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Fig 6 Appalti dello Stanco generale dei tabacchi (1721-1752)

VI. Il settore minerario

1. La dinamica del reddito

Il principale prodotto dell’attività estrattiva è la galanza (o galena, solfuro di piombo), da cui viene estratto il piombo e, se argentifera come in Sardegna, anche l’argento. Nei bilanci del Regno si usa la parte per il tutto e la voce «Diritto della miniera di galanza» indica le entrate dell’intero settore minerario. Dal 1721 al 1764 è registrata tra i «Redditi diversi» e, a partire dal 1765, diviene un capitolo autonomo: «Miniera della galanza». L’entrata preventivata [fig. 1] è a lungo, piuttosto bassa: nel 1721 appena 125 lire; nel 1723 420 e 288 negli anni 1729-1741. Per un confronto, si consideri che, sempre nel 1729 la pesca dei coralli garantisce un’entrata di 3.750 lire, le saline di 17.196, le dogane di 19.616 e la gabella del tabacco di 21.000 lire. Cifre tutte notevolmente superiori a quelle del settore minerario. Nel 1742, si preventivano 675 lire e poi 2.400 lire dal 1743 al 1761.

Nel bilancio del 1762 si registra un picco, con una previsione d’entrata notevolmente superiore alle precedenti: 45.018 lire e addirittura 75.706 lire nel 1765, il massimo assoluto del periodo. Negli anni il reddito va progressivamente, scemando fino alle

10.125 lire del 1828, con qualche punta anche inferiore: 7.500 lire nel 1822 e 3.000 nel 1823.

2. Le concessioni

Alcune miniere sarde sono note fin dalla preistoria. Lo sfruttamento su scala più vasta cominciò nel periodo punico e proseguì sotto Roma, quando le miniere erano coltivate dai condannati ad metalla. Durante il medioevo, i Pisani estraevano l’argento dalle miniere dell’area di Villa di Chiesa (Iglesias).Il settore decadde sotto la Spagna, che disponeva di giacimenti ben più ricchi nel Nuovo mondo. I Savoia si mostrarono invece interessati a riprendere la coltivazione dei giacimenti.

Nel 1732, il viceré Falletti (1731-1735) scrive a Torino che le risorse minerarie sarde non sono adeguatamente sfruttate308.

Fin dal 1704, le miniere dell’isola erano state concesse al genovese Salvatore Durante, uno dei principali negozianti della piazza di Cagliari, appaltatore delle dogane e di altri diritti regi. Nel 1721 l’amministrazione sabauda conferma il privilegio al figlio, Giovanni Stefano, in società col sardo don Pietro Nieddu. A tale concessione tenta di opporsi Giacomo Musso, un altro negoziante genovese che opera nel settore minerario in nome di don Gavino Olives, erede di un permesso d’epoca spagnola. Come si può vedere, alcuni importanti uomini d’affari, specie genovesi, investono capitali anche nel campo minerario; ma le risorse rimangono ampiamente sottoutilizzate.

Durante e Nieddu sfruttano, principalmente, le miniere di Monteponi con alcuni sub- concessionari e realizzano una fonderia per il piombo nei pressi di Iglesias309. Sono

308 F. LODDO CANEPA, Giudizi di alcuni viceré sabaudi sulla Sardegna e sui suoi problemi

attraverso i carteggi ufficiali del Settecento, in «Annali della facoltà di Lettere-Filosofia e Magistero

dell’Università di Cagliari», vol. XIX, Sassari, 1952, p. 5.

309 Cfr. L. BULFERETTI, Le miniere sarde alla metà del secolo XVIII, in Studi storici in onore di

Francesco Loddo Canepa, Firenze, 1959, vol. I, pp. 65-86; G. DONEDDU, Le miniere nell’età

sabauda, in F. MANCONI, Le miniere e i minatori della Sardegna, Cagliari, 1986, pp. 37-44; P.

tenuti a versare il 6% dei minerali estratti, il 5% nel caso di oro ed argento,ma come si è visto le entrate, per la regia Azienda, sono alquanto limitate.

Nel 1740, le miniere della Sardegna sono concesse per 30 anni ad una società straniera formata da Carlo Gustavo Mandell (o Mandel), console svedese in Sardegna ed ingegnere minerario, da Carl Brander e dal tedesco Karl von Höltzendorff, residente a Londra. Il privilegio è concesso il 30 luglio 1740 ed approvato da Carlo Emanuele III l’11 novembre. I concessionari si impegnano ad estrarre 5.000 cantara di galanza l’anno e pagarne il 6% alla regia Cassa, oltre a percentuali variabili per i diversi metalli estratti310.

I soci si servono di un tecnico tedesco, di Hildeshaim, Christian Bösen, con cui visitano le aree minerarie. Il tecnico suggerisce di sfruttare alternativamente siti nel nord e nel sud dell’isola, ma, probabilmente per motivi economici, la società preferisce concentrare gli investimenti nella zona meridionale. Nel 1742, in base alle indicazioni dello stesso Bösen, viene costruita nei pressi di Villacidro una fonderia, che utilizza i metodi adottati nella zona mineraria di Friburgo. La forza motrice doveva essere fornita dall’acqua del torrente, che azionava le pale collegate ai mantici dei forni e ad altri macchinari.Per garantire il funzionamento dell’impianto, Bösen aveva portato con sé un figlio, come assaggiatore dei metalli e 47 operai specializzati, oltre a 92 minatori e 50 tra fabbri ferrai, falegnami, boscaioli, carbonai, ecc. Un altro figlio, rimasto in Germania, costituiva il riferimento per eventuali integrazioni di manodopera specializzata.

Nel 1746, la fonderia, chiamata «Charlshütte» («fonderia di Carlo») dai nomi dei soci fondatori, è visitata da un alto funzionario piemontese (l’Intendente generale o un suo stretto collaboratore) che così la descrive: «Cet établissement est au pied d’une petite colline eloignée de Vilasidro d’un mille, où coule un roisseau soit torrent. La batisse de cette fonderie est des plus belles quoiqùil soit cependant vrai, qu’elle n’a pas été faite avec toute l’attention possible». Osserva, infatti, che il sito si

Convegno nazionale di Storia e fondamenti della chimica, Venezia, 7-9 novembre 1991, II, pp. 227- 254.

è rivelato inadatto, in quanto malarico e perché il torrente non è in grado di fornire un quantitativo adeguato d’acqua per tutto il corso dell’anno311.

La morte di numerosi operai stranieri, dovuta alla malaria e all’ostilità degli abitanti della zona, spinge gli imprenditori ad utilizzare, per la fusione, anche manodopera locale, sotto la guida di maestranze tedesche; mentre nelle miniere i sardi sono addestrati all’uso degli esplosivi.

I problemi non mancano neanche tra gli investitori: Brander si ritira e Mandell lo sostituisce facendo entrare nuovi soci, cosa che provoca l’abbandono dell’impresa da parte di Höltzendorff. Si tratta dell’inglese Isacco Net e del nipote Isacco Lopez Pinchiero, napoletano, uomini d’affari israeliti che vengono ammessi dalle autorità sabaude a patto che pratichino la loro religione solo in privato, rispettino le festività cristiane e non si facciano servire da cristiani (a tale scopo vengono fatti arrivare domestici correligionari). I nuovi soci, scavalcando Mandell, prendono accordi con l’Intendente per costruire una nuova fonderia a Domusnovas, in un luogo più adatto. Ma i problemi non sono finiti: nel 1746 Net abbandona l’impresa e nel 1748 Bösen lascia la direzione e ritorna in Germania.

Il fatto che i protagonisti siano svedesi, inglesi e tedeschi non è casuale. La Svezia fonda il suo sviluppo economico proprio sul settore minero-metallurgico e, in particolare, sull’estrazione e la produzione del ferro, impiantate nel Seicento ad opera di mercanti Olandesi, che poi esportavano il prodotto sotto forma di barre e cannoni. Nel Settecento, la Svezia ha frequenti rapporti con la Sardegna per via del sale, di cui è il principale acquirente.

A Londra si è sviluppato già da tempo un mercato finanziario, che permette di reperire capitali da investire anche in aree lontane del mondo e in attività di cui gli investitori hanno scarsa conoscenza.

I tecnici provengono invece da un’importante zona mineraria tedesca, dove si formano anche alcuni artiglieri sabaudi come Robilant e Ponzio.

L’amministrazione sabauda lascia che la società anglo-tedesca-svedese impianti l’attività di estrazione e fusione dei metalli ed instauri rapporti commerciali per la

vendita del prodotto all’estero. Dopo circa un ventennio riacquisisce il controllo prima che la concessione sia giunta alla scadenza contrattuale. Probabilmente ritiene di poter ripetere, nel settore minerario, i risultati positivi sperimentati nella gestione diretta delle saline, avvalendosi di tecnici militari con competenze specifiche.

Il Bogino, che è anche «Sovrintendente di tutte le miniere» e l’Ispettore generale delle stesse, Spirito Benedetto di Robilant, inviano in Sardegna il sottotenente Giovanni Stefano Ponzio, che ha studiato in Germania, a Friburgo, con Robilant. Ponzio porta con sé gli strumenti per le analisi ed è incaricato di compiere una missione conoscitiva, che fornisca dati sicuri sulla presenza di minerali nelle rocce sarde. Fino a quel momento si era andati un po’ alla cieca, facendo concessioni sulla carta, senza conoscerne le effettive potenzialità. Ponzio ispeziona i siti di Montevecchio, La Tela, Riu Mannu, Su Casargiu, Su Gustosu, Gennamare, per verificare l’attività di concessionari e sub-concessionari; inoltre, accompagnato dall’avvocato Vincenzo Mameli d’Olmedilla, visita il Sarrabus e l’Ogliastra. La situazione è delicata, perché da un lato l’amministrazione regia cerca un motivo per annullare il permesso d’estrazione e, dall’altro, essendo Mandell console svedese, teme di incrinare i rapporti con il suo Paese, che è il principale acquirente del sale sardo.

Si giunge così ad intentare una causa contro Mandell, per un quantitativo d’argento, che l’uomo d’affari svedese avrebbe esportato senza pagare i diritti alla reale Azienda; ma si tratta presumibilmente di un pretesto, utilizzato ad arte per annullare una concessione rivelatasi poco soddisfacente. Il 27 febbraio 1758 l’Intendenza generale dichiara Mandell decaduto dalla concessione e nell’ottobre successivo la Reale Udienza ratifica l’atto. Il console ricorre a Torino, al Supremo Consiglio, che il 10 marzo 1759 conferma la decisione presa a Cagliari. Nel maggio dello stesso anno Mandell muore, ma l’amministrazione regia continua la causa per evitare che subentri l’erede Carlo Bank, che risiede a Londra.

Nel bilancio del 1762, contando su una sentenza favorevole alla reale Azienda, si mette a bilancio la cifra di 45.018 lire. Gli anni successivi corrispondono alla fase di rapida crescita, segnalata dal grafico della fig. 1.

ma le entrate del settore non risponderanno pienamente alle aspettative iniziali. I bilanci del Regno evidenziano, infatti, che dopo una partenza positiva, dovuta all’abbrivio impresso dalla precedente gestione, la regia Azienda non è stata in grado di mantenere i rapporti con i mercati esteri. La produzione ripiega sul mercato locale, costituito essenzialmente dai vasai, che utilizzano la galanza per smaltare la terracotta e nell’arco di un sessantennio finisce per spegnersi. Ai mercanti rimane la possibilità di gestire singole miniere in concessione, ma si tratta di ambiti ristretti.

3. La gestione in economia

In attesa della sentenza definitiva, il 6 giugno 1759 l’Intendente generale affida l’amministrazione delle miniere e della fonderia all’avvocato Vincenzo Mameli d’Olmedilla, che la tiene sino al 1762. Essendo morto Ponzio, viene incaricato della direzione tecnica il sottotenente Pietro Belly, allievo del Robilant al Corso di Studi metallurgici delle Scuole Teoriche312, che giunge in Sardegna nell’autunno di quello stesso anno e mantiene l’incarico fino al momento della morte, nel 1791. Questi completa l’ispezione ed invia a Torino una relazione da cui emerge un’amministrazione poco precisa e, soprattutto, l’irrazionale ubicazione della fonderia costruita dai concessionari a Villacidro, lontano sia dai luoghi d’estrazione dei minerali, che da quelli d’approvigionamento del legname necessario per il funzionamento dei forni. Il Belly ritiene, comunque, che il settore minerario abbia buone prospettive di sviluppo, ma nel novembre 1760 consiglia al Bogino di concentrare gli sforzi su Montevecchio e il Sarrabus313.

Nei bilanci, le spese per il settore minerario sono registrate a partire dal 1770. Come si può vedere dalla figura 1, i margini di guadagno sono molto ristretti e negli anni 1785-1787 e 1822-1823 la gestione è addirittura in perdita. L’organico diviene, negli anni, più complesso e si sperimenta anche l’impiego di forzati (si vedano alcuni esempi di bilancio di spesa nella fig. 2).

Nel 1770 è registrato un investimento di 1.250 lire per la creazione di quattro gallerie (non si specifica in quale miniera), per facilitare i concessionari. L’indirizzo iniziale sembra quello di dare ai privati le concessioni per l’estrazione dei minerali e di concentrare l’attività pubblica sullo stabilimento di Villacidro. Nei bilanci dal 1770 al 1787 le spese si riferiscono, infatti, solo alla gestione della fonderia. Dal 1790, oltre che per la fonderia, sono registrate spese per la gestione della miniera, che fino al 1802 è indicata genericamente come miniera di Iglesias, mentre dal 1804 al 1821 si specifica che si tratta di Monteponi. Nel 1822 si preventiva la spesa di 8.187 lire e

12 soldi per costruire, a Domusnovas, una macchina per frantumare la galanza di seconda qualità e il «miscudiglio».

Se ne deduce che, col passare del tempo, si sperimentino diverse soluzioni di gestione della fonderia e delle miniere o di concessioni ai privati a seconda della convenienza del momento.

Per quanto riguarda la produzione, i bilanci dal 1765 al 1787 specificano quali sono le entrate derivanti dalla produzione di piombo, galanza, argento, litargirio e dal diritto sulla vendita di galanza nel Regno [fig. 3]. Per gli anni 1795-1817 i bilanci registrano solo il dato complessivo delle entrate della fonderia di Villacidro, che, come si può vedere dalla fig. 4, segnano un decremento costante.

Nel bilancio del 1822 il settore registra un’entrata complessiva di 7.500 lire, derivanti da «cantara 1.000 galanza di prima qualità da vendersi ai vasellai del Regno a lire 7.10; le altre qualità di seconda e terza (ossia miscudiglio) per ora né si vendono, né si fondono, ma restano nella miniera in aumento del vecchio fondo». L’anno successivo il ricavo, dovuto solo alla vendita di galanza ai vasai sardi, scende ulteriormente: 3.000 lire per 400 cantari, sempre allo stesso prezzo. Il declino è più che evidente: la produzione trova sbocco solo nel limitato mercato locale o rimane in magazzino.

Per quanto riguarda le concessioni ai privati, nel corso del Settecento ottengono permessi minerari parziali: Fernando Nin, Giovanni Battista Alesani, Giovanni Baylle, Giovanni Antonio Nitard e Giuseppe Callamand314, negozianti della piazza di Cagliari, alcuni dei quali già incontrati tra gli appaltatori.

Nel bilancio per il 1802 è preventivata un’entrata di 600 lire, quale canone dovuto da Pasquale Cicu di San Gavino, per la concessione della miniera di galanza di Montevecchio, in territorio di Guspini. La concessione è del 18 settembre 1798. Il 27 dicembre 1826 viene data in appalto la miniera di Monteponi. L’entrata del biennio 1827-1828 consiste esclusivamente nel canone di 8.125 lire, dovuto dal negoziante Angelo Asseretto, calcolato su un’estrazione presuntiva di 5.000 cantari di galena, computati al prezzo unitario di 1 lira, 12 soldi e 6 danari e alla vendita ad Asseretto dei residui di galena e «minutiglio» già scavati e giacenti invenduti nella miniera.