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Nel suo Discorso l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini nel porre alle istituzioni la sfi da di saper «leggere il presente e immaginare il futuro», chiede alle stesse di superare gli ambiti ristretti in cui rischiano di rinchiu- dersi e le invita al dialogo e alla messa in gioco di politiche capaci di rea- lizzare il bene comune. Non si tratta solo di un’esortazione culturale e il confronto delle singole opzioni e valutazioni politiche e sociali ma indica, a mio parere, che occorre, viste le diffi coltà che i tempi ci pongono, anche modifi care le relazioni e le azioni.

È questa una sinergia necessaria e non rinviabile se ci si vuole impegnare nelle politiche di un welfare di contrasto delle nuove povertà. Queste pover- tà presentano bisogni che attendono risposte immediate di inclusione sociale per evitare che la mancata risposta al presente precluda possibili soluzioni future. È in questa ottica che a mio avviso le istituzioni devono trovare nuo- ve strade uscendo dal dibattito sterile se debba arrivare prima il pubblico o il privato sociale o viceversa. Il forte e dinamico cambiamento del mondo del lavoro ha una conseguente trasformazione del corpo sociale a cui le risposte di welfare assistenziale e il generoso intervento del privato sociale risultano insuffi cienti se non trovano nuovi contenuti e modalità di intervento.

La Fondazione Welfare Ambrosiano, al di là della missione a cui è chia- mata a rispondere e che descriverò più avanti, è un esempio innovativo della possibilità non solo di dialogo tra le istituzioni ma della messa in comune concreta e misurabile di risorse superando la tentazione dell’autoreferenzia- lità. La Fondazione è stata costituita nel 2009 dal Comune di Milano, la ex provincia ora Città Metropolitana, la Camera di Commercio di Milano e le organizzazioni sindacali Cgil Cisl Uil milanesi. Con dei soci fondatori così

era già una sfi da il solo averlo pensato. È un modello di governance che per funzionare deve sempre saper coniugare il ruolo e i valori dell’azione del pubblico con quelle di un privato sociale come il sindacato. Realtà che su alcuni fronti si ritrovano controparti, ma che per rispondere alle nuove esi- genze che la crisi economica partita nel 2008 pone, hanno deciso di fare un percorso comune tangibile e concreto investendo ognuno importanti risorse economiche.

La missione è già l’esito di una capacità di lettura e identifi cazione dei bisogni come richiesto dall’Arcivescovo. Sostenere le persone in tempora- nea diffi coltà economico-sociale tramite un welfare sussidiario responsabile e innovativo è lo scopo dichiarato e da perseguire.

La sfi da è nata nel prendere atto che le diffi coltà di dieci anni fa presenta- vano delle caratteristiche nuove e particolarmente importanti per una realtà come Milano. La crisi economica ha colpito in modo sensibile il ceto medio, il lavoro dipendente che già scontava i forti cambiamenti che le innovazioni nel mercato del lavoro ponevano. Questo non esclude ovviamente la crescita di altre povertà ma la Fondazione ha voluto occuparsi delle nuove povertà, di quella “relativa” che se non contrastata porta alla povertà “assoluta”.

Per le istituzioni pubbliche il non scivolamento dall’area “grigia” alla po- vertà conclamata signifi ca certamente risparmiare risorse nell’area dell’assi- stenza e per il sindacato, già alle prese con un mondo del lavoro che cambia velocemente, signifi ca non perdere ulteriore capacità di rappresentanza e di tutela dell’occupazione e quindi del reddito dei lavoratori. La sfi da per la Fondazione è stata quella di intercettare queste nuove povertà, fatte di per- sone e famiglie in cui magari per la prima volta si poneva il tema di arrivare a fi ne mese. Si lavorava in due ma uno ha perso il lavoro, non è stato rinno- vato il contratto a tempo determinato oppure si è fatturato la metà dell’an- no precedente sono solo delle esemplifi cazioni del fenomeno. Persone non abituate a chiedere aiuto, lese nella loro dignità, vergognose nel portare la loro situazione al di fuori della loro famiglia. La diffi coltà economica delle persone che abbiamo aiutato, tramite il microcredito o l’anticipo della cassa integrazione, l’autoimprenditorialità per rioccuparsi o trovare il primo lavo- ro se giovani, una soluzione abitativa compatibile con il proprio reddito sono stati tutti interventi importanti nel ricreare una opportunità per riprendere la stabilità economica ma, sono stati anche momenti importanti di ascolto e di compagnia con le persone.

C’è una povertà che si aggira nella nostra città e si chiama solitudine. Mancanza di relazioni sociali o deboli relazioni familiari sono delle costanti che il modello di società che stiamo costruendo amplifi ca. Dare risposte a

questi bisogni, guardare in faccia le persone per motivarle e muoverle in modo attivo e responsabile, presuppone una capacità di relazione e accom- pagnamento normalmente non presenti né nel pubblico e, per questo tipo di persone, nemmeno nel privato sociale. Il pubblico opera sul concetto di presa in carico e quindi se ne hai diritto, normalmente solo per un fattore reddituale, e in presenza di tali requisiti eroga delle prestazioni. Il privato sociale, orientato spesso più al dono che al coinvolgimento attivo delle per- sone, anche per la pressione della marginalità che incontra, non è sempre adeguato nell’intercettare queste persone e i loro bisogni. Dalle cose de- scritte si può chiaramente individuare quale innovazione sociale tentiamo di porre in campo che presuppone quindi per noi ma, anche per il pubblico e il privato sociale, un’innovazione nel comportamento.

La Fondazione sta realizzando così una sorta di welfare territoriale del- le opportunità che si rivolge al mondo del lavoro meno tutelato ma anche a semplici cittadini che hanno problemi economici nel soddisfare bisogni primari. Milano è una città con forte presenza di lavoro organizzato e tute- lato, con esperienze positive di welfare aziendale e contrattuale, ma per la dinamica e i cambiamenti del mercato del lavoro e di una crisi che non ci consentirà di tornare come prima, occorre che le parti sociali, sia imprese che sindacati con il contributo degli enti locali, tentino una nuova via. Non si tratta di creare ulteriori livelli di contrattazione, né di defi nire diritti esi- gibili, a cui provvede normalmente la bilateralità contrattuale, ma di offrire opportunità in materia di sostegno al reddito che non è solo quello da lavoro. Solo come esempio, pensiamo al tema dell’accesso responsabile al credito o a un canone sociale di locazione, temi che il welfare aziendale non può disciplinare.

Una città che cresce non può avere due velocità. È ormai dimostrato che la ricchezza prodotta solo da alcuni non diventa redistribuzione per tutti, oltre al problema umano di chi non lavora e non vuole vivere di sussidi. Allo stesso tempo la crescita economica di una metropoli si deve accompagnare sempre al benessere diffuso e alle opportunità per tutti. Diventa non rinvia- bile il tema dell’abitare in una ottica di sostenibilità del territorio. Siamo tut- ti contenti che Milano sia un polo universitario di eccellenza e che arrivino migliaia di studenti ma occorre pensare anche all’offerta abitativa integrata e che non sia espulsione dei residenti. È diventato impossibile trovare case in affi tto intorno alle università, a cui si aggiunge la crescita esponenziale dei contratti transitori di locazione che il lavoro attuale, le fi ere e la vivacità economica di Milano portano già naturalmente con sé. Il richiamo è alle istituzioni che devono governare il territorio e la fi scalità, ma anche alla

responsabilità sociale delle imprese costruttrici ma anche in generale. Senza uno scatto sul tema dell’affi tto Milano è schiacciata nel dualismo dell’edili- zia residenziale pubblica e del libero mercato. Il primo non è più in grado di metter in campo nuove risorse e il secondo, realizzando forti profi tti con ca- noni alle stelle, non si preoccupa minimamente che la fi sionomia della città cambi. Senza un governo capace di favorire per esempio le giovani coppie, Milano rischia di diventare un grande b&b.

La storia di Milano è sempre stata un mix di culture, di persone, di eco- nomie come ben sapeva Sant’Ambrogio che, oltre che grande Vescovo, era uomo di legge che conosceva a fondo il suo tempo e guardava al futuro. Mi- lano non può diventare mono culturale e socialmente limitata ma deve saper tenere insieme le diversità, questo è il suo punto di forza. È un compito che deve muovere le forze positive della città, dal mondo del non profi t a quello profi t, dalla politica alle grandi istituzioni di rappresentanza sociale.

La Fondazione Welfare Ambrosiano, al di là dei risultati ottenuti e sem- pre migliorabili, è un esempio di come realtà diverse hanno saputo insieme leggere la realtà e provare a rispondere fi dandosi gli uni degli altri.