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La Lettera sull’«umanismo» 1 Le circostanze storiche

Il problema dell’umanesimo

3.1. La Lettera sull’«umanismo» 1 Le circostanze storiche

“(…) il dibattito sull’«Umanesimo» dovrà cedere il passo a quello sulla «storia spirituale ariana». Essa esprime più chiaramente di ogni discorso le principali caratteristiche specifiche dell’Umanesimo politico tedesco; essa fa da sentinella soprattutto nei confronti dell’eredità spirituale condizionata dal sangue dell’arianesimo e quindi anche e soprattutto nei confronti dell’eredità

dell’antichità classica. Di conseguenza non si deve dubitare che l’«Umanesimo contemporaneo», solo in qualità di predecessore che apre la strada tra gli abissi di questa eredità, possa essere benvenuto.”232

Con queste parole il teologo e filosofo Wilhelm Brachmann esponeva i termini in cui si sarebbe dovuto svolgere il dibattito sull’umanesimo in Germania. Si trattava di considerazioni che ricevevano il pieno consenso dal Dipartimento centrale per la ricerca scientifica di Rosenberg, organo preposto a controllare che ogni forma di attività culturale fosse in linea con i capisaldi dell’ideologia nazista. Quello lì espresso era, insomma, il giudizio delle autorità politiche e culturali con le quali Heidegger dovette presto confrontarsi.

La prima considerazione da fare, quindi, è relativa alla trasformazione del problema dell’umanesimo in una questione di carattere politico in seguito agli avvenimenti interni alla Germania. La discussione si caricò, infatti, di ulteriori significati che si vennero presto ad aggiungere a quelli di natura storica e teorica che, come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, essa già comportava: “(…) con la salita al potere del nazionalsocialismo”, osserva Franco Volpi, “il problema dell’umanesimo avrebbe cessato di essere un tema squisitamente filosofico, asettico e neutro, e sarebbe improvvisamente diventato una questione politica. La retorica del mito tedesco lo risucchiò nell’orizzonte della contrapposizione tra la germanità, che rivendicava un primato di carattere culturale e, sul piano filosofico, un rapporto originario con la grecità, e la romanità latina, considerata «secondaria», al pari dell’Umanesimo e del Rinascimento che ne

232Traiamo questa citazione dal testo di H. OTT, Martin Heidegger: sentieri biografici, Sugarco

dipendevano”233. È vero che il testo che intendiamo presentare, la

Lettera sull’«umanismo», fu composto quando ormai tali inferenze esterne cessarono in seguito alla mutata situazione politica. Ciò non toglie, però, che molte delle considerazioni lì svolte acquistino un altro valore se confrontate con quelle che furono fatte nelle circostanze ancora legate a quel passato che sarebbe poi cambiato. In questo paragrafo cercheremo, così, di delineare le vicende storiche nelle quali Heidegger scrisse questa lettera arrivando a sviluppare il suo particolare contributo sulla questione.

Prima però, occorre approfondire se Heidegger tenne conto delle dichiarazioni di Brachmann quando espose la sua idea di umanesimo. Si tratta, cioè, di stabilire in che misura recepì le direttive del partito nel dare un’interpretazione del problema che fosse in linea con i tentativi di celebrare la grandezza del popolo tedesco e del suo passato per meglio avvalorare il mito della razza ariana. Ancora F. Volpi osserva che la questione è piuttosto delicata e necessita di un giudizio assai prudente234. Il motivo è facilmente comprensibile dal

momento che la questione richiede di soffermarsi sulle compromissioni di Heidegger con l’ideologia nazista, cosa non facile se si pensa che i materiali a nostra disposizione si prestano a diverse interpretazione le quali non fanno che riproporre l’ambiguità del filosofo nei confronti del movimento nazionalsocialista, sottolineando ora la sua sintonia con la politica culturale del regime, ora la sua sottile ma costante polemica235.

233 M. HEIDEGGER, Lettera sull’«umanismo», op. cit., p. 23 234 Ibid., nota 2

235 Il lettore può approfondire questi argomenti leggendo i seguenti testi: l’intervista

rilasciata da Heidegger nel 1966, Nur ein Gott kann uns noch retten, “Der Spiegel”, 1976/23; trad. it. a cura di A. Marini, Ormai solo un Dio ci può salvare, Guanda, Parma 1987; Antwort.

Martin Heidegger im Gespräch, a cura di G. Neske e E. Kettering, Neske, Pfullingen 1988; trad. it. a cura di C. Tatasciore, Risposta. A colloquio con Martin Heidegger, Guida, Napoli 1992; V. Farìas, Heidegger et le nazisme, Verdier, Paris 1987; trad. it. a cura di M. Marchetti,

Le cose non migliorano se prendiamo in esame l’attività didattica degli anni ’30. Un esempio valga per tutti. Nelle lezioni del semestre estivo del 1935, Introduzione alla metafisica, Heidegger polemizza, senza mai nominarlo, con il teologo cattolico Theodor Haecker autore di un fortunato libro pubblicato nel 1933 dal titolo Was ist der Mensch?. Secondo lui quest’opera sarebbe l’ulteriore dimostrazione dell’incapacità di affrontare adeguatamente il problema dell’uomo partendo da una prospettiva di fede. Haecker, infatti, citando un passo della Genesi, pone a fondamento della natura umana la sua origine divina, il fatto che l’individuo sia stato creato a immagine e somiglianza di Dio. In questo modo, però, egli si pregiudica ogni tentativo di avviare un’indagine scevra da ogni presupposto dal momento che ciò avrebbe significato rinunciare alle proprie credenze filosofiche. La domanda che dà il titolo al libro, insomma, non corrisponde ad un autentico domandare in quanto la risposta è vincolata all’adozione di un determinato schema di pensiero, quello del cristianesimo. L’autentico filosofo, invece, deve liberarsi da ogni vincolo extra-filosofico iniziando a interrogare l’essenza dell’Essere, cosa che per Heidegger significa domandare partendo non tanto dall’Antico o Nuovo Testamento quanto da Parmenide ed Eraclito. Questa polemica che si svolge su un piano strettamente teorico sarebbe, secondo H. Ott, un ulteriore esempio della battaglia che Heidegger conduceva in quegli anni contro i filosofi cristiani e le loro speranze di continuare ad insegnare nelle università tedesche, il che sarebbe perfettamente in linea con quella politica anticlericale che il partito adottava nel paese in forme sempre più marcate236.

Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhieri, Torino 1988.

Non vogliamo, tuttavia, insistere ulteriormente su questa linea preferendo rivolgerci direttamente ai testi. Non potrà allora passare inosservato quanto Heidegger dice alla fine della conferenza La dottrina platonica della verità tenuta nel 1931:

“L’inizio della metafisica nel pensiero di Platone è nello stesso tempo l’inizio dell’«umanismo». Qui questa parola va pensata in modo essenziale, e perciò nel suo significato più ampio. In questa eccezione «umanismo» indica un processo connesso all’inizio, allo svolgimento e alla fine della metafisica, nel corso del quale l’uomo, in aspetti di volta in volta differenti, e tuttavia ogni volta consapevolmente, si colloca nel bel mezzo dell’ente, senza essere già per questo l’ente privilegiato. «L’uomo» qui significa: ora un’umanità determinata o l’umanità in genere, ora il singolo o una comunità, ora il popolo o un gruppo di popoli. Si tratta sempre, nell’ambito di una ben definita compagine metafisica fondamentale dell’ente, di portare l’uomo, l’animal rationale, determinato partendo da essa, alla liberazione delle sue possibilità, alla certezza della sua destinazione e all’assicurazione della sua «vita». Ciò si realizza come formazione di un atteggiamento «morale», oppure come redenzione dell’anima immortale, come sviluppo delle forze creatrici, come educazione della ragione, come cura della personalità, come risveglio del senso comunitario, come disciplina del corpo, o come appropriata combinazione di alcuni o di tutti questi «umanismi». Ogni volta si ha un gravitare intorno all’uomo in un modo metafisico determinato e su orbite più o meno ampie. Con il compimento della metafisica anche l’«umanismo» (o, detto in modo «greco», l’antropologia) si spinge su posizioni «estreme» e perciò al tempo stesso incondizionate.”237

Ritorneremo più avanti sulle ragioni di tale giudizio. Per ora ci limitiamo ad evidenziare la profonda differenza di queste righe da quanto Brachmann sostiene. Se quest’ultimo, cavalcando il 237 M. HEIDEGGER, Wegmarken (1914-1970), GA Bd 9, a cura di W. F. von Hermann,

Klostermann, Frankfurt a. M. 1976; trad. it. a cura di F. Volpi, Segnavia, Adelphi, Milano 1994, pp. 190-191

pregiudizio della superiorità del popolo tedesco, intendeva perseguire l’intento pratico e politico di trasformare il dibattito sull’umanesimo in una conferma di tale convinzione, Heidegger sottolineava, invece, il carattere vario e molteplice di tale concetto cosa che ovviamente contrastava con la possibilità di ritrovarvi un solido supporto per avvalorare l’ideologia della razza ariana.

Non sorprende, quindi, che il passo che abbiamo riportato sia stato duramente attaccato dalle autorità che si adoperarono per evitarne la diffusione. H. Ott racconta che ci si rivolse presto al ministero del Reich per l’Istruzione Popolare e la Propaganda al fine di ostacolare la pubblicazione del saggio nella collana diretta da E. Grassi238. Non si tollerava che in Germania potesse circolare una

forma di umanesimo che non avesse chiare connotazioni politiche. In questo senso il parere di Heidegger contraddiceva con le direttive del Dipartimento Rosenberg, costituendo, anzi, un prezioso contributo nello sforzo di avviare una discussione sull’umanesimo contemporaneo che fosse veramente libera da ogni forma di condizionamento. Si trattava di una situazione piuttosto difficile che riuscì a risolversi solo in seguito all’intervento personale di Mussolini che tramite il proprio ambasciatore a Berlino impose al ministero di Goebbels la pubblicazione del saggio pur non potendo impedire alla censura nazista di vietare la recensione di quel lavoro presso gli organi di stampa. L’opera di Heidegger venne così sottoposta a controlli da parte delle autorità soprattutto quando, dopo l’esperienza del rettorato, la polizia politica sospettò che il filosofo collaborasse con i gesuiti.

Finita la guerra, iniziò un periodo particolarmente difficile. Nella primavera del 1945, in una Friburgo occupata dalle truppe francesi, l’attività didattica dell’Università fu sospesa e si insediò, per volontà del governo militare, una commissione di professori che avrebbe valutato il passato dei docenti e denunciato quanti si fossero compromessi con il regime. Heidegger, che intanto si trovava fuori città, fu accusato di essere nazista, gli venne pertanto sequestrata la casa, confiscata la biblioteca e su di lui fu anche aperto un procedimento che si concluse con la sua sospensione dall’insegnamento. Fu in queste circostanze che Alfred von Towarnicki, un interprete giunto in Germania con l’esercito francese, si recò in visita dal filosofo per proporgli una conferenza pubblica con Sartre e per l’occasione gli portò in dono una copia de L’Essere e il Nulla con alcuni saggi di Jean Beaufret sull’argomento. Questi, informato dell’accaduto dallo stesso de Towarnicki, decise di scrivere una lettera ad Heidegger ricevendo in breve una risposta239. Tra i due

iniziò così quella corrispondenza epistolare in cui rientra la Lettera sull’«umanismo» scritta da Heidegger nel dicembre del 1946 come risposta ad una serie di domande che Beaufret gli rivolse in una lettera del 10 Novembre dello stesso anno240.

Lo scritto venne pubblicato per la prima volta nella rivista «Fontaine» insieme ad un’introduzione dello stesso Beaufret. Fu poi rielaborato da Heidegger e inserito come appendice al suo saggio La dottrina platonica della verità uscito nel 1947 a Berna presso l’editore Francke nella collana diretta da Ernesto Grassi e Wilhelm Szilasi «Überlieferung und Auftrag». Due anni più tardi comparve invece

239 Questa lettera, datata 23 Novembre 1945, è riportata in appendice a M. HEIDEGGER,

Lettera sull’«umanismo», op. cit., pp. 107-108

240 Il lettore può trovare informazioni bibliografiche sulle discussioni che Heidegger tenne

separatamente nell’edizione Klostermann e infine fu inserita nel 1967 nella raccolta Wegmarken rientrando così nel IX volume dell’edizione completa (Gesamtausgabe) delle opere di Heidegger.

3.1.2. Il contenuto

Il breve saggio che Heidegger fece pervenire a Beaufret nel Dicembre del 1946 si può leggere come una ricapitolazione della sua filosofia in vista di quel cambiamento di prospettiva che avrebbe da allora caratterizzato il suo pensiero. Sulla portata e il significato di tale “svolta” ci siamo già soffermati. Ora occorre richiamare le principali tematiche discusse in quelle pagine iniziando dai motivi che ne determinarono la stesura. Questi si riassumono nelle richieste che Beaufret rivolse ad Heidegger per ricevere alcuni chiarimenti in merito ad una serie di problemi filosofici che in quel periodo lo interessavano particolarmente: come ridare un senso al termine “umanesimo”? Come è possibile pensare il rapporto tra l’ontologia e l’etica? Come salvaguardare l’elemento di avventura che appartiene ad ogni ricerca senza, però, trasformare la filosofia in un’avventuriera? A questi interrogativi principali se ne aggiungono altri in relazione al problema della coscienza e al suo rapporto con l’Essere.241

Nella sua lettera Heidegger decide di soddisfare solo una delle richieste dello studioso francese confidando che la sua risposta avrebbe gettato luce anche sulle altre questioni. Il tema di cui intende occuparsi è quello relativo al significato dell’umanesimo. Non può sfuggire, tuttavia, che gli argomenti avevano tutti riguardato la riflessione di Heidegger e non sorprende che questi abbia approfittato

dell’amicizia con Beaufret per richiamare, da un lato, l’attenzione intorno a tematiche care al suo pensiero e dall’altro per liberare il campo da tutte le interpretazioni fuorvianti della sua filosofia. L’occasione avrebbe anche permesso di rompere quel lungo periodo di silenzio iniziato in seguito agli episodi che abbiamo ricordato nel precedente paragrafo. Le vicende dell’immediato dopoguerra avevano, infatti, fortemente provato Heidegger che, caduto in un grave stato di abbattimento, decise di rivolgersi ad un medico il quale “lo aiutò”, innanzitutto, “come uomo”242. Qui sembra quasi di vedere

il motivo che lo avrebbe spinto a soddisfare la richiesta teorica di Beaufret: la discussione sull’umanesimo affonda le radici nella vita stessa del filosofo, in un bisogno fortemente sentito di ricevere sostegno umano in una situazione di sofferenza. Da semplice disquisizione filosofica, essa si sarebbe trasformata in un chiarimento dei compiti e dei doveri del pensiero che pone la necessità di un incontro concreto della ragione con i problemi dell’esistenza.

Veniamo dunque alla questione principale. Comment redonner un sens au mot «Humanisme»? chiede Beaufret nella sua lettera. Heidegger risponde sollevando perplessità circa la possibilità di continuare ad usare tale espressione: “La domanda nasce dall’intenzione di mantenere la parola «umanismo». Io mi chiedo se ciò sia necessario. O non è ancora abbastanza evidente il male che recano tutte le denominazioni di questo genere?”243. Il motivo di

questo giudizio risiede nella convinzione che l’umanesimo, in quanto strettamente legato alle sorti della metafisica, riproponga un modo di pensare di cui Heidegger vede ormai i limiti, primo fra tutti, l’incapacità di porre adeguatamente il problema dell’essere. Si tratta

242 H. OTT, Martin Heidegger: sentieri biografici, op. cit., p. 273 243 M. HEIDEGGER, Lettera sull’«umanismo», op. cit., pp. 34-35

di una tesi che abbiamo visto già operante nel La dottrina platonica della verità244: ogni umanesimo implica l’adozione di uno schema di

pensiero metafisico, si era detto. Perché si insiste su tale convinzione? A cosa si riferisce Heidegger quando parla di metafisica? Che tipo di legame sussiste tra l’oblio dell’essere e l’umanesimo? Quale è la direzione seguita dal filosofo? Questi interrogativi che abbiamo spesso incontrato nelle nostre indagini vengono ora riproposti nelle pagine della Lettera sull’«umanismo».

Procediamo quindi con ordine, cercando di chiarire innanzitutto il modo in cui è utilizzata la parola “umanismo”. Occorre considerare, allora, che viene subito fatta valere una duplicità di significato a seconda che tale espressione implichi un riferimento storico o si risolva in un discorso puramente teorico. Nel primo caso l’umanesimo si costituisce come il risultato di un confronto culturale tra epoche diverse nel secondo, invece, diviene una riflessione sulla concezione dell’uomo volta a determinare la sua essenza immutabile.

Iniziamo dal primo significato: “È al tempo della Repubblica romana”, dice Heidegger, “che l’humanitas viene per la prima volta pensata e ambita esplicitamente con questo nome”245. In altre epoche,

infatti, si tende a caratterizzare l’uomo sempre in riferimento ad altro: con Marx, ad esempio, l’uomo è definito in un orizzonte intramondano, in base a quella “società” in cui realizza pienamente la sua natura mentre con il cristianesimo prevale un riferimento ultramondano che rintraccia l’humanitas nella deitas, nel fatto che

244 Si veda la citazione a pagina 187, in particolare la conclusine del brano: “(…) Ogni volta

si ha un gravitare intorno all’uomo in un modo metafisico determinato e su orbite più o meno ampie. Con il compimento della metafisica anche l’«umanismo» (o, detto in modo «greco», l’antropologia) si spinge su posizioni «estreme» e perciò al tempo stesso incondizionate.”

l’uomo è propriamente uomo in quanto figlio di Dio246. Al tempo dei

romani, invece, l’umanità si trasforma in un valore culturale nato dalla relazione tra comunità umane diverse: essa definisce la differenza tra il cittadino dell’impero nobilitato dalla virtus romana e lo straniero, l’homo barbarus che ne è privo. La virtus, poi, non è altro che l’adozione da parte romana della propria della tarda grecità, quella che prevedeva l’erudito et institutio in bonas artes e che dai romani viene identificata con l’humanitas. In conclusione: “A Roma incontriamo il primo umanismo. Nella sua essenza, quindi, l’umanismo resta un fenomeno specificatamente romano, che scaturisce dall’incontro della romanità con la cultura della tarda grecità.”247

Lo stesso fenomeno accade in Italia tra il XIV e il XV secolo quando il Rinascimento si pone come una renascentia romanitatis, come una ripresa della romanitas che ora viene però contrapposta alla barbarie rappresentata dalla Scolastica medievale. Insomma: “riguardando la romanitas, la renascentia ha a che fare con l’humanitas e quindi con la παιδεία greca. Ma la grecità viene sempre considerata nella sua forma tarda e questa in modo romano. (…) All’umanismo storicamente inteso appartiene perciò sempre uno studium humanitatis, che attinge in un determinato modo all’antichità, diventando così di volta in volta anche una ripresa della grecità.”248.

Heidegger considera, quindi, l’umanesimo storico come il tentativo di un’epoca di ridefinire la propria identità con un ritorno al passato effettuato tramite l’imitazione di un modello educativo, in particolare, di quell’ideale di formazione umana sorto nelle scuole filosofiche

246 Ivi, p. 40 247 Ivi, p. 41 248 Ibid.

della tarda grecità in seguito ad una codificazione del sapere in una serie di attività spirituali come le bonae artes.

L’altro uso che si fa del termine umanesimo rimanda, invece, al raggiungimento di una condizione che garantisce all’uomo quella dignità propria della sua natura. Si tratta di un umanesimo giudicato per sé, indipendentemente da ogni confronto con il passato storico, che si differenzia a seconda dei diversi significati che assumono le nozioni di “libertà” e di “natura umana” chiamate in causa dalle varie concezioni e in base ai modi in cui queste intendono realizzarle. È il caso, ad esempio, del marxismo, dell’esistenzialismo di Sartre o del cristianesimo. Tutte queste forme di umanesimo, nonostante siano portatrici di una differente immagine di uomo, risultano accomunate “nel fatto che l’humanitas dell’homo humanus è determinata in riferimento ad un’interpretazione già stabilita della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo, cioè dell’ente nel suo insieme.”249 Ciò significa che ogni umanesimo presuppone sempre

una metafisica, una determinata interpretazione della totalità degli enti che, in quanto posta a fondamento, non viene adeguatamente indagata. Il risultato è che non si affronta l’argomento decisivo, il problema della verità dell’Essere, non solo per una mancanza di radicalità e di rigore teoretico ma anche perché tale questione risulta totalmente estranea ad ogni indagine metafisica. L’umanesimo in quanto metafisica non vede l’essenziale non per un difetto di impostazione ma perché non ha occhi per vederlo.

Come uscire da questa aporia? Sembrerà strano, ma Heidegger risponde attraverso la metafisica stessa: “(…) ogni domandare dell’«essere», così come ogni domandare della verità dell’essere, deve

essere introdotto in un primo momento come un domandare