Fig 11 Appalti delle saline regie (1720 – 1829)
IV. Dogane e altri diritti (1720-1824)
8. La riforma doganale del 1820-
Tra il ritorno del viceré Bricherasio (1755) e la partenza per la Sardegna dell’avvocato Bongino, come Intendente generale (1758 -1761), si svolgono a Torino alcune Giunte, in cui i due analizzano la stituazione sarda e si confrontano su progetti di riforma. Alle riunioni partecipano anche altri funzionari e, talvolta, il conte Bogino282. Da quell’attività di brain-storming, diremmo oggi, derivano sia la relazione dell’avvocato Bongino pubblicata da Luigi Bulferetti283, che buona parte della Relazione ufficiale delle principali cose della Sardegna fino al 1790 284.
Documenti che attestano come la riforma doganale sia in gestazione fin da allora. Cardini della riforma degli anni Venti sono l’accentramento delle entrate e la creazione di una struttura amministrativa, che ne permetta la gestione diretta.
La relazione dell’avvocato Antonio Bongino riferisce che il conte Bricherasio «fa presente sul commercio in generale che li visitatori, misuratori, pesadori, guardie reali ed altri impiegati o patentati del regio patrimonio sono sanguisughe del commercio e che gli aggravi crescono intollerabilmente nelle mani dei subdelegati dell’Intendenza che sono lontani». Il Bongino osserva inoltre che «li ministri patrimoniali sono [...] poco affezionati, anzi che molti di essi tengano mano ai
282 Cfr. A. GIRGENTI, La storia politica nell’età delle riforme, in M. GUIDETTI (a cura di), Storia
dei Sardi e della Sardegna. L’età contemporanea dal Governo piemontese agli anni Sessanta del nostro secolo, vol. IV, pp. 25- 112.
283
L. BULFERETTI, Il riformismo settecentesco in Sardegna, Cagliari, 1966, Relazioni inedite di Piemontesi, cit.
284
contrabbandi»285 e suggerisce di verificare la condotta dei suddelegati patrimoniali, di sostituire i responsabili di abusi, preferibilmente con elementi piemontesi, di controllare periodicamente quelli dal comportamento dubbio e, possibilmente, mantenere in servizio solo i più fidati. Per migliorare il controllo del loro operato, un passo ritenuto fondamentale nella lotta al contrabbando, pensa di istituire un vice Intendente generale a Sassari e di ridurre il numero dei suddelegati patrimoniali, che può essere eventualmente integrato «con qualche numero di bassi uffiziali e dragoni del Regno affinché questi tengano gli altri in soggezione»286.
Il Bongino è consapevole che l’uso di retribuire i ministri patrimoniali con una percentuale dei diritti riscossi, se ha il vantaggio di non aggravare la spesa è anche all’origine della corruzione e degli abusi perpetrati dagli impiegati. Suggerisce, dunque, come correttivo, di assegnare loro retribuzioni fisse e adeguate alle mansioni svolte e di punire severamente chiunque accetti regalie. Sottolinea, inoltre, la necessità di ricondurre sotto il controllo regio le magistrature alienate e a questo proposito porta un esempio significativo.«La segreteria del reale Patrimonio - scrive - al tempo del governo di Spagna, fu alienata ed ora è posseduta dalla marchesa de las Conquistas, da cui è accensata. Quest’ufficio, sebbene sia subordinato all’Intendenza, come destinato agli affari economici, tuttavolta però le sacche e le licenze per le estrazioni sonosi sempre spedite da esso ed ivi tengonsi li registri degli ordini. [...] Sembrerebbe opportuno riscattarla per non lasciare affari nelle mani di un soggetto che non riconoscendo dal principe alcun beneficio nell’impiego che esercita, nè da veruno dei suoi uffiziali, non pare che questo possa essere dotato di zelo e della fedeltà necessaria e che per l’Intendenza possa avere nel medesimo una giusta confidenza». Finché l’amministrazione regia non riacquisisce il controllo della scrivania del Patrimonio, una riforma che si ponga come obiettivo la lotta alla corruzione e al contrabbando, è destinata a fallire. Il motivo è che «la nomina del procuratore fiscale e dei suoi sostituti spetta presentemente alla marchesa de las Conquistas [...] alla quale le persone nominate pagano un annua rilevanza». Di
285
L. BULFERETTI, Il riformismo settecentesco in Sardegna, Cagliari 1966, Relazioni inedite di
Piemontesi, I,cit., p. 308.
286
conseguenza la tutela degli interessi fiscali rimane affidata a «persone mercenarie e dipendenti da una privata persona, le quali non hanno altra mira se non quella di migliorare la loro fortuna»287.
L’analisi dei punti deboli del sistema è in buona parte svolta in queste due relazioni. La riforma del 1820 affonda, dunque, le sue radici nel dibattito aperto a Torino negli anni Cinquanta del Settecento, in particolare, nella Giunta che vede il confronto e l’ideale passaggio di testimone tra il viceré di ritorno dall’isola ed il prossimo Intendente generale vicino a partire.
Il processo di riforma è lungo e poco evidente. Prende le mosse, come si è visto, dalla gestione diretta delle dogane di Cagliari, negli anni Sessanta e pone le basi di un’amministrazione regia delle altre, a partire dagli anni Ottanta. Poiché la gestione diretta comporta un incremento di spesa e il rischio di andare incontro a delle perdite, l’azione riformatrice si concentra sul settore doganale, che garantisce la maggior parte delle entrate e tralascia invece gli altri diritti, per i quali si continua ad utilizzare il sistema dell’appalto.
Vittorio Emanuele, nel Regio Editto regolamento e tariffe per le dogane del Regno del 18 maggio 1820, rileva che le esportazioni e le importazioni sono gravate da un eccessivo carico tributario, percepito dalle città, da «corpi» e da privati, oltre agli emolumenti di ministri patrimoniali ed impiegati, che danno spesso luogo ad abusi. Osserva che «le dogane tanto regie quanto civiche e particolari trovansi amministrate in un modo vario e difforme e che i dazi sono più o meno forti secondo le diversità dei luoghi o dei possessori o delle epoche, in cui ne seguì lo stabilimento o la concessione»288; che le tariffe ed i regolamenti delle dogane sarde sono ormai inadeguati, specie dopo l’unione del Genovesato agli Stati sabaudi di terraferma e la pace con le Reggenze barbaresche. Così dispone all’articolo primo: «Sono riuniti al nostro patrimonio li diversi dazi, qualificati sotto la denominazione di dogane e tutti indistintamente li diritti si d’importazione, che d’estrazione stati in qualunque tempo
287 Ivi, p. 222. 288
A. S. C., Atti Governativi, b. 14, n. 1015. Cfr. anche A. BERNARDINO, La finanza sabauda, cit., p. 35 e sgg. e P. AMAT DI SAN FILIPPO, Indagini e studi di storia economica della Sardegna, Torino, 1902, p. 454 e sgg.
e modo concessi alle città, ad amministrazioni, a corpi o pubblici stabilimenti, a famiglie o particolari ed a chiunque siasi altro nel Regno nostro di Sardegna».
Viene riconosciuto il diritto all’indennizzo, ma è indiscutibilmente segnata la fine del diritto privilegiato d’antico regime in materia doganale. Si pagherà un solo diritto per l’uscita (o il transito o l’«ostellaggio») ed uno per l’entrata delle merci. La tariffa per le importazioni è pubblicata con l’editto; quella per le esportazioni sarà fissata in un secondo tempo e provvisoriamente si pagherà il 12% del valore delle merci. Tutti gli altri diritti sono aboliti, senza eccezione, compresi quelli spettanti agli impiegati del regio Patrimonio. A questo proposito, si sottolinea che: «Essendo convenientemente provvisti di stipendi fissi, gli impiegati di qualunque grado, sarà proibito ai ricevitori, commessi, assistenti, preposti ed invigilatori e ad ogni altro impiegato delle dogane, di ricevere qualsisia cosa o denaro da chiunque, sotto titolo di donativo, mancia o altro più specioso titolo in qualunque siasi tempo o circostanza e tantomeno di accettare o d’appropriarsi la menoma cosa in occasione delle visite, perquisizioni, consegne e disdoganamenti, sotto pena di essere immediatamente rimossi dal loro impiego ed inabilitati ad essere ammessi in avvenire in qualunque altro e sotto quell’altra pena eziandio corporale, secondo la contingenza dei casi ad arbitrio dell’Intendente generale»289.
Gli impiegati dovranno attenersi alle procedure fissate dal regolamento ed indossare la divisa. È la nascita di una amministrazione regia, la gabella, che chiude definitivamente l’epoca degli appalti e, garantendo uno stipendio adeguato, si propone di estirpare gli abusi e la corruzione dei ministri patrimoniali. La stessa adozione della divisa contribuisce a creare uno spirito di corpo e facilita il controllo dei comportamenti degli impiegati. Sempre il 18 maggio viene emanata la Carta reale con cui «si stabilisce nel Regno la direzione delle gabelle e si danno disposizioni relative al suo servizio», che fissa l’organico, le competenze e le retribuzioni per le dogane e «gli altri rami della gabella», integrata dal successivo regio viglietto del 14 gennaio 1822, che definisce la pianta organica degli uffici290.
289
Titolo VII, Disposizioni generali, Articolo LXX.
290
Per quanto riguarda le dogane, come abbiamo detto, per tutta l’età moderna le uniche abilitate a sdoganare le merci in entrata erano quelle delle città regie; mentre i prodotti dell’agricoltura potevano essere esportati anche da un certo numero di «caricatori» distribuiti sulla costa orientale.
Questo sistema era strettamente connesso al diritto privilegiato, che le città hanno strenuamente difeso finché ne hanno avuto la forza e che è stato la causa di non pochi ostacoli alle transazioni commerciali. Per fare un esempio, un vettore che portava merce varia da Livorno non poteva scaricarla e caricare grano in uno stesso porto della costa orientale. L’operazione, talvolta, veniva effettuata, ma si commetteva il reato di contrabbando. Il regolamento che segue l’editto del 18 maggio 1820, al titolo I (Dell’importazione) stabilisce che le dogane abilitate allo sdoganamento delle merci sono Cagliari, Porto Torres, Alghero, Oristano, Bosa, S. Antioco, Orosei, Tortolì e Terranova. Carloforte e La Maddalena sono invece abilitate allo sdoganamento di merci, ma solo di quelle per il consumo delle rispettive isole. Il titolo II (Della sortita) dispone all’articolo XXVII, che le merci possono essere esportate da qualunque dogana: Cagliari, Porto Torres, Alghero, Oristano Bosa, Sant’Antioco, Muravera, Tortolì, Orosei, Siniscola, Terranova, Longonsardo, Carloforte e La Maddalena. Poi con il regio biglietto del 16 febbraio 1822, Carlo Felice abroga le restrizioni poste alle dogane di Carloforte e La Maddalena e, il 10 novembre 1823, emana la nuova tariffa generale per le importazioni, che entra in vigore il 1 gennaio 1824, integrata dalla carta reale del 16 settembre 1824291.
Questa riforma razionalizza il sistema, abolendo la moltitudine di diritti esistenti. Soprattutto cancella i privilegi cittadini e fa un passo in avanti nel senso dell’accentramento amministrativo; ma nonostante l’intento dichiarato di voler promuovere il commercio, innalza ulteriormente le barriere doganali già esistenti. Per avere un’idea di quale impulso imprima alla politica protezionistica, si consideri che la somma delle entrate doganali, del diritto delle estrazioni, dei diritti di peso e misura reale di Cagliari e Oristano, preventivate nel bilancio del 1820, è di 108.592
lire; le entrate doganali preventivate per il 1821 (ormai un’unica voce) sono di 570.000 lire, che scendono a 457.453 nel 1825, quando la riforma ha superato la fase di assestamento. È vero che la cifra del precedente regime è lievemente sottostimata, perché alcuni balzelli non figurano in bilancio, ma siamo comunque in presenza di nuove barriere doganali, che sono almeno quattro volte superiori alle precedenti.
9. Conclusioni
L’analisi dei bilanci permette di studiare la dinamica delle entrate doganali e di alcuni diritti, come il peso e la misura reale, il testatico ed il diritto delle «estrazioni», per l’arco di un secolo (1721-1820). Per le entrate doganali, si è potuto osservare un andamento piuttosto stazionario, al cui interno si registrano variazioni del peso relativo delle città e, in particolare, l’affermazione del ruolo economico di Cagliari. Dall’esame dei registri degli appalti, si è visto che il diritto delle «estrazioni», che dava il gettito maggiore, ancorché estremamente variabile, in epoca sabauda non veniva appaltato. Si è inoltre, osservato che i diritti doganali sono stati appaltati fino alla seconda metà del Settecento e da quel momento si inizia ad amministrarli direttamente, prima le dogane di Cagliari e poi le altre, ma in questo secondo caso con qualche discontinuità. L’impegno per la gestione diretta si è concentrato, quindi, sui cespiti maggiori, mentre per gli altri, di minore entità, si è proseguito con il sistema dell’appalto. La volontà di riforma è stata dunque, attuata «a macchia di leopardo» nei diversi settori. In quello doganale è l’Editto del 18 maggio 1820, con le successive integrazioni, ad attuare l’accentramento amministrativo e porre così fine al sistema d’antico regime, ormai anacronistico.
Per quanto concerne i mercanti, è definitivamente preclusa loro la possibilità di appaltare le dogane, mentre gli altri diritti vengono aboliti.
La valutazione delle conseguenze della riforma esula dai limiti posti al presente studio, ma sembra poco probabile che un nuovo regime così marcatamente protezionistico possa avere promosso lo sviluppo del commercio nei termini enunciati dal legislatore.