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DEREGULATION DEI MERCAT

5. Liberalizzazione e impresa

Lo scenario più recente in tema di politiche di liberalizzazione nel nostro Paese ha mostrato un concitato legislatore, impersonato dal governo attraverso la decretazione d’urgenza, intervenire ripetutamente a proclamare la libertà d’impresa e a dettare disposizioni in tema di eliminazione di restrizioni e limiti all’attività economica privata147. La rinnovazione delle disposizioni in tema di

libertà d’impresa può trovare una spiegazione nella volontà dell’Unione europea di rassicurare i mercati e le istituzioni pubbliche finanziarie, all’interno delle quali molti interventi normativi vi sono succeduti. Il moltiplicarsi degli interventi all’interno di questo campo ha comportato però diverse questioni interpretative, le quali non aiutano l’attività imprenditoriale, che anziché essere favorita, risulta invece scoraggiata a causa della presenza di fattori nuovi, incerti e rischiosi.

L’obiettivo di stimolare la crescita aumentando la competitività del sistema economico, divenuto più pressante per la necessità di contrastare gli effetti della crisi economica e di finanza pubblica, rischia, così, di restare un’aspirazione148.

147 M. DE BENEDETTO, Le liberalizzazioni e i poteri dell'AGCM, in Giorn.

dir. amm., n. 3/2012, Milano, Ipsoa, p. 241 ss.

148 L’obiettivo in questione è indicato dalle istituzioni europee all’interno della

103 Con la Direttiva 2006/123 CE sui “Servizi nel mercato interno” (anche conosciuta come Direttiva Bolkestein) viene avviata dall'Unione Europea una nuova politica di liberalizzazione. La direttiva è diretta ad assicurare la libertà di stabilimento (art. 49 TFUE ex art. 43 TCE) ed il diritto di prestare servizi all'interno della Comunità (art. 56 TFUE ex art. 49 TCE), eliminando le barriere allo sviluppo del settore dei servizi. Nasce tuttavia anche dalla consapevolezza che “una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro nell'Unione Europea”149 .

Attraverso la semplificazione amministrativa e l’eliminazione delle discipline amministrative che nel tempo hanno ostacolato la libertà di impresa, si vogliono introdurre nuovi principi e regole che impediscano per il futuro, la possibilità di espandersi del mercato e delle relative imprese all’interno operanti. Il fine è quello di creare un “quadro giuridico” diretto ad assicurare la libertà di stabilimento e la libertà di circolazione dei servizi all’interno degli Stati membri150.

marzo 2011, mirante a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche degli Stati partecipanti e la loro convergenza verso più alti obiettivi di competitività.

149 N. LONGOBARDI, Liberalizzazione e libertà di impresa, in Riv. it. Dir.

Pubbl. comunit., 2013, p. 603.

150 G. CORSO, Attività amministrativa e mercato, in Riv. giur. quad. serv.

104 Il proposito è quello di velocizzare la trasformazione dei diritti amministrativi nazionali in merito, così da consentire uno sviluppo più accentuato all’interno dei mercati. Non a caso, infatti, il bersaglio delle disposizioni della direttiva, chiaramente identificato e colpito con precisione, è il regime autorizzatorio ed il relativo potere discrezionale, che è stato esteso a dismisura nel corso del tempo, assumendo spesso un ruolo di direzione e di gravoso condizionamento delle attività economiche151.

La direttiva assevera la constatazione che “una delle principali difficoltà incontrate, in particolare dalle PMI, nell’accesso alle attività di servizi e nel loro esercizio e rappresentato dalla complessità, lunghezza e dall’incertezza giuridica delle procedure amministrative152”. La direzione che deve essere impressa alla semplificazione amministrativa dovrebbe invece far riferimento alle norme relative alle procedure amministrative, le quali 153 non

dovrebbero mirare ad armonizzare le procedure amministrative, ma a sopprimere regimi di autorizzazione, procedure e formalità eccessivamente onerosi che ostacolano la libertà di stabilimento e la

151 N. LONGOBARDI, Liberalizzazione e libertà di impresa, cit., p. 611. 152 C. SALVI, Libertà economiche, funzione sociale e diritti personali e sociali

tra diritto europeo e diritti nazionali, in Riv. Europa e dir. priv., 2011, p. 1437

ss.

153 C. RAPICAVOLI, Note critiche all'art. 1 del D.L. 1/2012: la

liberalizzazione delle attività economiche e la coerenza con l'art. 41 della costituzione, in www.amministrazioneincammino.it., 2012, p. 23.

105 creazione di nuove società di servizi che ne derivano154. La libertà di

introdurre nuovi regimi autorizzatori è dunque limitata all’interno del nostro ordinamento a causa della discrezionalità di tipo amministrativo.

L’art. 9 della direttiva in commento, “regimi autorizzatori”, impone agli Stati membri stringenti condizioni per la subordinazione dell’accesso ad un’attività di servizio e del suo esercizio, ad un regime di autorizzazione, il quale però non deve essere: “discriminatorio nei confronti del prestatore” (par. 1, lett. a); la « necessità » di esso deve essere “giustificata da un motivo imperativo di interesse generale” (par. 1, lett. b); può essere previsto solo se “l'obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia” (par. 1, lett. c). L’art. 10 fa riferimento alle condizioni di rilascio dell’autorizzazioni, all’interno del quale si fa capo al presupposto che i regimi di autorizzazione non devono essere utilizzati in modo arbitrario e valutati da parte dell’autorità competente, l art. 11 pone il principio della durata generalmente illimitata della validità dell’autorizzazione, con le eccezioni che possono essere riguardare

154 A. ARGENTATI, La storia infinita della liberalizzazione dei servizi in

106 motivi imperativi di interesse generale, sia per quanto l’autorizzazione medesimo che la durata della stessa.

La dettagliata disciplina contenuta nell'art. 13, infine, conforma le “Procedure di autorizzazione”. Queste, come ogni formalità ad esse relative, devono essere chiare, rese pubbliche preventivamente e tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sarà trattata con obiettività e imparzialità» (par. 1), tempestive, facilmente accessibili e comportare oneri ragionevoli e commisurati ai costi delle procedure (par. 2).

Alle domande di autorizzazione, da trattare “con la massima sollecitudine”, va data risposta entro un termine “ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente”. “Qualora giustificato dalla complessità della questione il termine può essere prorogato una volta dall'autorità competente per un periodo limitato. La proroga e la sua durata deve essere debitamente motivata e notificata al richiedente prima della scadenza del periodo iniziale” (par. 3).

Quanto invece ai paragrafi 5, 6, 7 dell’art. 13 si fa riferimento ai precisi doveri in capo all’amministrazione di informazione nei confronti dei soggetti che abbiano presentato domanda di autorizzazione.

È importante sottolineare che l'accesso ad un'attività di servizio e il suo esercizio non possono essere subordinati al possesso di una

107 serie di requisiti precisamente indicati dall'art. 14 della direttiva, intitolato “Requisiti vietati”. Il divieto inerisce direttamente ai principi di concorrenza e di non discriminazione. Trova conferma nell'art. 14 il divieto di limitare la libertà di impresa per ragioni economiche ritenute dai pubblici poteri155. Con il seguente preciso

dettato normativo all’interno del paragrafo 5, risulta infatti vietata “l'applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio dell'autorizzazione alla prova dell'esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell'attività o alla valutazione dell'adeguatezza dell'attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall'autorità competente; tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d'interesse generale”.

Molto rilevante all’interno della direttiva anche l’art. 15, intitolato “Requisiti da valutare” in quanto obbliga gli stati ad eliminare requisiti richiesti per l’avvio dell’attività d’impresa, ove questi requisiti non superino la verifica dei principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità.

108 Gli Stati membri sono chiamati a sottoporre a puntuale verifica i propri regimi di autorizzazione ed a giustificare l’esistenza alla stregua delle disposizioni della direttiva156.

Con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della Direttiva dei servizi del 2006, il legislatore italiano ha solo “copiato” le disposizioni in merito, senza fare troppa attenzione all’attuazione effettiva della stessa, fermandosi semplicemente al recepimento formale della direttiva con riguardo ai regimi autorizzatori. Non sembra che il dettato legislativo abbia fatto molta attenzione alla valutazione dei regimi posti in essere dalla direttiva, né che il decreto in questione contenga delle indicazioni relative alle future valutazioni quanto ai soggetti, tempi, modalità o alla nozione di motivi imperativi di interesse generale contenuta all’art. 8, ma ricondotta a generiche “ragioni di pubblico interesse”, senza però approfondire le regole che dovrebbero essere applicate.

La portata concreta ed effettiva della liberalizzazione in tal modo disposta è sostanzialmente nulla. Essa resta comunque indeterminata e genera solo incertezza in ordine alla disciplina delle attività economiche157.

Con il d.l. 138 del 2011 (c.d. manovra bis) si cerca di fare dei passi in avanti, ma si registra a favore della libertà d’impresa, ma

156 A. ARGENTATI, La storia infinita, cit., p. 337 ss. 157 Ivi, p. 338.

109 anche in questo caso si possono rilevare solo delle affermazioni di principio, senza apportare quelle esplicitazioni necessarie in materia. Si fa riferimento al principio secondo il quale “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge” (art. 3, comma 1), elencando i limiti di questa libertà che fanno riferimento ai vincoli degli ordinamenti comunitari e obblighi internazionali, limiti rientrati nell’art. 41 Cost.( 2°,3° comma), limiti che vanno a tutelare la salute umana e i diritti fondamentali del nostro ordinamento e quelli che riguardano effetti sulla finanza pubblica (analizzati nei paragrafi precedenti).

Nel successivo d.l. n. 201 del 2011 (Salva Italia) la libertà di impresa è nuovamente proclamata, ma declinata sul piano dei principi secondo la seguente formula, diversa e più impegnativa rispetto a quella contenuta nell'art. 3, c. 1, d.l. n. 138 del 2011:”La disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l'ordinamento comunitario, che possono giustificare l'introduzione di previi atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità (art. 34, c. 2)”.

110 Sembra quindi che, per quanto riguarda l’attuazione delle indicazioni della direttiva dei servizi, si prende atto che la “libertà” del legislatore nazionale di introdurre regimi autorizzatori è ricondotta a circoscritta discrezionalità di tipo amministrativo.

La normativa esaminata, con riguardo all'affermazione della libertà di impresa, ai suoi limiti ed alla abrogazione delle restrizioni ad essa, non avvalora la radicale svolta «liberista» del nostro ordinamento, il quale cerca di dettare una disciplina applicativa che possa davvero portare delle novità consistenti all’interno del mercato e che possa soddisfare le richieste anche della comunità europea. Ma sembra che metta in evidenza piuttosto un legislatore incerto ed oscillante anche nel dettare disposizioni di principio a favore del mercato, nonostante l'enfasi declamatoria posta sulla libertà di impresa. Questa enfasi, benché improduttiva di risultati concreti, riaccende una antica ostilità nei confronti della libertà di impresa, che trova alimento nella perdurante crisi economica e finanziaria158.

L’ostilità che sembra esserci in questo contesto può essere ricondotta nelle disposizioni della Costituzione, le quali cercano prima di tutto di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo e la libertà d’impresa viene valutata cime una libertà subordinata e “minore”.

111 Il modello sociale europeo, in contrapposizione, in quanto fondato, per il benessere collettivo dell'Unione, sull'economia di mercato e sulla concorrenza, si distacca invece nettamente dal modo di intendere il «principio sociale» che si è imposto in passato, sia nella dottrina che nella prassi, nel nostro Paese159.

Bisognerebbe prendere atto che data l’interferenza degli interessi in gioco, tra la tutela del mercato, libertà d’impresa e diritti fondamentali, sarebbe più consono realizzare un bilanciamento tra questi valori senza restringere le garanzie degli uni o degli altri. Meccanismo difficile da attuare, ma non per questo, fuori da ogni logica.