contadinello seduto » e relativo studio acquerellato.

Quanto nuovi risultavano in-terni o esin-terni: i « Cascinali » del 1897-98, di formato quasi qua-drato, essenziali e tesi in una rusticità che investe, ad un tempo, impianto, luce e pennellata, op-pure la tavoletta della « Stalla », coeva, che par distruggere impal-lidite memorie di scuola fonta-nesiana nella nuda e quasi ag-gressiva inquadratura, nella som-mar izzazio ne quasi astrattizzante dei pochi elementi costitutivi, nell'energia, scabra e tutta succo della resa. L'acquerello dell'« Ab-beveratoio » della cascina, di semi-profilo con tre finestre, è pagina

(8)

esemplare per concezione, nitore specchiato, efficacia diretta e so-bria della macchiatura del guaz-zo, realizzando una forma di presenza tranquilla e intatta sen-za sbavare in descrizione.

Proprio a illuminare meglio il primo periodo, di Casalbor-gone, giunge ora un gruppetto d'inediti che mi furono scono-sciuti nel 1969. La produzione di Boccardo, è noto, si raduna tutta sotto pochissime denomi-nazioni di possessori: la figlia Emilia; uno o due familiari; tre o quattro collezioni private che acquistarono i loro pezzi vi-vente Vartista o, appena scom-parso, alla mostra postuma del 1913; due o tre altri privati che acquisirono attraverso il mer-cato d'arte un'opera costituente rarissima occasione (poiché il Boccardo poco fu venduto al-l'orìgine; e per lo più i possessori son legati da vincoli affettivi ai dipinti); la Galleria d'arte di Tot 'ino; e dal 1971 la Pinacoteca Civica di Varallo, città natale del pittore, ch'ebbe in dono dalla figlia Z'« Autoritratto » del 1901 circa, e la squisita « Natura mite » (« Na fia d'sùst »).

Ma dopo la mostra di com-memorazione centenaria del 1969 alcuni altri pezzi sono

riap-parsi: due dalla raccolta Velia Porta, che già aveva esposto i « Pupazzi giapponesi » ma non aveva avvertito di possederne altri ch'erano paesaggi non firmati, smorti sotto la vecchia vernice e la polvere, non riconosciuti dai proprietari come autografi; altri di privati, venuti in luce pochi mesi or sono; e gli altri undici (sette dipinti e quattro disegni), ritrovati da Emilia Boccardo come cose da decenni dimenticate e tenute nascoste per cattiva conservazione (distruzione dei telai, macchie di umidità, lace-razioni). In totale quattordici opere di cui solo cinque poste-riori al 1901 circa: fra queste cinque una è datata 1905 e due ritratti di Emilia son databili senza incertezza, per l'età della raffigurata, all'ultimo anno di vita dell'autore. Le altre nove opere son tutte giovanili.

Se varie fra le opere ritrovate a Sciolse si presentavano dete-riorate, soprattutto le tele spiegaz-zate e fiottanti, prive dei sup-porti, un esame attento dimostrò subito ch'esse erano recuperabi-lissime senza particolari diffi-coltà. E infatti un coscienzioso vintelo nei casi indispensabili, una cauta ripulitura poi, sia delle tele che delle tavolette, la

riparazione di alcuni strappi, riguardanti parti inessenziali, hanno riportato tutte le opere di Sciolse ad una perfetta pos-sibilità di lettura, rimettendo in luce la densa, corposa pasta cromatica già off uscata. E ritengo che, dato il numero di questi dipinti giovanili, aggiungentisi ai non pochi già noti, sia lecito ipotizzare il situarsi, almeno d'una parte di essi — e, con essi, di qualcuno dei precedente-mente noti, che avevo datato al 1897-98 — qualche poco prima, di quel momento, avvicinandosi a quel 1895 che, s'è detto, dovette segnare gli inizi ufficiali della pittura di Boccardo.

Non vorremmo, davvero, pe-dantemente situare « ad annum » ognuno di tali pezzi, quando non una sola opera rimane che porti una data tra il 1895 e il 1897 costituendo una base di fatto. Ma una qualche approssima-zione compositiva e una certa grassezza un po' lutulenta della pennellata, di fronte alla fer-mezza d'impianto e sostenutezza pittorica del « Contadinello se-duto » e di « Preparando la cena », consentono di prender distanze maggiori dal 1898, di quanto non. ardissi fare nel 1969 per le opere più antiche, da me non recedute prima del 1897. E se, a prima vista, di fronte alla brillante materia pittorica, addi-rittura umida e, a tratti tra-sparente, del « Contadinello », la materia di « Preparando la cena » par più sorda e spenta, ciò è soltanto conseguenza di offusca-mento che una semplice puli-tura rimuoverebbe, restituendo al dipinto il suo originario risalto ottico, la forza di contrasti, la ricchezza della pasta pur nel-l'intonazione generale volutamen-te bassa e fredda ad esprimer di per sé una povertà di vita, ma densa di contenuto morale.

(9)

ina andate smarrite. Ciò non esclude in modo assoluto che in uno od altro dei dipinti che ora presentiamo, sia da ravvisare lo studio - Paesaggio S. Raffaele » esposto a quella mostra e dì cui tutto resta ignoto: tempo, tecnica, supporto, dimensioni. Ma in •mancanza di riferimenti precisi, preferiamo non avanzar neppure qualche nostra congettura di rico-noscimento. E i titoli che qui si appongono sono di puro e sem-plice suggerimento tematico.

Penso possa stare ad un pri-missimo periodo boccardiano la « Strada in curva con casette », tavoletta di cm 31 X 20, che mi

par l'opera meno calcolata di impianto, composta rapidamente senza molta misura né medita-zione, realizzando una urgenza impulsiva che emerge dal nodo massiccio dei casali di sinistra, dal compresso girare, quasi imo sforzato storcersi, della strada, sotto la violenza delle strisce di luce e del cupo e sterzato ciglione erboso. Un quadretto sbozzato più che risolto ma cosi carico d'energia, di vitalità costretta, spessa, greve, bene in accordo con la combattività ancor oscura e indifferenziata di Boccardo giovane, con la pressione d'un sangue acceso, d'una passionalità bloccata. È un possesso un po' acre, duro, immediato, della vita, senza le sfumature che, ben pochi anni dopo, esperienze e sofferenze verranno a immettere, con l'urto quasi improvviso e col distacco dalla casa paterna, col costruirsi una propria famiglia come conforto e aggravio, col viver di pittura come sola gioia e ... solo pane.

Il timbro di crudezza adden-sata, con la stessa e anche più virulenta spessezza materica, ap-pare di nuovo in un'altra tavo-letta: « Ponte su torrente e colline » (cm 29 x 17), in cui le forme

travagliano ad enuclearsi, come sotto il peso d'una condizione originaria che le opprime e le compenetra. Faticosamente si sol-levano le onde da un ribollire

L'aia della cascina B o c c a r d o , 1898 circa.

massiccio delle acque, quasi, piut-tosto, un accavallarsi di sassi; onde aspre e pressoché informi come le balze della collina, le une e le altre graffiate dalla pennellata grossa e però solida e costruttiva. Un paesaggetto che trova differenziazioni di parti grazie al valore dei toni, pochi e decisi, accordantisi in una fusione franta da poche note in tagliente contrasto. Si stende sulla natura una un po' tetra solitu-dine, una un po' fosca ostilità che nel grigiore del cielo si attenua in chiusa malinconia. E però la drammaticità è solo apparente ; piuttosto c'è l'impetuosità facil-mente esaltantesi del giovane che blocca i suoi sentimenti nel timore che vengan feriti e chiude gelosamente l'animo su una ca-rica d'affetti che ne risulta tur-bata e ad un tempo fiera, desti-nata nel giro di pochi anni a

mitigarsi scoprendo la delica-tezza di fondo e la dolcissima ma tanto retrattile affettuosità.

Ed anche qui occorre dar atto a Boccardo d'una personalità e indipendenza di sentire che non temono, a quei giorni, un isola-mento, per la parlata acerba, la provvisorietà del taglio (sotto cui, però, si sentono elementi che vogliono costituirsi in una loro stabilità fuor del tempo), lo spregio d'ogni bellezza di forme e di finezza tecnica. È un Boc-cardo che ci dà una sospensione di sentimento che è, al tempo stesso, già intinta d'un diffuso, spontaneo, per nulla letterario crepuscolarismo, e toccata da una nota elementarmente espressio-nista.

(10)

{29 x 17), in cui è portato

al-l'estremo lo stacco dei bruni d'alberi e collina e il bianco-grigio livido del cielo. Quasi con un grido tagliente staccano dalla massa cupa le testate abbaglianti di due casolari. La pennellata si sfilaccia, qua e là tritata, o il colore si sparge e coagula in macchie informi e instabili, in un affiancarsi e sovrapporsi di elementi ambigui, imprecisi, di-latantisi, al di sopra del campo limaccioso di primo piano.

E proprio per opere come

queste, cosi impulsive, gonfiate da commozioni ancora in parte indistinte ma ferventi e generose, sincerissime e sprezzanti, quasi pagine scritte per sé. ad alleviar anima e sensi, in indifferenza o spregio per tutto quel che non è la propria giovinezza, scoprentesi, riterrei probabile un'esecuzione dopo il '93-94 ma prima del '97, quando ormai il pittore afferma una ponderazione dei mezzi e conferma un procedere più sot-tile, calcolato, meditativo; e i sentimenti, dall'iniziale urgere e

C o l i ine di C a s a l b o r g o n e , 1899.

scaturire, attrattivamente grezzi e non poco dispettosi, s'avviano ad esser ascoltati, filtrati, goduti.

(11)

minutamente le rughe della terra, con le loro tante piccole vicende, uguali e diverse.

In « L'aia della cascina Boc-cardo », l'autore dà il primo esempio tipico della sua arte; la tela, di cm 43 x 46, ha quel

formato pressoché quadrato che soprattutto dal 1902 troveremmo carissimo all'artista, e come in-dicante nella proporzione stessa un desiderio di particolare cali-bratura, di equilibrio, di ambito concluso, pacato. La pennellata è assai prossima a quella del » Cascinale » Della Porta e però più ricca, fermentante, rugata, cosi da. fervere e rabbrividire alla luce. Intimità, raccoglimento, solitudine; luce assaporata nel suo far vivere le cose; tagli netti di ombre; porte, imposte, fon-tanile, una piccola tettoia (?), tutti essenziali ma altrettanto partecipati, come compagni ta-citi dell'attività quotidiana. Il primo d'un gruppetto di singo-lari esiti poetici tramati sul tema d'un cortile e d'una strada, che condurrà a. cose certo molto più intime e liriche come « Strada di campagna » 1902, « Case di Rivalba « 1905, o « Pozzo al sole » 1907. Ma se « L'aia, della cascina Boccardo » non è ancor una pa-gina. cosi traboccante d'amore e di familiare modestia trasfigu-rata, impostata com'è su un contrasto ancor piuttosto forte e scandito di chiari e scurì, e se in essa non si concentra ancora quel senso straordinario di vita universale raccolto in pochi metri d'erba accanto ad un muretto sconnesso, o su una casetta fati-scente in scorcio, Boccardo s'è pur dichiarato già. qui con anima aperta e, di qui, il suo mondo rimane individuato, ha trovato il suo giusto « fuoco ». È la veduta d'una casa, d'un cortile, d'un pagliaio cosi come esso si riflette negli occhi e nel cuore d'una creatura, senza bisogno che, in quell'aia, creature siano dipinte. Di Boccardo, l'uomo che sosta in un cortile, che passa per la stradetta, son

pre-U c c e l l e t t o m o r t o .

senti anche quando non rappre-sentati. E nell'« Aia », poi, quel cielo terso, ch'è ad un tempo carico e impallidente, ha il ti-pico timbro azzurro-argento che sarà di alcuni fra i più squisiti e commossi paesaggi di poi.

Non è certo molto lontano nel tempo « Colline di Casalborgone », tela di cm 45 X 65, col prato

in basso, un filar d'alberi, il salire erto del colle a grandi pezzature abbaglianti, con un cascinale luminosissimo a mezza costa; e dopo alcune quinte di colli dalla contrastata vicenda luminosa, il profilo delle ultime montagne. Il sito, che non avevo individuato in altro dipinto dello stesso soggetto, nella monografìa del 1969, fu poco dopo ricono-sciuto esattamente da persone che vissero in quei luoghi, della giovinezza di Boccardo e che al pittore ed ai familiari furono legate da stretta consuetudine. Sicché l'occasione è propizia per dare lo stesso titolo a quelle « Colline con cascinale », là pub-blicate a tavola 94 e che allora, a seguito di molte riflessioni ed incertezze, avevo creduto di poter datare a vari anni più tardi, pur non esaurendo i miei dubbi né quelli allora avanzatimi da

Emi-lia Boccardo. In mancanza di altre opere strettamente affini, m'ero allora affidato soprattutto all'insolita tensione e violenza coloristica: un colorismo franto in pezzature vaste o sminuzzate, addirittura con la pungenza del grido. Verdastri acerbi, o carichi, e verdi smeraldini, toni fulvi e bruciati, bianchi calcinati, mar-roni, azzurri, argille, rossi, rosati aciduli o rosa teneri, arancioni accesi ed irritati, sfumature mal-va, violetti. Avevo perciò pensato, di fronte a quel dipinto, ad una esaltazione del colore nel periodo in cui Boccardo aveva tentato un suo accostamento alla suddivi-sione cromatica. Lo pensavo per la varietà dei timbri e gli. accosta-menti arditi tra note dissonanti; e mi restava pur sempre l'incer-tezza di fronte allo squillo dei colori, che le opere tarde non hanno mai cosi svelato e cosi sfaccettato, nonché di fronte a certa violenza espressionistica delle chiazze.

(12)

terrni-/

« U c c e l l i n o », C o l i . V. A u d a g n a .

nato, dopo le nozze ad inizio 1899, qualche opera appena ab-bozzata Vanno prima. L'esem-plare ricuperato è una redazione lievemente variata dell'altro, eh'è assai più piccolo (poco più della metà) e che ferma il soggetto da un angolo visuale spostato di non molto, cogliendo il cascinale mag-giormente di fronte e centrandolo nel quadro. Ma mentre l'esem-plare più piccolo è più radioso ed esultante, addirittura un trion-fare di squilli, il maggiore è cromaticamente più rattenuto, più teso, più chiuso, pur se le basi della gamma son le stesse. L'es-pressionismo dell'esemplare

gran-de è più drammatico e più aggressivo, e c'è da ritenere che esso sia nato prima, costituendo l'altro un momento successivo di più ragionata messa a fuoco del terna e di decantazione. Nel corso del '98, d'altronde, diffe-renze di pochi mesi contaron molto per Boccardo, segnando tappe ravvicinate, inter colle gate e rapidamente superantisi, d'un assestamento.

Ma a parte l'indizio dato dal riconoscimento del luogo, non v'è più difficoltà, a sistemare simili paesaggi intorno al 1898, ora che v'è anche l'appoggio stilistico offerto dal recupero dei

primi dipinti illustrati. E ne rimane sottolineato l'atteggiamen-to « espressionista » di Boccardo, espressionismo spontaneo dettato da una spinta passionale ancor da epurare e che peraltro va gradualmente smorzandosi, poi-ché i prepotenti contrasti e le illuminazioni cupe di quelle pri-me prove cedono — pri-mentre anche gli impianti si fan più calibrati e i tagli perdono occasionalità — ad intonazioni più dolci e a illuminazioni più pacate, tra-sparenti, tra il rosato e il dorato. Ne avevamo già le prove nel « Contadinello seduto », in atmo-sfera lievemente ambrata e nel « ritratto della moglie », col nitore della figura scura, la gentilezza casalinga del vaso di limoni, l'azzurrino della poltrona, il ros-siccio del tappetino sul tavolo, tutti accordati alla, gran stesura aurata-pallida del fondo.

E forse il caso di maggior concentrazione cromatico-lumino-sa in un riscaldarsi complessivo di rosa-dorato, è offerto dalla tavoletta detto « Ingresso alla ca-scina Boccardo », di cm 23,5 x

24 (collezione privata), indiscu-tibilmente del 1898, in cui l'ancor vivo espressionismo delle gran macchie del pergolato e dei ce-spugli a. pie del muricciolo, dai verdoni carichi e chiazzanti, va fondendo con il già scoperto intimismo, con l'amore per l'an-golo isolato e celato, col senso possessivo dolce e segreto del muretto, dei pilastri, del fra-scame presso cui sostar da solo, a goder d'un raggio o d'una ombra, tutti tuoi soltanto, d'una carezza rosata d'aria, che pur s'addensa a toccar una nota labile d'oro vecchio, tra lo sguaz-zar madido dei verdi. Calce e mattoni del muricciolo e dei pil.oncini son come una carne esposta al filtrar del sole, in un silenzio denso, dove tutto pulsa fervido e pur quieto. Anche qui la tavoletta è quasi esattamente quadrata: a dire una comple-tezza originale, un modulo in sé pieno, sufficiente e inalterabile,

ove le tensioni si plachino. La diagonale dell'ingresso dinamizza l'impianto senza scomporlo; le stesse chiazze di verzura si di-spongono in distribuzione con-trappcsata che dà e riceve evi-denza dalle semplici strutture murarie.

È qui detta, con voce sommessa e cuore d'innamorato dei piccoli nulla che possono reggere una vita ed essere porto nelle bur-rasche, una delle liriche più dense e fervide di Boccardo, con un calore d'ingenua giovinezza che poi sarà sostituito da un approfondimento interiore, sem-pre più sottile e penetrante. Ma Boccardo non perderà mai questa gentilezza e confidenza amica, questo riconoscersi del cuore nel-l'amore delle cose e per le cose, questa sorpresa felice per il miracolo d'una zolla, d'un mat-tone, d'una profilatura, d'un vaso, più tardi d'una mano abbandonata, d'una rosa tra le dita, d'uno scialletto, d'una chic-chera vecchia, d'un volto infan-tile, d'una fronte- rugosa, in continuo colloquio con una verità vissuta e amata di persone e oggetti, cogliendone il mistero e lo stupore d'esistenza pur senza invischiarsi in complicazioni dì animo, senza rischiar l'avventura di psicologismi.

Per questo, Z'« Ingresso alla cascina Boccardo » è uno dei recuperi più preziosi per lo sviluppo dello stile del pittore e per la storia interna dell'uomo. E giova mettergli accanto per la stessa libertà di tocco, per altrettanta o anche più sintetica riassunzione pittorica, per calore di tonalità, l'u Uccelletto morto », tavoletta di cm 32 x 24

(13)

d'un giallo miele, caldo e pro-tettivo. L'uccelletto, pur parti-tamente ben definito, è già cosa sfacentcsi, quasi un mucchietto di residuo carbonizzato che si sfalda tracciando scie nerastre. Non c'è ambiente, attorno ad esso; non è definito nessun luogo, non erba, non zolla, non muro, null'altro che una massa di colore a larga e dinamica spato-lata, graffiata dal pennello, o tritata, o raggrinzata o stesa liscia, e compatta dal raschiatoio; massa informe e inquieta ch'è pur nido accaldato e accogliente nella sua densità, come luce di sole al tramonto, rappresa. Non mi risultano opere di Boccardo in cui il tema sia tanto semplice c tanto superato in pittura pura; nessun indugio a definire, a commentare, nessun tentativo di scrivere una pagina acuta e inte-riorizzata da penetrare, per l'os-servatore, nella profondità dei suoi sia pur tenui strati di tempo. Né conosco altra opera di lui in cui lo sfondo abbia tanto preso l'anima dell' autore, nell'elaborazione di una materia pittorica informe e pur tanto variata, tanto emotiva e tanto espressiva. Un « bozzetto », in cui l'impressione commossa è river-sata intatta, l'osservazione del soggetto minimo è trasferita in pittura senza perdere un brivido di commozione, mantenendo inte-gra l'impulsività del primo sguar-do e realizzansguar-do un'esistenza allusa, aformale, d'un magma cromatico pulsante, attorno ad un disfacimento.

Non dev'esser molto lontano nel tempo un più piccolo dipinto, con uccelletto morto, in collezione Virgilio Audagna di Torino, la cui fotografia debbo al gentile interessamento del dott. Gigi Fo-gliato. È un'opera di intona-zione più bassa, trattenuta, ove il colore prende un timbro più malinconico e abbandonato. L'uc-celletto non è, qui, caduto sul dorso, ma appeso ad un chiodo, ad ali ri chiudentisi, in una tenera e sfumata chiazza di grigiastri

sul fondo smorto. Di contro alla precedente redazione in cui la pennellata è carica, larga, grassa, movimentata, qui è tutto raccolto: dalla cromia più uniforme, senza contrasti vividi, in espressione di tristezza rappresa, di ripiega-mento, di annullaripiega-mento, alla conduzione pittorica unificata, a tocchi fusi, senza eccitate e ner-vose raggrumazioni. Il risultato è quindi meno drammatico, per far luogo ad una maggior con-centrazione, ad una compassione rassegnata. Ci si può chiedere quale dei due dipinti sia nato pri-ma; crederci che il pezzo V. Au-dagna costituisca, per la sua umiltà d'apparenza e la tecnica più calma, un momento suc-cessivo, di riflessiva medita-zione.

Credo che il dipinto più pros-simo — relativamente — per parzialmente analoga tenuta tec-nica, sia il « Versante di col-lina », tavoletta di cm 37 x 27,

che è d'una rara essenzialità di taglio, e fficacissimo ; il frammento di colle in primo piano scende ripido imbrunendo cupo la cresta, oltre la quale si levano, annebbia-te e srealizzantisi, montagne più alte e lontane cui va confon-dendosi, al centro, il cielo. La

tavoletta ha una dominante ver-dastra e tende al monocromo, ma soggiogando un'infinità di piccole e minime vicende del colore che si frantuma in guizzi, chiazzette — quasi foglie morte, un istante riposantisi — graffi, increspature, croste, solchetti, gru-mi, scaglie. La. montagna in secondo piano è appena

accen-nata, opponendo a quella, ric-chezza. multiforme di materia, •una povertà sfatta e desolata, a tratti perfino slavata e appena ricoprendo la superfìcie del legno.

(14)

Cascinale e arboscelli, 1901-02 circa.

superando anche questa sostan-zialmente.

Si potrebbe, per Delleani, pen-sare a varie « Campagne » ese-guite soprattutto tra gli anni 1887 e 1891 (con seguiti anche più tardi ma cromaticamente troppo sfarzosi per un Boccardo); ed il nome e la fama dell'artista eran tali da non poter non colpire Boccardo giovane, che in più d'un paesaggio dellea-niano aveva anche un altro ele-mento da apprezzare: il senso addensato e vasto di solitudine, ma per escludere l'opulenza pit-torica, il taglio sempre « bello » e di scenico effetto, l'energico impeto, a favore della propria poetica chiusa, rusticamente spo-glia, che in questo « Versante di collina » tocca punte di calcata asprezza e di ostile sprezzo, quali, nella pittura piemontese del tardo '800, ricordo soltanto esposti da alcuni fieri e crudi paesaggi di Alfredo d'Andrade, spinti al massimo dell' essenziale quando non addirittura all'orlo d'un'informalità, come il laghetto di « Castelf usano », 1871, atta Galleria d'arte moderna di To-rino, in un livido incontro e compenetrazione d'acque, cespu-gli e nubi, spregiante ogni at-trattiva di tematica, ogni piace-volezza di composizione, ogni

leggiadria e virtuosità tecnica, per un colloquio diretto, .solitario e quasi pauroso con la natura.

Col « Versante » si chiude la parte dei recuperi che riguarda la fase giovanile dell'artista. I pezzi restanti scorrono lungo il primo dodicennio del '900.

Cosi il « Cascinale e arbo-scelli », eh'è uno fra i più bei disegni di campagna di Boc-cardo [cm 20,5 x 13,5), si situa

agevolmente nel giro di fogli di « Pianura con alti alberi », « Al-beri e chiesa », « Cascinale dietro filare d'alberi » (tavv. 44, 45, 46, della monografia) che sono data-bili intorno al 1901-02: e c'è ancor la memoria di « Grande albero e alberelli in valletta » e di « Gruppo d'alberi » che si avvicinano al 1900. È il Boc-cardo ormai caratterizzantesi per il superamento d'improvvise emo-zioni: un pittore che ora sulle emozioni sosta e indugia, at-tento e attratto, in una gioia dell'osservare, stavo per dire del toccare, ogni cosa: il sentiero, il tronchetto rugato, i rametti spogli 0 con foglioline tremule e ornate, 1 mattoni, le tegole, con uguale amore per ciò che è intatto e per ciò che si sgretola, per quel che è gioioso e per quel che è mesto, per ciò che la luce esalta e per ciò che l'ombra vela. Il casale

di questo foglio non è tanto uno squarcio di campagna, un fram-mento paesistico, quanto il ri-tratto amoroso e penetrante, veris-simo e insieme personalmente poetico, liricamente trasfigurante, d'una casa che nella luce svela le intattezze e le rovine, l'intra-montabile vitalità e l'erodente vecchiaia, e ch'è un rifugio di vite umane intuite.

Non ci vuol molto a rendersi conto che quel raccoglimento del vetusto edificio, le crepe e scro-stature di muri, il posarsi del tempo su mattoni, pietre, calce, son già sulla via che porterà diritto, in pochissimi anni, a figure come la infantile e pur tanto pensosa « Bambina » Bcr-tarelli e come la vecchia, consu-mata e resistentissima: « Deca-duta », carica di tempo e di ricordi come una vecchia casa slabbrata che aspetti il passare di altro — tanto — tempo ancora. Quanto all'altro foglio, pi.u piccolo, un disegno dì cm 10 x

(15)

preparatorio, è un' opericciola compiuta in sé, uno dei tanti casi in cui Boccardo isola un oggetto — vaso di legno, vaso di vetro, pupazzi di cera, una tazza una caffettiera, un pane, un bicchiere, una pera — magari collocandone un solo anche al centro d'un foglio grande.

Il disegno a matita «Ritratto di signora » a mezzo busto, se-duta su poltrona, foglietto di cm 18,5 X 20, è firmato e datato

1905; ed anche senza tal scritta potrebbe datarsi pressoché " ad annum ", cosi robusto e mordente com'è, carico di verità fìsica. di cui non un minimo tratto è superfluo, tutto facendosi sup-porto ed equivalente d'una inte-riorità che affiora nuda e senza riserve; una verità corporea e una consistenza psicologica scoperte fino ad un grado quasi di males-sere per l'osservatore; e si po-trebbe quasi dire impietosa la mano del disegnatore se la sua non fosse la impietà incolpevole del riflettere intatta un'immagine di vita esteriore e interiore, di cui nulla può esser negato, dal dettaglio materiale d'abbigliamen-to — materiale, ma pur parte d'una persona, d'un gusto, d'un tempo, vivendo con le creature stesse e di esse stesse — alla febbrile, per quanto tacita (tanto più, anzi, perché tacita) accalo-rata emergenza di sensi, negli occhi alonati, le sopracciglia gre-vi, il naso ispessito, la bocca sensuale.

La scrittura scorre allungata, unita, oggettiva, sensitiva, de-scrivente e creante: con lucidità tenace e distaccata, con parte-cipazione apprensiva, e affon-data. E la veste è anch'essa un ritratto, come il volto. C'è, in quelle pieghe, in quelle increspa-ture, nei leggeri sboffl, la stessa emozione sospesa e insieme acuta che Boccardo svelava nelle crepe di zolle o nelle rugature di tronchi in disegni campestri.

Quale ampio percorso da figu-razioni come le « Tre donne sedute » (monografìa, tav. 16)

ch'eran poi solo di poco più d'un quinquennio anteriori ! Quale do-minio, ora, delle apparenze delle cose (uomo, vestì, oggetti) e quale sondaggio sotto quelle apparenze ! Un primo passo era stato fatto con il disegno d'una « Testina di donna » (ivi, tav. 18) intorno al 1900, cosi ricca di fervide vi-cende del tratto e delle trepide ombre: ma ancor cosi tenera nella presa del profilo non tagliente, cosi dolce nella luminosità ugua-gliata del viso, cosi delicata-mente affissata in una sospen-sione d'animo più che in un pensiero e velante in pace una forse non facile ma rassegnata esperienza.

Ma nel 1903 il disegno firmato e datato d'una splendida « Testa di bambina » (non vi sono altri disegni di teste o busti, dal 1898-1900, mentre vi sono pa-recchi ritratti dipinti, attraverso cui si scala la adesione umana del pittore), è già, come tratto, assai prossimo al disegno ora discusso: un tratto, nella bam-bina, ancora un po' fluttuante, con un lieve abbandono nei capelli, ma cosi preciso, cogente, fìsicizzante e respirante nel volto. Alita ancora una dolcezza acca-rezzante che intride il segno sot-tile e però non incrinante. Ma basterà poco tempo per accentua-re, acuire la presa di possesso fisica e morale di Boccardo; e poiché siamo in campo disegna-tivo, lo dice bene un foglio, firmato e datato 1906, con la « Testa di Rosina » (monografia, tavola 69) in cui neppur l'aver a modello una bimba, la propria bimba alVincirca cinquenne, to-glie a Boccardo quel certo senso d'amarezza di vita cresciutogli in quegli anni, assieme ad una tristezza dolorosa, che non toc-cavano i ritratti dipinti nel 1900-1902, né laceravano ancora il velo di incosciente mestìzia del citato disegno di bambina del 1903 o il ritrattino dipinto della « Bimba » Bertarelli ma che già si potevano prevedere, sotto il controllatissimo contegno quasi

da collegiale, nella ragazzina della tavoletta « Natura mite » del 1905 nello sguardo non più solo pen-soso, ma di chi è predestinato all' abbandono, della fanciullina di « La Rosa », dello stesso anno (monografìa, tavole 61 e 62), per salire in superficie nella « Deca-duta » del 1906, quivi peraltro attenuate dalla generale aura

Vaso e scopa alla Cascina Bonfìglio, 1902-03 circa.

(16)

quadro alla parete, mentre nel ritrattino disegnato di Signora, del 190-5, la persona balza in-nanzi da sola, senza designa-zione d'ambiente, campendo sul bianco la propria palpitante esi-stenza, che è riottosa e contur-bante come Boccardo non espresse altre volte in tali termini.

La concentrazione psicologica, stavo per dire quasi una contra-zione, si manifestano negli ultimi anni di vita di Boccardo, ap-punto dal 1905 circa, nei suoi dipinti di figura che, a quel periodo, diventano prevalenti, scomparendo pressoché del tutto il « paesaggio » a sé stante, com-parendo invece la « natura morta » peraltro trattata — pur se con ottimi esiti, in disegni e pit-ture — poche volte, in anni ravvicinati.

Le figure del 1897-98, avevano un'accentuazione generistica che tuttavia il if Contadinello seduto » già oltrepassava perentoriamente, per la concisione formale e la vigoria di carattere, escludenti ogni aspetto di racconto. I disegni di donne tra il '98 e il 1900 avevano una dolcezza di senti-mento alacre, a volte una fre-schezza immediata, ch'era anche nel dipinto « Ritratto della mo-glie ». L'k autoritratto » circa il 1901 mostrava una sostenutezza un po' spavalda e però sotto-posta a disciplina, ma pur con

ip

R i t r a t t o d ' E m i l i a , d i s e g n o a m a t i t a , 1911 circa.

una qualche istintività estroversa, mentre il « ritrattino di signo-ra » su fondo verde del 1902-04 era già chiuso in un silenzio ostinato, bloccatura d'anima che non vuol concedersi, oltrepassan-do quella densità di presenza della « Margherita », e detta « Cia », che ebbi a datare in passato verso il 1901 e non oltre il 1902, ma che il recen-tissimo riconoscimento di sé stes-sa, della ancor vivente raffigu-rata, nella « Cia », obbliga a indietreggiare al 1899, (facendo considerare l'autoritratto come un passo già più maturato nella presa di possesso psicologica), entrambe a labbra serrate, e occhi fissi, la seconda poi addi-rittura selvatica, ma l'ima e l'altra con una pienezza di vita corporea, in « Cia » poi perfino scoppiante, cosi da farsi avanti, quei personaggi, con prepotenza almeno sul piano d'un contatto — o forse uno scontro — fisico. Ma la « Cia », cosi riottosa, era pur un preludio al « ritrattino di signora », meno cruda e ancor più solitaria, com'era solitaria la di poco precedente « ragazza in bianco con orecchini di perle » assorta e impenetrabile ma qual-che poco indifferente, di fronte alla ripulsa testarda detta « Si-gnora »: mentre la « Bambina » Bertarelli del 1903, tenerissima fin che si vuole, diceva già tutta una solitudine inguaribile, una sospensione di malinconia ras-segnatamente subita, come com-pagna inseparabile. E nel 1905, pur con tanta grazia e squisi-tezza, c'è lo sguardo che nulla vede al di f uori, di « La Rosa » e di « Natura mite ».

È proprio dello stesso anno il disegno più sopra discusso di « Signora », con la sua forza d'esistenza acre e scostante. L'an-no dopo, il ritrattiL'an-no disegnato di Rosina rivela una tenerezza struggente nell'autore, ma non è un ritrattino tranquillo né sereno, triste anzi e aggrondato; il tratto vi è mordente e amaro. Anche la « testa di Rosina » disegnata

intorno al 1908, amorosamente accarezzata, è però velata da una lontananza quasi dolorosa nella serietà e interrogativìtà — come un'attesa — non infantili. Né la » Piccola cucitrice » del 1907, col suo incanto di mezze luci e d'ombre tepide, offre alcuna dolcezza senza pensieri; vi si legge il riposo d'un rifugio in cui confortare, al color di crea-ture e di oggetti, una dolente, lacerata, delusa, umanamente ri-bellantesi vita: è Boccardo che con delicatezza amorosa, di mano, assorbisce, ricopre, una tenace pena, la vela sotto gli strati semitrasparenti e soffici del suo sguardo, avido di attaccamenti consolatori, per le « myricae » di casa sua.

La testa di « Emilia », studio preparatorio per la « Piccola cuci-trice », non è propriamente mesta e rassegnata come nel dipinto; è anche meno trasognato lo sguar-do; e però nella compostezza formale e psicologica, come balza un rifiuto di giovinezza, per una gravità umana troppo forte per il modello settenne! Emilia riflette, da allora, la pensosità e gli interrogativi silenzi paterni; in quel quadretto splendido ch'è « Nel prato » del 1908 (mono-grafia, tavola 91) con le note struggenti della veste bianca e detto scialletto rosso sul verde d'un prato privo di cielo, Emilia emana un'infinita tristezza dal volto e da quella, mano abbando-nata. ch'è un ritratto come il viso. Boccardo ha trasferito su di lei, con l'amore, anche il dolore; ed essa siede, mestissima, con una malinconia vecchia e divenuta colore abituale dell'ani-ma, avvolta in quello scialletto dai tocchi di colore rossi ma equivalenti, nella sospensione del-le chiazzette, a quelli deldel-le erbe.

(17)

R i t r a t t o d ' E m i l i a , 1911-12 circa. certa rassegnata calma ormai

traspare, ma a dire un qualche ripiegamento di ribellione ch'è anche un aumentato distacco. C'è lo stesso subire tacendo, di Emilia nel prato. E quando Boccardo nel 1910 dipinge « Ro-sina in posa » (monografia, ta-vola 97), non c'è da stupire che da tutta quella tenerezza d'af-fetti avvolgenti che carezzano la piccola, la sedia umilissima, il tavolo, vasetto e fiori e fin le strie sottili del rado ornato flo-reale della parete, ne esca una bimba dalla grazia tenacemente refrattaria, dallo sguardo basso, fisso, senza sorriso, dalla bocca serrata. Come una creaturina offesa, trepida, ma non condi-scendente.

Più tardi c'è « Candore », l'ul-timo quadro, non terminato; e la testina preparatoria; un ri-trattino a matita di Emilia, con la sola testa reclina: l'Emilia che cuce, pure a matita; e tutti, tolto forse il più riflessivamente severo studio preparatorio, dicono una febbrile e pur discendente pacificazione degli ultimi mesi di vita: con l'ansia di fare eppur l'avviarsi dolente ma già tutto espiato all'ultimo passo.

È a questa fase estrema che vengono ad inserirsi i due ultimi recuperi attuali; altri due ri-tratti di Emilia, un disegno e un dipinto. Sono entrambi del tempo in cui l'artista stava pre-parando « Candore ». Ma nel di-segno a matita, di cm 10 X 11,2,

come appare assorta Emilia e quasi raggelata d'anima! Non una bimba tra gli undici e i dodici anni ma quasi una donna precocemente invecchiata, penso-sa su chissà quale vuoto, su una pena a quei giorni sopportata da tutta la famiglia, su un duro evento atteso ma di cui non si deve parlare: un'attesa ch'è già un addio all'infanzia, cui non seguirà un'adolescenza ma già una maturità. Il disegno è toc-cato con mano leggera, essen-ziale e pur sempre penetrante: un foglio severo, d'una apparente

freddezza che scopre un'accetta-zione ineluttabile.

Il ritratto d'Emilia, su tavola di cm 38 x 50, riesce al primo

istante un po' ostico, come i pochi altri dipinti boccardiani che oltrepassino l'amatissima e connaturata dimensione tipica del maestro. Ci si trova un po' smarriti quando Boccardo si pro-va al far grande, alle forme ampie, alla pennellata lunga. Eppure quest'Emilia detta fine del 1911 o dell'inizio del '12, si regge per qualcosa che non è la baldanza dell' autoritratto sul 1901, né la gravità sensuale e riottosa di « Cia »; e davvero si

rimpiange che il dipinto rima-nesse non finito, perché qui, nel formato maggiore, Boccardo è tanto più direttamente di prima impegnato a cogliere una vita e, al tempo stesso, alterarla per riflet-tervi su i contenuti della propria. Il ritratto è robusto, perfettamente sostenuto, aperto, palpitante, qua-si rasentando un'implacabilità di definizione d'un modello che coin-cide tutto con una confessione di sé stesso.

(18)

compromette l'integrità del tutto, anzi conferisce, col suo vuoto, una potente pregnanza al capo e allo sfondo. Anche i fiori appuntati ai lati del capo sero da eseguire; ma tali rima-sero pure in «Candore», dove vivono da sé come due macchie bianche, quasi allusione a due rose o « saponarie »; macchie

sti-M i n i a t u r a con testa di bambina.

listicamente cosi efficaci e posi-tive. E c'è da chiedersi se, in entrambi i casi, il pittore, com-pletando le teste, non abbia sen-tito come una necessità il non definire i fiori, per non intro-durre un particolare troppo pre-cisato, rischiante di sminuire l'interiorità di quei volti, concen-trata, sospesa in un respiro, da non turbare. Interiorità che, nel ritratto grande, è nuda, scabra, tutta offerta senza difese fuor che quella della propria domi-nata consapevolezza.

Tradisce forse, lo sfondo, una

suggestione del tasselliselo di Reycend tardo ? Tradiscono le carni una qualche impressione dell' evidenza fisica di ritratti del Grosso ? Potrebbe darsi; ma, a parte il pieno senso di vitalità matura del morente Boccardo di fronte al cedere e disperdersi, a quegli anni, d'un Reycend tra-scinantesi ancora per un decen-nio, sopravvivendo; a parte la verità « umana » dei corpi in Boccardo e al loro riflettere l'a-nima, di contro alla prepotente corporeità del suo ex-maestro, sostenuto fino alla vecchiaia da un'istintività dei sensi indoma-bili e però tutta uguale e senza scandaglio psichico; a parte ciò quei richiami nell'estremo Boc-cardo starebbero solo per dire, ancora una volta, ch'egli non f u l'adepto di nessuno. E l'irrego-larità e la compenetrazione sen-sitiva di tocchi in quel tassel-lismo; il trepidante e pur model-lante infittirsi delle corte pen-nellate costituenti lo strato epi-dermico e ombrato delle guance, della fronte, degli occhi; tali elementi stanno a dire come la sostanza pittorica di Boccardo compia il miracolo di consistere, colma e resistente, al di là d'una sottilissima, sofferta e palpitante disgregazione, che come epura sempre più la sensibilità lirica dell'artista (basti pensare all'ul-timo « autoritratto » del 1912, che si disintegra in una corrosione cromatica per raggiungere una immagine incancellabile di tor-mento fisico e morale), cosi

con-suma al proprio fuoco, fino all'ultimo, qualunque spinta cul-turale esterna, sfiorata per quel tanto, rifiutandola nell'essenza, risolvendo nel proprio sangue quel po' di succo che, da, quella, rare volte, per avventura, po-tesse esserne spremuto.

(19)

La bilancia dei pagamenti italiana

Francesco Forte

1. Intendiamo qui analizzare la struttura della bilancia italiana dei pagamenti. Utiliz-zeremo i dati, attualmente disponibili, del 1970. Ci soffermeremo ora sulla « parte corrente ». In un successivo articolo, esamineremo il « conto dei capitali» e le voci del «movimento valutario a saldo » e considereremo i dati, clie allora saranno disponibili, per il 1971, in confronto al 1970.

L'analisi che faremo, oltreché a questo, ci servirà per capire come le vicende congiunturali e i provvedimenti valutari, monetari e fiscali anticongiunturali abbiano influito sulla bilancia dei pagamenti. Ma soprattutto, questa analisi ci servirà da riferimento concreto per mettere a fuoco alcuni aspetti metodologici e tassonomici che riguardano i tipi di bilancia dei pagamenti, il contenuto delle grandi voci che la compon-gono, il metodo con cui si riconciliano le varie voci nei diversi tipi di bilancia dei pagamenti, i criteri per la lettura e il confronto dei dati. Innanzitutto dal punto di vista tassonomico, dobbiamo mettere in chiaro che esistono tre tipi di bilancia dei pagamenti: quella «valu-taria », quella « economico-doganale », e quella « economica pura ». Non molti si rendono conto che i dati sull'andamento della bilancia dei pagamenti che vengono correntemente forniti si riferiscono a tre diversi concetti di bilancia dei pagamenti: ed è cosi frequente la confusione fra le valutazioni e le previsioni fatte assumendo l'ima o le altre delle tre nozioni.

Le differenze maggiori (ma non uniche) dei tre tipi di bilancia riguardano il commercio estero che è (salvo rare eccezioni per parti-colari paesi) la parte principale della bilan-cia dei pagamenti. Per rendersi conto delle diversità dei tre concetti di bilancia dei pa-gamenti, possiamo cominciare con il notare che nel 1970, nella nostra bilancia dei pa-gamenti valutaria, il commercio estero fini con l'avere un disavanzo di 1.350 miliardi di lire circa. Nella bilancia economica doga-nale il disavanzo può essere valutato in 1.120 miliardi, sempre per il 1970. La bilancia dei pagamenti « economica pura » dal canto suo, nel 1 970, presenta un deficit di circa 100 mi-liardi.

2. I tre tipi di bilancia dei pagamenti pos-sono essere contrapposti a due a due secondo le due seguenti dicotomie.

I dicotomia

' punto di vista « mo-netario » o di « cas-sa »

| punto di vista « eco-| nomico» o di «com-petenza » (reale o finanziaria) = bilancia valutaria bilancia economico-doganale bilancia economica pura.

Il primo punto di vista è quello che bada ai movimenti di moneta (in senso lato) che le transazioni che fanno parte della bilancia dei pagamenti generano nel momento in cui quelle si verificano. Si può anche definire un punto di vista di « cassa », nel senso che con-sidera le transazioni quando e in quanto deter-minino uscite ed entrate (di mezzi monetari in senso lato) nella « cassa valutaria » della Nazione, cioè nella sua Banca Centrale (in Italia, la Banca Centrale si avvale, per le nor-mali operazioni valutarie con l'estero, come cassa, dell'Ufficio italiano dei Cambi o UIC), quindi l'operatore a cui ci si riferisce, jner questa Italia - UIC, ad indicare che si tratta o della Banca d'Italia direttamente o di essa attra-verso l'UIC).

Il secondo punto di vista è quello che con-sidera le transazioni della bilancia dei paga-menti per il movimento di valori economici che esse provocano, nel momento in cui si deter-minano le acquisizioni o perdite di valori econo-mici, cioè nel momento « di competenza », come si dice con una nozione corrente della contabi-lità, indipendentemente dal fatto se esse diano luogo, o non diano luogo in quel momento, a movimenti di cassa. (A volte, ovviamente, il mo-mento del pagamo-mento e quello della competenza, coincidono, ma la distinzione concettuale dei due profili rimane). Il momento « economico » o di competenza si presenta diversamente, secondo la natura delle transazioni considerate.

Per le transazioni reali, cioè per quelle che comportano scambio di beni e servizi contro denaro (caso più frequente) o scambi di prodotti contro beni e servizi, si bada al momento in cui il flusso dei prodotti varca il confine, che è quello in cui si può dire, in senso economico,

(20)

per la nazione nasce il credito (esportazioni) e, rispettivamente il debito (importazioni) verso l'estero. Per i singoli operatori nazionali il cre-dito (e il debito) matura, verso l'estero, un po' prima o un po' dopo di questo momento, a seconda dei casi: il trasporto può essere infatti a rischio di chi dà o di chi riceve e il gradi-mento della merce può essere fatto alla sua partenza o al suo arrivo. Il riferimento al mo-mento della entrata o uscita dal paese taglia corto a queste complicazioni e costituisce un riferimento plausibile sia in sé e sia perché molto vicino a quello appena indicato. Per le transazioni che hanno solo aspetti finanziari (o perché unilaterali o perché bilaterali ma con-sistenti, su ambo i lati, di movimenti di mezzi finanziari anziché di prodotti) non si può ba-dare alla entrata o uscita materiale dal paese: ma in compenso il riferimento al momento in cui matura il debito o il credito qui, in molti casi, è agevolato dal fatto che si tratta di trasferimenti compiuti da governi (commesse militari, contributi a governi esteri, e organismi internazionali, ecc.) o di operazioni che si svol-gono attraverso istituti bancari che ne danno, in base alle norme valutarie, notificazioni al go-verno o/e alla Banca Centrale.

Questo vale in linea di principio. Però vi sono transazioni per cui non si riesce ad appu-rare la « competenza » e quindi ci si deve accon-tentare del riferimento alla cassa anche nella bilancia economica. Cosi è per molti servizi internazionali data la difficoltà di accertarne il flusso e/o il momento in cui sono « esportati » o « importati »; appurare il momento in cui sorge il credito e rispettivamente il debito; e cosi è anche per certe transazioni finanziarie relative a movimento di capitali, svolte in modo occulto e per certe transazioni finanziarie unilaterali che si svolgono senza una base contrattuale, per atto spontaneo (esempio tipico le rimesse). Va sot-tolineato comunque che il punto di vista « com-petenza » non si contrappone a quello « mone-tario » sempre come punto di vista « reale ». E può essere «reale» (per i prodotti) o «finan-ziario » (per le transazioni riguardanti contribu-zioni, movimento di capitali e interesse).

3. Ora vediamo la seconda dicotomia, fra i tre tipi di bilancia dei pagamenti.

punto di vista della omogeneità estrin-seca, delle registra-zioni delle voci II dicotomia

bilancia valutaria bilancia

economico-doganale punto di vista della

omogeneità

intrin-seca delle voci = bilancia economi-ca pura (ufficiale o effettiva)

Una bilancia dei pagamenti si compone di voci differenti, che possono comparire -— ciascuna — in entrata o/e in uscita dal nostro paese. Le poste possono essere riclassifìcate, fondamentalmente, in due modi: il più semplice, che consiste nel badare all'apparenza, al nome ufficiale con cui una certa voce si presenta nelle registrazioni ufficiali, e al valore che, in base a ciò, essa pre-senta; e uno più complesso, che consiste nel badare alla sostanza intrinseca e quindi porre in una certa classe anche voci che, pur appa-rendo ufficialmente in un'altra, per motivi este-riori di comodità di registrazioni, vi rientrano nella sostanza, nello spezzare voci di registra-zioni uniche, secondo la diversa natura in-trinseca dei fenomeni, che esse accolgono e nell'unire voci di registrazione diversa, in base alla omogeneità intrinseca dei fenomeni. E ovvio ohe, per l'analisi economica, in linea di principio quest'ultimo è il criterio migliore. Ma esso, che è proprio della bilancia economica pura, ha il difetto di richiedere tempo e di lasciare anche certe incertezze, per la difficoltà di ricostruire, dalla realtà cosi come appare formalmente nelle registrazioni, la sostanza e la sua consistenza. Quindi il primo metodo, nel suo semplicismo, è molto utile: fornisce dati immediati e, pur nella loro superficialità classificatoria, certi. In teoria, anche la bilancia valutaria potrebbe essere formulata secondo criteri di omogeneità intrinseca delle voci; in concreto quella che si usa, non adotta tale impostazione per due ragioni concomitanti. La prima è che se si segue il criterio della « cassa », già si rinuncia a quello economico per quel che riguarda il fatto se includere e quando includere, nella bilancia, una certa entrata o uscita; quindi non vi è una stringente ragione per adottare il criterio economico, nella classfica-i zione delle voci. A volte, anzi, esso determine-rebbe un certo conflitto, con il primo. Inoltre, proprio perché il riferimento alla cassa consente, di per sé, indicazioni certe e immediate, con-viene salvaguardare questi requisiti, anche nelle classificazioni. Se cosi non si facesse, la bilancia valutaria perderebbe una parte notevole dei suoi pregi.

Quanto alla bilancia economico-doganale, è proprio della sua natura di badare, per il com-mercio estero, a documenti ufficiali, quelli di dogana.

Riferimenti

Documenti correlati

conseguito non è proporzionato al maggior costo. Notevoli economie sarebbero possibili se l'Ente unico dei trasporti, oltre a quelle dipen- denti dalla migliore

(Foto Arch. Museo Civico, Torino). CRONACHE ECONOMICHE \11.. Museo Civico5.Torino).. Pace:: Adorazione dei pastori. Museo Civjco, Torino). Questa cassetta rien-.. CRONACHE

(*) Il rapporto di know-how tra le imprese di diversi paesi è stato l'argomento trattato durante il terzo ciclo della Facoltà internazionale per l'insegnamento del diritto

(Il consumo per usi industriali viene valutato per il 1970 in un quantitativo pari a 750 milioni di $, l'oro domandato come riserva di valore si aggira su una quota variante fra

Recentemente l a polemica su ll 'esatta por- tata della denominazione di « Comunità sop ra- nazionali », assai viva nel campo dottrinario e d anche nel campo

La sentenza nazionale dichiarante il fallimento ha imm edifLta efficac i a in tutto l'ambito comuni- tario senza bisogno di delibazioni o autorizza- zioni; essa

Corrispondentemente, ogni domanda effet- tiva (ogni domanda, cioè, in cui al desiderio di possedere un bene si associ la decisione di pagare il relativo prezzo e la possibilità di

Cosciani, Enrico Allorio, Francesco Forte, Aldo Scotto, Sergio Steve, Bruno Visentini e altri.. l'accertamento, della riscossione, delle sanzioni e del contenzioso;