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La generazione Malvine e l’urgenza della denuncia

La generazione che intendo analizzare e che, a mio parere, esprime nelle sue opere l’urgenza della denuncia è quella che comprende i nati dalla metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Sessanta. La parola “urgenza” viene utilizzata da Carlos Gamerro, voce autorevole della letteratura argentina contemporanea e di assoluto riferimento in relazione alla questione Malvine, durante una tavola rotonda che si è tenuta a Lipsia il 24 marzo 2010, intitolata “Hijos de la memoria”. Si tratta di una riflessione sullo slancio che spinge un autore a narrare un’esperienza che non ha vissuto in prima persona, sull’approccio che sceglie di utilizzare e sulle ragioni che attribuiscono all’autore il diritto di raccontare: «Se cuenta, entonces, una experiencia que no es enteramente propia; pero para tener la urgencia de contarla –y sin esta urgencia no hay literatura posible– tampoco debe ser completamente ajena»126.

Carlos Gamerro è autore di Las Islas, un romanzo complesso per scrittura, stile, tematiche trattate, che, come avremo modo di approfondire in seguito, al suo interno registra il sentire di un’intera generazione. L’autore racconta nel suo intervento di aver intervistato diversi ex combattenti delle Malvine e di aver riscontrato una disparità di atteggiamenti nel modo di interagire tra di loro e con l’autore oltre a una diversità di approcci rispetto alla descrizione del trauma bellico. In relazione all’esperienza della prima guerra mondiale Walter Benjamin si stupisce del ritorno dei soldati dal fronte ammutoliti, non più ricchi ma più poveri di esperienza comunicabile, e da questo presupposto inizia la sua analisi sulla relazione tra esperienza e declino della narrazione che si fonde nella nascita del romanzo. Se i soldati di Walter Benjamin ritornano sono privati dall’esperienza della guerra della capacità di comunicarla, nell’analisi di Carlos Gamerro i soldati di ritorno dalla guerra delle Malvine sono invece:

126Gamerro C., “Tierra de la memoria” in Página 12 supplemento Radar dell’11 aprile 2010. Disponibile online: http://www.pagina12.com.ar/diario/suplementos/libros/10-3787-2010-04- 11.html

No mudos sino lacónicos. Me miraban como si supieran de antemano que yo no iba a entender, que las mismas palabras significarían, para nosotros, cosas diferentes. Entre ellos, en cambio, se entendían perfectamente. Cada palabra que usaban, como “frío”, “pozo de zorro”, “balas trazadoras”, “bombardeo naval”, desbordaba de paisajes, situaciones y vivencias definidas y precisas, infinitamente ricas y sugerentes, aterradoras, intolerablemente vívidas. Uno de ellos las pronunciaba; los otros asentían, generalmente mudos. Para hablar conmigo, todas las palabras parecían insuficientes; para comunicarse entre ellos, las palabras eran casi innecesarias: lo mismo valían los silencios y los gestos127.

La comunità degli ex combattenti è stretta nei forti vincoli dati dall’aver vissuto insieme un’esperienza limite. L’esclusione che l’autore avverte, senza dubbio evidente, è la stessa che si ripercuote nella letteratura sul conflitto ricreando meccanismi d’incomprensione e di esclusione. L’autore, che non è stato coinvolto nell’evento, non è legittimato a raccontarlo perché non è in grado di comprenderlo. Si ricordi il riferimento di Quiquito, protagonista e narratore di Los pichiciegos, che così si rivolge al suo intervistatore: «Vos no entendés, pero te creés que entendés y si no hablas, da bronca. ¿Entendés? –preguntó y después respondió él mismo–: – No... ¡No entendés nada!»128. L’esclusione è insita nella definizione di “generación Malvinas”, un segmento di popolazione che Daniel Kon nell’introduzione di Los

chicos de la guerra ricorda esser stata ignorata dalla politica fino al 2 di aprile

dell’1982, giorno in cui diventa utile e si trasforma in carne da cannone:

Creo que son muchos los que desconocen a esta generaciόn nueva, ignorada, que no tiene, siquiera, la menor experiencia política; una generaciόn sin pasado, que ha transitado toda su adolescencia en un país conmovido por una de las crisis más serias de su historia; una generaciόn a la que, hasta el 2 de abril, ningún gobernante recordaba en sus discursos, (uno de ellos, pocos años atrás, llegό a decir que la juventud debe ser como la semilla, permanecer bajo

127

Gamerro, Op. cit. 128

la tierra, en la oscuridad, hasta que le llegue el momento de convertirse en árbol)129.

Mentre Kon funge da cassa di risonanza del punto di vista dei soldati, Gamerro dilata il significato di “generación Malvinas” nello spazio e nel tempo:

¿Por qué quería yo contar la Guerra de Malvinas? Hasta donde alcanzo a ver, mis motivaciones personales no eran ningún misterio. Soy clase ’62, la clase que fue a Malvinas. No fui a Malvinas. Malvinas, en ese sentido, me dejó la sensación de una vida, quizá también una muerte, paralela, fantasmal (la mía, si me hubiera tocado ir a la guerra). La ficción no sólo existe en la literatura, existe en cada uno de nosotros, en esas otras vidas posibles que se desarrollan paralelamente a la que nos tocó, o elegimos. Ese fue mi segundo descubrimiento: que la literatura puede ser autobiográfica en negativo: la historia no de lo que nos pasó sino de lo que nos pudo haber pasado130.

La guerra si è ripercossa in modi diversi su tutta la popolazione argentina. Queste voci, legittimate a raccontare la guerra in quanto testimoni di quello che accadeva sul suolo argentino, nel continente, possono trasformare l’urgenza in un racconto e rappresentare la guerra e le sue conseguenze.

Nella presente sezione intendo includere in particolare gli autori che avevano tra i 22 e i 32 anni quando scoppiò il conflitto, una generazione di sopravvissuti –la loro età coincide con quella dei “sovversivi” desaparecidos dalla dittatura– che negli anni successivi ha avuto modo di dare voce al silenzio. La selezione delle opere tiene conto della necessità di delineare il profilo di una generazione sulla base dall’appartenenza a un periodo storico particolarmente critico che intende raccontare, di tenere conto del contesto sociale nel quale si inseriscono le opere e di indagare le ragioni che spingono alla pubblicazione di testi sulle Malvine per lo più a partire dal 1990 e alla loro concentrazione negli anni 1992, 2007 e 2012.

129

Kon D., Los chicos de la guerra, cit., pag. 10. 130

Menemismo

Vicente Palermo, politologo e storico argentino, ha dedicato gran parte dei suoi studi alla guerra delle Malvine. Uno dei suoi lavori più interessanti e completi, Sal

en las heridas, è il ritratto in forma di saggio della realtà argentina e del rapporto

che la società e la politica nazionale hanno sviluppato negli anni –fino al 2007– con la questione Malvine. Il suo sguardo ci permette di ricostruire la narrazione del conflitto che fa la politica al potere.

Carlos Saúl Menem succede a Ricardo Raúl Alfonsín alla presidenza argentina con una politica liberista e una propaganda in cui la riappropriazione dell’arcipelago ritornava in auge. Durante la sua campagna presidenziale in diverse occasioni aveva fatto cenni alla questione promettendo di recuperare le isole attuando una strategia diplomatica che trasformava quella delle Malvine nella “gran causa argentina”. Come ricorda Rosana Guber, avendo utilizzato le Malvine come emblema di una causa nazionale e popolare, il 9 luglio incluse nella sfilata che lo accompagnava alla casa di governo i veterani di guerra «que aparecieron incluso en las portadas de todos los diarios marchando incluso con muletas y silla de ruedas»131.

Una volta al governo cercò di istituire un nuovo legame con la Gran Bretagna e di incrementare i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti di George H. W. Bush, raggiungendo scarsi risultati.

Il suo apporto in quanto a politica interna sembrò essere distruttivo nei confronti dell’impronta populista e radicale del suo predecessore. In totale disaccordo con l’intenzione di Alfonsín di ricostruire una società punendo i responsabili delle repressioni del Proceso, Menem concesse la grazia a tutti i responsabili incriminati nei primi mesi del suo mandato.

Viene ricordato come il principale fautore del crollo dell’economia argentina. Nonostante fosse riuscito ad arginare l’inflazione imponendo il tasso di cambio fisso peso-dollaro, accelerò il processo di privatizzazione delle maggiori industrie

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nazionali, aprì le dogane per favorire importazione ed esportazione e agì illecitamente in favore di organi politici, giuridici e finanziari.

Nell'aprile del 1994 Menem conquistò la maggioranza nell'assemblea costituente, e riuscì a candidarsi per la seconda volta con un mandato ridotto da sei a quattro anni132. Durante il secondo mandato provò, invano, a ottenere una modifica della costituzione che gli permettesse di candidarsi alle elezioni del 1999 –la costituzione argentina non permette al presidente in carica di candidarsi per tre mandati consecutivi. Le condizioni economiche nazionali si acuirono maggiormente sfociando nel settembre del 1996 in uno sciopero nazionale. Sulla questione Malvine riuscì a ottenere la piena riconciliazione con la Gran Bretagna, sancita ufficialmente dalla visita del principe Carlo.

Se da un lato, secondo l’analisi di Vicente Palermo, la politica di Alfonsín era orientata a ricostruire uno stato democratico intenzionato a recuperare la memoria, applicare la giustizia e contemporaneamente scendere a compromessi con i responsabili del terrorismo per evitare un nuovo colpo di stato, dall’altro quella di Menem proponeva un racconto della realtà più semplice e omogeneo: «los argentinos tenemos que mirar hacia adelante, olvidar aquello que nos separό del pasado, porque los que se la pasan mirando al pasado se convierten en una estatua de sal»133. Gli indulti del 1989 e 1990 a cui si accennava in precedenza sono la prova della posizione del presidente che, orientato a riappacificarsi con il passato lasciandolo alle spalle, cancellava la memoria tanto della guerra sucia quanto di quella limpia.

132

La campagna mediatica del 1999 è ricordata principalmente per lo spot Menem lo hizo in cui si riassumono tutte le imprese portate a termine dall’allora presidente. Ancora più famose diventarono le parodie che contestualmente venivano prodotte e mandate in onda in Videomatch, un programma satirico argentino della rete Telefe, in onda a mezzanotte.

133

Palermo V., “Entre la memoria y el olvido: represión, guerra y democracia en la Argentina” in

La historia reciente. Argentina en democracia, Edhasa, Buenos Aires, 2004. Disponibile online

Desmalvinización

La politica argentina e la società reduce dalla guerra sviluppano un approccio al conflitto e alla sua elaborazione che, a volte erroneamente, viene racchiuso nel termine desmalvinización. Il termine si presta a molteplici utilizzi e dà luogo a diverse interpretazioni, che rappresentano altrettante istanze provenienti da settori diversi della società, tra cui le principali: sottrarre importanza alla questione Malvine per depotenziare le Forze Armate e avviare un processo di transizione democratica; nascondere la vicenda sotto il tappeto, rappresentando paradossalmente l’interesse sia di buona parte della società argentina che provava vergogna per l’appoggio dato alle forze militari e alla guerra absurda, sia della Giunta Militare che preferiva dimenticare.

Il politologo francese Alain Rouquié che ha dedicato i suoi studi, durante gli anni Ottanta, alla situazione politica argentina, afferma che:

Quiénes no quieren que las Fuerzas Armadas vuelvan al poder, tienen que dedicarse a desmalvinizar la vida argentina. Eso es muy importante:

desmalvinizar […] porque para los militares Malvinas serán siempre la

oportunidad de recordar su existencia [...] y harán saber que ellos tuvieron una función evidente y manifiesta que es la defensa de la soberanía nacional134.

Rouquié suggerisce di allontanare dall’attenzione della vita pubblica la questione Malvine. Qualsiasi riferimento, commemorazioni incluse, avrebbe riportato l’attenzione sulle gesta militati. Attraverso questa strategia di una rimozione consapevole, l’evidenza della sconfitta avrebbe lavorato sotto traccia per deporre il potere militare a favore dell’instaurazione della democrazia. D’altro canto

desmalvinización e antimilitarismo, diventate presto le bandiere della classe

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borghese e di quella progressista, hanno spinto la popolazione argentina a lasciare indietro l’intera vicenda, e con essa i chicos135

della nazione mandati alla guerra.

Federico G. Lorenz parla di desmalvinización come di una condizione inevitabile in cui la sconfitta spingeva la società argentina da un lato a dimenticare, in nome di un nazionalismo che identifica la guerra con una causa giusta, la riappropriazione delle isole, e dall’altro a sottrarre al potere militare la possibilità di una rivendicazione. La prospettiva riportata dall’antropologa Rosana Guber mostra invece il punto di vista di chi per anni è stato vittima di questo processo. I Centri degli ex combattenti, che iniziarono a sorgere a partire dal 1983, associavano al termine desmalvinización «un estado de olvido deliberado, expresado en la apatía y la indiferencia, y alentando en primer lugar por el Estado Mayor Conjunto de 1982 que ocultó a la gente el regreso de las tropas»136 perché non era suo interesse mostrare alla popolazione argentina un esercito sconfitto che ritornava dalla guerra denutrito, malvestito, traumatizzato. Non rientrava negli interessi del presidente Galtieri, che con la sconfitta aveva iniziato la sua rapida discesa, mostrare le prove dell’errore commesso. Queste le parole dell’antropologa:

La primera reacción fue tan pública y tan explícita como lo habían sido hasta entonces las muestras de aprobación y respaldo. Poco después de escuchar los eufemismos con que el presidente anunciaba la rendición –“cese de fuego”, “evacuación de las tropas” –, la gente volvió a respirar gases lacrimógenos y a experimentar el impacto de las cachipossas policiales, al grito de “traidores” y “Galtieri, borracho, mataste a los muchachos”.

Desde entonces, “Malvinas” ingresó en un cono de sombra y silencio, que algunos interpretaron como “olvido”. [...] el mágico término de la unidad pasó a referir, casi exclusivamente, a la guerra de 1982, con un tono vergonzante y

135

I soldati argentini delle classi ’62 e ’63 che avevano svolto il servizio militare e che nell’82 hanno preso parte al conflitto venivano chiamati “chicos de la guerra” anche per via della loro giovane età. Il generale Leopoldo Galtieri utilizzava il termine “chicos” per riferirsi ai giovani coscritti d’accordo con una retorica paternalista adottata nei suoi discorsi.

136

Guber R., De “chicos” a “veteranos”. Memorias argentinas de la guerra de Malvinas, Editorial Antropofagia, Buenos Aires, 2004, pag. 155.

extremadamente crítico que parecía ubicar la temática en las mismas matrices con que solía tratarse los enemigos políticos137.

La ragione che ha trasformato una strategia politico-sociale di allontanamento del “militare” in un oblio di più lunga durata della questione Malvine risiede nell’equivoco dell’immaginario collettivo di inserire i coscritti nella stessa categoria dei militari di carriera –di quelli responsabili dei crimini di lesa umanità– e nella necessità di allontanare quel sentimento di vergogna, indignazione e frustrazione. La guerra aveva permesso ai partiti di opposizione al governo militare di ritornare a manifestare pubblicamente in virtù di un obiettivo comune. La società argentina appariva unita, il governo aveva interrotto le “sparizioni” e le violazioni che avevano contraddistinto l’ultimo decennio. Una volta terminato il conflitto la società, i movimenti anti-governativi, le famiglie che avevano sostenuto l’invio delle truppe perché credevano nella causa justa dovettero fare un passo indietro. «La reacción antimilitar –sottolinea ancora l’autrice– que primó en la posguerra hizo centro en el engaño»138.

Diventa interesse primario dei Centri degli ex combattenti collegare la guerra e la rivendicazione territoriale a una “memoria nazionale” lontana da ogni tipo di connessione con un passato politicizzato e militarizzato, svincolando i coscritti dall’immagine del soldato e dalla categoria “militare”.

Rosana Guber, in seconda analisi, attribuisce al termine una valenza politica più che sociale, ponendolo in assonanza con desperonización, la strategia utilizzata dalle Forze Armate in seguito alla deposizione del generale Juan Domingo Perón nel 1955, per intaccare i valori di fiducia e lealtà che legavano le masse al generale. Utilizzando il medesimo metodo, secondo quanto riportato nell’analisi dell’autrice, il governo centrale avrebbe spinto per modificare la lealtà del popolo argentino alla patria al fine di indebolirne i legami e renderla più facilmente influenzabile, in

137

Guber R., ¿Por qué Malvinas? De la causa nacional a la guerra absurda, cit., pp. 111-112. 138

questioni di politica internazionale e commercio, da uno stato straniero, oltre che nemico, come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna139.