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Realtà storica e strategie giudiziarie nell'orazione Sui Misteri di Andocide

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Laurea in Filologia e Storia dell’Antichità

Tesi di Laurea Magistrale

Realtà storica e strategie giudiziarie nell’orazione Sui

Misteri di Andocide

CANDIDATA

RELATORE

Giuliana Frati

Prof. Enrico Medda

CONTRORELATORE

Prof. Andrea Taddei

(2)

1

Indice

Introduzione. Il contesto storico e le fonti

3

Capitolo 1. Andocide e il processo del 400/399 a.C.

10

1.1 Vita e opere di Andocide

10

1.2 Il processo del 400/399 a.C.

15

Intermezzo. Stratagemmi retorici nella teoria e nella pratica

oratoria tra V e IV secolo a.C.

23

Capitolo 2. La profanazione dei Misteri nella ricostruzione

andocidea

28

2.1 La sequenza di denunce nella Sui Misteri e nelle altre fonti

28

2.2 Logos e pathos nel racconto andocideo 40

2.3 Leogora contro Speusippo e il resoconto andocideo 45

Capitolo 3. La mutilazione delle Erme nella ricostruzione

andocidea

47

3.1 La denuncia di Teucro

47

3.2 La denuncia di Dioclide 50

3.3 In cerca di compassione: la scena del carcere 53

3.4 Legami familiari e patriottismo: la denuncia di Andocide 64

3.5 Una morte misteriosa: lo schiavo di Andocide 69

3.6 L’interpretazione politica dello scandalo in Andocide e nelle

altre fonti 71

Capitolo 4. L’interpretazione della legge nella Sui Misteri

74

4.1 Il decreto di Patroclide 74

4.2 μὴ μνησικακεῖν ἀλλήλοις τῶν γεγενημένων: l’amnistia del 403 a.C. 78

(3)

2

4.4 Ancora sull’amnistia: i giuramenti di riconciliazione nella

Sui Misteri 84

4.5 Diabolai e Paradeigmata nella Sui Misteri 86

4.6 L’utilizzo delle leggi nella strategia difensiva di Andocide 91

Conclusioni. Contesto giudiziario e costruzione dell’orazione

in Andocide

95

Bibliografia

98

(4)

3

Introduzione

Il contesto storico e le fonti

Nella storia della città di Atene pochi eventi hanno colpito l’immaginario collettivo e sconvolto i contemporanei quanto quello che viene comunemente chiamato “lo scandalo delle Erme”. Sotto questa etichetta si nasconde un’intricata serie di eventi che si succedettero in pochi mesi, nel corso del 415 a.C., conseguenza di tensioni politiche lontane nel tempo e, a loro volta, causa di azioni che condizionarono a lungo raggio non solo la politica ateniese degli anni successivi, ma anche gli equilibri tra le

poleis greche nel contesto della guerra del Peloponneso1.

I mesi immediatamente precedenti allo scoppio dello scandalo sono caratterizzati, ad Atene, da un riacutizzarsi dello scontro politico legato al dibattito relativo alla conduzione della guerra contro Sparta. La guerra archidamica aveva avuto fine dopo dieci anni con la pace di Nicia nel 421 a.C., della quale era parte integrante un trattato di alleanza cinquantennale tra le due potenze2. Tuttavia, come osserva lo stesso Tucidide, la tregua è molto fragile e di breve durata3: per quanto Sparta e Atene non si combattano apertamente per sei anni, il periodo che segue la pace è caratterizzato dal riarmo delle due città e da tensioni relative al mancato rispetto di alcune clausole dei patti4.

È in questo contesto che si verifica ad Atene un riacutizzarsi dello scontro politico: si assiste alla crescita di un fronte, di cui fanno parte essenzialmente i giovani e i commercianti, che manifesta malcontento per la pace stipulata e che guarda invece con favore ad una ripresa delle ostilità. Portavoce di queste idee si fa Alcibiade5,

all’epoca trentenne, eletto stratego nel 420/419 a.C.6. Gli anziani, i proprietari terrieri

e i simpatizzanti per l’oligarchia, che non si riconoscono in questo fronte critico e non sono interessati a continuare la guerra, continuano invece a trovare un riferimento in Nicia, che negli anni successivi alla stipulazione della pace che da lui prende il nome impiega ogni sforzo a far sì che la sua città mantenga relazioni amichevoli con Sparta.

1 Cfr. Murray 1990, 149.

2 Per la narrazione di questi eventi, cfr. Thuc. V.14-24 (in particolare, per il testo della pace e dell’alleanza cfr., rispettivamente, Thuc. V.18-19 e 23-24.1); cfr. anche Ferrari-Daverio Rocchi 2016 [1985], 984-985, n. 13.

3 Thuc. V.25.3 la chiama apertamente ἀνοκωχὴ oὐ βέβαιος, una ʽtregua non solidaʼ. 4 Per una rapida panoramica degli eventi storici di questo periodo cfr. Allen 1951, 27-29. 5 Thuc. V.43.

6 Plu. Alc. 15.1; il trattato di alleanza con Argo, Mantinea ed Elea, citato da Plutarco, avviene, secondo Tucidide, nel dodicesimo anno di guerra (420/419 a.C.): cfr. Thuc. V.40-51 per gli eventi di quell’anno (per il trattato di cui parla anche Plutarco, cfr. Thuc. V.47).

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4

Si formano così inevitabilmente due fazioni, che si scontrano più volte negli anni tra il 421 a.C. e il 415 a.C, ma che si avvicinano in alcune situazioni per eliminare comuni avversari politici, come il demagogo Iperbolo ostracizzato nel 416 a.C. proprio per la convergenza dei voti dei sostenitori di Nicia e di quelli di Alcibiade7.

Poco dopo l’ostracismo di Iperbolo, un momento nel quale lo scontro tra le due fazioni si mostra particolarmente intenso, è il dibattito relativo alla spedizione in Sicilia. Come racconta Tucidide, Alcibiade e Nicia si fronteggiano in assemblea: il primo vuole spingere il demos ad approvare la spedizione, che sarà frutto di grandi guadagni per gli Ateniesi; il secondo vede nella spedizione più rischi che vantaggi e cerca di dissuadere i suoi concittadini da una decisione troppo avventata8.

È proprio nei giorni delle assemblee dedicate alla spedizione in Sicilia che si sviluppa quel complesso di eventi che viene normalmente chiamato lo “scandalo delle Erme”. Con questa definizione vengono indicati i fatti relativi a due episodi di empietà che colpirono Atene più o meno contemporaneamente, la parodia dei Misteri Eleusini in alcune case private e la mutilazione delle Erme, le statue di Ermes che si trovavano lungo le strade della città. Come si vedrà in seguito, per quanto alcuni studiosi moderni ritengano che questi eventi si siano verificati in contesti distinti, almeno dal punto di vista politico9, è interessante notare che già alcuni dei contemporanei li considerarono diverse sfaccettature di un unico grande atto di empietà che mirava all’abbattimento della democrazia10.

Per la ricostruzione di questi fatti sono fondamentali le fonti antiche, alcune particolarmente preziose perché contemporanee ai fatti narrati. Per quanto riguarda le fonti letterarie, si deve subito osservare che, con l’eccezione di Tucidide e Diodoro Siculo, esse non sono testi di storiografia, ma principalmente orazioni e biografie. È questo un fatto particolarmente significativo: è sempre necessario tenere presente il genere letterario al quale appartengono le fonti, insieme alle finalità di chi scrive, per

7 Sull’ostracismo di Iperbolo, cfr. Plu. Alc. 13.4; Plu. Nic. 11.1-5;Plu. Arist.7.3-4. Bisogna notare che ci sono discussioni tra gli studiosi moderni sulla data dell’ostracismo di Iperbolo, dovute non solo al fatto che Tucidide non inquadra temporalmente l’avvenimento, ma nel parla di sfuggita solo in VIII, 73, 3 (narrando l’assassinio di Iperbolo nel 411 a.C.), ma anche all’esistenza di un problematico frammento di Teopompo (FGrH 115 F96, da Σ Aristoph. Vesp. 1007b). Secondo diversi studiosi esso avvenne nel 416 a.C.: cfr. Fuqua 1965; Kagan 1981, 145 n. 28; Gomme-Andrewes-Dover 1981, 259-261. Altri pensano al 417 a.C.: cfr., ad esempio, Bianchetti 1979, 224-235 (con una ricca bibliografia sulla questione).

8 Lo scontro verbale tra i due è raccontato dallo storico in una famosa contrapposizione di discorsi: Th. VI.9-18. Cfr. anche Plu. Alc. 17-18.3.

9 Cfr. infra Capitolo 2, p. 32 n. 22.

(6)

5

riflettere compiutamente sul trattamento da parte dell’autore dei fatti storici citati, e, di conseguenza, sul valore documentario della fonte e sulla sua affidabilità.

Cominciando dalle fonti contemporanee agli eventi, accanto a Tucidide, che tratta di questi avvenimenti nel VI libro delle Storie11, fondamentale è l’oratore Andocide che, come si vedrà meglio nei capitoli successivi, è coinvolto personalmente nelle vicende delle empietà del 415 a.C. Le orazioni che in particolare interessano la ricostruzione di questi eventi sono il discorso Sui Misteri (And. 1) e, in misura minore, il discorso Sul suo ritorno (And. 2). L’orazione Sui Misteri è un discorso di difesa pronunciato nel 400 a.C.12, nel quale l’autore dedica molto tempo agli eventi che lo videro coinvolto nel 415 a.C., nel tentativo di discolparsi, almeno in parte, dalle accuse di aver avuto un ruolo nelle empietà di quindici anni prima. L’orazione Sul suo

ritorno, invece, è pronunciata qualche anno prima13 e dedica solo pochi accenni agli eventi del 415/414 a.C., ma rimane comunque significativo il confronto con la versione dei fatti che lo stesso Andocide darà alcuni anni dopo nell’orazione Sui

Misteri.

L’ultima fonte letteraria contemporanea a Tucidide ed Andocide è l’orazione

Contro Andocide, che ci è pervenuta nel corpus delle orazioni di Lisia (Lys. 6). Si

tratta di un discorso di accusa pronunciato da uno dei tre accusatori di Andocide nel processo per il quale la Sui Misteri rappresenta il discorso di difesa. Avremmo così, almeno a quanto sembra, il caso eccezionale di possedere due orazioni pronunciate nella stessa occasione, sebbene la Contro Andocide non sia il discorso principale di accusa e ci sia giunta peraltro mutila in più punti14.

Per quanto riguarda, invece, le fonti letterarie non contemporanee, disponiamo di Diodoro Siculo, delle Vite di Alcibiade e di Nicia composte da Plutarco e della pseudo-plutarchea Vita di Andocide, una delle Vite dei dieci oratori tramandate insieme al corpus di questo autore.

Diodoro Siculo accenna rapidamente all’episodio delle Erme all’inizio del XIII libro della sua opera storica15, all’interno della trattazione dei preparativi per la spedizione in Sicilia. Per alcuni aspetti egli sembra riecheggiare Tucidide ed

11 Thuc. VI.27-29, 53, 60-61

12 Secondo alcuni il discorso è pronunciato nel 399 a.C. Sulla questione, cfr. infra Capitolo 1, p. 16 n. 40.

13 Gli studiosi propongono datazioni diverse, che oscillano tra il 410 e il 405 a.C, cfr. infra Capitolo 1, pp. 13-14.

14 Per le relazioni tra il discorso andocideo e quello (pseudo)lisiano, cfr. infra Capitolo 1, pp. 18-22. 15 D.S. XIII.2.3-7.

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6

Andocide, ma è possibile che si serva di almeno un’altra fonte, che non è giunta fino a noi, dalla quale trae altri particolari16.

In Plutarco, invece, l’episodio della mutilazione delle Erme e della profanazione dei Misteri Eleusini è trattato molto ampiamente nella Vita di Alcibiade ed appena accennato nella Vita di Nicia17, essendo l’Alcmeonide più coinvolto di Nicia nella vicenda, come attestano del resto anche tutte le altre fonti antiche. Bisogna però considerare, come hanno evidenziato nel tempo diversi studiosi, che nelle sue Vite Plutarco si comporta deliberatamente da biografo e non da storico, e mostra perciò un maggiore interesse verso un’indagine dell’ἦθος dei suoi personaggi che non verso una ricerca storica accurata18. Ciononostante, egli può rivelarsi prezioso come collettore di tradizioni diverse da quella tucididea.

Si comporta allo stesso modo di Plutarco, ma citando dettagli molto meno numerosi rispetto al biografo greco posteriore, anche Cornelio Nepote nella sua Vita di

Alcibiade19. Egli racconta gli eventi relativi alla mutilazione delle Erme e alla profanazione dei Misteri Eleusini perché coinvolgono il soggetto della sua biografia, ma lo fa molto sommariamente e senza citare alcun nome.

Passando invece alla pseudo-plutarchea Vita di Andocide20, essa contiene certamente alcune notizie non riportate né da Tucidide né da Andocide stesso, ma il suo carattere di tarda compilazione porta diversi studiosi a guardare con sospetto verso una sua reale affidabilità21.

Infine, altra opera letteraria, di cui però non conosciamo i contorni precisi, è una

Vita di Alcibiade che ci è giunta attraverso un frammento di codice in pergamena, che

Grenfell e Hunt datano su base paleografica al V secolo d.C.22. Il frammento sembra essere una biografia di Alcibiade di età romana, e copre proprio il periodo della mutilazione delle Erme, fino alla fuga del condottiero ateniese verso Sparta. Purtroppo però le informazioni contenute in questo frammento sono le stesse che troviamo già

16 Sul resoconto di Diodoro Siculo, cfr. infra Capitolo 3, pp. 51-53. 17 Cfr. Plu. Alc. 18.6-21, 7; Plu. Nic. 13.3.

18 Cfr., ad esempio, Hamilton 1969, xxxvii-xxxix e xlvi; Furley 1996, 9. Plutarco stesso afferma più volte di essere interessato più all’ ἦθος che al particolare storico: cfr., ad esempio, Plu. Nic. 1.5 e Plu. Alex. 1.2-3 («οὔτε γὰρ ἱστορίας γράφομεν, ἀλλὰ βίους»).

19 Nep. Alc. 3-4.

20 [Plu.] Mor. 834b-835b.

21 Sul carattere compilativo dell’opera, cfr. Blass 1868, 269; Cuvigny-Lachenaud 1981, 27-31; sulla sua affidabilità, cfr. MacDowell 1962, 167; Gomme-Andrewes-Dover 1970, 286 n. 1; Missiou 1992, 22 n. 26; Furley 1996, 9-10.

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7

in Tucidide o in Andocide, per cui, di fatto, non è di nessun aiuto alla ricostruzione storica degli eventi23.

Inoltre, accanto alle fonti letterarie, particolarmente interessanti possono rivelarsi una serie di iscrizioni attiche databili al 414/413 a.C., le cosiddette “Stele Attiche”, pubblicate da Pritchett nel 195324. Si tratta dei frammenti di dieci iscrizioni probabilmente esposte nell’Eleusinion25 che contenevano i nomi di coloro i cui beni

vennero confiscati e venduti dai πωληταί in seguito ai processi riguardanti la profanazione dei Misteri e la mutilazione delle Erme. Pur essendo molto rovinate, esse, in qualità di documento diretto, riportano alcuni dei nomi citati da Andocide nella Sui Misteri26 e, inoltre, ci permettono di avere uno sguardo, seppur parziale, su ciò che successe dopo la lunga serie di denunce e processi di cui le altre fonti parlano. Dunque, una volta passate in rassegna tutte le fonti, è inevitabile notare come, in realtà, la ricostruzione di un evento di così ampia portata come lo scandalo delle Erme ponga diversi problemi. Uno tra questi è che le fonti sono molte e variegate, ma tendono spesso a sovrapporsi, per cui di fatto alla fine le linee emergenti sono quella tucididea e quella andocidea. Come già detto prima, il resoconto di Andocide ha una sua peculiarità che è quella di essere un resoconto degli eventi con intento apologetico, per cui, per quanto il suo sia il racconto più ricco di particolari, ci si deve sempre interrogare se egli sia completamente sincero ed è alta la probabilità che, anche laddove non emerga chiaramente a prima vista, da abile oratore abbia manipolato la realtà influenzato dal contesto giudiziario che è poi all’origine stessa del suo scritto27.

La situazione potrebbe inoltre essere ancora più complessa di quanto non lo sia già: Tucidide stesso afferma infatti che dopo gli eventi legati alla perdita di Anfipoli da parte ateniese (424 a.C.), essendo ritenuto responsabile in quanto stratego, venne esiliato dai suoi concittadini per vent’anni28. Egli dunque non si trovava ad Atene nei

giorni concitati delle empietà e delle denunce, ma ha ricostruito da lontano gli eventi.

23 Cfr. Gallo 1975. Le informazioni contenute in questa biografia (frutto di una compilazione tarda secondo Gallo 1975, 121) concordano perlopiù con quelle di Tucidide e in qualche caso con quelle di Andocide.

24 IG I3 421-430, pubblicate per la prima volta in Pritchett 1953. Per la datazione, cfr. Pritchett 1953, 232-234.

25 Pritchett 1953, 234-235. 26 Cfr. infra Capitolo 2, pp. 33-37. 27 Cfr. anche Graf 2000, 114-115.

28 Thuc. V.26.5. Secondo Pausania (Paus. I.23.9), Tucidide poté tornare ad Atene grazie ad un decreto proposto da un certo Enobio.

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8

Sebbene sia certo possibile, come affermano alcuni studiosi29, che, al suo ritorno ad

Atene nel 404 a.C., egli abbia sentito alcuni testimoni degli eventi di dieci anni prima, tra cui magari anche Andocide, e abbia avuto la possibilità di consultare dei documenti, resta comunque un fatto importante di cui tenere conto: quella che è per noi l’unica fonte pienamente storica contemporanea all’intricata vicenda dello scandalo delle Erme, non si è giovata, per usare un termine erodoteo, dell’αὐτοψία, cioè di un’osservazione diretta di fatti30.

Anche ad un primo, rapido, confronto tra le fonti emerge insomma l’incertezza di fondo che già nell’antichità caratterizzava la ricostruzione di questo complesso di eventi che ha poi preso il nome di “scandalo delle Erme”. Questa incertezza la ritroviamo anche nelle ricostruzioni degli storici moderni ed è dovuta essenzialmente a due fattori: da un lato, l’aura misteriosa connaturata ad eventi che toccano la sfera della ritualità e nello stesso tempo riguardano la presenza ad Atene di gruppi più o meno segreti, di cui oggi, a distanza di più di duemila anni, è difficile tracciare i contorni; dall’altro, la situazione peculiare delle fonti antiche, che è caratterizzata dalla presenza di diverse fonti contemporanee che si trovano in una posizione particolare (Andocide e Lys. 6 sono orazioni giudiziarie, cioè testi nati con la finalità di convincere una giuria di una tesi; Tucidide è costretto, suo malgrado, a ricostruire gli eventi da lontano; le Stele Attiche sono molto frammentarie e, come è tipico delle epigrafi, molto sintetiche). È dunque a causa di questa situazione che le ricostruzioni degli eventi legati alla profanazione dei Misteri Eleusini e alla mutilazione delle Erme avanzate dagli studiosi moderni che se ne sono occupati differiscono tutte di qualche particolare, a seconda della preferenza accordata di volta in volta ad una fonte piuttosto che ad un’altra31.

Per concludere, al termine di questa premessa, una volta esposti il contesto storico e lo stato delle fonti, vorrei presentare il piano del mio lavoro: tenendo presenti le considerazioni fatte finora, mi concentrerò in questo mio scritto sull’oratore Andocide

29 Cfr. ad esempio Furley 1996, 5. Blass 1868, 275 sostiene invece che Tucidide non avesse molti elementi per ricostruire la vicenda, dato che ancora molti esuli non dovevano essere tornati ad Atene nel momento in cui lo storico scriveva. Cfr. anche MacDowell 1962, 181-182 e Graf 2000, 115. 30 Non è detto, tuttavia, che la mancanza di αὐτοψία comporti necessariamente degli svantaggi: osservare a distanza gli eventi ha il vantaggio di evitare le manipolazioni, anche involontarie, nelle quali incorre chi fornisce il resoconto di eventi che ha vissuto in prima persona. Alcuni studiosi hanno tuttavia anche avanzato la possibilità che, oltre a non poter conoscere tutti gli eventi, Tucidide taccia volutamente alcuni particolari: cfr., a questo proposito, Hatzfeld 1951, 158 e 181.

31 Cfr., a titolo di esempio, Allen 1951, 136-173; MacDowell 1962, 167-171, 173-176 e 181-189; Gomme-Andrewes-Dover 1970, 264-288; Furley 1996, 68-69 e 119-130.

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e sul suo discorso Sui Misteri, che, come già detto, è una delle fonti principali per la ricostruzione degli eventi delicati del 415/414 a.C.. Oggetto del mio interesse è la ricostruzione andocidea della vicenda a circa quindici anni di distanza dagli eventi, e, in particolare, l’influenza esercitata su di essa dal contesto giudiziario per il quale l’orazione Sui Misteri è concepita. Dopo un primo capitolo introduttivo alla vicenda del processo per il quale l’orazione è composta32, mi occuperò in due capitoli distinti

della ricostruzione andocidea della profanazione dei Misteri33 e della mutilazione delle Erme34, per poi concentrare l’attenzione sull’utilizzo orientato da parte dell’oratore di leggi e decreti nella seconda parte dell’apologia35.

I testi antichi citati nell’esposizione sono tratti dalle seguenti edizioni critiche (per i titoli completi, cfr. infra Bibliografia):

Andocide, Sui Misteri: MacDowell 1962; Andocide, Sul suo ritorno: Maidment 1941; Antifonte: Gagarin 1997;

Aristotele, Athenaion Politeia: Chambers 1994; Diodoro Siculo: Dindorf 1867;

Isocrate: Drerup 1906; Lisia: Carey 2007;

Platone, Fedro: Burnet 1901;

Plutarco, Vita di Alcibiade: Ziegler 1959; Tucidide: Stuart Jones 1902.

32 Cfr. infra Capitolo 1. 33 Cfr. infra Capitolo 2. 34 Cfr. infra Capitolo 3. 35 Cfr. infra Capitolo 4.

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Capitolo 1

Andocide e il processo del 400/399 a.C.

1.1 Vita e opere di Andocide

Una delle caratteristiche di molti oratori è la stretta relazione tra le vicende biografiche e il corpus oratorio che di essi ci è giunto. Questa peculiarità distingue in particolare Andocide, per il quale si può affermare che il corpus di orazioni che gli sono attribuite è diretta conseguenza degli avvenimenti che hanno coinvolto la sua vita. Le orazioni che gli sono attribuite infatti non sono il frutto di una professione -Andocide non esercitò mai il mestiere di logografo- ma discorsi che egli ha scritto e pronunciato in occasione di processi che lo hanno visto coinvolto1.

Andocide2, figlio di Leogora3, del demo Citadeneo4, nasce qualche anno prima del

440 a.C.5. La sua famiglia fa parte della nobiltà ateniese6: secondo alcune fonti antiche, essa apparterrebbe addirittura al gruppo familiare dei Kήρυκες7, che aveva

un ruolo importante nella celebrazione dei Misteri Eleusini.

Abbiamo traccia del padre, Leogora, in alcuni versi dei comici ateniesi, che lo prendono in giro per la sua vita lussuosa8. Per quanto riguarda gli incarichi politici,

invece, egli è menzionato solamente in un’iscrizione tra gli ambasciatori che si recarono in Macedonia nel 426 a.C.9: la mancanza di altre tracce di questo genere e il

fatto che Andocide, sebbene citi in diverse occasioni il ruolo importante per la città

1 Cfr. Todd 2007, 402: «his activity (scil. of Andokides) […] was as a gifted amateur writing his own political speeches rather than a professional logographer».

2 PA 828. 3 PA 9075. 4 Cfr. IG II2, 1138.

5 La data di nascita, solo indicativa, si ricava dal fatto che Lys. 6.46 afferma che l’oratore avesse più di quarant’anni al momento del processo (400/399 a.C., per le questioni relative alla data esatta del processo, cfr. infra pp. 15-16 con n. 40). La Vita di Andocide sostiene che l’oratore sia nato nel 468/467 a.C., ma si tratta probabilmente di un’incomprensione dell’autore della biografia, dato che Andocide stesso sostiene di essere stato giovane all’epoca della mutilazione delle Erme (se la data di nascita proposta nella Vita di Andocide fosse corretta, l’oratore all’epoca dei fatti avrebbe avuto più di cinquant’anni): cfr. [Plu.] Mor. 835a; And. 2.7. Blass 1868, 271 propone una cattiva lettura di una notizia biografica come origine dell’errore nel biografo antico.

6 Andocide stesso parla dell’antichità della sua famiglia, cfr. And. 1.147.

7 [Plu.] Mor. 834b, che cita Ellanico (FGrH I A4 170a). Alcuni studiosi respingono l’ipotesi che Andocide appartenesse alla famiglia dei Kήρυκες: tra di essi, Blass 1887, 281 n. 2 (ma cfr. anche l’obiezione di Furley 1996, 51-52); Wilamowitz-Moellendorff 1893, II 74 n. 5; Marzi-Feraboli 1995, 368 n. 180. Altri si limitano ad accogliere dubbiosamente la notizia, cfr., ad esempio, Cuvigny-Lachenaud 1981, 199 e Todd 2007, 402 e n. 15.

8 Aristoph. Nub. 109 e schol. ad loc.; Aristoph. Vesp. 1269; Pl. Com. fr. 114 K.-A.. 9 IG I3 61.

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che hanno avuto alcuni suoi antenati10, non parli mai del padre a questo proposito, ha

portato alcuni studiosi a ritenere che il padre dell’oratore non avesse avuto interesse a partecipare alla vita politica della sua città, forse insoddisfatto della radicalizzazione della democrazia del suo tempo11. Dalle scarse notizie che emergono dalle fonti antiche, è molto probabile che lo stesso Andocide non appoggiasse la democrazia radicale: secondo quanto scrive Plutarco12, egli avrebbe scritto in giovane età un’orazione intitolata Πρòς τοὺς ἑταίρους, rivolta appunto ai suoi compagni di eteria. Non è chiaro che tipo di associazione fosse quella alla quale Andocide apparteneva, se avesse cioè degli scopi politici o meno, e, in caso di risposta affermativa, quale tendenza politica la caratterizzasse. Plutarco definisce una volta Andocide μισόδημος καὶ ὀλιγαρχικός13 e un’altra volta insiste sul suo orientamento politico oligarchico14.

Se consideriamo inoltre che le eterie sono implicitamente associate da Aristotele all’oligarchia15 e che, secondo quanto riportano Tucidide e Lisia, esse furono

coinvolte nei due colpi di stato oligarchici del 411 a.C. e 404 a.C.16, è possibile, anche se non ne abbiamo la certezza assoluta, che l’associazione di cui Andocide faceva parte avesse, tra le altre cose, anche carattere politico, e, in particolare, una tendenza oligarchica17.

In mancanza di altre testimonianze, inoltre, l’esistenza di questo discorso giovanile ci permette di ʽsospettareʼ, per usare le parole di Blass18, che egli abbia ricevuto, come

10 Cfr., ad esempio, And. 1.106, 2.26 e 3.6.

11 Cfr. Missiou 1992, 16 e 20, che cita Pl. La. 179c come testimonianza del fatto che molti aristocratici contemporanei di Leogora avessero scelto una vita lontana dagli affari pubblici.

12 Plu. Them. 32.4. 13 Plu. Alc. 21.2. 14 Plu. Them. 32.4. 15 Arist. Ath. 34.3.

16 Per il colpo di stato del 411 a.C., cfr. Thuc. VIII.65.2; per quello del 404 a.C., cfr. Lys. 12.43 e 12.55. 17 La questione del carattere politico dell’eteria di Andocide è stata discussa molto a lungo dagli studiosi e resta di fatto ancora irrisolta. Alcuni studiosi affermano con sicurezza le tendenze politiche oligarchiche di questa eteria: cfr. Blass 1868, 272; Calhoun 1913, 24 e 35; Dalmeyda 1930, II; Edwards 1995, 1 («a group of associates (hetaireia) which was almost certainly a political club with oligarchic sympathies»). Per opinioni più dubbiose circa il carattere politico ed oligarchico del gruppo di cui Andocide faceva parte, cfr., ad esempio, Jebb 1893, 71 n. 7; Dobson 1919, 53; Maidment 1941, 320-321; Hatzfeld 1951, 186-187; Sartori 1957, 92-94. Pecorella Longo 1971, 47 n. 2 nega il carattere oligarchico del gruppo, considerandolo formato essenzialmente da proprietari terrieri. Particolarmente interessante è l’opinione di MacDowell, che ipotizza con molta cautela una finalità politica di stampo oligarchico per l’eteria di Andocide, senza nascondere comunque perplessità dovute alla mancanza di documentazione: MacDowell 1962, 191-192.

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tutti i giovani di buona famiglia del suo tempo, un’educazione retorica, seppure, probabilmente, superficiale19.

Nel 415 a.C. l’oratore risulta coinvolto insieme all’eteria di Eufileto, di cui faceva parte20, nel grave episodio della mutilazione delle Erme. In seguito alle denunce di Dioclideviene arrestato e condotto in carcere. Qui, secondo il suo stesso racconto21, viene convinto da un parente a rivelare altri nomi ed ottiene così l’immunità (ἄδεια), grazie alla quale viene scarcerato e può tornare ad essere un libero cittadino22. Poco tempo dopo, tuttavia, viene emesso un decreto su proposta di Isotimide, che dichiara ἄτιμοι tutti coloro che si sono macchiati di empietà e proibisce loro la frequentazione dell’agorà e dei santuari23. Avendo Andocide confessato di aver partecipato alla

mutilazione delle Erme qualche tempo prima ed essendogli impossibile continuare a vivere in una città nella quale gli è impedito di partecipare ad eventi fondamentali per la vita comunitaria24, decide di andare in esilio volontario, esercitando il commercio e godendo dell’ospitalità di alcune città e re, tra i quali si può citare Evagora di Cipro e Archelao di Macedonia25.

Negli anni successivi egli tenta per due volte di tornare ad Atene senza successo, prima nella primavera del 411 a.C. e, successivamente, qualche anno più tardi26. Per quanto riguarda il primo tentativo, sappiamo che egli, cercando di ingraziarsi il governo democratico di Atene, fece arrivare del legname e del grano alla flotta di stanza a Samo, in un momento tuttavia poco favorevole: i Quattrocento stavano proprio per instaurare il loro governo oligarchico ad Atene e, di conseguenza,

19 Molti studiosi, analizzando la qualità dei suoi discorsi, sostengono che Andocide non abbia approfondito particolarmente lo studio della retorica. Le sue orazioni dimostrerebbero infatti un naturale talento oratorio, modellato solo in parte da insegnamenti scolastici. Cfr. Blass 1868, 287; Jebb 1893, 87 e 100; Dobson 1919, 61; Dalmeyda 1930, XXV-XXVI; Maidment 1941, 320; Albini 1956, 179-180; Kennedy 1958, 36-38 e 42-43; MacDowell 1962, 19; Kennedy 1963, 146-148.

20 Si tratta molto probabilmente della stessa eteria alla quale aveva rivolto il discorso Πρòς τοὺς ἑταίρους, cfr. MacDowell 1962, 191 e Aurenche 1974, 68. Per la denominazione del gruppo, cfr. Aurenche 1974, 45.

21 And. 1.48-53. Cfr. infra Capitolo 3, pp. 53-69.

22 Cfr. And. 2.23; Plu. Alc. 21.4-6. Sembra che Thuc. VI.60.2-4, pur tacendo il nome del carcerato, si riferisca a questo episodio.

23 Sul decreto di Isotimide, cfr. And. 1.71; Lys. 6.9 e 24 e Hansen 1976, 62.

24 Essere allontanato dall’agorà e dai templi equivaleva all’esclusione dalle attività politiche e religiose, cfr. Missiou 1992, 25.

25 Per l’esilio volontario di Andocide, cfr. And. 1.145 e 2.10; Lys. 6.6-7, 19, 26, 28, 48-49; [Plu.] Mor. 834e-f. Secondo Lys. 6.26 e 28, che è interessato a dare un’immagine negativa della controparte, Andocide sarebbe stato anche rinchiuso in carcere per ben due volte da due diversi re durante il suo soggiorno a Cipro. [Plu.] Mor. 834e-f, specifica che Andocide sarebbe stato incarcerato per aver sottratto ad un re, di cui non precisa il nome, una cittadina ateniese che gli aveva precedentemente inviato in dono.

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considerarono loro nemici tutti coloro che avevano aiutato la flotta ateniese a Samo, che invece era rimasta fedele alla democrazia. Per questo, su proposta di Pisandro, che dei Quattrocento faceva parte, Andocide viene addirittura incarcerato, per essere poi probabilmente liberato alla caduta del regime27.

Per il secondo tentativo di rientro ad Atene possediamo invece un documento molto prezioso: la seconda orazione del corpus andocideo, la De Reditu, è stata scritta e pronunciata dall’oratore davanti all’assemblea ateniese proprio per richiedere l’annullamento del decreto di Isotimide che lo aveva colpito alcuni anni prima, così da poter tornare in patria28. In particolare nel discorso, che si tratta dunque di una demegoria29, Andocide, dopo aver ripercorso molto brevemente gli eventi che hanno portato al suo esilio e quelli relativi al primo tentativo di ritorno, promette nuovi aiuti al governo democratico, chiedendo in cambio il reintegro a tutti gli effetti nella comunità cittadina. Egli tuttavia non risulta convincente per il popolo ateniese, che non accoglie la sua proposta e lo costringe, di fatto, ad un nuovo esilio volontario. La data di questo secondo tentativo di ritorno è, come ho già accennato sopra, molto discussa. È evidente che il discorso sia stato pronunciato davanti ad un’assemblea democratica, quindi sicuramente dopo la caduta dei Quattrocento (410 a.C.) e prima dell’avvento del regime oligarchico dei Trenta (404 a.C.), ma è difficile decidersi per

27 Il primo tentativo di ritorno ad Atene è raccontato, tra le altre fonti, anche dallo stesso Andocide: And. 2.11-15. Cfr. anche Lys. 6.27 e [Plu.] Mor. 834f. È possibile che in IG I3 117, sebbene non sia fatto il nome di Andocide, ci si riferisca proprio agli aiuti di Archelao di cui parla And. 2.11. Missiou 1992, 26-27 nota come l’inimicizia tra gli oligarchi ed Andocide sia legata molto più a contrasti personali (lo stesso Pisandro, nel 415 a.C., aveva ricoperto il ruolo di ζηητής, era stato cioè membro della commissione di inchiesta che doveva indagare sugli Ermocopidi, cfr. infra Capitolo 3, pp. 71-73) che a visioni politiche divergenti. Allo stesso modo sembra pensarla Jebb 1893, 78-79.

28 La De Reditu (And. 2) è dunque la prima orazione in ordine cronologico che possediamo di questo oratore.

29 Una demegoria che però non appartiene propriamente al genere deliberativo, cfr. Blass 1868, 314 e Jebb 1893, 109 n. 1.

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una data precisa all’interno di questo intervallo. Alcuni studiosi propendono così per il 410 a.C.30, altri per il 409 o il 408 a.C.31, altri ancora per il 407 a.C.32.

Qualunque sia la data esatta di questo secondo tentativo, quello che è certo è che Andocide viene costretto ad un terzo esilio33, che dura fino all’incirca al 402 a.C., quando, per effetto dei patti di riconciliazione seguiti alla guerra civile e alla caduta del regime dei Trenta, molti esuli, tra cui lo stesso oratore, hanno la possibilità di fare ritorno ad Atene34. Da questo momento Andocide è pienamente reintegrato nella vita cittadina, ricopre cariche pubbliche e sostiene diverse liturgie, come è naturale per i cittadini che possiedono, come lui, ricchezze di una certa consistenza35.

Tuttavia, pochi anni dopo il suo ritorno, Andocide viene condotto in tribunale con l’accusa di aver violato il decreto di Isotimide e di aver compiuto empietà, deponendo durante la celebrazione dei Misteri un ramoscello da supplice sull’altare delle due dee. Come testimonianze di questo processo, le cui circostanze verranno precisate meglio più avanti36, ci restano l’orazione Sui Misteri, composta e pronunciata dallo stesso Andocide, e la sesta orazione del Corpus Lysiacum, la Contro Andocide. La lunga

30 Cfr. Jebb 1893, 79 e 107-108; Dobson 1919, 54 (lo stesso, tuttavia, poche pagine dopo afferma: «in 410 or 408 B.C.», cfr. Dobson 1919, 57); Lamb 1930, 114.

31 Cfr. Blass 1868, 278 («ungefähr im Jahre 409»); Makkink 1932, 28-29; Maidment 1941, 454-458 («It seems far more likely […] that he is speaking late in 409 or in the first half of 408»); Kennedy 1958, 33 («probably around 408»); Marr 1971, 333 e n. 1; Marzi-Feraboli 1995, 239 («in un periodo successivo al 410 ma probabilmente anteriore all’autunno del 408»); Furley 1996, 53. Marr 1971, in particolare, ipotizza in realtà una data successiva di qualche tempo alla battaglia di Cizico (aprile 410 a.C.), alla quale l’oratore sembra riferirsi come ad un evento dal quale è passato un certo periodo di tempo (And. 2.12, cfr. anche Maidment 1941, 457-458), ma precedente all’autunno 408 a.C., quando, avendo Atene preso controllo sul Mar Nero, il rifornimento di grano da Cipro promesso da Andocide sarebbe stato molto meno significativo per la città. A mio parere, tuttavia, il fatto che Atene si trovasse in una situazione di assoluta necessità di grano non è chiaramente deducibile dall’orazione. Bisogna considerare che Andocide avrà fatto di tutto per far sembrare il suo aiuto fondamentale agli occhi dei suoi concittadini, al di là della situazione reale, e non è da sottovalutare il fatto che egli non riuscì a convincere l’assemblea con questo discorso. Certamente la sua sconfitta è da ascrivere al fatto che i democratici non si fidassero di una persona che aveva in passato manifestato simpatie oligarchiche, ma è possibile anche che su di essa abbia influito il fatto che le scorte di grano promesse non sembravano in quel momento un motivo sufficiente per far rientrare Andocide in città, proprio perché, forse, la città non si trovava in una situazione di assoluta necessità di viveri(cfr. anche MacDowell 1962, 4-5 n. 9 e Todd 2007, 401 «between 409 and 407»).

32 Cfr. PA 828; Dalmeyda 1930, VI e 67-68; Albini 1961, 11 e 75-76 (lo stesso Albini, qualche anno prima, propendeva, anche se con qualche dubbio, per il 409: cfr. Albini 1956, 167); Dover 1968, 75; Opelt 1979, 211; Ostwald 1986, 547 («probably about 407 B.C.»).

33 Cfr. la testimonianza di Lys. 6.29.

34 [Plu.] Mor. 834f-835a. Cfr. Jebb 1893, 80 e n. 2.

35 Per il reintegro di Andocide nella vita politica di Atene, cfr. Lys. 6.33. Per quanto riguarda le cariche assunte, egli fu corego per la sua tribù (cfr. IG II2, 1138 e [Plu.] Mor. 835b); ginnasiarca alle feste di Efesto (cfr. And. 1.132 e, per la data indicativa, MacDowell 1962, 157); tesoriere di Atena; infine, nel 400 a.C. guidò la delegazione ateniese ai giochi Istmici e a quelli Olimpici (cfr. And. 1.132 e MacDowell 1962, 157).

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orazione andocidea raggiunge lo scopo per il quale è stata scritta e riesce a convincere la giuria, che assolve pienamente l’oratore e gli consente di continuare a partecipare attivamente alla vita politica e religiosa di Atene.

Per gli anni successivi a questo processo, ancora una volta, sono le stesse orazioni di Andocide che ci permettono di trarre informazioni biografiche su di lui. Delle attività dell’oratore infatti perdiamo ogni traccia fino ad un anno non meglio precisabile nel corso della guerra di Corinto, quando pronuncia la terza orazione del suo corpus, la De pace37. Da questo discorso riusciamo a ricostruire che, nel corso della guerra di Corinto, Andocide viene scelto per far parte di una delegazione che deve negoziare una pace con gli Spartani. Al suo ritorno l’oratore pronuncia il discorso

Sulla pace, con il quale cerca di convincere i suoi concittadini ad accettare le

condizioni della pace che la delegazione di cui egli ha fatto parte ha negoziato con Sparta, esponendo i vantaggi che questa avrebbe comportato. Essi tuttavia non si lasciano convincere38 e, ritenendo che i delegati non abbiano rispettato il mandato conferito dall’assemblea popolare, lo condannano, insieme agli altri ambasciatori, all’esilio39.

Questa è anche l’ultima occasione in cui sentiamo parlare di Andocide: non sappiamo con precisione né per quanti anni ancora visse né dove.

1.2 Il processo del 400/399 a.C.

Nel contesto di una generale incertezza circa le informazioni che possediamo riguardo alla vita di Andocide, le vicende legate al processo per il quale l’oratore scrisse il discorso Sui Misteri sembrano godere di una maggiore chiarezza.

Alcuni anni dopo essere tornato ad Atene da libero cittadino ed essere pienamente reintegrato nella vita civile e politica della sua città, in una data che oscilla tra il 400

37 Gli studiosi non concordano sulla data di questo discorso. Marzi-Feraboli 1995, 244 propongono sia 392/1 a.C. che 393/2 a.C.. Su quest’ultima data concorda anche Opelt 1979, 211. Preferiscono invece 392/1 a.C.: Makkink 1932, 37; Maidment 1941, 494, MacDowell 1962, 6 e Missiou 1992, 54. Optano per il 391 a.C. Dobson 1919, 57 e Dalmeyda 1930, XIII e 81. Propongono infine la prima metà del 390 a.C. Blass 1868, 282-283 e Jebb 1893, 81-82 con n. 1.

38 Di questo ci informa anche la ὑπόθεσις ad And. 3, che riporta una notizia di Filocoro (= FGrH 328 F149b). Alla stessa ambasciata si riferiscono anche Demostene, che parla addirittura di una condanna a morte, e Didimo, che cita, nel suo commento al passo di Demostene, Filocoro: Dem. 19.276-279; Did. in Dem. c. 7, ll. 11-28 (= FGrH 328 F149a), cfr. anche MacDowell 1962, 6 n. 4 e Harding 2006, 168-170.

39 Cfr. [Plu.] Mor. 835a. Poiché però questa notizia è riportata solo dallo pseudo-Plutarco, ritenuto una fonte non sempre affidabile (cfr. supra Introduzione, p. 6), alcuni studiosi avanzano dei dubbi sulla sua attendibilità: cfr. Blass 1868, 283; Jebb 1893, 83.

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e il 399 a.C.40, Andocide viene portato in tribunale da Cefisio, Meleto, Epicare ed

Agirrio per discutere una causa di empietà41, articolata in due capi di accusa: in primo

luogo è accusato di aver partecipato alle cerimonie dei Misteri Eleusini alcune settimane prima, di essere entrato nell’agorà e di aver esercitato i diritti di cittadino, pur essendogli ciò formalmente impedito dal decreto di Isotimide dal quale era stato colpito in seguito alle empietà del 415 a.C.42; secondariamente, gli viene imputato di aver deposto un ramoscello di ulivo, in atteggiamento da supplice, sull’altare delle due dee, atto vietato dalle leggi che regolavano lo svolgimento dei riti misterici43. Dietro ai quattro accusatori ufficiali inoltre emerge, secondo la testimonianza andocidea44, la figura di Callia, un ricco personaggio della famiglia dei Kήρυκες, in confidenza con i più stimati sofisti e intellettuali del suo tempo, come apprendiamo per mezzo di Platone e Senofonte45. Secondo quanto racconta Andocide, Callia, sfruttando il suo ruolo di δᾳδοῦχος nelle cerimonie eleusine46, avrebbe tentato tramite

questa causa di liberarsi dell’oratore, con il quale aveva avuto degli screzi circa l’affidamento di una fanciulla rimasta orfana47. Egli avrebbe così formato il gruppo di

40 Gli studiosi discutono sulla data esatta del processo. Sappiamo che Andocide era tornato ad Atene da tre anni al momento del processo (And. 1.132), e che questo si tenne subito dopo le celebrazioni dei Misteri, alla fine del mese di Boedromione (dunque all’incirca a metà ottobre, And. 1.121), per cui, le date probabili per la discussione della causa sono l’autunno del 400 a.C. o quello del 399 a.C.. Si schierano a favore dell’autunno del 400 a.C.: MacDowell 1962, 5 e 204-205; Pecorella Longo 1971, 43; Hansen 1976, 128-130; Ostwald 1986, 161; Ober-Strauss 1990, 255; Edwards 1995, 2 e 14; Furley 1996, 5 n. 7; Usher 1999, 44-45; Todd 2007, 399 e n. 2; Hornblower 2008, 367; Gagné 2009, 214 e 229. A favore dell’autunno del 399 a.C. troviamo invece Blass 1868, 279-280; Jebb 1893, 80 e n. 6; Dobson 1919, 57; Dalmeyda 1930, 2; Lamb 1930, 114; Lämmli 1938, 17; Maidment 1941, 325; Gernet-Bizos 1955, 90; Albini 1955, 340; Albini 1956, 167; Sartori 1957, 87; Kennedy 1963, 147; Opelt 1979, 211; Medda 1991, 193; Ferrari-Daverio Rocchi 2016 [1985], 1456.

41 Una γραφὴ ἀσεβείας, secondo la terminologia del diritto attico. Per il processo ad Andocide in generale, cfr. Hansen 1976, 128-130 (con una rassegna di fonti antiche e studi moderni). Si deve evidenziare tuttavia che nel discorso dello (pseudo)Lisia si allude ad un’altra causa intentata ad Andocide nello stesso anno (Lys. 6.30). Dato che Andocide tace sull’intera questione e lo (pseudo)Lisia non ci dà altri dettagli, è difficile farsi un’idea sulla questione; alcuni studiosi ritengono che si sia trattata di una semplice denuncia mai trasformata in una vera e propria causa, cfr. Blass 1868, 281; altri ritengono che la causa vi fu e in quell’occasione venne pronunciata l’orazione περὶ ἐνδέξεως, ricordata tra le opere di Andocide da Harp. ζ4 e [Plu.] Mor. 835a (cfr. la dettagliata esposizione di Hansen 1976, 128).

42 And. 1.71. 43 And. 1.110. 44 And. 1.110-116

45 PA 7826. Per la sua appartenenza al γένος dei Kήρυκες (forse lo stesso di Andocide, cfr. supra, p. 10), cfr. And. 1.116. Per la sua ricchezza, cfr. And. 1.130-131 e Lys. 19.48. La sua ospitalità nei confronti dei più famosi intellettuali dell’epoca è ricordata sia da Platone che da Senofonte: è a casa di Callia che sono ambientati il Protagora di Platone ed il Simposio di Senofonte: Pl. Prt.314c-316a; Xen. Smp. I.1-7; cfr. anche Pl. Ap. 20a.

46 Il ruolo di δᾳδοῦχος era, dopo quello di Ierofante, una delle cariche più importanti all’interno dei riti eleusini ed era riservato agli appartenenti al γένος dei Kήρυκες.

47 Una delle figlie di Epilico. Secondo le leggi attiche, se un uomo, morendo, lasciava delle figlie non sposate e nessun figlio maschio, i suoi beni venivano ereditati dal parente più vicino di sesso maschile,

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accusatori, al quale tuttavia Andocide seppe contrapporre un gruppo di sostenitori di peso, che comprendeva, tra gli altri, anche Anito, Cefalo e Trasillo, noti esponenti della democrazia ateniese a cavallo tra V e IV secolo a.C.48.

Dal punto di vista giuridico, la causa intentata all’oratore è una ἔνδειξις, cioè una denuncia davanti ad un magistrato ad opera di un cittadino contro un altro che è ritenuto esercitare dei diritti che secondo la legge non gli spettano49. Nel caso specifico di Andocide, tuttavia, non si fece ricorso alle misure consuete legate a questo tipo di denuncia, che prevedeva o l’arresto dell’accusato fino al momento del processo o la nomina da parte di esso di tre persone della stessa classe di censo che garantissero che egli si sarebbe presentato in tribunale (ἐγγυηταί, ʻgarantiʼ)50. Inoltre, come ogni altra causa riguardante i culti, la discussione avvenne alla presenza dell’arconte basileus. In particolare, come sembra emergere dal racconto andocideo, l’arconte basileus ricevette la denuncia di Cefisio e la riferì ai pritani nel corso della sua consueta relazione sullo svolgimento dei riti eleusini; essi, a loro volta, ordinarono di deferire il caso alla Boulè, convocando anche Cefisio e Andocide51. È possibile che successivamente la Boulè abbia a sua volta deferito il caso al tribunale, ma non ne abbiamo la certezza52. Conseguenza diretta dell’argomento specifico della causa è il fatto, del tutto eccezionale, che la giuria sia composta da soli iniziati ai Misteri Eleusini53: dovendo discutere infatti anche della profanazione dei Misteri, si volle evitare il pericolo che i non iniziati apprendessero i dettagli delle cerimonie

che avrebbe dovuto occuparsi anche del matrimonio delle fanciulle rimaste orfane. Per la querelle tra Andocide e Callia, cfr. And. 1.117-123 e MacDowell 1962, 12-13.

48 Cfr. And. 1.150. Non va trascurato, per comprendere il clima politico dell’epoca, che più o meno negli stessi mesi anche Socrate viene accusato di empietà e che tra i suoi accusatori compare proprio l’Anito che si muove in difesa di Andocide. Più problematico è stabilire l’identità dei due Meleto, l’accusatore di Andocide e quello di Socrate. In PA essi sono trattati come due persone distinte (Meleto accusatore di Andocide: PA 9825; Meleto accusatore di Socrate: PA 9830); anche Gernet-Bizos 1930, 91 n. 2 afferma con sicurezza che si tratta di due diversi Meleto, e lo stesso fa Albini 1955, 340, n. 1. MacDowell 1962, 208-210 (servendosi di Pl. Euthphr. 2b, Pl. Ap. 32c e And. 1.94) esclude che le due persone coincidano; a lui si oppone Dover 1968, 78-80 (con il quale concorda Gagné 2009, 230), che reinterpreta il passo platonico e basandosi sullo stile di Lys. 6 ritiene probabile l’identità dei due Meleto: le argomentazioni di Dover sono piuttosto attraenti, ma presuppongono che Meleto sia l’oratore di Lys. 6, condizione che, sebbene sia accettata da diversi critici (cfr. infra pp. 20-21), non è dimostrabile con certezza. Prima di Dover, anche Jebb 1893, 114-115 (115 n. 1 in particolare) si schierava a favore dell’identità dei due Meleto. Più cauti, infine, risultano Marr 1971, 334 n. 1, Blumenthal 1973, Strauss 1993, 258-259 e Todd 2007, 408-410.

49 And. 1.8, 10, 33 e 71. Per una descrizione generale della ἔνδειξις, cfr. Harp. ε48 e, tra gli studiosi moderni, Lipsius 1905-15, 331-337; Paoli 1930, 237-238; Harrison 1971, 221-222 e 229-231. 50 And. 1.2. Cfr. anche Blass 1868, 280 n. 3; Maidment 1941, 339 n. c; MacDowell 1962, 63. 51 And. 1.111. Cfr. anche Ostwald 1986, 162.

52 Cfr. MacDowell 1962, 142.

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misteriche, che potevano essere conosciuti solo da chi era già iniziato. In caso di condanna, la pena prevista per questa accusa era la morte54.

Come già precedentemente anticipato55, per quanto riguarda questo processo, ci troviamo in una situazione piuttosto eccezionale per l’antichità56: ci sono giunti, per tradizione diretta, due delle orazioni pronunciate in quell’occasione57, quella di difesa

di Andocide58 e una di quelle pronunciate dall’accusa, verosimilmente una delle deuterologie, pervenutaci nel corpus delle orazioni di Lisia59, ma ritenuta non autentica con il consenso pressochè totale della critica60.

A proposito di quest’ultimo discorso, non si può ignorare una questione che ha impegnato a lungo la critica e che continua ancora oggi a far discutere, e cioè se si tratti di una vera e propria orazione o piuttosto di un pamphlet, contemporaneo ad Andocide o risultato di un esercizio retorico posteriore. Tra le tre ipotesi presentate, solo l’ultima, quella dell’opuscolo ad opera di un retore posteriore, avanzata nell’Ottocento61, è oggi scartata dagli studiosi con sicurezza, a causa della presenza,

all’interno dell’orazione, di dettagli storici che difficilmente potevano essere noti ad un retore più recente, anche di età ellenistica62. Più difficile risulta scegliere tra le altre due opzioni, quella del pamphlet pubblicato poco dopo il processo o quella del discorso pronunciato realmente in aula e successivamente pubblicato. Le ragioni che hanno spinto alcuni studiosi a preferire la tesi del pamphlet riguardano questioni di tecnica forense e il rapporto che lega questa orazione alla Sui Misteri di Andocide63.

54 Cfr. And. 1.32; Lys. 6.55. 55 Cfr. supra Introduzione, p. 5.

56 Solo per altri due processi ateniesi siamo in possesso di due orazioni contrapposte: è il caso del processo sull’ambasceria nel 343 a.C. per il quale possediamo i discorsi Sulla corrotta ambasceria di Demostene (Dem. 19) e Sull’ambasceria di Eschine (Aeschin. 2), e del processo sulla corona del 330 a.C., per il quale possediamo la Sulla corona di Demostene (Dem. 18) e la Contro Ctesifonte di Eschine (Aischin. 3).

57Con la consapevolezza che non si tratta di registrazioni fedeli dei discorsi pronunciati, ma di orazioni pubblicate successivamente e quindi sottoposte ad una revisione riguardo alla quale non siamo in grado di dire quanto abbia modificato la situazione originale.Cfr. MacDowell 1962, 17-18 ed Edwards 1995, 15 n. 30.

58 L’orazione Sui Misteri, And. 1. 59 L’orazione Contro Andocide, Lys. 6.

60 Tra gli studiosi moderni va evidenziata la posizione di Dover 1968, 82-83, che lascia aperta la questione dell’autenticità dell’orazione.Già nell’antichità Arpocrazione cita per due volte il discorso con l’espressione εἰ γνήσιος, usata di consueto per dubitare della paternità di un discorso, cfr. Harp. κ26 e φ5.

61 Tra gli studiosi che hanno sostenuto questa ipotesi, Sluiter 1834, 116.

62 Ad esempio il riferimento al re di Cizio di Cipro (Lys. 6.26), sicuramente molto meno conosciuto di Evagora di Salamina di Cipro. Cfr. per altri esempi Todd 2007, 405.

63 Tra gli studiosi che hanno parlato a favore di questa tesi, Weber 1900, 26-36; Lamb 1930, 112-113; Gernet-Bizos 1955, 91-93; Pecorella Longo, 1971, 44 n. 6.

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L’orazione (pseudo)lisiana infatti risulta molto debole dal punto di vista della costruzione del discorso e nel complesso poco efficace, contiene un riferimento poco lusinghiero a Cefisio64, l’accusatore principale, e presenta alcuni particolari che evidenzierebbero una mancanza di sintonia tra questa orazione e quella andocidea (ad esempio in essa non viene citato uno dei due capi d’accusa imputati ad Andocide, su cui l’oratore stesso ci informa nella sua apologia) 65. Si può tuttavia evidenziare che

essi non sembrano ostacoli che impediscono assolutamente di considerare l’orazione un discorso scritto in occasione del processo del 400/399 a.C., soprattutto se guardiamo ad essa come ad una deuterologia: per quanto riguarda la costruzione dell’orazione, il fatto che non si tratti di un discorso di qualità eccelsa non ci impedisce di pensare che esso sia stato effettivamente pronunciato; in relazione alla mancanza di uno dei capi di accusa, si può pensare o che esso venisse citato in una delle lacune che interessano il testo tradito, o che, semplicemente, trattandosi di una deuterologia, l’autore non avesse ritenuto necessario concentrarsi anche su questo aspetto66; per

quanto riguarda, infine, il riferimento a Cefisio, se effettivamente esso può risultare strano nel contesto di un’orazione che dovrebbe essere pensata a supporto proprio dell’accusa di Cefisio nei confronti di Andocide, è anche vero che questo non costituisce comunque un elemento che parli a favore della condizione di pamphlet di questo discorso. In definitiva, dunque, non ci sono degli elementi che realmente intacchino l’ipotesi della deuterologia, che, anche a mio parere, risulta piuttosto credibile67.

Come già accennato, inoltre, l’orazione presenta due gravi lacune che la rendono uno dei discorsi del corpus più tormentati dal punto di vista testuale: una si trova proprio all’inizio dell’orazione ed è dovuta alla caduta di due fogli nel codice Palatino68, che è all’origine di tutta la nostra tradizione per questa e per le orazioni 3-31 del corpus Lysiacum; l’altra si trova dopo il capitolo 49 e consiste nella perdita di un foglio. La conseguenza è, ovviamente, un’ulteriore incertezza circa lo stato di

64 Lys. 6.42.

65 Per le altre incongruenze tra i due discorsi evidenziate dalla critica, cfr. Todd 2007, 406-407. 66 Cfr. anche Jebb 1893, 281-282; Lämmli 1938, 48-49.

67 Tra gli studiosi che hanno sostenuto l’ipotesi di un discorso composto in occasione del processo ad Andocide, Blass 1868, 566-576; Jebb 1893, 277-282; Lämmli 1938, 17-57 (con un’interessante dimostrazione della antecedenza di Lys. 6 su And. 1); Maidment 1941, 330; Albini 1955, 340-341; MacDowell 1962, 14-15; Marr 1971, 334 n. 1; Hansen 1976, 129; Medda 1991, 193-195; Edwards 1995, 15; Furley 1996, 104; Todd 2007, 403-408.

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questa orazione, di cui, dunque, non conosciamo né l’esatta estensione, né la totalità dei temi in essa affrontati.

Se accettiamo la tesi che Lys. 6 sia un discorso composto in occasione del processo contro Andocide, due fatti ci inducono a pensare di trovarci davanti ad un discorso di supporto (συνηγορία), in particolare una deuterologia: uno è il riferimento in terza persona all’accusatore principale, Cefisio69; l’altro è la tematica affrontata

dall’oratore, estremamente ristretta e poco adatta dunque al discorso di accusa principale70. L’autore si concentra infatti solamente sugli aspetti religiosi del processo e, contrariamente a quanto avviene di solito, non cita leggi e decreti, né chiama qualche presente a rendere testimonianza. Andocide viene ritratto come un traditore degli amici71 e uno spergiuro davanti agli dei, che quindi lo hanno perseguitato nei suoi vagabondaggi da esule e infine lo hanno ricondotto ad Atene per permettergli di venire punito dai suoi concittadini72. Si insiste inoltre sulle conseguenze che una possibile assoluzione dell’imputato comporterebbe: Andocide, da impuro, contaminerebbe tutta la città, sulla quale si riverserebbe così l’odio degli dei73. In

conclusione, insomma, l’orazione sembra puntare molto sul pathos e non si concentra affatto sugli aspetti legali della questione, che forse erano già stati affrontati nel discorso di accusa principale74.

Per quanto riguarda, infine, l’oratore che avrebbe pronunciato questo discorso, la questione rimane tuttora aperta. Si deve sicuramente escludere Cefisio, di cui, come si è già detto75, viene fatto il nome in terza persona nel corso dell’orazione. Sappiamo soltanto che chi ha pronunciato il discorso doveva appartenere alla famiglia degli Eumolpidi76, ma non sapendo niente sulla famiglia di provenienza di Meleto, Epicare

69 Lys. 6.42.

70 Ci sono giunte, all’interno del corpus delle orazioni di Lisia, anche altre synegoriai, leggendo le quali è possibile farsi un’idea di come siano costituiti i discorsi di supporto. Una di esse è un discorso di supporto alla difesa, le altre sono discorsi di supporto all’accusa: per il primo gruppo abbiamo Lys. 5 (Ὑπὲρ Καλλίου ἱεροσυλίας ἀπολογία); del secondo gruppo, invece, fanno parte Lys. 14 (Kατὰ Ἀλκιβιάδου λιποταξίου) e Lys. 15 (Kατὰ Ἀλκιβιάδου ἀστρατείας), rispettivamente deuterologia e tritologia in occasione dello stesso processo contro Alcibiade figlio, Lys. 27 (Kατὰ Ἐπικράτους ἐπίλογος), Lys. 28 (Kατὰ Ἐργoκλέους ἐπίλογος) e Lys. 29 (Kατὰ Φιλοκράτους ἐπίλογος).

71 Cfr., ad esempio, Lys. 6.2, 7 e 23-24. 72 Lys. 6.21-32.

73 Cfr. Lys. 6.13-17 e 52-53, dove ci si riferisce ad Andocide con i termini ἀλιτήριος e φάρμακος. 74 Cfr. And. 1.71 (Κηφίσιος γὰρ οὑτοσὶ […] τὴν δὲ κατηγορίαν ποιεῖται κατὰ ψήφισμα πρότερον γενόμενον, ὃ εἶπεν Ἰσοτιμίδης, οὗ ἐμοὶ προσήκει οὐδέν.). Cfr. anche Blass 1868, 300.

75 Cfr. supra n. 69.

76 Si deduce da Lys. 6.54, dove si afferma che il nonno di chi sta parlando era figlio dello ierofante Zacoro: lo ierofante era una carica sacerdotale legata al culto eleusino riservata ai membri della famiglia degli Eumolpidi.

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ed Agirrio, questo elemento, seppur interessante per comprendere l’orientamento religioso dell’oratore, non è di aiuto per identificare l’accusatore che sta dietro questa orazione. Alcuni studiosi77 hanno avanzato l’ipotesi che si tratti di Meleto, tuttavia, sebbene questa idea sia molto suggestiva, bisogna evidenziare che non ci sono degli elementi decisivi che permettano di identificare questo oratore con certezza, e che quindi la questione debba rimanere, almeno per ora, in sospeso78.

Normalmente, nel processo attico, dopo i discorsi pronunciati dall’accusa, viene lasciato spazio alla difesa, cioè all’apologia pronunciata dall’imputato stesso e agli altri discorsi di supporto. Nel caso di questa causa per empietà, l’orazione Sui Misteri, come già detto, rappresenta il discorso principale di difesa. Si tratta di un discorso molto lungo e articolato, composto da Andocide con l’obiettivo di smontare i due capi di accusa mossi contro di lui. Due terzi di esso sono dedicati al capo d’accusa relativo alla violazione del decreto di Isotimide79, un’ultima parte invece è dedicata alla questione della deposizione del rametto di ulivo sull’altare delle due dee e alla risposta alle argomentazioni degli avversari, che vengono anche attaccati personalmente80.

Particolarmente affascinante risulta la prima parte dell’orazione, nella quale Andocide, per dimostrare l’inapplicabilità del decreto di Isotimide, ripercorre gli eventi legati agli scandali religiosi del 415 a.C., proponendo, quindici anni dopo, una sua versione dei fatti che, come si vedrà nei capitoli successivi81, è direttamente influenzata dal contesto forense del processo nel quale si trova coinvolto82. Ai fini di uno studio della tecnica difensiva di Andocide, inoltre, risulta interessante anche la parte immediatamente successiva alla rievocazione degli eventi del 415 a.C., che l’oratore dedica ad una rassegna delle leggi e dei decreti che dimostrerebbero

77 Ad esempio, Wilamowitz-Moellendorff 1893, II, 74, n. 5; Lämmli 1938, 34 e 48-49; Albini 1955, 340-341; Dover 1968, 78-83; Ostwald 1986, 166; Strauss 1993, 258; Todd 2007, 408-409 (con molta cautela).

78 Molto interessante, in particolare, risulta l’analisi di Dover sul linguaggio dell’orazione (cfr. in particolare Dover 1968, 80-83), che rivela un inusuale colorito poetico e, al tempo stesso, la mancanza di caratteristiche propriamente oratorie. Cfr. anche Gagné 2009, 230-241 per la vicinanza del linguaggio e dei temi di Lys. 6 e And. 1 al teatro tragico. La posizione, tuttavia, che mi sento di condividere con più convinzione è quella cauta di MacDowell 1962, 14-15 con n. 4 (seguito da Furley 1996, 104).

79 And. 1.1-109.

80 And. 1.110-150 (in particolare: questione del rametto di ulivo, §§ 110-116; attacco agli avversari e risposta alle loro argomentazioni, §§ 117-139; vantaggi ed opportunità per Atene in caso di assoluzione dell’imputato ed epilogo, §§ 140-150). Per l’attacco personale agli avversari, cfr. infra Capitolo 4, pp. 86-89.

81 Cfr. infra Capitolo 2 e Capitolo 3.

82 In particolare: vicende legate alla profanazione dei Misteri, §§ 11-33; vicende legate alla mutilazione delle Erme, §§ 34-70.

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l’inapplicabilità del decreto di Isotimide nei suoi confronti83: si evidenzierà più

avanti84 come, anche in questo caso, l’interpretazione andocidea di queste leggi sia

influenzata dal contesto giudiziario e dalla necessità di dimostrare la propria tesi e cioè, nello specifico, che il decreto di Isotimide non risulta più in vigore in seguito alle ultime vicende che hanno riguardato la revisione delle leggi e della costituzione democratica di Atene.

A differenza di quanto detto per la Contro Andocide85, infine, la tradizione manoscritta di questa orazione non comporta grandi problemi: il discorso è contenuto in una serie di manoscritti che, in ultima analisi, derivano tutti da un codice del XIII secolo, il codex Crippsianus 95 (A, che contiene, oltre ad Andocide, anche Iseo, Dinarco, Antifonte e Licurgo)86, che risulta sempre leggibile e contiene interventi di una mano correttrice, sul valore della quale gli editori discutono87.

83 §§ 71-91.

84 Cfr. infra Capitolo 4. 85 Cfr. supra pp. 19-20.

86 Da A deriva direttamente il Laurenziano plut. IV, 11 (B), del XV secolo; di B sono a loro volta apografi il Marciano app. class. VIII, 6 (L) e il Burneiano 96 (M), entrambi del XV secolo, e, infine, il Bratislaviense (Z), del XVI secolo.

87 Blass-Fuhr 1913, III-IV e, con loro, Maidment 1941, X-XI e Albini 1961, 30-31 pensano che le correzioni appartengano ad una mano diversa da quella del copista; MacDowell 1962, 24-29 ritiene invece che esse possano essere dello stesso copista, che ricorrerebbe all’archetipo di A per correggere alcune sviste: in questo caso le correzioni rappresenterebbero le lezioni dell’archetipo perduto.

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Intermezzo

Stratagemmi retorici nella teoria e nella pratica oratoria tra V e

IV secolo a.C.

L’esercizio della parola in tribunale è uno dei tre campi di applicazione della retorica, secondo quanto teorizzato da Aristotele e in seguito canonizzato dai retori successivi. Seguendo la teorizzazione aristotelica, obiettivo specifico della retorica in generale è la persuasione1; la distinzione dei tre genera retorici è dovuta essenzialmente al pubblico verso cui tale persuasione si rivolge: i giudici, i cittadini nell’assemblea, o degli spettatori generici2.

Per l’oratoria giudiziaria, come emerge dalla stessa trattazione aristotelica, risulta fondamentale comporre un discorso che non punti solo alla razionalità e alla logica, ma che sappia toccare i giudici anche emotivamente, così da renderli benevolenti nei propri confronti3. I πάθη, insomma, all’interno di un discorso, soprattutto se questo è

rivolto a dei giudici in un tribunale, sono la parte complementare del λόγος. Il bravo oratore dunque sarà in grado di agire sulla giuria facendo leva sulle emozioni e i sentimenti, soprattutto laddove le prove ʽnon artificialiʼ4 non sono particolarmente forti, provocando quella ἔκπληξις, che viene ricordata dalle fonti anche a proposito del primo impatto degli Ateniesi con la ῥητορικὴ τέχνη, al tempo dell’ambasceria da Leontini, di cui Gorgia faceva parte (427 a.C.)5.

Oltre alla ricerca della ἔκπληξις, altri procedimenti retorici che, nel tentativo di influenzare favorevolmente la giuria, mirano a superare l’analisi razionale dei fatti oggetto di dibattito della singola causa sono l’attacco all’avversario, anche per mezzo di insulti e calunnie (διαβολή) e il richiamo all’esempio degli avi (παράδειγμα).

1 O, meglio, trovare ciò che vi è di persuasivo in ciascuna cosa. Cfr. Arist. Rh. I, 1355b 25-26:ἔστω δὴ ἡ ῥητορικὴ δύναμις περὶ ἕκαστον τοῦ θεωρῆσαι τὸ ἐνδεχόμενον πιθανόν.

2 Cioè, rispettivamente, genere giudiziario (δικανικόν), deliberativo (συμβουλευτικόν) e dimostrativo (ἐπιδεικτικόν). Arist. Rh. I, 1358a 36-1358b 29; Cic. Inv. 1.7; Quint. Inst. III.3.14-4.11. Cfr. anche Grimaldi 1980, 79-82.

3 Arist. Rh. II, 1377b 20-24; 1378a 19-22. Cfr. anche Grimaldi 1980, 81; Grimaldi 1988, 5 e, soprattutto, 12-13. Nei capitoli successivi del II libro della Retorica (1378a 30-1388b 30), Aristotele analizza le singole passioni che agiscono sull’uditorio e i loro effetti. Per il concetto di pathos, cfr. Carey 1994, 26-33.

4 Le ἄτεχνοι πίστεις, che Aristotele suddivide in leggi (νόμοι), testimoni (μάρτυρες), patti (συνθῆκαι), torture (βάσανοι) e giuramenti (ὅρκοι), cfr. Arist. Rh. II, 1375a 22-25.

5 Per l’arrivo di Gorgia ad Atene, cfr. D.S. XII.53.3. Arist. Rh. III, 1408a 19-24 ricorda l’efficacia della κατάπληξις (in questo caso sinonimo di ἔκπληξις) all’interno di un’orazione, specialmente in assenza di argomentazioni forti. Per una trattazione del fenomeno della ἔκπληξις, cfr. Belfiore 1992, 216-222.

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