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Pensiero europeo tra i/alleili e trafori

Piera Condulmer

Il Moncenisio ha sempre gran-deggiato nella mente dei politici fin dal Medioevo, come crocevia europeo: questo tanto più con lo spostarsi del baricentro politico ed economico francese dal Sud della Provenza e Marsiglia verso il Nord di Lione e di Parigi. La gara con il Moncenisio, già conosciuto nell'antichità roma-na, fu presto vinta nonostante la sua minore quota. La mag-giore fortuna del Cenisio dipen-de da due fattori, uno geografico ed uno politico; essere cioè il più agevole passo tra le vallate dell'Are e della Dora Riparia, dell'alto Rodano e del Po, e l'aver appartenuto, fin dall'alto Medioevo, ad una sola jiotenza in tutti e due i versanti.

Non si dice clie la storia vede con due occhi, quello della geografia e quello del-l'economia?

Ebbene il Cenisio, valico in-terno ad uno stato e passaggio obbligato dal Nord-Ovest di Europa al Sud-Est, è stato una delle maggiori fonti d'in-troiti per i Savoia, per i pe-daggi cui sottoponevano uo-mini e merci, l'obbligo della sosta di una notte in una locanda cittadina, il pedaggio sull'unico ponte sul Po. Collo-cato in posizione periferica ri-spetto al Piemonte propria-mente detto, i trasporti di transito erano obbligati ad at-traversare tutto il paese, con un certo beneficio economico per il medesimo.

Se guardiamo il Mons Cine-reus riflesso nella storia del Me-dioevo, noi lo vediamo intenso di traffici con una circolazione economica europea che fluisce e

defluisce nella valle di Susa, da Chieri, da Asti, da Pavia, da Genova, dalla Lombardia, dalla Toscana, dalla Spagna, dalla Borgogna, dalla Champagna, dalle Fiandre, dall'Inghilterra, con ininterrotte teorie di muli, di cariaggi, di furgoni carichi di sostanze tintorie, di pepe, di sale, di zafferano, di guaio-nessa, di sete orientali, di perle, di pelli, di lana nordica, di pannilana toscani, di quado, di ambra, ecc. Vi vediamo salire anche banchieri dei diversi Co-muni italiani, con il loro ta-lento economico e la loro po-tenza finanziaria, e andare a costituire le « Universi tates mer-catorum Italiae », lasciando an-cora a Londra, a Bruges, ecc. il deposito di denominazioni stradali e rionali. Tutto questo perché il passo del Cenisio rappresentava anche la sicu-rezza, in quanto sorvegliato e i Savoia risarcivano i mercanti

degli eventuali danni subiti lungo la via Reale, ripetendo in certo qual modo la « tuitio

imperialis ».

Vediamo molti romipeti pas-sare e ripaspas-sare pregando per la tortuosa strada, senza pagare alcun decimarlo o dacito, ma per grazia di Dio.

Purtroppo vediamo pure tan-ti armigeri, di tutte le nazio-nalità, di tutte le fogge, jnreei-pitarsi giù per il passo ad inondar li nostri dolci piani... E discesisti famosi..., fastigiati di corone reali ed imperiali, che non disdegnavano il me-stiere del predone!

Ma ciò si chiama guerra. I Savoia poi valutavano nella sua pienezza il privilegio di essere padroni dei due versanti del valico, e l'astuta politica di Emanuele Filiberto mirava a monopolizzare attraverso ad esso tutti i rapporti economici della Francia e anche della

sua spinta verso l'Est, conquista il rivale Sempione, ma il suo perno rimane il Cenisio, al quale, nei limiti del possibile imposti dagli interessi di Gi-nevra con Milano, tenta di far affluire il traffico interna-zionale, dragandolo da Tortona, da Pavia, facendogli attraver-sare il Piemonte anziché la Svizzera.

Ma la storia precipita; il Piemonte occupato da Napo-leone diventa provincia fran-cese, e il Cenisio una via in-terna dell'impero in diretta comunicazione con la capitale, Parigi. Napoleone vuol dare un aspetto imperiale all'antica strada Reale, portandola ad otto metri di larghezza, con case cantoniere distribuite tra Lanslebourg e Susa, rimoder-nando l'ospizio, costruendovi accanto un albergo, un ufficio di posta e stalle per trecento cavalli. Su di essa si poteva ormai viaggiare con carrozze a due e quattro cavalli, con il carrozzone di posta e persino con la diligenza. Non c'era più bisogno di smontare i veicoli, caricarli sulle spalle dei porta-tori per superare il valico e la Novalesa, e nemmeno più di farsi « ramazzare ».

Quando passandovi, Napo-leone se ne compiacque per l'ultima volta? 1815: per l'Eu-ropa ei fu.

La strada rimase e ritornò piemontese, ma si trovò di nuovo di fronte al Sempione con cui misurarsi. Peraltro la geografia politica aveva mutato i connotati alla carta geografica: la repubblica di Genova era unita al regno Sardo, che con-centrava ora nelle sue mani il ricco movimento portuale e delle strade delle due riviere, e voleva quanto possibile con-vogliarlo verso il Fréjus per farne beneficiare la Savoia, e per allontanarlo quanto pos-sibile dalla Lombardia austria-ca. Durante la Restaurazione la politica dei trasporti piemon-Spagna, perché il mare era

infestato dai pirati, con gli stati .italiani, e a fare di esso uno dei grandi assi di transito europeo dall'emporio di Lione alla pianura padana, proprio secondo quella via che oggi chiamiamo del 45° parallelo, E 13, e che per i romani del basso impero univa la capitale imperiale di Milano con la capitale gallica, cioè Lione.

Allora il Cenisio aveva un

solo rivale al quale non rispar-miava colpi, il Sempione, col quale i rapporti rimarranno sempre piuttosto tesi. Que-sto anche dopo il trattato di Aquisgrana del 1748, quando il Sempione entrerà a far parte del territorio del Regno Sardo, insieme con la riva destra del Ticino, la Lomellina, l'Oltrepò pavese.

Il Piemonte raggiunge con questo il primo traguardo della

D i l i g e n z a che avanza con d i f f i c o l t à nel fango.

La d i l i g e n z a si p r e s t a a l l ' a l l e g o r i a p o l i t i c a : « B i s o g n e r à c a m b i a r e i cavalli (cioè i m i n i s t r i ) p e r andare a R o m a » dice G a r i b a l d i all'Italia.

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tese si esprime sempre più in funzione antiaustriaca, e uguale la ritroveremo nella rivoluzione del sistema delle comunicazioni compiuta dalle ferrovie.

Ma siccome la concezione economica tributaria sta evol-vendosi verso una concezione mercantilistica anche nella va-lutazione di un dato geografico, si avvedono i Savoia a un certo punto, cioè dopo il 1815, di avere in mano linee di forza da Sud a Nord che interessano di-rettamente Genova, con le quali poter attuare ciò che con Nizza, data la sua posizione, non ave-vano mai potuto realizzare.

Questa poteva essere la volta di utilizzare bene anche il Gran S. Bernardo, per i rapporti con la Svizzera centrale e i paesi renani; mentre per la Svizzera orientale e la Germa-nia, si sarebbero serviti del Sempione, ma tenendosi sempre molto al di qua della riva destra del Ticino, in modo da

interessare il territorio del loro stato, al massimo.

Il bello si è che anche quel sovrano tacciato di austrofi-lia e di cieca reazione, Carlo Felice, si affrettò a portare a compimento un'opera pro-gettata da Napoleone ma che rispondeva ai fini politici del-l'economia dei tras(Dorti del Piemonte; e cioè la costruzione della rotabile dei Giovi, Torino-Genova, con la diramazione per Mortara - Novara - Arona - Lago Maggiore, escludendo Milano. In più sovvenzionò del proprio la costruzione in Svizzera della strada del S. Bernardino. Le intenzioni di Carlo Felice non potevano essere più chiare, tan-to chiare che l'Austria le capi, provvedendo tosto al contrav-veleno proprio in Svizzera, la quale si trovò ad essere quel terzo che gode tra i due liti-ganti.

Ci avviciniamo alla grande stagione ferroviaria; tutti i paesi

civili si accingono a misurare le loro forze con la strada di ferro prima, per trasporti pe-santi, a cavalli, e poi con il mostro dal ventre ribollente. Intanto nel suo grande grem-bo la scienza, composta di tante idee grandi e piccole, talvolta senza apparente lega-me, raccoglieva i diversi con-tributi dell'Europa dal '500 all' '800, che erano rimbalzati dall'uno all'altro uomo di scien-za o di genio, e li articolava nella locomotiva e in tutti i problemi ad essa connessi: Pa-pin, Newton, Watt, Stephen-son. Però a questa circolazione d'idee manca un anello della catena, quello di Giovanni Bran-ca, di Pesaro, che aveva depo-sitato alla banca della storia il suo libro « Le macchine » (1629), che erano dotate di « un motore meraviglioso » il quale era capace di muovere col vapore un mulino a Milano. Di lui non si dimenticò

one-stamente il professor Arago, quando all'Académie Frangaise proclamò: « Si contre toute pro-babili té, la vapeur est un jour employée utilement à l'état de soufflé direct, Branca, ou l'auteur actuellement inconnu à qui il [cioè il Watt] a pu imprunter cette idée, prendra le premier rang dans l'histoire du nouveau genre de machine ».

In questo, purtroppo, l'Arago non è stato profeta.

Idee e problemi; problemi ed idee. Ora l'aumento della velocità rendeva urgente risol-vere il problema dell'attrito radente, che già tuttavia era passato al vaglio del pensiero europeo, con Galileo, Pascal, Lagrange.

Ma queste idee stavano di-ventando le grandi rivali delle strade Reali e proprio in virtù di esse si presentò al re di Sardegna il più audace pro-gettatore dell'audace ottocento, per intaccare la barriera delle Alpi. La sua non fu una sfida, bensì una manifestazione di amore proprio per il suo Cenisio, perché potesse mantenere la sua illustre funzione. Questo uomo, Médail, aveva il senso della geografìa e dell'economia dei trasporti e l'intuizione della ineluttabile evoluzione della scienza, della tecnica e dell'in-dustria. E con la costanza

deri-vante dalla certezza di essere nel vero, faceva affluire sui tavoli dei ministeri, relazioni, progetti, conclusioni, statistiche di natura geologica, di natura economica, di natura tecnica. Un anno dopo la sua morte, nel 1845, i tecnici si accorge-ranno ch'egli era stato esatto in tutto, il povero doganiere e impresario stradale, che, sgo-mento di fronte al possibile isolamento del Piemonte nella gigantesca lotta europea per l'accaparramento dei mercati e delle vie, scrive al re nel suo Memoriale del 20 giugno 1841: « In circostanze cosi gravi non bisogna usare le mezze mi-sure, attendere i grandi mali; affrettiamoci ad aprire attra-verso il massiccio delle Alpi una ferrovia che colleglli C'ham-béry, Torino e Genova alle ferrovie della Francia, la cui prosperità è in qualche modo legata a quella dell'Italia ».

In nuce c'era già la spina dorsale delle ferrovie che saran-no preziose nel Risorgimento. Le parole scritte dal Cavour il 1° maggio 1846 sulla Revue

Nouvelle sembrano completare il suo pensiero: « Ce chemin sera une des merveilles du monde... Cette ligne fera de Turili une ville internationale;... le point d'union du nord et du midi ».

E ancora il Médail aveva scritto nel suo Memoriale: «La percée des Alpes rendra la vie et l'activité, elle fera du port de Gène le premier de l'Europe meridionale ».

Nel 1845 allora l'ingegnere belga Maus, e il geologo Sismon-da, per incarico del ministro Des Ambrois, procedevano alle verifiche del piano del Médail, mentre la linea ferrata Torino-Genova era già allo studio; nel 1848 terminavano la loro relazione. Importante, trovo rilevare che la portarono in Parlamento mentre si stava combattendo a Pastrengo e a Custoza, e venne inserita tra i lavori parlamentari nel mara-sma delle diatribe e delle accuse e delle rivendicazioni, succes-sive all'armistizio di Salasco e la ripresa suicida delle ostilità del marzo 1849.

La disfatta di Novara, la debacle economica dello stato, rallentarono ma non arresta-rono il processo di costruzione della rete ferroviaria, come stru-mento di benessere e di compe-titività con il resto d'Europa.

Nel 1851 nonostante il defi-cit di 37.500.000 lire, vengono stanziati altri 22.000.000 pel-le ferrovie e si costituisce una Commissione internazionale per 10 studio del superamento delle Alpi e del passo dei Giovi. La Prussia e la Svizzera tosto vi aderiscono, ma emergono subito i conflitti dei reciproci interessi sulla questione della determina-zione dei trafori. Infine furono definiti quelli del Cenisio, del Sempione, del Gottardo, del S. Bernardino, pur senza avere ancora gli strumenti tecnici per eseguirli. Il persuadere la Ca-mera della nuova necessità eco-nomica dei moderni mezzi di trasporto, richiese una fatica di nove giorni di discussioni, tanto che al Sommeiller e al Grandis, mandati dal governo in Belgio per perfezionarsi in certi studi sull'aria compressa, 11 Cavour scriveva il 7 maggio

del '55: « La vita ministeriale è piena d'inganni e di amarezze: ma se come ministro avrò co-scienza di aver dotato il mio Paese (li una scoperta che lo deve trasformare ed arricchire, sarò lieto di essere rimasto al potere ».

Intanto dall'Europa scende-vano a Torino gli studiosi e gli inventori, ciascuno con il pro-prio contributo di storia e d'esperienza, che qui veniva passato al vaglio della dura realtà alpina. Molti di essi cadevano, ma le loro idee rima-nevano come fermenti. Il belga Maus presentò la sua macchina sega-pietre, e la tecnica dei suoi piani inclinati; l'inglese Bartlett venne con la sua per-foratrice a vapore; lo svizzero Colladon con le sue esperienze sull'aria compressa; il milanese G. B. Piatti con il suo saggio sulla utilizzazione dell'aria com-pressa per l'espulsione dei gas di scarico. Il traforo del Fréjus diventava un incentivo di stu-dio internazionale.

Le diverse esperienze veni-vano raccolte, rielaborate dal Sommeiller, dal Grandis e dal Grattoni, e ne risultarono quegli strumenti che consentirono di dare ala al folle volo...

Il grande traforo praticato una ventina di chilometri a Ovest del grande valico, ha rappresentato una primizia per tutto: è stato il primo tunnel di simile lunghezza (12.235 me-tri); durante i lavori stessi si procedeva alla creazione degli strumenti idonei, perforatrici meccaniche ad aria compressa, compressori idraulici a 320 colpi al minuto, con impiego simul-taneo di 18; compressore pneu-matico per il ricambio dell'aria e la fuoruscita della polvere, risolvendo cosi problemi quasi nell'atto in cui si formula-vano.

Le misurazioni geodetiche e le triangolazioni furono eseguite con tanta perizia, che dopo l'escavazione di 7.080 metri di

L ' i m b o c c o n o r d delia g a l l e r i a d o p o la v a r i a n t e del 1881.

roccia da una parte, e 5.155 dall'altra, l'incontro tra le due squadre di uomini nella galleria di avanzamento, ebbe lo scarto di 40 cm in larghezza, e 60 in altezza.

Essa fu la prima strada concepita per l'Europa, come per l'Europa sarebbe il pro-gettato traforo Venaus-Modane per rettificare la linea ferrovia-ria, come il raddoppio già in esecuzione del binario da Bus-soleno a Salbertrand; pure per l'Europa è il nuovo traforo au-tostradale del Fréjus, parallelo a quello ferroviario, di recente

approvato. Alcune succinte sta-tistiche lo stanno a dimostrare. Subito dopo l'apertura della strada napoleonica il transito viaggiatori passò da 2.911 a 48.000, e le merci a 30.000 ton-nellate. Sotto il traforo del Fréjus nel 1907 passarono 351.676 tonnellate di merci, e nel 1956 il passaggio fu di 1.173.427 tonnellate; nel 1970 le merci furono 4.689.000 ed i viaggiatori 1.294.000. Se nel 1861 si andava a Parigi in 35 ore usando la ferrovia, il fiume, la strada, dopo il 1871 ne occorsero solo

21 e senza trasbordi; ora il

Palatino collega Parigi con Ro-ma in 15 ore e 33 minuti. Nel 1915 passarono i primi loco-motori elettrici E 550, che trai-navano 500 tonnellate; nel

1921 la trazione a corrente continua di 3000 V trainava 800 tonnellate; dal 1956 il

Transeurope Express, TEE,

porta da Lione a Torino in 4 ore. Se il Fréjus ha servito ad abbreviare il percorso della

Va-ligia delle Indie Londra-Brin-disi - Alessandria - Bombay, ha

anche avvicinato il mondo ara-bo all'Europa, facendo del Medi-terraneo l'intermediario con i nuovi popoli che stanno tumul-tuosamente sorgendo e confi-gurandosi lungo le rive afro-asiatiche.

Ma questa missione il Fréjus ha iniziato a compierla con-temporaneamente ad un'altra opera di simile valore e portata, alla quale tanta iniziativa, tan-to sapere e tantan-to lavoro ita-liani hanno contribuito: a dif-ferenza di pochi mesi si

inau-gurava il canale di Suez. Le quali due ciclopiche opere han-no un altro elemento in comune: un uomo; che fu quel veneto esule in Piemonte e divenuto tosto ministro dei Lavori Pub-blici, Pietro Paleocapa, che fu per tanti anni consigliere tec-nico europeo delle comunica-zioni, il grande costruttore della rete ferroviaria piemontese con visione italiana ed europea, e commissario tecnico del canale di Suez, e colui che tracciò il piano per la costruzione della città del Cairo.

Per il Cavour nell'impresa del Fréjus c'era la politica, la dottrina, l'economia, la curio-sità scientifica, l'arte; in essa vedeva insieme con la locomo-tiva, l'aprirsi di un'era nuova della civiltà umana.

Cesare Correnti scriverà: « Se le strade ferrate sono per le altre nazioni un mezzo di pro-gresso, per gli italiani sono i nervi, i muscoli del nuovo corpo in cui deve incarnarsi l'anima della Nazione ».

Quando s'iniziarono i lavori del traforo il 31 agosto 1857, l'estensore francese di un arti-colo del Cosmos scriveva: « Am-miriamo l'ardimento, ma non vi vediamo che uno slancio di poesia italiana ».

Poesia italiana per leggere la quale Napoleone III, venuto in possesso della Savoia, sbor-serà all'Italia 27 milioni di franchi.