• Non ci sono risultati.

2.3. Introduzione: il consumo come creatore di relazioni

2.3.1. La metamorfosi del comportamento del consumatore

Il pensatore Karl Marx sosteneva che nell’era capitalista, l’uomo non sarebbe riuscito a dare distinzione dall’utile all’inutile e per l’appunto, il consumo veniva definito come una forma di alienazione, ossia di allontanamento dell’individuo stesso, dalla propria natura (Sassatelli, 2004).

60

Dall’inizio della rivoluzione industriale e per tutto il XIX secolo, il consumo dipendeva in tutto e per tutto dalla produzione. Fino quell’epoca, non vi era la possibilità di produrre i beni in massa, anche perché non esistevano compratori a sufficienza, ed economisti come Smith e Ricardo vedevano il consumo come fine ultimo dell’attività economica. Marx invece, da una svolta a questo pensiero ed intuisce che ogni fenomeno economico è ricollegabile ad uno sociale. Nel saggio di Minestroni, vengono ripercorse alcune tappe fondamentali del pensiero di Marx, espresso nel Capitale. Un concetto che vale la pena approfondire è legato al cosiddetto feticismo delle merci. L’idea è incentrata sul fatto che nella società capitalista, il rapporto tra soggetti e quindi gli individui, si trasformi in un rapporto tra cose, oggetti e merci. Gli oggetti una volta divenuti merci, perciò con valore di scambio, trasformano il rapporto sociale tra uomini in un “fantasmagorico” rapporto tra cose (Minestroni, 2006). Le merci divengono feticci, cioè incorporano relazioni sociali, perché sono il frutto del lavoro dell’uomo dunque, detengono astrattamente la forza lavoro, cosicché l’uomo diviene predicato, e la merce soggetto. Nella critica all’economia politica, Marx sostiene che sia la produzione ad offrire il consumo, poiché crea l’oggetto da consumare, l’impulso e quindi lo stesso bisogno. Risulta evidente come gli interessi economici e produttivi di quella società, ne plasmino il pensiero e l’ideologia69.

Nei primi decenni del Novecento, con la nascita della società di massa, cominciò a diffondersi un nuovo significato di consumo. Dagli Stati Uniti all’Europa, si iniziò a conoscere un differente consumatore autonomo e creativo che si stava diffondendo. Veblen (1981), il primo sociologo dei consumi, ha contribuito a riformulare il medesimo concetto di consumo. Grazie a lui, non solo, si guarda la dimensione culturale, relazionale e sociale del consumo, ma soprattutto, si parla di carattere “segnico” degli oggetti (Veblen, 1981). Lo studioso identificò che i diversi gruppi sociali marcavano le proprie differenze, sfoggiando i propri beni. Si parla di ostentazione del consumo, per dichiarare la propria distinzione di ceto e quindi il proprio status. In quegli anni, difatti, la società era formata dalle classi industriali, dalla borghesia e dalle classi ignobili. A seconda della ricchezza posseduta, gli individui sentivano la necessità di mostrare la quantità di prestigio e di onore, insita nei beni che compravano (Veblen, 1981). Non a caso si parla di beni Veblen quando si ricorre a quei beni o quei servizi per i quali il desiderio del loro acquisto aumenta con il crescere del loro prezzo. Alla diminuzione del loro prezzo diminuisce anche la

61

domanda. Si racconta, perciò, di un consumo ostentativo, anche chiamato vistoso, dove si vuole esprimere la capacità di usufruire di determinati beni e servizi esibendo la differenza di posizione economica finanziaria. L’azione di consumo ostentativo si rivolge a beni appariscenti e di lusso, ed è legata a logiche “posizionali”. Si sente la necessità di esibire la prestigiosa posizione acquisita nella scala sociale, effetto della ricchezza monetaria raggiunta, la quale conferisce un’aura di esclusività all’oggetto stesso del consumo, e ne impedisce la diffusione su ampi strati della popolazione. Quindi se la teoria neoclassica parlava di un acquisto improntato su logiche di razionalità e utilità, la finalità del consumo vistoso, al contrario, è la massimizzazione del prestigio, attraverso beni esclusivi e di lusso (Veblen, 1981). Veblen riflette su di due diverse categorizzazioni di consumo, da un lato, vi sono le classi agiate, che vogliono distanziarsi e consumano per ostentare la loro posizione, dall’altro vi sono le classi povere, che tentano di raggiungere uno status superiore, per cui sono spinte al consumo di beni costosi, per imitare lo stile di vita a cui aspirano, in una sorta di “mimesi sociale” (ibidem). Il consumo sfrenato e superfluo diviene il pane quotidiano dei ricchi e contrariamente a ciò che si enuncia in economia, ovvero che il consumo è inversamente proporzionale al prezzo, più i beni sono capaci di dimostrare una certa posizione sociale e le differenze di status, più sono acquistati dai ricchi. Veblen si sofferma sul fatto che non è sufficiente il consumo vistoso, ma il “giusto” consumo vistoso, necessità di differenziazione e di nuova realizzazione, attraverso la distinzione dalla massa. Il consumo in Veblen è riletto in una metafora che vede in conflitto gruppi sociali antagonisti. Sottolinea come, appena un individuo riesce ad acquistare un bene del livello successivo a quello in cui si trovava, tale percezione di ricchezza sfuma, e non è più in grado di soddisfarlo, cosicché risulta necessario un bene del livello superiore a quello appena raggiunto. È la classe agiata che funge da riferimento per tutte le altre classi, ognuna delle quali, a sua volta è riferimento per le sottostanti (ibidem).

Altro autore di questo periodo, è Simmel, il quale comprende, come il nuovo mezzo di scambio universale sia solo il denaro, che viene definito nella massima “il prezzo è qualità” (Simmel, 1910). Con questo sociologo prende forma la teoria dell’effetto sgocciolamento, il cosiddetto “trickle down effect”. Questo fenomeno consiste nell’imitazione delle classi meno abbienti nei confronti della classe sociale dominante. Il contesto del quale parla Simmel è il mondo della moda, per cui la propria individualità viene trasmessa attraverso l’ostentazione dell’abito indossato. Anche in tal caso, inizialmente, le abitudini si affermano ai livelli più elevati e sono

62

considerate “d’elite”; successivamente, le classi meno agiate tenderanno ad assumere le abitudini comportamentali dei ricchi, questi ultimi, per mantenere la propria posizione di prestigio, lanceranno una nuova moda che innescherà nuovamente il processo (Secondulfo, 2012). Così il bisogno di acquistare oggetti come indicatori di status, avviene grazie al denaro, che si posiziona tra l’uomo e le cose relazionandole. Incide sulla cultura, sulla mentalità, sul rapporto quotidiano. In tale ambito Simmel afferma che la moda riesce ad appagare il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, rassicurando, poiché evidenzia la classe sociale di appartenenza (Simmel, 1910). Anche qui come nella precedente spiegazione, la riproduzione della medesima logica, dalle classi inferiori, determinerà un annullamento del significato e una ricerca di un livello superiore. In definitiva, per Simmel il consumo e la moda sono espressioni della contraddizione dell’uomo moderno, bisognoso di legittimazione, di autonomia e di riconoscimento ma che se raggiunto da altri, ne determina la necessità di spingersi oltre in un nuovo piano.

Anche Bourdieu, filosofo francese parlava di pratiche di consumo riferendosi alla classe sociale chiamata “habitus”. Egli si sofferma sul cosiddetto “gusto legittimo” della classe dominante, che protegge ciò che possiede, per impedire ad altri gruppi di possederlo. Lo stile di vita, diviene per Bourdieu, il concetto chiave. Un connubio di istruzione, reddito, insieme di pratiche culturali, arte, musica, cibo, letteratura, teatro. Luogo non solo di consumo ma anche di modelli di valore e atteggiamenti differenti (ibidem). Ogni stile di vita, perciò ogni grammatica, ottiene significato non solo dallo spazio sociale che ricopre ma anche dalle contrapposizioni e similitudini rispetto agli altri stili di vita. Il gusto, così come le preferenze culturali rappresentano una pratica di distinzione, per mezzo delle quali le classi più elevate confermano la loro superiorità (Secondulfo, 2012).