7. L’INDUSTRIA ALIMENTARE *
7.2. La dinamica dei comparti
7.2.1. Il comparto lattiero-caseario
Il consorzio Parmigiano Reggiano è un consorzio volontario da cir-ca 600 imprese produttrici ubicir-cate nelle province di Reggio Emilia, Parma, Modena e in parte delle province di Bologna e Mantova. Il Consorzio Grana Padano è anch’esso volontario costituito da circa 300 imprese produttrici di Piemonte, Lombardia, Trentino, Veneto ed Emi-lia-Romagna. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha concluso l’istruttoria, avviata nel novembre dello scorso anno, sui pia-ni produttivi predisposti e attuati dai consorzi di tutela del Grana
Pa-dano e del Parmigiano Reggiano. A seguito dei rilievi mossi dall’Autorità nel corso dell’istruttoria, i consorzi hanno deciso di in-trodurre modifiche ai principi della programmazione tali da renderla compatibile con le norme per la tutela della concorrenza e del mercato.
Sulla base dei nuovi principi, i consorzi si limiteranno in futuro a regi-strare le richieste dei singoli produttori, previo accertamento della loro capacità di produrre formaggio di qualità ed elaboreranno un obiettivo di produzione complessivo, il cui valore sarà meramente indicativo (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 1996).
Questa sentenza ha suscitato notevole perplessità nel mondo agro-alimentare. Se si analizzano la struttura e i comportamenti dei soggetti che compongono la filiera, dovrebbe infatti essere chiaro come il con-trollo dell’offerta dei due formaggi grana non abbia come obiettivo la limitazione della produzione per conseguire un profitto monopolistico, quanto piuttosto quello di evitare la formazione di eccedenze e i relati-vi effetti devastanti sui redditi degli agricoltori associati, a cui non cor-rispondono sostanziali benefici per i consumatori.
L’altra vicenda che ha coinvolto profondamente il comparto lattie-ro-caseario è legata alle quote latte e al superamento della quantità consentita da parte di numerosi allevatori con conseguente richiesta da parte della UE, dopo l’avvenuta compensazione nazionale, del paga-mento del super prelievo. I risvolti hanno avuto una eco importante sui media e si può solo sperare che tutto ciò porti a una futura maggiore chiarezza, consapevolezza e certezza per tutti gli operatori.
Nel 1996 ha avuto inizio il processo di privatizzazione della Cen-trale del latte di Roma. L’azienda comunale ha fatto registrare nell’esercizio ‘95 un fatturato di 176 miliardi di lire, ma soprattutto rappresenta oggi il terzo produttore nazionale dopo Cirio e Granarolo.
Date le elevate quote detenute dall’azienda romana sulle vendite di lat-te a livello urbano (51%), regionale (43%) e nazionale (7,1% in valo-re), numerose sono state le offerte per la sua acquisizione. Attualmente sono rimasti in lizza i gruppi Cirio, Parmalat, Granarolo Felsinea, A-riete fattoria Latte Sano e Foodinvest.
Granarolo Felsinea, gruppo agro-alimentare bolognese, facente ca-po al consorzio cooperativo Cerpl, ca-potrebbe essere tra i contendenti favoriti per l’acquisizione della Centrale del latte della capitale, in quanto associa già numerose associazioni di produttori nella regione
Lazio e possiede uno stabilimento a Latina.
Il gruppo possiede 9 stabilimenti sul territorio nazionale e controlla le società Dilat, Daunia, Sanbon, Centrale di Parma, Nuova Today e Granarolo Felsinea spa. Quest’ultima, nata dalla fusione tra Granarolo Cbpl e Felsinea Latte, detiene l’89% della quota del Cerpl e annovera 872 dipendenti e 700 soci, dai quali raccoglie 1.650.000 quintali di lat-te all’anno. La fusione delle due società è finalizzata alla razionalizza-zione delle attività di conferimento del latte, attraverso la ridurazionalizza-zione dei costi e alla creazione di economie di scala. E’ prevedibile che quest’operazione abbia dato inizio ad un processo di fusione che andrà ad inglobare le altre cooperative socie del Cerpl (Rimini, Ravenna, Granterre).
Il gruppo Granarolo Felsinea, nel suo complesso, ha registrato nel
‘96 un fatturato di 670 miliardi di lire, in crescita rispetto all’anno pre-cedente, 254 (il 36% del fatturato) dei quali sono da attribuire alla vendita di latte fresco, suo core business, che gli ha fatto conquistare 12% della quote di mercato. Per consolidare i risultati positivi consguiti, il gruppo bolognese vuole allargare la copertura nazionale ed e-stendere quella nella GDO. In questo disegno rientrano l’acquisizione, per 3 miliardi, della Centrale del latte di Parma, la joint venture effet-tuata con Latte Fiore di Udine, il già citato interesse all’acquisto della Centrale del latte di Roma e la recente acquisizione della Nuova To-day di Milano, società che si occupa della distribuzione di latte e quo-tidiani a domicilio. Il controllo di questa società milanese permette-rebbe a Granarolo di sperimentare nuove modalità di distribuzione e di mettere in atto operazioni di direct marketing, che saranno affiancate alla sua prima campagna televisiva nazionale, dedicata esclusivamente al latte fresco, ma finalizzata a consolidare tutti i prodotti a marchio Granarolo.
Nel corso del 1996 Granarolo Felsinea ha investito 15 miliardi di lire per effettuare innovazioni tecnologiche e di processo e 6 miliardi in assicurazione qualità ricerca e sviluppo. Nell’ultimo esercizio il gruppo ha continuato a portare avanti le linee strategiche basate sulla qualità dell’offerta grazie alle quali Granarolo è sempre stato pioniere nell’utilizzo di nuove tecnologie produttive e nell’innovazione di pro-dotto - vedi latte fresco di alta qualità, yogurt di latte e frutta biologici, yogurt di latte di alta qualità, latte termizzato con pastorizzazione alta.
Al momento Granarolo commercializza, oltre ai diversi prodotti casea-ri - burro, formaggio fresco, yogurt e mozzarelle-, 7 diverse tipologie di latte, tra cui il latte biologico, il latte ad alta qualità, che rappresenta il 20% del latte fresco venduto, il latte al cacao e all’orzo e malto, ter-mizzati con processo di pastorizzazione alta, che permette di allungare la shelf life del prodotto a 18-20 giorni. Con questi ultimi due prodotti, lanciati sul mercato italiano negli ultimi mesi del ‘96, Granarolo conta di rafforzare la sua presenza nell’area dei prodotti per la prima cola-zione, mentre per il ‘97 è previsto il lancio di un’altra novità a marchio Granarolo: la mozzarella Alta Qualità, che si collocherà nella fascia al-ta di mercato e sarà commercializzaal-ta prevalentemente presso la mo-derna distribuzione.
Per perseguire le strategie di espansione anche sul versante estero, la holding di Bologna ha stipulato un accordo con Unibon e Unigrana per costituire un’unica società che si occupi di esportare i prodotti del-le tre aziende. Unigrana, nata nel 1991, è la società di commercializza-zione del Consorzio Granterre, cui fanno capo 86 caseifici della zona di produzione e 1.600 allevamenti che conferiscono il latte per la pro-duzione di Parmigiano Reggiano. Il Consorzio, leader in Italia nella produzione di questo formaggio, ha visto nel ‘95 crescere il fatturato da 286 a 435 miliardi di lire (+52%), mentre nel 1996 il giro d’affari è stimato intorno ai 390 miliardi. Contrariamente alla flessione registrata per il fatturato complessivo del Consorzio Granterre, dovuta prevalen-temente alla diminuzione delle quotazioni di Parmigiano Reggiano e di Grana Padano, Unigrana ha fatto registrare miglioramenti di perfor-mance, sia sul mercato nazionale, dove ha incrementato la propria quota di mercato per il Parmigiano Reggiano a 9,8%, rimanendo leader, sia sul mercato estero, dove ha realizzato un fatturato di 9 mi-liardi di lire con un incremento del 37% rispetto al ‘95.
Un polo alimentare attivo a livello mondiale, che deve circa il 60%
del suo fatturato alla divisione latte (fresco e a lunga conservazione), è la multinazionale italiana Parmalat, la quale si stima abbia realizzato nel 1996 un fatturato di 5.500 miliardi di lire, con un incremento del 28,2% rispetto all’anno precedente e del 400% rispetto al 1990, anno in cui aveva registrato un giro d’affari di 1.100 miliardi di lire.
All’incirca il 61% del fatturato dell’ultimo esercizio proviene dalle at-tività svolte oltre confine, che sempre nel ‘90 ammontavano solo al
12% del fatturato complessivo del gruppo. La crescita esponenziale nell’arco di pochi anni del giro d’affari della multinazionale, che conta oggi un capitale sociale di 1.481 miliardi di lire, è da attribuire alle strategie di diversificazione del rischio e di crescita dimensionale per-seguite. Ha acquistato società in tutto il mondo, arrivando a possedere oltre 80 stabilimenti, di cui 23 in Italia, 41 in Sud America, 10 in Eu-ropa, 4 nel Nord America e 2 in Asia.
A sostegno del progetto mirato a rafforzare la leadership del grup-po, che prevede il lancio, entro giugno ‘97, di prodotti tecnologica-mente innovativi, verrà intrapresa una campagna pubblicitaria il cui budget si aggira intorno ai 10 miliardi. All’interno di tale progetto si colloca l’ingresso sul mercato italiano, avvenuto nel mese di novem-bre, del latte a lunga durata Parmalat fresh system, che presenta carat-teristiche organolettiche simili a quelle del latte fresco. Questa novità, commercializzata in bottiglie di vetro, ha richiesto investimenti pari a 110 miliardi di lire per la realizzazione di 5 linee produttive nello sta-bilimento di Collecchio. La produzione di latte fresco verrà spostata nello stabilimento della Giglio di Reggio Emilia, rispondendo ad un piano di ristrutturazione industriale che prevede anche la dismissione della Centrale del latte di Como la cui produzione sarà trasferita presso l’impianto Lactis di Bergamo. Il gruppo per creare un coordinamento delle Centrali del latte fresco, ha inoltre in programma di unire le Cen-trali del latte di Taranto, Matera e Genova in un’unica società che si chiamerà “Centrali latte Parmalat” e avrà sede a Parma.
Nel mese di dicembre la holding ha avviato il “progetto agrumi” in partnership con Ribs (20%) e le associazioni agrumicole (20%); la produzione di succhi è stata affidata alla società Il Giardino delle E-speridi di Termini Imerese, controllata del gruppo, che vedrà aumenta-re il suo capitale da 200 milioni a 79 miliardi di liaumenta-re.
Sul versante europeo Parmalat ha riacquistato, durante il ‘96, il suo marchio dalla spagnola Industria Lacteas Asturianas (Ilas). Per riforni-re il mercato spagnolo, dove la multinazionale italiana commercializza a marchio proprio circa due milioni di litri di latte all’anno, essa ricor-re ora alle importazioni dal Portogallo, paese in cui è pricor-resente dal ‘93.
Data la stagnazione dei consumi che si riscontra in Europa - ove Par-malat effettua solo il 10% delle vendite - già da qualche anno il gruppo ha rivolto la sua attenzione verso i paesi in via di sviluppo, più
dina-mici e redditizi e ha acquistato, per 12 - 18 miliardi di lire, la società australiana Haberfields Dairy, un gruppo lattiero caseario, che viene a costituire una testa di ponte per le esportazioni di formaggi, latte e succhi di frutta alle sussidiarie Parmalat in Cina e Sud America. Le mire della multinazionale italiana si estendono anche al Canada, dove Parmalat ambirebbe al gruppo Beatrice. Un risultato non positivo si è riscontrato dagli investimenti effettuati da Parmalat per cercare di sot-trarre una fetta di consumi al mercato statunitense del latte fresco, che vale 4.600 miliardi di lire. Buone prospettive offrono invece i paesi dell’est, come Romania, Ucraina, Russia e Cina, in quanto sono in una fase di grande sviluppo. Il gruppo di Collecchio vuole raggiungere in Russia i 90 miliardi di fatturato (nel ‘96) e ha intenzione di partecipare alla gara di acquisto per la privatizzazione di due centrali del latte, una in Uzbekistan e una in Ucraina.
Nel corso del ‘96 Parmalat ha effettuato un’operazione di ricapita-lizzazione per un totale di 465 miliardi di lire, 370 derivanti dall’aumento di capitale e 95 dalla conversione anticipata di warrant.
Oltre il 50% di questi capitali freschi contribuiranno a ridurre l’indebitamento, che nel ‘95 ammontava a 1.096 miliardi di lire; la re-stante parte sarà utilizzata per accrescere il potenziale produttivo negli stabilimenti della multinazionale e in particolare in quelli situati nell’est europeo, in modo da poter rispondere al crescente incremento della domanda. Con le emissioni di prestiti obbligazionari effettuate nell’ultimo esercizio Parmalat, oltre a poter ristrutturare l’indebitamento a breve, allungandone la scadenza, potrà sostenere meglio la sua attenta politica di crescita esterna.
7.2.2. Il comparto della macellazione e della lavorazione delle carni L’Italia, insieme alla Germania, è il paese che più ha risentito della crisi del settore delle carni, in quanto il consumatore mostra ancora una scarsa fiducia verso il prodotto.
Secondo stime di Federcarni, infatti, il ’96 si è chiuso con una fles-sione dei consumi che si è attestata intorno al 20%, ben oltre 5 punti percentuali in più rispetto al negativo trend europeo.
Nel comparto suinicolo italiano il forte incremento delle importa-zioni di capi vivi e di prosciutti ed altri tagli industriali ha comportato
nel ‘96, un disavanzo superiore agli 800 miliardi con un peggioramen-to del 7% del deficit commerciale.
Un discreto volume di affari si è registrato per l’intero settore avi-cunicolo anche se con caratteristiche diversificate a seconda dei com-parti. La bilancia commerciale italiana per questo settore, infatti, ha mostrato segno positivo nel primo semestre 1996, contrariamente a quanto avvenuto nello stesso periodo del ‘95. La produzione italiana di pollame, uova e conigli ha fatto registrare un fatturato di 15 mila mi-liardi di lire e una PLV pari al 26,3% della zootecnia alimentare. Il mercato avicunicolo, sebbene sia risultato nel complesso in leggera crescita, si è caratterizzato per un andamento altalenante che si è mo-strato più vivace per i prodotti innovativi quali gli spiedini, i prodotti impanati, gli arrosti e i wurstel.
Un possibile rilancio dei consumi nel settore delle carni potrebbe provenire dalla decisione di fine anno della finanziaria di portare dal 16 al 10% l’aliquota IVA italiana sui prodotti bovini e suini, allinea-mento verso il basso che ci avvicina alla media europea, attestata in media intorno al 7%. Tale manovra tuttavia potrebbe non rivelarsi ri-solutrice per risollevare i consumi, se non verrà affiancata da un’adeguata innovazione di prodotto e se non si riuscirà a fornire ai consumatori ulteriori garanzie di qualità del prodotto.
In un contesto nazionale che ha registrato, in seguito al fenomeno BSE, un calo della domanda di prodotti bovini tra il 30 e il 50% (nel giugno ‘96), nel giugno scorso è nato a Bologna un nuovo gruppo co-operativo, denominato Unicarni, originato dalla fusione tra Unicarni, del gruppo modenese-reggiano Unibon, e Bolognacarni, nata nel 1995 dalla ristrutturazione del Centro macellazione e lavorazione carni del capoluogo emiliano. Tale gruppo, grazie ad un fatturato complessivo di 400 miliardi e ai 160.000 capi macellati annualmente, è divenuto il secondo polo italiano della macellazione, trasformazione e commer-cializzazione di carne bovina alle spalle di Inalca.
L’operazione di fusione tra i due partner rientra in un progetto stra-tegico che si prefigge principalmente di creare maggiori sinergie nella fase distributiva dei prodotti, a seguito dell’integrazione delle reti commerciali delle due società che permetterebbe di poter coprire nella maniera più capillare possibile tutto il mercato nazionale. All’interno di tale strategia, Unicarni si propone di cogliere l’opportunità delle
se-conde lavorazioni, commercializzando la carne bovina porzionata, da destinare sia alla vendita da banco, sia al libero servizio. La meta che il nuovo polo vuole raggiungere entro il 1997 è l’accentramento a Reg-gio Emilia delle attività di macellazione e la dislocazione a Bologna della lavorazione delle carni da destinare alla grande distribuzione. A questo riguardo le due società cooperative, raggruppate nella holding Conazo, sono già oggi tra i principali fornitori di Coop e Conad, cate-ne che rappresentano circa il 50% del loro fatturato.
Il gruppo modenese Unibon, nonostante la persistente crisi del Pro-sciutto di Parma, controbilanciata da un forte incremento nelle vendite degli altri salumi (+5,3 miliardi di lire nel ‘95) e nonostante le perdite della sua controllata Italcarni, ha chiuso in crescita il ’96 con un fattu-rato di circa 750 miliardi di lire collocandosi così al secondo posto nel mercato italiano delle carni e dei salumi. Inoltre l’aver sfiorato il rad-doppio del margine operativo lordo, che è passato da 13 a 26 miliardi nell’arco del ‘96, fa presumere che l’esercizio appena conclusosi si chiuda in pareggio, contrariamente a quanto avvenuto nel ‘95, anno in cui si è riscontrata una leggera perdita.
Le buone performance a cui Unibon è giunta nel ‘96, sono da ad-debitarsi ai primi risultati di una strategia di sviluppo, cui il gruppo modenese ha dato inizio e che pone le sue basi sull’innovazione e sulla qualità del prodotto, oltre che sulla diversificazione della gamma of-ferta. Nell’arco degli ultimi due anni il gruppo in questione ha infatti avviato un processo di completo rinnovamento - nuovo management, sviluppo delle funzioni R & S e controllo qualità, recente innovazione del marchio, completamento della gamma con la nuova linea “casa Modena” - e prevede un investimento di 113 miliardi di lire.
All’interno di tale processo di rinnovamento rientra il riconosci-mento di qualità in base alle norme ISO 9002 fornito, nel mese di lu-glio, dalla società di certificazione norvegese “Det Norske Veritas”, la quale ha certificato ben 18 processi produttivi differenti, presso i 6 stabilimenti Unibon situati nelle province di Parma, Reggio Emilia e Modena.
L’azienda modenese conta di portare in tre anni al 30% la sua pre-senza nella GDO, utilizzando prodotti innovativi anche dal punto di vista del confezionamento, pensati appositamente per fornire un mi-gliore servizio al trade moderno. L’attuazione di questo piano
operati-vo ha previsto il lancio di tre novità a marchio “Casa Modena“; il car-tone “Salvapeso“ - confezioni per salami e salamini in atmosfera mo-dificata-, i “Freschissimi” e confezioni multipack costituite da due monoporzioni di affettati.
A fine novembre 1996 l’assemblea dei soci di Unibon ha approvato un piano di ristrutturazione, che è stato avviato con la costituzione del-la società Unibon salumi, cui il gruppo modenese ha conferito il ramo aziendale salumi, e l’ingresso di nuovi soci quali Sofinco e Parco di Reggio Emilia. Il piano di ristrutturazione approvato prevede la fusio-ne fusio-nella capofila Unibon delle altre aziende del gruppo e la nascita, per scissione della stessa, di due nuove cooperative, che gestiranno rispet-tivamente i due macelli di Italcarni (suini) e di Unicarni (bovini).
Altro polo italiano nel comparto delle carni è il gruppo Cremonini, che controlla circa 60 società operanti in questo settore, tra cui, leader italiano nella macellazione, lavorazione e commercializzazione delle carni bovine, Inalca.
Dopo un 1995 non brillante e appesantito da forti investimenti, Cremonini ha chiuso il bilancio ‘96 con un utile ante imposte di 88 mi-liardi. Nel corso dell’anno il gruppo ha ceduto la catena Burghy all’americana McDonald’s, multinazionale che ha in progetto di e-spandersi in diversi paesi europei e il cui fatturato italiano nel ‘95 è stato di 107 miliardi di lire derivanti dall’attività dei suoi 38 fast food.
La vendita di Burghy, che conta 2.000 dipendenti e 80 locali su tutto il territorio nazionale, si stima abbia fruttato a Cremonini più di 200 mi-liardi di lire, cifra a cui ammonta il fatturato ‘95 della catena di risto-razione.
Come contropartita Cremonini si è assicurato la fornitura di carne nei ristoranti McDonald’s a livello europeo, per un valore annuo sti-mato intorno ai 1.000 miliardi di lire. A rifornire la multinazionale americana sarà Inalca, su cui il gruppo emiliano vuole puntare per consolidare il core business, ovvero la lavorazione delle carni, al fine di risollevare la leggera perdita che la società ha fatto registrate nel
’96, quasi sicuramente in seguito al fenomeno BSE, dato che nell’anno precedente questa società aveva chiuso il bilancio in attivo con un fat-turato di 1.200 miliardi pari a quasi il 50% del fatfat-turato della holding.
Cremonini prevede infine per l’inizio del 1999 di quotare sulla
bor-sa di Milano e su quella americana la sua controllata Marr, società specializzata nella distribuzione, nel catering e nei servizi ai centri di ristorazione. Questa società, con sede a Rimini, che ha presentato un fatturato di 697 miliardi di lire, vedrà quotato il 30 % del suo capitale.
Per quanto riguarda la Beca spa, nello scorso mese di maggio è sta-ta aggiudicasta-ta dal curatore fallimensta-tare per 19,5 miliardi di lire all’unico gruppo di pretendenti presentatosi, capitanato da Dario De Angeli, appartenente ad una nota famiglia di imprenditori romani. La cordata, che si riproponeva di diversificare nel settore dei piatti pronti, dopo opportuni ammodernamenti tecnologici e produttivi agli impian-ti, si è vista sfumare però per il momento la possibilità di acquisire la società in seguito a vicissitudini giudiziarie.
7.2.3. Il comparto ortofrutticolo e dei succhi di frutta
7.2.3. Il comparto ortofrutticolo e dei succhi di frutta