Il Rapporto Ambrosianeum di quest’anno vive entro l’orizzonte di un preciso mandato: l’invito a “produrre pensiero” che innerva il Discorso alla Città di Monsignor Delpini, che si propone di muovere le coscienze e, con l’ironia della concessione di una “autorizzazione a pensare”, stimolare l’or- goglio individuale.
Il Discorso non è, dunque, soltanto un invito ad aprire una discussione pubblica sulla città; è soprattutto un’esortazione a una rifl essione nuova- mente capace di leggere il presente e immaginare un futuro possibile e di porsi al servizio della comunità perché in grado di dare forma e sostanza non a una città ideale, ma a un’idea di città.
Si tratta qui, come credo attesti con tutta evidenza la scelta dell’Arcive- scovo, di porre come exergo alcuni brani della Lettera di Giacomo, di quel- la conversatio cum modestia2 che ha segnato il rapporto di Sant’Ambrogio con Milano e che continua a guidare l’azione dell’episcopato cittadino, di quell’idea – “scandalosa” per la sapienza del mondo – di paradoxos politeia
1. Rettore Università Cattolica del Sacro Cuore.
2. L’espressione è tratta dalla Lettera indirizzata alla Chiesa in Vercelli: «Convertitevi tutti al Signore Gesù. Sia in voi la gioia di questa vita in una coscienza senza rimorsi, l’ac- cettazione della morte con la speranza dell’immortalità, la certezza della risurrezione con la grazia di Cristo, la verità con la semplicità, la fede con la fi ducia, il disinteresse con la santità, l’attività con la sobrietà, la vita tra gli altri con la modestia, la cultura senza vanità, la sobrietà di una dottrina fedele senza lo stordimento dell’eresia», cfr. Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, Milano – Roma, 1977-1994, Ep. extra coll. XIV, 113 (l’evi- denziazione è nostra).
Sul rapporto tra chiesa e società agli albori del cristianesimo cfr. M. Rizzi, I cristiani, il mondo, le città: chiesa e società nei primi secoli (accessibile a http://www.studitardoantichi.org/ einfo2/fi le/1488139791-Relazione%20%20Marco%20Rizzi.pdf).
(cittadinanza paradossale)3 che struttura il rapporto tra la rivelazione cri- stiana e la polis e che ora ci viene richiesto di ricollocare nel contesto storico e culturale del nostro tempo.
Ritorna allora attuale quel «pensare politicamente» in vista di una «uma- nizzazione plenaria dell’uomo» che fu al centro della teoria e della prassi di Giuseppe Lazzati – guida dell’Università Cattolica in anni diffi cili ma insieme animati da ansia di rinnovamento e passioni oggi raffreddate – e dell’esperienza del cattolicesimo democratico: un’idea alta e non strumen- tale della politica, intesa come la più nobile attività degli uomini (di tutti gli uomini), in quanto capace di realizzare quel bene comune che è da intendere quale condizione per il massimo sviluppo possibile di ogni persona. Un pen- siero che non può prescindere – per Lazzati – dalla necessità di una forma- zione e di una cultura che vengano prima di ogni impegno politico diretto4.
Questo esercizio del pensare si confi gura innanzitutto come lavoro col- lettivo, ricerca a più voci e competenze, e richiede che ciascuno «parli e insegni semplicemente, e sostenga ciò che dice con la sola ragione, e non con inganno, con ira e con odio, né con l’intenzione di introdurre qualco- sa nell’amministrazione dello Stato basandosi sull’autorità della propria decisione»5.
Un pensare tanto più responsabile quanto più intenzionato a confrontarsi con una società complessa, pervasa da dinamiche reifi canti sempre più in- vasive e dominata dalla presenza di una tecnica che tende a comprendere in sé tutti gli aspetti della vita umana e, in molti casi, ad assumere la veste di orizzonte assoluto di verità e di salvezza.
È in questa prospettiva che vanno, a mio avviso, cercati e identifi cati i bi- sogni della città, in generale, e di Milano in particolare, muovendo anzitutto da una rifl essione volta ad individuare quelli che con più urgenza reclamano risposta. I quali, almeno nella prospettiva di un’indagine sulle domande e le attese della comunità nel suo insieme, non sono necessariamente quelli
3. Paradoxos politeia è espressione tratta, con leggero adattamento, dall’Ad Diognetum. Per l’anonimo autore i cristiani non possono separarsi dal mondo degli uomini, ossia dalla società a causa dell’universalità che essi professano. Ma neppure vi si identifi cano. La loro funzione consiste nell’inserirsi nella storia degli uomini, nel rispettarla, nel coglierne gli elementi positivi, nel saper esserne fermento attivo, rimanendo d’altra parte consapevoli che anche i valori secolari per portar frutto devono passare attraverso la croce di Cristo o, se si vuole, che le esigenze dell’incarnazione non possono andar disgiunte da quelle della trascen- denza – cfr. R. Gisana e A. Sichera, a cura di, A Diogneto, Milano, 2008.
4. G. Lazzati, I cristiani “anima del mondo” secondo un documento del II secolo, in “Vita e pensiero”, 55, 1972, pp. 757-761.
5. B. Spinoza, Tractatus theologico-politicus – Capitolo XX: Si dimostra che in una li- bera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole e di dire quello che pensa.
materiali. Anzi, se si ha sensibilità esclusivamente per le esigenze materiali, spesso non si riesce a soddisfare neppure quelle; al contrario, la valoriz- zazione delle istanze più strettamente attenenti alla persona e alla quali- tà della relazione sociale può aiutare a mettersi in una prospettiva nuova e a individuare originali soluzioni alle criticità contingenti. In ciò evocando l’immagine agostiniana dello «statista […] in grado di giungere a giudizi moralmente retti perché egli governa la città terrena con lo sguardo salda- mente fi sso ai beni della città celeste»6.