Guardando alla “questione abitativa” non sono sicuro di aspettarmi dalla città quello che la città si aspetta da me. Scherzi a parte, il tema della casa popolare (che è stata la risposta pubblica diretta al bisogno di casa espresso dalle persone in situazioni di debolezza e fragilità socio-economica) si è tradotto, in un paese fortemente affascinato dalla proprietà, in un sistema di fatto bloccato.
Si dice che le case popolari siano poche rispetto alla domanda (l’ultimo bando di assegnazione ha registrato 25mila domande) e che quindi servono più case popolari. Bisogna costruirne di nuove.
Qualche nota mi sembra importante farla per evidenziare la contraddi- zione di questo ambito di intervento.
Confrontata con le altre città italiane Milano ha una percentuale doppia di case popolari rispetto all’intero patrimonio destinato all’uso abitativo, pari al 10%.
La casa popolare, che è in affi tto per poter rispondere nel tempo alle famiglie in condizioni di necessità, viene considerata, nei fatti, come casa
(quasi) in proprietà. La permanenza media è di 40 anni. Dalla casa popolare non si esce e tutto questo introduce una rigidità ed un immobilismo che non permette di avere una mobilità utile a consentire l’accesso di nuove famiglie. Sui 63mila alloggi popolari presenti a Milano (28mila di proprietà comunale e 35mila di Aler) se ne liberano circa 1000 ogni anno (meno del 2%).
In seguito alle verifi che effettuate sulla documentazione prodotta dai cit- tadini che chiedono una casa più di un terzo delle domande vengono esclu- se; la domanda esiste ma non è così consistente.
Non abbiamo più risorse per costruire nuove case popolari pescando dal bilancio comunale. Le case comunali (e regionali) sono state costruite nei decenni a fronte di importanti fi nanziamenti statali (stabili e continuativi come è accaduto con il fondo Gescal, e sporadici ed episodici come è acca- duto con i Contratti di Quartiere prima e con alcune misure della program- mazione regionale nel primo decennio degli anni Duemila). Le risorse sono poche, o scarse, anche perché è consistente l’investimento che il Comune è chiamato a fare sul patrimonio esistente (manutenzione straordinaria diffusa e concentrata) le cui condizioni sono note ai più. Uno sforzo economico- fi nanziario particolare ha segnato il Piano Recupero Sfi tti (100 milioni di euro per recuperare in tre anni 3mila alloggi comunali, vuoti da tempo). Se anche ritenessimo utile costruire nuove case popolari sarebbe assai compli- cato trovare altre risorse.
Quello su cui mi sembra necessario intervenire è il capitolo dell’affi tto a canoni accessibili. Recuperare, attraverso misure di incentivo ed agevo- lazioni, appartamenti privati vuoti da destinare alla locazione concordata (il secondo canale della legge 431/98). Per poter permettere alle famiglie che non stanno più così male di uscire dalle case popolari (e quindi liberare posti per la nuova domanda sociale) e per evitare che le famiglie si mettano in attesa di un alloggio pubblico quando potrebbero essere in grado di so- stenere un affi tto sul libero mercato se opportunamente calmierato, ci serve aumentare nella città lo stock di appartamenti in locazione disponibili ad un canone contenuto.
Su 35mila contratti di affi tto stipulati mediamente in un anno a Milano, solo tremila (circa) risultano a canone concordato. Attraverso una maggio- re conoscenza del regime di locazione concordata e delle agevolazioni a questo correlate, attraverso una riduzione dei rischi associati alla locazione (mancato rilascio dell’alloggio, morosità e manomissione dell’appartamen- to), attraverso una penalità fi scale per coloro che non affi ttano il proprio alloggio, possono partire operazioni più incisive fi nalizzate ad incrementare il numero di appartamenti in affi tto nella città con una auspicata maggiore
mobilità e con un maggior dinamismo del sistema che lega la domanda (an- che quella più sociale) all’offerta (ad oggi fuori misura per i costi eccessivi). A titolo informativo il canone concordato a Milano, pur con variazioni che dipendono dalle diverse zone della città, è pari a 70 euro/mq all’anno, con una riduzione che si attesta intorno al 30% rispetto al canone applicato sul mercato libero.
Per essere più effi caci e risolvere alcuni dei problemi che tradizional- mente affronta il mio assessorato dobbiamo in sostanza aiutare la mobilità di chi oggi abita una casa popolare, manutenere e non ridurre il nostro patrimo- nio evitando ulteriori operazioni di vendita degli alloggi pubblici, investire sulla manutenzione e sul miglioramento delle case e dei quartieri popolari recuperando tutti gli appartamenti vuoti ed assegnandoli, incentivare la mes- sa a disposizione di alloggi privati per far crescere il numero di appartamenti in affi tto a canone calmierato, spingere per ottenere dalle nuove operazioni di sviluppo immobiliare più case in affi tto a canoni accessibili.
Mi aspetto che Milano si senta una città internazionale, europea e aper- ta al mondo. Se non riusciamo ad aumentare lo stock in locazione questa aspettativa rischia di essere delusa. Si tratta di vincere una resistenza cultu- rale, un atteggiamento profondo che ci lega alla proprietà e a cui ci siamo abituati ritenendolo l’unico possibile. Non è così; se avessimo l’intelligenza e il coraggio di guardare con più attenzione al mondo dei giovani, a come si muovono, a quali territori abitano e a come utilizzano le città e i loro servizi, ci renderemmo conto che la direzione da assumere per intercettare il domani e le sue sfi de rende necessaria una inversione profonda.