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Legami familiari e patriottismo: la denuncia di Andocide

La mutilazione delle Erme nella ricostruzione andocidea

3.4 Legami familiari e patriottismo: la denuncia di Andocide

Altro dettaglio che colpisce l’attenzione leggendo il passaggio citato dalla Contro

Andocide è il fatto che l’oratore, secondo quanto sostiene il suo anonimo accusatore,

avrebbe sporto denuncia contro parenti e amici (καὶ ἐμήνυσε δεδεμένος κατὰ τῶν αὑτοῦ συγγενῶν καὶ φίλων): ciò è esattamente l’opposto di quanto sostiene Andocide stesso, che afferma più volte di aver sporto denuncia contro Eufileto ed altri proprio per proteggere i suoi parenti.

Leggendo l’orazione di Andocide inoltre si nota una certa insistenza sul tema della sua denuncia, tale da poter sospettare che egli tenti ad ogni costo di giustificare il suo gesto, percepito evidentemente come una scorrettezza o addirittura un tradimento da parte dei contemporanei. Nel suo tentativo apologetico egli si muove in due direzioni, che, a ben vedere, entrano in conflitto tra loro. La prima di esse consiste nel mostrare l’effetto salvifico che la sua denuncia avrebbe avuto non solo nei confronti dei suoi parenti, ma di tutta quanta la città:

And. 1.56: οὔτε μετὰ κακίας οὔτε μετ’ ἀνανδρίας οὐδεμιᾶς τῶν γεγενημένων πέπρακται ὑπ’ ἐμοῦ οὐδέν, ἀλλὰ διὰ συμφορὰν γεγενημένην μάλιστα μὲν τῇ πόλει, εἶτα δὲ καὶ ἡμῖν, εἶπον δὲ ἃ ἤκουσα Εὐφιλήτου προνοίᾳ μὲν τῶν συγγενῶν καὶ 57 Furley 1989, 553.

58 Blass 1868, 272-273; MacDowell 1962, 179; Medda 1991, 206-207 n. 15. Cfr. anche Todd 2007, 456-457. MacDowell 1962, 177-180 ritiene che Andocide sia stato imprigionato due volte, una in relazione alla profanazione dei Misteri e l’altra in relazione alla mutilazione delle Erme. La sua ricostruzione, tuttavia, è stata duramente criticata da alcuni studiosi successivi: Marr 1971, 329-330; Pecorella Longo 1971, 42-43 n. 1; Edwards 1995, 21-23; Furley 1996, 56-57; Todd 2007, 456-457.

65 τῶν φίλων, προνοίᾳ δὲ τῆς πόλεως ἁπάσης, μετ’ ἀρετῆς ἀλλ’ οὐ μετὰ κακίας, ὡς ἐγὼ νομίζω.59 δὲ Reiske: lacuna And. 1.58-59: σιωπήσαντι μὲν αὐτῷ τε αἴσχιστα ἀπολέσθαι μηδὲν ἀσεβήσαντι, ἔτι δὲ τὸν πατέρα περιιδεῖν ἀπολόμενον καὶ τὸν κηδεστὴν καὶ τοὺς συγγενεῖς καὶ ἀναγκαίους τοσούτους, οὓς οὐδεὶς ἄλλος ἀπώλλυεν ἢ ἐγὼ […] φονεὺς οὖν αὐτῶν ἐγιγνόμην ἐγὼ μὴ εἰπὼν ὑμῖν ἃ ἤκουσα. Ἔτι δὲ τριακοσίους Ἀθηναίων ἀπώλλυον, καὶ ἡ πόλις ἐν κακοῖς τοῖς μεγίστοις ἐγίγνετο. […] εἰπὼν δὲ τὰ ὄντα αὐτός τε ἐσῳζόμην καὶ τὸν πατέρα ἔσῳζον καὶ τοὺς ἄλλους συγγενεῖς, καὶ τὴν πόλιν ἐκ φόβου καὶ κακῶν τῶν μεγίστων ἀπήλλαττον. And. 1.68: ὁ δὲ τὴν πόλιν ὅλην συνταράξας καὶ εἰς τοὺς ἐσχάτους κινδύνους καταστήσας (scil. Διοκλείδης) ἐξηλέγχθη, ὑμεῖς δὲ ἀπηλλάγητε μεγάλων φόβων καὶ τῶν εἰς ἀλλήλους ὑποψιῶν.

Si può notare come a distanza di pochi paragrafi Andocide ripeta più o meno le stesse parole più volte: egli con la sua denuncia ha salvato parenti, amici e concittadini. La breve distanza con cui queste parole si ripetono, tale da renderle quasi martellanti, è sintomo del fatto che questo concetto non doveva essere qualcosa di evidente agli occhi dei suoi concittadini, altrimenti non si spiegherebbe tale insistenza. Peraltro, prima di arrivare a questo passaggio, si vede come già l’oratore in una parte precedente dell’orazione, in cui le sue doti di narratore emergono con particolar brillantezza, prepari l’uditorio ad accogliere l’idea di un Andocide salvatore della comunità per mezzo della sua denuncia:

Καὶ ἡ πόλις οὕτως διέκειτο, ὥστ’ ἐπειδὴ τὴν βουλὴν εἰς τὸ βουλευτήριον ὁ

κῆρυξ ἀνείποι ἰέναι καὶ τὸ σημεῖον καθέλοι60, τῷ αὐτῷ σημείῳ ἡ μὲν βουλὴ

59 Da notare anche come il periodo sia retoricamente molto costruito, così da conferire forza anche al suo contenuto: oltre all’anafora προνοίᾳ μὲν…προνοίᾳ δὲ si può evidenziare la costruzione ad anello οὔτε μετὰ κακίας οὔτε μετ’ ἀνανδρίας οὐδεμιᾶς… μετ’ ἀρετῆς ἀλλ’ οὐ μετὰ κακίας, smorzata poi dall’ὡς ἐγὼ νομίζω finale.

60 Il ʽsegnaleʼ di cui si parla doveva essere un drappo di stoffa che veniva abbassato dall’araldo al momento della convocazione del Consiglio. Aristoph. Thesm. 277-278 parla di un σημεῖον per la convocazione dell’assemblea (cfr. anche Suid. σ325). Gli studiosi discutono sull’esatto funzionamento

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εἰς τὸ βουλευτήριον ᾔει, οἱ δ’ ἐκ τῆς ἀγορᾶς ἔφευγον, δεδιότες εἷς ἕκαστος

μὴ συλληφθείη.61

ʽE la città si trovava in tali condizioni che, quando l’araldo annunciò che il

Consiglio doveva entrare nel Bouleuterion e tirò giù il segnale60, nello stesso

momento in cui il Consiglio entrava nella sala, i cittadini fuggivano dall’agorà, avendo ognuno paura di essere arrestato.ʼ

Tale descrizione non è casuale nell’economia dell’orazione: richiamando alla memoria e, probabilmente, enfatizzando il clima di panico diffuso in città in quei giorni, Andocide può successivamente in modo più agevole far penetrare nei giudici l’idea che, con la sua denuncia, egli ha salvato la città da una sorta di isteria collettiva62. Che Andocide intendesse muoversi in questa direzione è confermato anche da quanto afferma l’anonimo accusatore che pronuncia la Contro Andocide, che, dall’altra parte, mette in guardia i giudici affinché essi non si facciano influenzare dalle parole dell’oratore:

φησὶ γὰρ ἀγαθὰ μεγάλα ποιῆσαι τὴν πόλιν μηνύσας καὶ ἀπαλλάξας δέους καὶ ταραχῆς τῆς τότε. τίς δὲ τῶν μεγάλων κακῶν αἴτιος ἐγένετο; οὐκ αὐτὸς οὗτος,

ποιήσας ἃ ἐποίησεν;63

ʽDice di aver fatto un gran bene alla città denunciando e liberandola dalla paura e dal turbamento di allora. Ma chi fu il responsabile di quei gravi mali? Forse non proprio lui, avendo fatto ciò che fece?ʼ

È tuttavia curioso come, accanto all’affermazione del proprio ruolo salvifico per l’intera comunità, compaia una minimizzazione degli effetti che la sua denuncia avrebbe avuto sulle persone da lui denunciate e su coloro che furono condannati in relazione alla vicenda della mutilazione delle Erme:

di questo meccanismo: cfr. Dalmeyda 1930, 29 n. 1; Maidment 1941, 368-369 n. b; MacDowell 1962, 87-88; Marzi-Feraboli 1995, 312 n. 48.

61 And. 1.36. Un’affermazione simile era già stata fatta dall’oratore alcuni anni prima nella De Reditu: Ἀναμνήσθητε δὲ ἐν οἵῳ κινδύνῳ τε καὶ ἀμηχανίᾳ καθέστατε, καὶ ὅτι οὕτως σφόδρα σφᾶς αὐτοὺς ἐπεφόβησθε, ὥστ’ οὐδ’ εἰς τὴν ἀγορὰν ἔτι ἐξῇτε, ἕκαστος ὑμῶν οἰόμενος συλληφθήσεσθαι (And. 2.8). 62 Egli cioè insiste sul suo patriottismo e la sua pietas filiale: Blass 1868, 312; Strauss 1993, 264. Cfr. anche MacDowell 1962, 99 («And. makes as much as he can of the misfortunes from which he saved Athens») e Usher 1999, 46-47.

67 And. 1.52-53: ἔτι δὲ ἐπὶ τούτοις καὶ τόδε ἐνεθυμήθην, ὦ ἄνδρες, καὶ ἐλογιζόμην πρὸς ἐμαυτὸν τοὺς ἐξημαρτηκότας καὶ τὸ ἔργον εἰργασμένους, ὅτι οἱ μὲν αὐτῶν ἤδη ἐτεθνήκεσαν ὑπὸ Τεύκρου μηνυθέντες, οἱ δὲ φεύγοντες ᾤχοντο καὶ αὐτῶν θάνατος κατέγνωστο, τέτταρες δὲ ἦσαν ὑπόλοιποι οἳ οὐκ ἐμηνύθησαν ὑπὸ Τεύκρου τῶν πεποιηκότων. […] Ἐδόκει οὖν μοι κρεῖττον εἶναι τέτταρας ἄνδρας ἀποστερῆσαι τῆς πατρίδος δικαίως, οἳ νῦν ζῶσι καὶ κατεληλύθασι καὶ ἔχουσι τὰ σφέτερα αὐτῶν, ἢ ἐκείνους ἀποθανόντας ἀδίκως περιιδεῖν. ʽOltre a ciò riflettevo anche su questo, signori, e passavo in rassegna tra me e me i colpevoli e coloro che avevano compiuto il fatto: alcuni di loro erano già morti, denunciati da Teucro, altri se ne erano andati in esilio ed erano stati condannati a morte, mentre ne rimanevano quattro tra coloro che avevano compiuto il fatto che non erano stati denunciati da Teucro. […] Mi sembrava dunque meglio privare giustamente della patria quattro uomini, che ancora oggi vivono, sono tornati e possiedono i loro beni, che tollerare che quelli morissero ingiustamente.ʼ

And. 1.59:

Φυγάδες δὲ δι’ ἐμὲ τέτταρες ἄνδρες ἐγίγνοντο, οἵπερ καὶ ἥμαρτον· τῶν δ’ ἄλλων, οἳ πρότερον ὑπὸ Τεύκρου ἐμηνύθησαν, οὔτε δήπου οἱ τεθνεῶτες δι’ ἐμὲ μᾶλλον ἐτέθνασαν οὔτε οἱ φεύγοντες μᾶλλον ἔφευγον.

ʽQuattro uomini divennero esuli a causa mia, ed erano colpevoli: tra gli altri che in precedenza Teucro aveva denunciato, quelli che morirono non morirono più a causa mia che a causa sua, e lo stesso coloro che andarono in esilio.ʼ And. 1.67-68: […] καὶ μηνύσαντος κατ’ αὐτῶν Τεύκρου οἱ μὲν αὐτῶν ἀπέθανον οἱ δὲ ἔφυγον, πρὶν ἡμᾶς ὑπὸ Διοκλείδου δεθῆναι καὶ μέλλειν ἀπολεῖσθαι. Τότε δὲ ἀπέγραψα τέτταρας ἄνδρας, Παναίτιον, Διάκριτον, Λυσίστρατον, Χαιρέδημον· οὗτοι μὲν ἔφυγον δι’ ἐμέ, ὁμολογῶ· ἐσώθη δέ γε ὁ πατήρ, ὁ κηδεστής, ἀνεψιοὶ τρεῖς, τῶν ἄλλων συγγενῶν ἑπτά, μέλλοντες ἀποθανεῖσθαι ἀδίκως·

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ʽ[…] e dopo la denuncia di Teucro alcuni morirono, altri andarono in esilio, prima che noi fossimo incarcerati a causa di Dioclide e prossimi alla rovina. Fu allora che denunciai quattro uomini, Panezio, Diacrito, Lisistrato e Cheredemo: questi andarono in esilio a causa mia, lo ammetto; ma almeno furono salvi mio padre, mio cognato, tre cugini e sette tra gli altri parenti che erano destinati a morire ingiustamente.ʼ

Come si vede, Andocide insiste più volte sul fatto che la sua denuncia, in fondo, non fece che aggiungere quattro nomi alla lista di Teucro e che, di fronte a soli quattro nomi, di persone peraltro colpevoli, era molto più importante salvare i propri parenti da una rovina ingiusta. È interessante soprattutto il passaggio al § 53, dove l’oratore afferma che le persone da lui denunciate continuano a vivere e ad avere i loro beni: questa considerazione è inserita all’interno del ragionamento che a suo tempo spinse Andocide a denunciare, ma ovviamente non può essere stata meditata allora. Egli cioè ricorda implicitamente ai giudici che la sua denuncia non ha causato danni gravi alle persone che ne furono colpite, dato che, dopo quindici anni, esse sono di nuovo in città e conducono la loro vita in modo tranquillo, omettendo ovviamente il fatto che all’epoca egli non poteva sapere quale sarebbe stato il loro destino e che comunque esse furono costrette all’esilio per causa sua. Curioso inoltre appare il suo atteggiamento riguardo alle persone da lui denunciate: da un lato egli dice che esse meritavano una condanna in quanto colpevoli, ma dall’altro appare sollevato, a quindici anni di distanza dagli eventi, dal fatto che queste oggi possano essere di nuovo ad Atene.

Da questa breve analisi si può dunque osservare che evidentemente, più di tutto il resto, il tema della denuncia di Andocide è il punto più delicato di tutta la difesa e che l’oratore risulta molto nervoso al proposito, come si nota dal fatto che egli ripete con molta enfasi e a breve distanza gli stessi concetti più volte. Peraltro, il tentativo di spiegare la vicenda relativa alla sua denuncia risulta un po’ debole nelle sue parti, in confronto ad altri punti della stessa orazione. Come si è visto, infatti, egli si comporta in modo contraddittorio in relazione a tale denuncia, enfatizzando da un lato la necessità morale della sua azione, grazie alla quale i suoi parenti, innocenti, sono stati scarcerati, la città è stata liberata dalle paure che l’attanagliavano e un calunniatore come Dioclide è stato punito, e, contemporaneamente, minimizzando dall’altro la sua portata, insistendo più volte sul fatto che solo quattro persone, che peraltro alla fine

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non sono morte, vennero coinvolte nella denuncia. Inoltre, è molto facile osservare che egli si mostra disponibile a denunciare solo nel momento in cui la sua vita e quella dei suoi parenti è messa in serio pericolo64: anche questo è in contraddizione con l’idea, proposta dall’oratore nel suo discorso, che con la sua denuncia egli volle salvare l’intera città. Se infatti questo fosse stato realmente il suo scopo, perché non rivelare i progetti di Eufileto prima che la mutilazione fosse messa in atto? O perché non denunciare subito, prima di essere incarcerato? Ci si può chiedere quanto tali evidenti contraddizioni possono aver influito sulla giuria. Non possiamo ovviamente conoscere a distanza di due millenni gli effetti che esse possano aver avuto, ma, nonostante questa parte risulti un po’ debole nell’argomentazione, si deve comunque tener presente che Andocide uscì vincitore da questo processo e che quindi tale debolezza evidentemente non andò a pregiudicare la buona riuscita dell’orazione65.