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L’utilizzo delle leggi nella strategia difensiva di Andocide

L’interpretazione della legge nella Sui Mister

4.6 L’utilizzo delle leggi nella strategia difensiva di Andocide

Al termine di questa parte dedicata all’esposizione andocidea delle leggi pertinenti al proprio caso, emerge come, in conclusione, l’oratore si muova in molteplici direzioni. In particolare, sul piano prettamente legale egli punta a dimostrare che il decreto di Isotimide non è più applicabile nel 400/399 a.C. perché non ha superato la revisione delle leggi proclamata con il decreto di Tisameno; inoltre tenta di dimostrare che le clausole dell’amnistia relative al μὴ μνησικακεῖν sono applicabili anche al suo caso; contemporaneamente evidenzia con diversi mezzi l’alto valore morale di tali clausole, nel tentativo di vincolare i giudici ad un verdetto che sia in linea con i principi di concordia e unità civica che le hanno ispirate. A tale proposito, si può evidenziare come egli tenti di condizionare ulteriormente la giuria ricordandole la grande attesa che la sentenza sul suo caso ha generato in città:

Εἰ οὖν ἐμοῦ καταψηφιεῖσθε, ὁρᾶτε μὴ οὐκ ἐμοὶ μάλιστα τῶν πολιτῶν προσήκει λόγον δοῦναι τῶν γεγενημένων, ἀλλὰ πολλοῖς ἑτέροις μᾶλλον. […] ὁ μὲν ἀγὼν ἐν τῷ σώματι τῷ ἐμῷ καθέστηκεν, ἡ δὲ ψῆφος ἡ ὑμετέρα δημοσίᾳ κρινεῖ πότερον χρὴ τοῖς νόμοις τοῖς ὑμετέροις πιστεύειν, ἢ τοὺς συκοφάντας παρασκευάζεσθαι, ἢ φεύγειν αὐτοὺς ἐκ τῆς πόλεως καὶ ἀπιέναι ὡς τάχιστα.53

52 Sullo stesso concetto Andocide ritorna verso la fine dell’orazione (And. 1.140):ʽE inoltre, signori, è giusto che riflettiate anche su questo, che oggi sembra a tutti i Greci che voi siate stati uomini veramente valenti e saggi, poiché non vi siete volti alla vendetta per i fatti del passato, ma alla salvezza di Atene e alla concordia dei cittadini (οὐκ ἐπὶ τιμωρίαν τραπόμενοι τῶν γεγενημένων, ἀλλ’ ἐπὶ σωτηρίαν τῆς πόλεως καὶ ὁμόνοιαν τῶν πολιτῶν). […] Dal momento che, dunque, vi si riconosce questo concordemente da parte di tutti, amici e nemici, non cambiate idea e non vogliate privare la città di questa fama né dare l’impressione che voi decidiate queste cose più per caso che con la riflessione.ʼ. 53 And. 1.103 e 105.

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ʽSe dunque mi condannerete, badate che non spetta a me in particolare rendere conto dei fatti passati, ma piuttosto a molti altri cittadini. […] Questo processo ha per oggetto la mia vita, ma il vostro voto stabilirà pubblicamente se bisogna fidarsi delle vostre leggi o se bisogna subornare un sicofante, o se questi debbano fuggire da Atene e andarsene il più presto possibile.ʼ

Naturalmente non siamo in grado di stabilire se realmente il processo ad Andocide avesse suscitato tutto questo interesse in città, ma ciò che risulta interessante è ancora una volta la pressione psicologica che l’oratore esercita sulla giuria in questa seconda parte del suo discorso54. Essa viene esercitata in modo piuttosto esplicito ed è ottenuta enfatizzando al di là del dato reale la portata della sentenza, facendo passare l’idea che essa possa creare un precedente con il quale tutta la comunità cittadina dovrà fare i conti in futuro. Tale meccanismo non è una novità nel panorama dell’oratoria giudiziaria, ma anzi è un procedimento molto comune55; in questo caso l’abilità di Andocide sta nell’alludere ancora una volta ai patti di riconciliazione seguiti alla guerra civile, così da inserire il suo caso nella scia dei possibili processi di vendetta che essi avevano l’obiettivo di evitare, nonostante, come si è visto56, tali patti non

avessero alcun valore in relazione alla sua causa. La ferita del conflitto civile non era ancora sanata e la memoria di esso era ancora viva nella comunità: Andocide, in modo piuttosto disinvolto, si inserisce all’interno di questa memoria dolorosa e, soprattutto in questa seconda parte di orazione, cerca di utilizzarla a proprio vantaggio, puntando sulla sensibilità dei giudici riguardo a questo tema, ma restando tuttavia sempre molto misurato, senza mai calcare troppo la mano, per evitare che la rievocazione di tali vicende sortisca alla fine sulla giuria l’effetto contrario di quello da lui sperato57.

54 Cfr. Edwards 1995, 182.

55 Molti oratori, contemporanei o successivi ad Andocide, utilizzano questa tecnica. Per alcuni esempi, cfr. Antipho. 5.80; Lys.1.35-36; Lys. 6.4-5; Aeschin. 1.186-187; Dem. 34.52; Dem. 36.58; Din. 1.107. 56 Cfr. supra pp. 79-80.

57 A questo proposito Dalmeyda 1930, 12 evidenzia che Andocide non chiede mai esplicitamente che l’amnistia sia applicata anche al suo caso, perché non vuole dare l’impressione di avvicinarsi alla posizione degli ex oligarchi che di tale amnistia chiedevano di usufruire. Ciò è certamente possibile, ma, credo, la ragione principale per la quale Andocide insista molto sull’amnistia del 403 a.C. sia che egli voglia vincolare la giuria a comportarsi secondo ὁμόνοια, consapevole del fatto che l’amnistia non poteva avere una reale applicazione al suo caso. Egli insomma cita questi patti per ricordare l’impegno alla concordia e spingere implicitamente i giudici a lasciar perdere i fatti del passato, a dimenticare le vecchie storie di quindici anni prima, in seguito alle quali egli era stato ritenuto un empio e gli era stato rivolto un decreto in base al quale, ora, viene accusato dai suoi avversari; a questo scopo non risulta funzionale chiedere esplicitamente l’applicazione di una clausola dell’amnistia (che probabilmente era peraltro inapplicabile al suo caso), ma è sufficiente semplicemente ricordare la pesante atmosfera della guerra civile e la solennità dei patti contratti dalle parti in lotta.

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Infine, esaminando questa parte di orazione, si può fare un’ultima riflessione sulla linea difensiva di Andocide. Tornando all’inizio di questa sezione, al § 71, si può notare come, oltre a puntare all’annullamento del decreto di Isotimide secondo gli ultimi decreti promulgati, Andocide si spinga oltre, arrivando fino ad affermare una completa estraneità ai fatti del 415 a.C.:

Κηφίσιος γὰρ οὑτοσὶ ἐνέδειξε μέν με κατὰ τὸν νόμον τὸν κείμενον, τὴν δὲ κατηγορίαν ποιεῖται κατὰ ψήφισμα πρότερον γενόμενον, ὃ εἶπεν Ἰσοτιμίδης, οὗ ἐμοὶ προσήκει οὐδέν. Ὁ μὲν γὰρ εἶπεν εἴργεσθαι τῶν ἱερῶν τοὺς ἀσεβήσαντας καὶ ὁμολογήσαντας, ἐμοὶ δὲ τούτων οὐδέτερα πεποίηται· οὔτε ἠσέβηται οὔτε ὡμολόγηται.

ʽQuesto Cefisio qui presente infatti mi ha denunciato secondo le leggi vigenti, ma basa la sua accusa su un decreto precedente, che porta il nome di Isotimide, che non mi riguarda affatto. Egli infatti propose di escludere dai luoghi sacri coloro che avevano commesso empietà e avevano confessato, ma nessuna delle due cose è stata da me compiuta: non ho commesso empietà, né ho confessato.ʼ

L’oratore dunque, nonostante si impegni nei paragrafi successivi a dimostrare che il decreto di Isotimide non possa più essere applicato alla data del suo processo, introduce questa dimostrazione affermando esplicitamente che il decreto di Isotimide non è tout court applicabile al suo caso, perché egli non ha mai ammesso di aver compiuto empietà58. Si svela così il motivo per cui egli abbia deciso di dedicare la

metà della sua orazione alla rievocazione degli eventi di quindici anni prima: con la sua versione vuole convincere i giudici che il decreto di Isotimide emesso contro di lui all’epoca dei fatti, a causa del quale egli fu costretto ad un lungo esilio volontario, non ebbe una reale giustificazione giuridica. Tuttavia, si potrebbe osservare che, se veramente egli potesse provare una totale estraneità ai fatti di quindici anni prima, non avrebbe alcun bisogno subito di seguito di tentare di dimostrare che lo stesso decreto non è più in vigore ai tempi del processo. In realtà Andocide, consapevole che, nonostante la sua ricostruzione, la sua posizione in relazione agli scandali del 415 a.C. restava comunque poco chiara, per dare l’impressione ai giudici che la sua difesa sia

58 Una simile professione di innocenza, limitatamente all’affaire dei Misteri, si trova già precedentemente nell’orazione. Cfr. And. 1.29 e supra Capitolo 2, pp. 44-45.

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ben fondata, al di là del dato reale, decide di seguire per essa un doppio binario: da un lato dimostrare la sua completa estraneità nella questione della profanazione dei Misteri e della mutilazione delle Erme; dall’altro dimostrare che il decreto di Isotimide non sia più valido sia per l’amnistia del 403 a.C. (che annullerebbe la sua efficacia perché i fatti per il quale il decreto era stato emesso erano coperti dal divieto di μνησικακεῖν), sia per gli effetti della revisione delle leggi intrapresa alla fine della guerra civile. Le due linee difensive sono sviluppate di pari passo dall’oratore, nonostante esse risultino alternative, se non addirittura contraddittorie59. Bisogna poi anche osservare che l’uditorio di Andocide, a differenza degli studiosi moderni, non ebbe ovviamente la possibilità di analizzare da vicino ogni parte del discorso dell’oratore, ed è possibile che non si sia accorto delle incongruenze presenti all’interno di esso. In questo caso specifico è addirittura possibile che, avendo l’oratore parlato molto e con diverse e numerose argomentazioni contro la validità attuale del decreto di Isotimide, la giuria ne abbia tratto l’impressione che, in fondo, le affermazioni dell’imputato fossero ben fondate, al di là della loro reale fondatezza60. Come già si è potuto notare, insomma, ciò che conta veramente per l’oratore non è tanto la verità, quanto la credibilità, dalla quale dipende la capacità di persuadere il proprio uditorio.

59 Cfr. Lämmli 1938, 53. Per un commento generale della linea difensiva di Andocide, cfr. MacDowell 1962, 15-16. Secondo Maidment 1941, 331-332 e Edwards 1995, 174 nessuno dei provvedimenti citati da Andocide in questa parte aveva una reale applicazione al suo caso.

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Conclusioni

Contesto giudiziario e costruzione dell’orazione in Andocide