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2.3.2 L’incompletezza di Essere e tempo

2.3.3. Un pensiero “diverso”

Resta ora da chiarire l’ultimo elemento che abbiamo sottolineato nella citazione all’inizio di questo paragrafo. Dobbiamo, cioè, interrogarci sulla natura di quel pensiero “diverso” emerso con le riflessioni fin qui condotte in modo da compiere un ulteriore passo verso quell’umanesimo “di una specie strana” di cui si fa menzione nelle pagine della Lettera:

“Poiché in questo pensiero c’è da pensare qualcosa di semplice, esso riesce così difficile a quel modo di rappresentarsi le cose tramandato col nome di filosofia. Sennonché, il difficile non consiste nel fatto che si debba attingere a qualche particolare senso profondo o che si debbano costruire concetti complicati, ma si nasconde nel passo-indietro (Schritt-zurück) che introduce il pensiero in un domandare capace di esperire, e che lascia cadere l’opinare abituale della filosofia”199.

198 Ivi, p. 511: “È necessario cercare e percorrere una strada che conduca alla chiarificazione

del problema ontologico fondamentale. Se essa sia l’unica o, in generale, la giusta, potrà essere deciso solo dopo averla percorsa. La controversia per l’interpretazione dell’essere non può essere risolta, visto che non è stata ancora sollevata. E in fondo non si tratta di una controversia che possa divampare improvvisa «per un pretesto», ma il suo accendersi richiede una preparazione. La presente indagine è in cammino esclusivamente verso questo scopo.”

In queste righe sono presentati una serie di modi per arrivare a pensare l’essere nella sua semplicità: cogliere “qualche particolare senso profondo”, “costruire concetti”, introdurre “il pensiero in un domandare capace di esperire”. Se le prime due soluzioni vengono scartate, la terza alternativa sembra la via percorribile: ma cosa indica il “domandare” e “l’esperire” a cui si fa riferimento? Perché questo pensiero, compiendo “un passo indietro”, segna l’abbandono della maniera tradizionale di far filosofia? Rispondere a queste domande ci permetterà di gettar luce sulla svolta che la riflessione di Heidegger subisce subito dopo Essere e tempo.

La difficoltà di cogliere ciò che è semplice non può essere superata mettendo in campo le normali strategie conoscitive adoperate nel corso della storia del pensiero. La metafisica occidentale era venuta a capo della tensione tra mondo ideale e mondo sensibile, tra un piano trascendente e uno immanente, ritrovando un senso dell’essere più profondo e più vero dietro quello apparente accessibile ai più. Lungo questa direzione, l’interrogazione filosofica ha assunto le caratteristiche di un’indagine che va alla ricerca di essenze immutabili la cui scoperta è garantita dalla corretta applicazione di un apparato categoriale appositamente costruito. La riflessione heideggeriana ha mostrato che questo modo di pensare affonda le radici nella concezione dell’essere come presenza e nel primato attribuito all’atteggiamento teoretico e pertanto mal si presta a fornire la soluzione di una difficoltà che, anzi, ha contribuito a formare.

Heidegger sostiene, invece, che il compito del pensiero sia quello di superare la metafisica in modo da lasciar semplicemente cadere quanto è già stato senza tentare più nessuna opposizione. Il

movimento che rade al suolo la metafisica dipende dalla possibilità di compiere “un passo indietro” rispetto a questa tradizione, un’espressione, questa, che richiama molto quanto sostenuto da Nietzsche in Umano troppo umano200 dove è in questione proprio

l’atteggiamento più adeguato da assumere in un orizzonte post- metafisico. Entrambi i filosofi cercano di indurre nell’uomo una diversa disposizione nei confronti della storia in aperta polemica con quella particolare forma di storicismo che è la storiografia. Se Nietzsche intende opporre una sorta di contemplazione che pone l’individuo dinanzi agli errori della storia, Heidegger si richiama, invece, alla geschichtliche Besinnung, ad una meditazione storica capace di ripercorrere il senso di quel che è accaduto nel tentativo di porre il pensiero “in direzione di ciò che appare degno di esser domandato”201. Tale meditazione deve assomigliare ad un cammino

la cui meta non viene stabilita sin dall’inizio perché deve rivelarsi durante il percorso stesso come qualcosa di inaspettato. Il termine Erfharung sembra chiarire molto bene questo aspetto, indicando nella lingua tedesca, quella particolare esperienza che si acquista per esempio dopo un viaggio, al ritorno dal quale ci si sente cambiati,

200 F. NIETZSCHE, Umano troppo umano I, Adelphi, Milano 2004, pp. 30-31: “Alcuni gradini

all’indietro. Un grado certo molto elevato di cultura è raggiunto quando si libera dalle idee e dalle paure superstiziose e religiose e per esempio non crede più ai cari angioletti o al peccato originale, e ha anche disimparato a parlare della salvezza delle anime: se egli è a questo grado di liberazione, gli resta ancora da superare con la massima tensione della sua riflessione la metafisica. Poi però è necessario un movimento all’indietro: egli deve capire la giustificazione storica, come pure quella psicologica di tali rappresentazioni, deve riconoscere come sia di là venuto il maggior progresso dell’umanità e come, senza un tal movimento all’indietro, ci si priverebbe dei migliori risultati finora ottenuti dall’umanità. Riguardo alla metafisica filosofica, sempre più numerosi sono quelli che vedo giungere alla meta negativa (che ogni metafisica positiva è un errore), ma ancora pochi che scendono alcuni scalini all’indietro; bisogna cioè sì guardare al di sopra dell’ultimo piuolo della scala, ma non voler stare su di esso. I più illuminanti riescono solo a liberarsi della metafisica e a volgersi a guardarla con superiorità: mentre anche qui, come nell’ippodromo, al termine della dirittura è necessario girare.”

201 M. HEIDEGGER, Vorträge und Aufsätze (1936-1953), Günther Neske, Pfullingen 1954;

diversi. Si tratta, insomma, di un’esperienza che trasforma chi la compie perché nel tentativo di raggiungere qualcosa “proprio esso ci sopraggiunge, ci colpisce, ci pretende in quanto ci trasforma secondo se stesso”202. Il carattere itinerante della ricerca non potrà che avere

delle conseguenze anche sul modo tradizionale di interrogarsi in filosofia. Se la metafisica è caratterizzata dalla domanda che interroga l’ente per svelare l’essenza che lo rende tale, la sua fine comporta un cambiamento capace di porre il pensiero dinanzi a ciò che è “degno di questione”, vale a dire l’essere, senza doverlo più fissare nella staticità di strutture immobili. In questo senso, la filosofia si pone in cammino, rifiuta le soste e da scienza dell’essere immutabile diventa ascolto di ciò che si muove verso di lei facendosi problema.

Chiarite nelle sue linee generali il significato della citazione riportata, occorrerà soffermarsi su questi argomenti iniziando, ad esempio, a riflettere sul confronto con Nietzsche che abbiamo proposto poc’anzi203. Cercheremo, infatti, di chiarire il problema della

svolta proseguendo la discussione del paragrafo 2.2., riproponendo, cioè, quella tensione tra la filosofia della storia e la storia della filosofia che si sviluppa in seguito al tentativo compiuto dal pensiero di appropriarsi di tutti i presupposti in cui è costretto ad operare pur restando sempre vincolato ad un determinato contesto storico. Obiettivo sarà quello di mostrare come nella discussione heideggeriana sull’umanesimo la possibilità di pensare in modo nuovo l’essenza dell’uomo si leghi indissolubilmente ad un nuovo modo di fare e vedere la storia.

202 M. HEIDEGGER, Unterwegs zur Sprache, Neske, Stuttgart 1994; trad. it. a cura di A.

Caracciolo e M. Caracciolo Perotti, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973, p. 141

203 Su questi argomenti si veda anche P. GODANI, Il tramonto dell’essere. Heidegger e il

Nella Seconda inattuale Nietzsche prende posizione nei confronti della “malattia storica” che caratterizza la cultura europea del tardo Ottocento. In questo periodo la maggiore consapevolezza storica avrebbe privato l’uomo della capacità di creare qualcosa di nuovo: ogni novità, infatti, sembra destinata ad essere travolta dall’inarrestabile fluire del tempo risultando, pertanto, del tutto insensata. Allo stesso modo dell’istante che si costituisce nel momento stesso in cui trapassa e si dissolve in quello successivo, anche l’opera dell’uomo appare erosa da un passato che reclama continuamente il suo diritto di determinare il futuro. Unico rimedio sembra essere l’oblio di ciò che è stato: un certo grado di dimenticanza rompe la catena del “se…allora…”, liberando il presente dal giogo della necessità per aprirlo verso un ad-venire ancora indefinito.

Heidegger ha sicuramente presente queste riflessioni non solo perché richiama la Seconda inattuale nel paragrafo 76 di Essere e tempo ma anche perché, come vedremo, fa proprio il rifiuto della storiografia che è implicito nella critica nietzschiana. Nell’opera del ’27 l’obiettivo è quello di radicare la storiografia nella storicità originaria dell’Esserci: l’opportunità di ripetere le possibilità tramandate dal passato dipende dal modo in cui l’Esserci, rompendo l’assolutezza dell’istante presente nell’attimo della decisione anticipatrice, accoglie su di sé la propria fine e così facendo si riappropria dell’esistenza come qualcosa che non può essere determinato dall’orizzonte chiuso delle possibilità che gli appartengono in quanto assegnato ad un contesto storico. Egli si ritrova, invece, sempre oltre le possibilità che il presente gli offre, smette di essere semplicemente contemporaneo a se stesso e alla

propria epoca per guardare verso un avvenire che sfugge a ogni programmazione. Solo concepita in questi termini la storiografia può de-costruire il passato nel tentativo di fondare in maniera autentica ciò che ci rende abitatori del nostro tempo, sempre legati, cioè, ad una precisa tradizione. All’idea di Croce secondo cui la storia è sempre storia contemporanea Heidegger oppone una storiografia pensata secondo il metodo della “distruzione fenomenologica”.

All’indomani della svolta queste convinzioni subiscono una serie di cambiamenti. Il fallimento del progetto di Essere e tempo spinge Heidegger ad abbandonare la distinzione tra una storiografia autentica e una inautentica: il fondamento che si voleva raggiungere tematizzando una maniera autentica di rapportarsi al proprio passato si sottrae, come abbiamo visto, ad ogni determinazione rimanendo sempre la cosa più nascosta. Questa conclusione, tuttavia, non obbliga il pensiero ad abbandonare la sua opera di chiarificazione ma, semmai, la radicalizza: Heidegger prosegue nella direzione che aveva imboccato con Essere e tempo spostandosi, però, su un binario parallelo nel senso che la tensione tra storia della filosofia e filosofia della storia non viene più affrontata nell’ottica di un’ontologia fondamentale, muovendosi ancora nella tradizione di pensiero metafisica seppure adeguatamente riformata, ma secondo la prospettiva di un pensiero che volendo corrispondere ad una chiamata cerca di ripartire da un altro inizio, da una tradizione parallela a quella precedentemente abbandonata ma in essa costantemente tenuta nell’oblio. In questo caso, però, si tratta di una tradizione che si sottrae ad ogni considerazione storiografica perché esige un nuovo modo di affrontare il rapporto con il passato: quello della “la meditazione storica”.

Come è possibile rintracciare questo nuovo inizio? La risposta di Heidegger è perentoria: “l’avvenire è l’inizio di ogni accadere”204.

Per chiarire questa espressione occorre precisare che l’inizio di cui si parla non coincide con un semplice punto di partenza che si abbandona per dirigersi verso una destinazione differente. Così concepito, infatti, sarebbe solo un momento di passaggio inserito nell’ordine logico della successione tra ciò che è stato e ciò che ancora non è. L’inizio che ha in mente Heidegger è invece un “iniziare”, un principio d’azione che non si esaurisce nel passato e nel presente i quali accolgono, rispettivamente, la prima e l’ultima delle sue manifestazioni. L’accadere iniziale, dunque, non può essere racchiuso in queste determinazioni temporali ma solo nel futuro: “In questo modo diventa chiaro che l’accadere e la storia non sono quel che è trascorso e che è osservabile come tale, non sono cioè lo storiografico”205 se con tale termine si allude a quell’indagine che

trasforma il passato in un oggetto da descrivere a partire da ciò che di volta in volta presente. “In ogni autentica storia”, invece, “che è qualcosa in più di una serie di fatti, decisivo è il carattere futuro, ossia il rango e l’ampiezza delle mete da fare”206. In quanto racchiuso

nell’avvenire l’inizio non può essere osservabile storiograficamente ma si lascia considerare solo dalla Besinnung storica: “Be-sinnung significa: ripercorrere il senso [Sinn] di quel che accade, della storia stessa. Sinn qui vuol dire: l’ambito aperto delle mete, dei criteri, degli impulsi, le possibilità decisive, i poteri; tutto questo appartiene essenzialmente all’accadere”207.

204 M. HEIDEGGER, Grundfragen der Philosophie, (Sommersemester 1933), GA Bd 36; trad. it. a

cura di U. M. Ugazio, Domande fondamentali della filosofia. Selezione di «problemi» della

«logica», Mursia, Milano 1988, p. 35

205 Ivi, p. 34 206 Ivi, p. 35 207 Ivi, p. 34

Secondo Heidegger per incamminarsi verso questo nuovo inizio bisogna innanzitutto ritornare da quello che viene solitamente considerato come il primo in modo da capire a fondo la sua natura essenziale e individuare, così, tutte quelle potenzialità che non si sono potute manifestare. In genere, il primo inizio della civiltà occidentale viene collocato presso i Greci, nella meraviglia che questi provarono nei confronti dell’ente che si rivela. In tale disvelamento (), tuttavia, è possibile rintracciare qualcosa di non ancora spiegato vale a dire la non-verità originaria da cui procede la stessa verità su cui la filosofia si è interrogata nel corso dei secoli. L’irrompere del possibile, di questo “non ancora” nell’esistenza costituita da quella tradizione che ha solamente pensato la verità nei termini della correttezza logica, inaugura una nuova fase di pensiero, o meglio, permette di riappropriarsi di una tradizione nella quale l’uomo già da sempre si trova inserito. Per questo ogni domandare a partire da questa tradizione diventa ora un colloquio, un parlare a qualcuno di qualcosa che ci vede sempre coinvolti e che ci chiama continuamente in causa. Non si tratterà più di rispondere ma di corrispondere ad un appello: le domande non richiederanno la ricerca di una soluzione definitoria nella quale possano dissolversi ma si porranno come un compito da assolvere, come un cammino in grado di cambiare chi lo compie perché, come dicevamo prima, lungo questo cammino qualcosa sopraggiunge pretendendo una trasformazione208.