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Il reddito prodotto dalle saline di Pontevecchio, Orri, Villarios e Porto Pino viene registrato, nei bilanci del Regno di Sardegna, fino all’esercizio del 1803, compreso. Quello di Capo Teulada è annotato, in modo discontinuo, fino al 1814; ma, come abbiamo visto, a questa data la salina era inattiva da tempo.

Le testimonianze di tutti i concessionari concordano nel rilevare il crollo degli scambi commerciali, che rende pressoché impossibile lo smercio del sale prodotto, nonché l’estrema gravosità degli investimenti, effettuati, che si rivelano senza eccezioni superiori alle previsioni.Per la contrazione dei commerci, è anche difficile trovare soci o reperire sul mercato i capitali necessari per superare le difficoltà. Sappiamo che i gestori di Villarios, Porto Pino e Capo Teulada sono pesantemente indebitati e, probabilmente, la situazione degli altri non è molto diversa.

La crisi è tale che nel 1800 la stessa reale Azienda, per ridurre le spese, fa scavare solo sei mila salme di sale ed è costretta a sospendere gli stipendi degli impiegati, «tranne i tre principali»213.

Le quattro saline che restano sul mercato ottengono una riduzione del canone da 25 a 18 scudi, per casella salifera, con la Carta reale del 25 luglio 1802. Va sottolineato che riescono a superare la crisi solo le saline appartenenti a negozianti, i quali non aspettano passivamente l’arrivo degli acquirenti stranieri, ma si attivano per favorire gli scambi. Già nel 1781, il viceré Carlo Francesco Valperga di Masino (1780-1783) scriveva a Torino: «Sul proposito, però, di tali nuovi concessionari stimo di far presente a V. E. che, essendo qui venuti diversi bastimenti Suedesi per caricar sale, sento che i proprietari di simili saline artificiali facciano maggiori vendite di sale di quel che faccia la regia Azienda, nonostante che i particolari siano tenuti a venderlo allo stesso prezzo. La cosa sembra naturale, poiché a’ proprietari medesimi che hanno anticipate le spese della formazione delle saline e dell’escavazione del genere,

non comple di tener fondi morti e procurano di vendere. Le intelligenze poi secrete, che puonno esservi tra li venditori e li compratori è difficile di penetrarle, ma ove anche non si volesse supporre che i proprietari vendessero a minor prezzo dell’Azienda, si sa che tra i negozianti ed i capitani suedesi seguono baratti di merci e dando questi ultimi del ferro ed altri generi per sale, poco loro importa il ricevere a scudo la salma di sale, quando puonno passar a negozianti il ferro a maggior prezzo, cosicchè vengono ad ottenere il sale per sei o otto reali. Sembrami, quindi, che S.M. non abbia fatto un gran guadagno col concedere nuove saline e temo che se non adesso, il che però risulterà alle finanze dalle vendite, che si fanno attualmente dall’Azienda, col tempo però verrà a risentirsene notabilmente il ramo delle saline altronde così esenziale pel regio Erario»214.

L’osservazione del conte Valperga di Masino è fatta all’inizio della fase recessiva. Fin dal 1782, si introducono sgravi ed agevolazioni per i bastimenti stranieri che vengono ad acquistare sale. Tali provvedimenti, in principio limitati alla Svezia, sono estesi a tutti i paesi e reiterati più volte.215 Al termine di un quarantennio profondamente segnato da crisi cicliche, si giunge ad un provvedimento che limita fortemente la capacità di agire delle imprese private. La Carta reale del 16 settembre 1824 stabilisce, all’art. 8, che i bastimenti stranieri debbano rivolgersi necessariamente alla reale Azienda e possano acquistare sale dai privati solo se questa ne è sprovvista. Con il successivo Editto del 1 dicembre1827, è disposto l’esproprio delle saline private. Come si vede dalla fig. 7, nel 1823, alla vigilia della

214 A.S.C., Segreteria di Stato e di Guerra, II serie, vol. 1525; si tratta del dispaccio spedito a Torino il

9 marzo 1781.

215 Regio biglietto 27 settembre 1782, «Per agevolare la vendita del sale che si raccoglie nelle saline

regie, si danno provvedimenti per promuovere l’esportazione di quel genere». Il 18 ottobre 1815, «Conferma del disposto nel regio biglietto del 27 settembre 1782, onde rianimare quel commercio colla Svezia». Carta reale del 16 settembre 1824 «con cui si danno alcuni provvedimenti per favorire ed estendere il commercio del sale colle nazioni estere». Regio biglietto del 1 luglio 1826 «col quale si prescrive che la tariffa dei diritti d’ancoraggio che, col Regolamento del 1782, fu posta in vigore per i soli legni svedesi, sia ripristinata e resa comune a tutti indistintamente per i bastimenti esteri, che vanno a prendere in Sardegna il loro carico di sale». Cfr. anche G. DE FRANCESCO, Le saline di

promulgazione della Carta reale del 16 settembre 1824 e dell’Editto del 1 dicembre 1827, il reddito prodotto dalle saline gestite in economia dalla reale Azienda (Cagliari e Carloforte) ammonta all’85% del totale; mentre il canone pagato dalle cinque saline private costituisce solo l’1,53% del reddito della reale Azienda. La reale Azienda ha, dunque, tutto l’interesse ad eliminare possibili concorrenti, tra l’altro rinunciando solo all’1,53% delle entrate sul sale. L’Editto del 1 dicembre 1827 ha comunque una portata più vasta, che non si limita al perseguimento di quest’obiettivo. Con l’abolizione di privilegi ed usi d’antico regime e l’introduzione di una normativa uniforme, modifica le strutture stesse del settore.

L’Editto pone sotto il pieno ed esclusivo controllo del Fisco la produzione, la distribuzione e la vendita del sale e del tabacco. Come si è visto, un primo nucleo di pubblici funzionari si era andato sviluppando per garantire la gestione delle saline di Cagliari e Carloforte. Ora invece nasce una vera struttura burocratica, distribuita capillarmente sul territorio, per mezzo di una rete di «stanchi» maggiori e minori, che permette la distribuzione e la vendita del sale e del tabacco ad un prezzo uniforme in tutta l’isola216. La riforma è studiata per conseguire l’accentramento amministrativo unitamente a una maggiore efficienza, pertanto vengono rimossi tutti gli ostacoli, che possano intralciare il pieno controllo dei settori sottoposti al monopolio statale, che sono tra le principali fonti di reddito del Regno. Carlo Felice enuncia così le motivazioni della riforma: «L’esercizio delle gabelle del sale e del tabacco nel Regno nostro di Sardegna non pienamente arrecando i vantaggi, che aspettar si possono dalla ben regolata istituzione [...] ed insieme quel congruo provento, che le spese ed i carichi dello Stato indispensabilmente necessitano, ravvisammo necessario di riordinare esse gabelle [...]. Pel che reputammo primieramente esser d’uopo di ritornare nella piena integrità sua la esclusiva ragione del Fisco al commercio del sale e del tabacco; il riunire quindi negli uffici medesimi l’uno all’altro servizio, onde migliorare la condizione di quegli uffiziali, senza aggravare le finanze di soverchia spesa [...] lo stabilire in amb’i rami d’amministrazione quella regolare uniformità per cui tutti que’ nostri diletti sudditi

con eguale facilità e ad ugual prezzo potessero di tali derrate provvedersi, tutte abolite le differenze, che per ragione di provincia, di distanza de’ luoghi, di affittamenti e del dispendio ne’ trasporti si erano introdotte, le quali dando allettamento ai frodi ed agli arbitri de’ venditori e l’impunità agevolandone, era cagione di danno all’Erario ed ai privati consumatori e finalmente il prescrivere le norme ed i termini di siffatta regal privativa».

Di particolare importanza è il dettato dell’articolo 2: «Tutti sono risolti ed aboliti i diritti, che riguardo alla vendita o distribuzione del sale spettassero a Città, Comuni ed altri Corpi morali qualunque ed ai privati d’ogni stato, grado e condizione indistintamente, per qualsiasi contratto, concessione o comunque; salvo, però, a loro favore il risarcimento che di ragione, a termini delle leggi. Tale risarcimento sarà convenuto fra gli aventi diritto e l’Intendente generale del Regno; non convenendo le parti, sarà pronunziato dal Tribunale del regio Patrimonio».

In un primo momento vengono fatti salvi i diritti degli abitanti di Cagliari e d’Iglesias, che, per antico privilegio godevano della distribuzione gratuita del sale necessario al fabbisogno personale. È riconosciuto un trattamento particolare anche alle panatare, alle quali sono concessi quantitativi maggiori ed ai pescatori, che avranno diritto alla «restituzione dei due terzi sul prezzo del sale, che lor sarà bisognato alla salagione dei pesci». Seguono disposizioni particolari volte a prevenire il contrabbando ed altre ancora che riguardano l’organizzazione della rete di distribuzione.

L’entrata in vigore della riforma produce una modifica anche nella struttura dei conti del settore. Un raffronto con i dati del periodo precedente, rilevati in maniera diversa, è scarsamente significativo. Tuttavia, si può dire che il bilancio per il 1828 conferma il crollo delle esportazioni di sale, in quanto prevede un’entrata di 179.882 lire sarde dalla vendita di sale negli stanchi del Regno e 3.000 lire soltanto per la vendita di sale all’estero217.

Per quanto riguarda le saline private, Terranova, Media Playa, La Vittoria, La Maddalena e La Fortunata sono espropriate al momento dell’Editto, ma per arrivare ad un accordo sull’indennizzo saranno necessari alcuni anni di trattative.