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La liberalizzazione e le deroghe nel settore farmaceutico

DEREGULATION DEI MERCAT

4. La liberalizzazione e le deroghe nel settore farmaceutico

Il superamento dei vincoli alla libertà di iniziativa economica privata trova dei limiti nel settore farmaceutico, all’interno del quale la tradizionale ricostruzione della tutela della salute prevale sulle istanze liberiste. Nei diversi contesti interessati ad un’apertura dei mercati sempre più marcata, si contrappone l’idea che l’aumentare il numero delle farmacie e la vendita di farmaci possa comportare piuttosto, un peggioramento della qualità del servizio, anche se in assenza di adeguati elementi che supportano tali tesi.

Se per liberalizzazione deve intendersi, pertanto, la riduzione della “disciplina amministrativa” di un settore ed il suo adeguamento ai principi economici del liberismo129 , i quali sono basati sulla libertà

di iniziativa economica privata e che cerca di aumentare in termini quantitativi e qualitativi l’offerta di beni e servizi, il settore farmaceutico invece è connotato ancora da vincoli e forme di intervento pubblico incompatibili con un regime sostanzialmente liberalizzato e ispirato a reale concorrenza130.

129 F. SATTA, Liberalizzare e semplificare, in Riv. Dir. amm., 2012, 177 ss. 130 M. LIBERTINI, Le riforme del diritto dell'economia: regolazione e

90 Le deroghe presenti nel settore farmaceutico, rispetto ad altre attività economiche, sono dovute alle caratteristiche specifiche di questo settore, il quale è legato al rapporto di immediata strumentalità che sussiste tra l’erogazione di beni e servizi e la tutela della salute. Quest’ultima infatti, rappresenta anche anche a livello europeo, un legittimo limite all’applicazione delle regole del commercio e della concorrenza.

Il processo evolutivo della liberalizzazione dei servizi si scontra con la possibilità di applicare un regime ispirato a logiche concorrenziali all’interno del settore farmaceutico, settore strumentale invece, al perseguimento di un diritto fondamentale dell’uomo, quale il diritto alla salute. Semmai, in questo caso, la logica dovrebbe essere diversa rispetto alle politiche di liberalizzazione incentrate sullo sviluppo della concorrenza e piuttosto fare riferimento alla possibilità di incrementare il livello di utenti nel settore.

Dovrebbero essere tre i fattori da implementare per le dinamiche di liberalizzazione , con un contestuale “passo indietro” della presenza pubblica: l’inquadramento europeo delle attività socio-sanitarie come attività economiche, soggette alle regole della concorrenza, però nei limiti in cui ciò non infici gli obiettivi di interesse pubblico sottesi, facendo riferimento all’art. 49 TFUE (libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi) ; la tutela della

91 libertà dell’iniziativa economica privata e l’individuazione di un corretto equilibrio con la tutela della salute, valore primario, ma non per questo insuscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionalmente tutelati (parametro normativo art. 41 Cost.);

necessità di migliorare la tutela dell’utente attraverso benefici di tipo efficientistico potenzialmente derivanti dall’applicazione di un regime tendenzialmente concorrenziale (parametro normativo art. 32 Cost.131. Bisogna sottolineare come, rispetto ai primi due punti sia

la Corte Costituzionale, che la Corte di Giustizia (sentenza 5 dicembre 2013, cause riunite da C-159/12 a C-161/12) hanno confermato la legittimità del regime misto tra pubblico e privato e la legittimità della disciplina italiana che impone un numero chiuso di farmacie. La CGUE nella sentenza sopra citata afferma “la normativa italiana è ritenuta a perseguire l’obiettivo di garantire alla popolazione un rifornimento di medicinali sicuro e di qualità, il quale rientra nell’obiettivo più generale di tutela della salute. Orbene, dall’art. 52, paragrafo 1, TFUE risulta che la tutela della salute può giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento.”

Il profilo relativo alla possibilità di creare un rapporto tra il regime concorrenziale nel settore farmaceutico a beneficio

131 M. CALABRÒ, linee evolutive del servizio di assistenza farmaceutica.

Ipotesi si valorizzazione dell’art. 32 Cost. In senso pro-concorrenziale, in Riv. Diritto Pubblico Comunitario, 2015, p. 2.

92 dell’utenza, sembra che non sia stato preso in considerazione né dalla dottrina, né dalla giurisprudenza.

La ragione di tale disattenzione o per meglio dire, rifiuto all’apertura nel settore farmaceutico alla liberalizzazione del mercato, risale all’applicazione della tradizionale impostazione che inquadra l’art. 32 Cost. in termine di limite all’utilizzo della disciplina concorrenziale. Anche se potrebbe sussistere un rapporto tra l’erogazione di beni e servizi nel campo farmaceutico, è proprio la tutela della salute che pone un freno all’applicazione delle regole del commercio, nonostante, in termine di maggiore efficienza e minor costo del servizio, una qualche apertura potrebbe essere quantomeno vagliata.

I limiti presenti in tale settore sono a maggior ragione anche di natura territoriale, si evince dalla stessa sentenza della Corte di Giustizia (sentenza 5 dicembre 2013, cause riunite da C-159/12 a C- 161/12), dove ancora afferma “un regime di pianificazione in forza del quale il numero di farmacie presenti sul territorio è limitato può rilevarsi indispensabile per colmare eventuali lacune nell’accesso alle prestazioni sanitarie e per evitare una duplicazione nell’apertura delle strutture, in modo che sia garantita un’assistenza medica adeguata alle necessità della popolazione, che copra tutto il territorio e tenga conto delle regioni geograficamente isolare o altrimenti svantaggiate.”

93 L’attività di assistenza farmaceutica territoriale è affidata in Italia al Sistema Sanitario Nazionale, il quale gestisce a livello regionale, sedi pubbliche comunali e private dislocate sul territorio nazionale132. Tale assetto è il risultato di un processo evolutivo,

all’interno del quale prima vi erano solo operatori economici privati, ai quali solo in un momento successivo si sono affiancate farmacie di titolarità pubblica al fine di una più adeguata copertura del territorio.

Si sono elaborate più tesi sulla reale natura del servizio farmaceutico, e se si possa configurare di natura pubblica o privata. Secondo una prima teoria si dovrebbe fare riferimento all’ipotesi di servizio pubblico locale, attraverso la valorizzazione della diffusione capillare sul territorio e del ruolo delle amministrazioni comunali nella gestione diretta del servizio133. Ma non è possibile aderire a tale

posizione, in ragione della circostanza che la titolarità del servizio è indiscutibilmente posta in capo alla Regione134. Infatti anche quando

il servizio viene esercitato dal comune, quest’ultimo non ne diventa

132 M. RENNA, Tra regole di concorrenza: l’affaire farmacie, in Riv. diritto

pubblico italiano, comparato, europeo, 2015, p.18 ss, cfr. M. GOLA, farmacia e farmacisti, in Dig. Disc. Pubbl., VI, Torino, 1991, 231 ss.

133 L. IANNOTTA, L'assistenza farmaceutica come servizio pubblico, in

Servizio Pubblico e appalti, Milano, Giuffrè, 2003, 49 ss.

134 Cons. Stato, sez. III, 8 febbraio 2013, n. 729, in Ragiusan, 2013, 173.

L'elaborazione dottrinale ha da tempo chiarito che la titolarità di un servizio pubblico discende dall'attribuzione dello stesso, da parte del legislatore, ad una determinata pubblica amministrazione, alla quale compete la responsabilità di assicurarne lo svolgimento in attuazione dei principi dell'ordinamento, a prescindere dalla circostanza che sia quella stessa amministrazione a gestire direttamente il servizio stesso.

94 titolare, bensì un mero strumento che gestisce la sede in nome e per conto del sistema sanitario nazionale.

Un’altra tesi fa riferimento alla definizione dell’attività in questione come mera attività economica privata avente fini sociali135,

ma non può essere condivisa neppure questa impostazione perché la titolarità, come sancito dalla legge, rimane in mano al SSN, con la precisa volontà quindi di affidare alla pubblica amministrazione la responsabilità del servizio.

Bisogna sottolineare un importante profilo sulla natura dell’oggetto del servizio in questione, perché l’attività farmaceutica non si limita alla vendita di beni, ma comporta una serie di servizi alla persona che contribuiscono al raggiungimento della LEA136 nel

settore sanitario, il che rende incompatibile con i caratteri propri di un’attività economica privata, per sua natura autonoma, e nel caso,

135 M. DELSIGNORE, Il contingentamento dell'iniziativa economica privata.

Il caso non unico delle farmacie aperte al pubblico, Milano, Giuffrè, 2011, p.

63 ss.

136 L’acronimo LEA si riferisce ai “livelli essenziali di assistenza” che sono

stati costituiti dall’insieme delle attività, servizi e delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale eroga a tutti i cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza. Recentemente è stata introdotta la legge di stabilità e riforma, il 28 dicembre 2015, n. 208, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge stabilità 2016), GU n. 302 del 30 dicembre 2015, Suppl. Ordinario n. 70).

95 solo indirettamente strumentale al raggiungimento di obiettivi di interesse pubblico137.

Il servizio di assistenza farmaceutica può essere quindi inquadrato nell’ambito dei servizi pubblici avente ad oggetto la produzione di beni e servizi rivolti a realizzare fini sociali, promuovere lo sviluppo economico e strumento predisposto alla tutela della salute, di conseguenza è innegabile che questo settore venga inserito all’interno del mercato e in mano alla titolarità pubblica.

Natura giuridica di servizio pubblico, ma allo stesso tempo connotata da una forte componente economica, che si riflette sulla difficoltà all’interno di quale materia collocarla ai sensi dell’art. 117 Cost. La Corte Costituzionale si è più volte espressa sulla riconducibilità dell’organizzazione del settore farmaceutico, alla materia della tutela della salute e non del commercio, nonostante le forti connotazioni economiche che possono essere rilevate all’interno del settore.

A differenza dell’orientamento della nostra Corte, la Corte di Giustizia Europea (C-171/07 e C-172/07) ha ribadito che “fatte salve le peculiarità connesse alla strumentalità rispetto alla tutela del bene salute, le attività poste in essere da un farmacista sono pur sempre

137 R. CAVALLO PERIN, A. ROMANO, Commentario breve al testo unico

96 da intendersi come esercizio di attività economiche prestate dietro retribuzione, con consequenziale sottoposizione alle disposizioni del TFUE. In ambito comunitario quindi l’elemento “professionale” si rileva preponderante rispetto a quello del “servizio”, con consequenziale rinvio alla legislazione in tema di commercio.

Inquadramento europeo delle attività socio-sanitarie come attività economiche, sia facendo riferimento all’art. 41, sia imponendo la concreta verifica circa la legittimità dei vincoli che gli vengono imposti.

Nonostante le questioni rilevate, che vorrebbero far rientrare il settore farmaceutico in un ambito maggiormente concorrenziale, all’interno del nostro ordinamento prevale la tendenza a valorizzare il rapporto di stretta connessione che sussiste tra l’erogazione di beni e di servizi nel campo farmaceutico e la tutela della salute138.

È sulla base di queste considerazioni che, anche sotto l’impulso delle diverse dichiarazioni di stampo liberista degli ultimi anni, non sono, ad oggi, seguite riforme in grado di modificare nella sostanza il modello tradizionale, caratterizzato da un preponderante intervento pubblico e un ridotto livello di concorrenzionalità.

Nella stessa professione del farmacista si riflettono le complessità contraddittorie proprie del settore, in merito tra l’altro, si

138 M. DELSIGNORE, Il contingentamento dell'iniziativa economica privata.

97 è recentemente espressa la Cassazione, la quale l’ha inquadrata come attività imprenditoriale139.

Appare evidente come in tale ambito si sovrappongo dinamiche concorrenziali e una pervasiva programmazione economica pubblica, la quale si riflette in una duplice finalità nella regolazione di settore, volta da un lato alla tutela dell’impresa e dall’altro alla tutela dell’utente.

Un modello contrastante che incide anche sui professionisti che esercitano l’attività di farmacista e parafarmacista, iscritti entrambi all’albo, ma con significative differenze.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 216 del 2014, riprendendo e citando in gran parte le motivazioni della CGUE del 5 dicembre 2013, ha dichiarato non fondata la questione relativa all’art. 5, co. 1, del D.L. n. 223 del 2006 nella parte in cui non consente alle parafarmacie la vendita di medicinali di fascia C (farmacia utilizzati per patologie di lieve entità) soggetti a prescrizioni medica140. La

nostra Corte, in merito, afferma che per i professionisti sopra citati “permangano una serie di significative differenze, tali da rendere la scelta del legislatore non censurabile in termini di ragionevolezza. Si tratta di prendere atto che la totale liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C verrebbe affidata ad esercizi commerciali che lo

139 Cass civ. 8 febbraio 2013, n. 3080, in Rass. diritto civile, 2014, p. 1295. 140 L. DELLI PRISCOLI, Liberalizzazione e diritti fondamentali, cit., p. 153.

98 steso legislatore ha voluto assoggettare ad una quantità meno intensa di vincoli e adempimenti. Né può giungersi a diversa conclusione invocando l’art. 41 e il principio di tutela della concorrenza. A questo riguardo va rilevato che il regime delle farmacie è incluso nella materia di <<tutela della salute>>; l’incondizionata liberalizzazione di quella categoria di farmaci inciderebbe sulla distribuzione territoriale delle parafarmacie, le quali non essendo inserite in un sistema di pianificazione, potrebbero alterare il sistema stesso, che è posto, prima di tutto, a garanzia della salute dei cittadini141.” La Corte però non valuta la possibilità di eliminare gli stessi vincoli ed adempimenti a carico dei parafarmacisti, in modo tale da permettere a quest’ultimi di vendere tutte le tipologie di medicinali che possono essere dispensate anche ai farmacisti.

Rigorosa politica posta in essere anche sull’imposizione dei prezzi sui farmaci soggetti a prescrizione del medico, la quale rappresenta allo stesso modo, la “rigidità del sistema”, come avviene per la disciplina delle parafarmacie. Limiti che non sono gli unici, perché oltre ai profili sopra delineati, dove il processo di liberalizzazione potrebbe essere preso in considerazione, ma viene lasciato in secondo piano, un ulteriore vincolo viene posto dal regime

99 del c.d. “contingentamento”, ai sensi del quale il numero delle sedi farmaceutiche “assentibili” viene a determinarsi in base a specifici criteri, essenzialmente legati all'elemento demografico ed a quello topografico142.

La regola generale prevede che debba esserci una proporzione tra il numero delle farmacie presenti in un determinato territorio in base all’entità della popolazione, tranne per quelle sedi difficile da servire in base al criterio topografico143.

In questo campo, una minima apertura è stata apportata dal decreto “Cresci Italia144”, il quale ha cercato di superare il regime del

contingentamento, (accompagnato da richieste di liberalizzazione), ma che in realtà si tratta semplicemente di un intervento programmatorio dello Stato, il quale ha aumentato il numero di nuove farmacie da mettere in concorso. Piuttosto con la prospettata liberalizzazione sostanziale, in tale contesto, il provvedimento autorizzativo non dovrebbe configurare un'autorizzazione “a scopo di conformazione del mercato”, circoscrivendone l'accesso, quale strumento di misure di programmazione e limitazione delle iniziative

142 Cons. Stato, sez. III, 25 novembre 2014, n. 5840.

143 Art. 104 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie)

in riferimento alle regioni e provincie autonome di Trento e Bolzano.

144 Art. 11, D.L., 24 gennaio 2012 all’interno del quale si sancisce che le

autorizzazioni verranno rilasciate in modo tale che vi sia una farmacia ogni 3000 abitanti e sarà consentita l’apertura di un ulteriore farmacia qualora la popolazione superi 500 abitanti.

100 private , quanto al fine di avere un'autorizzazione “a scopo precauzionale”, preordinata alla tutela di interessi particolarmente qualificati e destinata unicamente ad accertare il possesso di requisiti personali, tecnici e strutturali145, essenziali a garantire che l'attività

non si svolga “in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana 146”.

La mancata liberalizzazione delle farmacie e la disciplina così formulata, lede il diritto di chi è un farmacista iscritto all’albo, ma non ne è titolare a causa del numero chiuso di quest’ultime.

Questo regime, per i professionisti, sembra non trovare una giustificazione normativa valida, se non l’interesse dei titolari al mantenimento di una posizione di oligopolio e quello dello Stato di gestire e programmare questo settore.

La stessa Corte costituzionale ha ribadito (sent. n. 448 del 2006) “sotto il profilo funzionale, i farmacisti sono concessionari di un pubblico servizio” e tale servizio è “preordinato al fine di assicurare una adeguata distribuzione dei farmaci, costituendo parte della più vasta organizzazione predisposta alla tutela della salute” (sent. 430 del 2007).

145 M. CALABRÒ, Linee evolutive del servizio di assistenza farmaceutica, cit.,

p. 6.

101 Tra tutti gli obblighi posti in essere dalla legge, vi è il divieto, penalmente sanzionato, di vendere al pubblico specialità di medicinali a prezzo diverso da quello segnato sull’etichetta (art. 125, 6° e 8° comma T.U. delle leggi sanitarie modificato dalla legge 7 novembre 1942, n. 1528). La norma in questione non rientra nei criteri dell’art. 41 Cost, relativi alla libertà di iniziativa economica privata, ma nell’art. 32 Cost. che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo.

È abbastanza chiaro come nel nostro ordinamento quindi, la tutela della salute, come valore fondamentale e primario sovrasta il libero esercizio dell’attività economica e pone dei limiti marcati nei confronti della direttiva n. 2006/123/CE all’interno dell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 stabilendo che “La libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio, infatti, deve avvenire senza limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso, l’ambiente urbano, e dei beni culturali.”

Liberalizzazione come punto di partenza per la crescita economica, ma senza dimenticare che la tutela della salute dell’uomo prevale e non può soggiacere alle richieste del mercato.

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