La nascita delle prime saline si collega ad alcuni interventi per il riordino amministrativo adottati in quegli stessi anni.
Sotto il viceré Antonio Francesco Gaetano Caissotti di Robbione (1771-1773), il «pubblico manifesto dell’Intendenza generale del 12 marzo 1772», che rendeva nota
166 Erano soggetti al pagamento di questo diritto quanti avevano ottenuto, con patente regia, la nomina
ad un impiego, la concessione di cavalierato e nobiltà o di un feudo. In genere le esenzioni erano accordate nel caso di titoli nobiliari concessi come ricompensa per i servigi resi al sovrano (cfr. F. LODDO CANEPA, La Sardegna dal 1478 al 1793. II. Gli anni 1720-1793, cit., p. 100).
l’intenzione di alienare alcuni beni appartenenti al regio Patrimonio rimane in realtà lettera morta. Ferrero della Marmora dà invece attuazione al «manifesto» e privatizza in particolare alcune peschiere di Cagliari, poste nel cordone costiero chiamato La
Playa, che separa il mare dallo Stagno Reale, oggi detto di Santa Gilla.
Tale provvedimento s’inquadra in una più generale politica di razionalizzazione: si alienano beni scarsamente produttivi per il regio Patrimonio, al fine di conseguire un’entrata di cassa e alleggerire l’amministrazione regia, trasferendo ai privati anche l’onere della manutenzione dei ponti delle peschiere, sopra i quali passava la strada costiera occidentale167.
Altre proprietà regie, fra cui la peschiera di Piscina Longa nello stagno di Cagliari, vengono date alla nobile famiglia dei Ripoll come indennizzo per le scrivanie della Luogotenenza generale, della Reale Udienza, della Reale Cancelleria e della Capitania generale del Regno di Sardegna, con l’uso dei regi sigilli. Uffici alienati in epoca spagnola, che vengono «riuniti al regio Patrimonio» nel 1771168. È evidente
167 Per quanto riguarda la manutenzione dei ponti, i risultati non saranno quelli sperati: don Emanuele
Ripoll avrà una lunga causa con il fisco perché non ottempera ai suoi doveri. Nel 1860, un illustre discendente di quel viceré, Alberto della Marmora, descrive così il sito: «Tutti questi ponti sono in legno e adesso in numero di sette, senza contare il primo detto della Scaffa, che è di tavole; solo nel penultimo i piloni sono fabbricati in muratura, gli altri sono costruiti in maniera rude, con la passerella sempre di legno, ma composta di piccoli rulli di ginepro, negli intervalli dei quali rimangono dei vuoti che, quando si passa, lasciano vedere l'acqua che scorre sotto il ponte; un passaggio siffatto è pericoloso anche per i cavalli, che qualche volta si impennano, si spaventano o infilano la zampa in uno spazio vuoto. Hanno tutti bisogno di un rifacimento, ma siccome sono a carico dei proprietari delle diverse peschiere vicine e il Governo non dà il buon esempio tenendo con cura quello di cui ha la manutenzione, sarà difficile ottenere qualche miglioramento in materia». (A. DELLA MARMORA,
Itinerario dell’isola di Sardegna, Nuoro, 1997, I ed. Torino, 1860, vol. I, p. 183). L’autore ritorna
sull’argomento poco oltre e suggerisce anche una datazione approssimativa delle peschiere sulla base di un documento del 1586, alla data del quale le peschiere artificiali non erano ancora state scavate. Tale anno costituisce, quindi, un terminus post quem (ibidem, p. 219).
168 Il reddito annuo degli uffici espropriati è stimato in 5.000 lire sarde, cioè 2.000 scudi sardi o 8.000
lire di Piemonte. La transazione è firmata da don Emanuele Ripoll in qualità di procuratore generale del padre, don Pietro ed approvata da Vittorio Amedeo III con Diploma del 16 agosto 1774, di cui si
l’intenzione di sottrarre alla nobiltà le cariche ereditarie, per riportarle sotto il controllo regio, al fine di formare una moderna pubblica amministrazione. Tale politica è condotta, però, con incertezze e contraddizioni, dovute probabilmente al fatto che la monarchia non è sufficientemente forte per imporre le proprie decisioni ed è invece costretta a venire a patti con i feudatari. In questo caso, da un lato il sovrano riacquista il controllo di importanti magistrature del Regno, dall’altro concede ai Ripoll il marchesato di Neoneli, composto da tutti i beni trasferiti, con la giurisdizione civile e criminale e mero e misto impero su buona parte dei territori. Per quanto non sia maturato il momento dell’abolizione dei feudi, una concessione così tarda non è accettata di buon grado dalle popolazioni interessate, che tenteranno più volte di sottrarsi ai nuovi vincoli, nonostante avessero firmato accordi preventivi con l’Intendenza generale.
Sul versante economico, il processo di accentramento comporta la progressiva riduzione dello spazio d’azione dei negozianti in quello che si va definendo sempre meglio come settore pubblico.
10. Pontevecchio
La salina di Pontevecchio è concessa alla proprietaria di una delle peschiere regie privatizzate: Maria Elisabetta Loddo, di Quartu, vedova dell’avvocato cagliaritano Mauro Antonio Pugioni, che si era rivolta all’Intendenza nel dicembre 1773. La donna era interessata, in realtà, ad ottenere il grado di cavalierato e nobiltà per sé ed i suoi figli, ma l’Intendente le aveva spiegato «che avrebbe forse più facilmente potuto conseguire il bramato oggetto se avesse pensato di progettare ad un tempo per l’acquisto di un qualche effetto demaniale di quegli esposti in vendita col pubblico manifesto dell’Intendenza generale delli 12 marzo 1772». La vedova Pugioni, «di buon grado e spontanea volontà» aveva quindi deciso di acquistare la peschiera di
conserva copia in A.S.C., Intendenza generale, Diplomi, Carte reali, Patenti e Privilegi, vol. 42, cc. 16 – 28.
Pontis Bechu, o Ponte vecchio. La linea qui seguita conferma l’osservazione di
Giuseppe Ricuperati, che evidenzia una tendenza dell’amministrazione a vendere titoli nobiliari a chi può contribuire alla riparazione di ponti e strade169.
La peschiera viene venduta per un prezzo di 5.250 lire, perché «esigerebbe considerevoli riparazioni per ristabilirla». È appaltata dal luglio 1773 al notaio Antonio Giuseppe Frau, di Cagliari, il quale paga 60 lire annue e potrà continuare a gestirla fino al termine del contratto. Cavalierato, nobiltà ed uso delle armi gentilizie sono concessi personalmente ad Elisabetta Pugioni e figli, trasmissibili a maschi e femmine, senza vincoli con le sorti della peschiera170.
Nel marzo 1778, Donna Elisabetta Pugioni chiede di poter trasformare in salina alcune paludi malariche, di pertinenza della peschiera «siccome l’unico mezzo di togliere le [...] esalazioni sarebbe quello di ridurre le [...] paludi in piccole saline, poiché trattenendovisi allora sempre l’acqua del mare o il sale cristallizzato, verrà certamente, se non a perfezionarsi del tutto, almeno a rendersi molto meno insalubre l’aria di quel sito»171. Questo genere di motivazione ricorre anche in altre domande di concessione. La Carta reale del 16 maggio 1778 concede un’autorizzazione perpetua, in cambio del pagamento del «20% in natura od in contanti, ad elezione dell’Intendente generale, con dichiarazione, però, che ove lo elegga in contante debba il 20% prendersi sul prezzo del sale venduto, dedotte prima le spese, che occorreranno per l’imbarcazione»172.
Il prodotto. Il canone di questa salina è messo a bilancio per 200 lire sarde, calcolato come il 20% di un prodotto di 500 salme di sale a 2 lire e 10 soldi la salma. La salina di Pontevecchio paga il canone dal 1785 al 1803.
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G. RICUPERATI, Il riformismo sabaudo e la Sardegna, in: AA. VV., Alghero, la Catalogna, il
Mediterraneo. Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX), Sassari, 1994, pp.
463 - 498, in particolare si veda quanto dice a pp. 496 - 497 e nota 109.
170 A.S.C., Intendenza generale, Diplomi, Carte reali, Patenti e Privilegi, vol. 42, cc. 1- 3, Carta reale
8 aprile 1774.
171 A.S.C., Intendenza generale, Diplomi, Carte reali, Patenti e Privilegi, vol. 41, cc. 159-161. 172 Ibidem.