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La “micrologia” e la passione per gli scart

Il potere delle immagini nel sistema gnoseologico benjaminiano: dalla micrologia all'immagine dialettica

3.1 La “micrologia” e la passione per gli scart

In questo capitolo cercheremo di delineare la metodologia di Benjamin in modo da possedere gli strumenti per orientarci al meglio all'interno dell'opera sui passages,

e soprattutto per cogliere il movimento dialettico che conduce al punto del risveglio dell'intera modernità. Benjamin si è interessato per tutta la vita alla delineazione dei suoi strumenti epistemologici, e di conseguenza questo studio ha subito molteplici influenze a seconda dell'interesse specifico coltivato dal filosofo in un determinato e preciso momento.

Dobbiamo per prima cosa precisare che tutto il pensiero di Benjamin, e pertanto anche la sua metodologia, non ha mai preteso di essere discorsiva e argomentativa221,

ma rappresentativa, ovvero si pone lo scopo di mostrare gli elementi, i frammenti, affinché questi possano parlare da soli, e non tramite fissate teorie. Possiamo sostenere che il suo principale modello metodologico e filosofico fu il «rebus»222,

come viene definito da Adorno. Benjamin sostiene l'idea che nel minimo si rivela il massimo, ovvero in una singola cosa è visibile il tutto. Quindi coltiva una grande attenzione, quasi un culto, per il dettaglio, muovendosi dal concreto e dal particolare. Secondo Benjamin, il contenuto di verità può essere colto solo penetrando con precisione i particolari di un certo stato di cose. Hannah Arendt riporta le parole di Scholem che era solito ricordare la passione dell'amico Walter per gli oggetti piccoli, e della ambizione di far entrare cento righe nella pagina di un normale taccuino. Scholem inoltre ricorda che per il filosofo le dimensioni di un oggetto sono inversamente proporzionali al suo significato. Quindi più piccolo è l'oggetto più probabilità ci sono che possa contenere un'altra forma più concentrata223.

Quindi possiamo definire la sua metodologia “micrologica” come lo stesso Benjamin la definisce nella Premessa gnoseologica del Dramma barocco tedesco:

Il rapporto fra l'elaborazione micrologica e la forma globale esprime quella legge per cui il contenuto di verità di una teoria si lascia cogliere solo nella più precisa penetrazione dei singoli dettagli di un concetto.224

L'obiettivo è rappresentare l'universale nel particolare attraverso lo studio di un dettaglio ingrandito. Questa metodologia benjaminiana subisce anche l'influenza delle tecniche cinematografiche che vengono studiate nell' Opera d'arte nella sua

riproducibilità tecnica, dove vengono analizzate le innovative dinamiche dei nuovi

221 Lo stesso Adorno definisce il “rebus” come il modello metodologico e filosofico dell'amico.

(T.W. Adorno, Profilo di Walter Benjamin, in Prismi, Einaudi, Torino, 1972, p. 234).

222 T.W. Adorno, Profilo di Walter Benjamin, in Prismi, Einaudi, Torino, 1972, p. 234.

223 H. Arendt, Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Mondadori, Milano, 1993, pp. 21-

22.

mezzi di riproduzione, ovvero l'ingrandimento e il rallentatore. Tramite l'ingrandimento si ottiene una dilatazione del campo spaziale che permette, non solo una chiarificazione di ciò che si vede, ma permette anche la visione di nuovi particolari, invisibili all'occhio umano.

Adorno scrive circa il metodo micrologico di Benjamin:

Il suo metodo micrologico e frammentario non ha mai completamente assimilato la concezione della mediazione universale, che, in Hegel come in Marx, istituisce la totalità. Senza mai deflettere egli tenne fermo al suo principio che la più piccola cellula di realtà intuita controbilancia tutto il resto del mondo. L'interpretare materialisticamente i fenomeni significava per lui non soltanto spiegarli in base al tutto sociale quanto riferirli immediatamente, nel loro isolamento a tendenze materiali e a lotte sociali.225

Il metodo micrologico sarà estremamente utile a Benjamin quando analizzerà la modernità, in questo caso il suo studio non prediligerà la conoscenza della totalità del processo sociale del XIX secolo, ma i frammenti del mondo oggettuale, come avevano già fatto i surrealisti. Benjamin, però, non predilige semplicemente il dettaglio, ma la sua scelta è mirata a porre sotto la lente di ingrandimento il dettaglio marginale, normalmente emarginato negli studi:

La tecnica dell'ingrandimento fa muovere l'irrigidito e fermare ciò che è mosso. La sua predilezione per oggetti minimali e meschini […] è complementare a quella tecnica che viene attratta da tutto ciò che è scivolato attraverso le maglie della rete convenzionale dei concetti o è troppo disdegnato dallo spirito dominante per avervi lasciate altre tracce che quelle di un giudizio frettoloso.226

Possiamo notare una certa influenza dei surrealisti in questo metodo, infatti, come abbiamo ricordato più volte, Benjamin rimane colpito dal gesto del movimento francese di ridare vita agli oggetti dimenticati, caduti in disuso e passati di moda. Inoltre il filosofo prende a modello lo chiffonnier, ovvero lo straccivendolo, figura molto cara a Baudelaire, come ricorda il filosofo nella sezione J del libro sui

passeges. Il poeta francese si identificava con l'individuo vestito di stracci e che si

occupava degli scarti abbandonati nelle vie della città. Benjamin riporta la poesia Le

225 T.W. Adorno, Profilo di Walter Benjamin, in Prismi, op. cit., p. 242. 226 Ibidem, p. 246.

vins des chiffonniers227 che il poeta dedicò a questa nuova figura metropolitana: Voici un homme chargé de ramasser les débris d'une journée de la capitale. Tout ce que la grande cité a rejeté, tout ce qu'elle a perdu, tout ce qu'elle a dédaigné, tout ce qu'elle a brisé. Il le

catalogue, il le collectionne. Il compulse les archives de la débauche, le capharnaüm des rebuts.

Il fait un triage, un choix intelligent; il ramasse, comme un avare un trésor, les ordures qui, remâchées par la divinité de l'Industrie, deviendront des objets d'utilité ou de jouissance.228

Il cenciaiolo era una figura che affascinava Baudelaire perché, come lui, era un collezionista di oggetti morti e di detriti, insomma un'«allegorista»”229 – in questo

modo viene definito da Benjamin. Anche il filosofo berlinese pone al centro dei suoi studi periodi solitamente considerati morti e di decadenza, come il barocco, e quando affronta lo studio del XIX secolo pone l'attenzione non sugli eventi epocali, solitamente tramandanti, ed esalatati dalla storiografia dominante, ma si concentra sulla raccolta degli scarti230, delle rovine di un'epoca. Il suo compito, quindi, è molto

simile a quello del chiffonnier (chiamato da Benjamin anche lumpensammler), il quale raduna il disperso, mosso dallo scopo di raggiungere una certa situazione in cui non esistono più scarti. Quindi possiamo sostenere che questo scopo sia quasi escatologico, in quanto vuole strappare dall'oblio i momenti costretti a un mutismo forzato; vuole ridonare la vita agli oggetti scartati e dimenticati. Come sostiene Franco Rella, lo straccivendolo è una sorta di archeologo che scava231 e riporta alla

luce vecchi rifiuti che, se dotati del loro originario valore, sono in grado di rivelare la

227 Traduzione in italiano della poesia Le vins chiffonniers: « Ecco un uomo incaricato di

raccattare i rifiuti di una giornata della Capitale. Tutto quello che la grande città ha rigettato, tutto quello che ha perduto, tutto quello che disdegnato, tutto ciò che ha fatto a pezzi, lui lo cataloga, lui lo colleziona. Lui compulsa gli archivi dei vizi, il cafarnao degli scarti. Lui fa una cernita, una scelta intelligente; raccatta, come un avaro un tesoro, le immondizie che, rimasticate dalla divinità dell'Industria, diventeranno oggetti utili o piacevoli».

228 W. Benjamin, I «passages» di Parigi, op. cit., p. 383, (J 68, 4).

229 R. Luperini. L'allegoria del moderno, Editori Riuniti, Roma, 1989, p. 92.

230 In Strada a senso unico, e precisamente nel denkbild intitolato Cantiere, Benjamin ricorda come

anche i bambini prediligano gli scarti:« […] i bambini sono portati in misura notevole a

frequentare qualsiasi luogo di lavoro in cui si opera visibilmente sulle cose. Si sentono attratti in modo irresistibile dai materiali di scarto che si producono nelle officine, nei lavori domestici, o di giardinaggio, in quelli di sartoria o di falegnameria. Nei prodotti di scarto riconoscono la faccia che il mondo delle cose rivolge proprio a loro, a loro soli. In questi essi non riproducono tanto le opere degli adulti quanto piuttosto pongono i più svariati materiali, mediante ciò che giocando ne ricavano, in un rapporto reciproco nuovo, discontinuo. I bambini in tal modo si costruiscono il proprio mondo oggettuale, un piccolo mondo dentro il grande, da sé». Presente in W. Benjamin, Strada a senso unico, in Opere complete. II, Scritti 1923-1927, Einaudi, Torino, 2001, pp. 415-

416.

verità sugli oggetti presenti ancora dotati di senso. La verità che rivelano è quella che anche gli oggetti nuovi sono destinati ad aggiungersi agli scarti, in quanto l'industrializzazione moderna accelera in modo esponenziale il processo di caducità:

[…] nel XIX secolo il numero delle cose «svuotate» aumenta in una misura e a un ritmo prima sconosciuti, poiché il progresso tecnico pone continuamente fuori corso nuovi oggetti d'uso.232

Adorno ricorda come la salvazione degli scarti, del dimenticato, abbia caratterizzato tutta la filosofia di Benjamin:

Le componenti pietrificate, irrigidite o obsolete della cultura, tutto ciò che in essa ha dimesso l'insinuante vivacità, parlavano a lui come il fossile o la pianta dell'erbario parlano al collezionista. Non lo attira unicamente il compito di ridestare la vita rappresa in ciò che si è pietrificato – come nell'allegoria –, egli è portato altresì a considerare il vivente in modo che si presenti come passato da lunga pezza, come «preistorico» […]. 233

Possiamo notare in questa impostazione una certa somiglianza con il lavoro svolto dai surrealisti. Infatti essi non cercano le forze rivoluzionarie nell'esperienze più recenti, ma dai rifiuti culturali invecchiati da poco. E come abbiamo potuto constatare nel precedente capitolo, la magia delle cose espulse dall'universo di produzione e di consumo, precisamente la magia dei rifiuti si manifesta grazie all'illuminazione profana, che li mostra in un orizzonte onirico liberato dalle strutture dell'utilità. Questo compito che vuole evitare che i rifiuti – stabiliti dalla dominazione socio-culturale – precipitino in un abisso silenzioso, caratterizza anche lo scopo del collezionista, altra figura cara a Benjamin234:

Noi vogliamo leggere la vita odierna e le forme odierne nella vita e nelle forme apparentemente secondarie e perdute di quel tempo.235

232 W. Benjamin, I «passages» di Parigi, op. cit., p. 522, (N 5, 2). 233 T.W. Adorno, Profilo di Walter Benjamin, in Prismi, op. cit., p. 238.

234 La figura del collezionista forse riveste un ruolo centrale nella metodologia di Benjamin a causa

anche della sua biografia e dei suoi interessi personali. Infatti il padre Emil fu un antiquario e commerciante di opere d'arte, inoltre, Benjamin coltivò con la moglie Dora, dopo avere ereditato una raccolta, una passione antiquaria per i libri di infanzia; passione che coltivarono fino che la vita del filosofo non venne travolta dalle difficoltà degli anni '30. Dopo il divorzio la ricca collezione rimase a Dora, la quale, con l'avvento del nazionalsocialismo in Germania, la portò con sé a Londra. In Profilo di Walter Benjamin Adorno descrive in questo modo l'animo dell'amico Benjamin: «l'antiquario che era in lui».

Anche il collezionista strappa gli oggetti dalla loro caducità inserendoli nell'eternità dell'arte; inoltre lotta contro la dispersione e contro l'abbandono degli scarti facendo parlare il silenzio della storia, e creando una sorta di memoria pratica e anche “visibile”:

Il motivo più recondito del collezionista può essere forse così circoscritto: egli intraprende una lotta contro la dispersione. Il grande collezionista è originariamente toccato dalla confusione, dalla frammentarietà in cui versano le cose in questo mondo. […] L'allegorista costituisce in un certo senso l'antipodo del collezionista: ha rinunciato a far luce sulle cose attraverso la ricerca di ciò che a esse sarebbe in qualche modo affine e omogeneo, le scioglie dal loro contesto e rimette fin da principio alla propria assorta profondità il compito di illuminare il loro significato. Il collezionista, al contrario, riunisce ciò che è affine; può riuscirgli in tal modo di dare ammaestramenti sulle cose in virtù della loro affinità o della loro successione nel tempo. Cionondimeno […] in ogni collezionista si nasconde un'allegorista e viceversa. Per quanto riguarda il collezionista, la sua collezione non è pur mai completa; e quando gli mancasse anche un solo pezzo, tutto ciò che ha raccolto resterebbe pur sempre incompiuto, ciò che appunto le cose sono per l'allegorista fin dal primo momento. Dall'altra parte proprio l'allegorista – per il quale le cose rappresentano sempre solo le voci di un dizionario segreto che tradirà all'esperto i loro significati – non disporrà mai a sufficienza di quelle cose che gli occorrono: che siano cioè tanto meno sostituibili l'una all'altra, quanto più resta vietato a ogni possibile riflessione prevedere quel significato che la sua assorta profondità potrà rivendicare per ciascuno di loro. 236

Inoltre:

Per la teoria del collezionismo è molto importante l'isolare, il prendere a parte ogni singolo oggetto. Una totalità il cui carattere integrale sia il più lontano possibile dall'utile, ma che consista, nei casi più estremi, in un tipo di «completezza» (concetto diametralmente opposto all'utile) rigidamente definito, fenomenologicamente molto singolare.237

Il vero collezionista, come poi alla fine fanno anche i surrealisti, libera l'oggetto dalla sua funzionalità, diventata ormai una schiavitù238. Infatti, come sostiene

Friedmann239 nel testo Da Cohen a Benjamin. Essere ebrei tedeschi per il filosofo

236 Ibidem, p. 222, (H 4a, 1). 237 Ibidem, p. 926, (Kº, 8). 238 Ibidem, pp. 217-218, (H 2, 7).

239 Inoltre Friedmann svolge un'altra interessante analisi paragonando l'atteggiamento del

collezionista a quello del rivoluzionario e del flâneur. Sostiene che il collezionare sia un'arte rivoluzionaria, e come il rivoluzionario, il collezionista sogna di poter essere in un mondo lontano

berlinese il collezionismo ancora salva gli oggetti da una possibile alienazione, e questo hobby adulto – normalmente svolto da persone ricche che non hanno bisogno solo di cose strettamente utili – ricorda la passione dei fanciulli per le cose che per loro non possiedono ancora carattere di oggetti, ma di immaginazione in continua evoluzione e trasformazione240.

Grazie a questa liberazione, il collezionista è in grado di svolgere una contemplazione disinteressata che gli consente, grazie al suo sguardo «fisiognomico», di avere una visione totale dell'osservato e “salvato”. Ricordiamo che si aspira alla totalità grazie alla raccolta di singoli oggetti che racchiudono un mondo, una piccola enciclopedia, e per comprendere ciò basti: «ricordare quale importanza rivesta per qualsiasi collezionista non solo l'oggetto, ma anche tutto il suo passato, tanto ciò che concerne la sua origine e contribuisce a qualificarlo obiettivamente, quanto i dettagli di quella che a prima vista può sembrare la sua storia meramente esteriore: ex proprietari, prezzo d'acquisto, valore, ecc. tutto ciò, tanto i dati «obiettivi» quanto gli altri, si fonde insieme per il vero collezionista in ciascun singolo oggetto di sua proprietà, fino a formare un'intera enciclopedia magica, un ordine universale, il cui abbozzo costituisce il destino del suo oggetto. Qui dunque, in quest'ambito ristretto, si capisce finalmente come i grandi fisiognomici (e i collezionisti sono fisiognomici dell'universo delle cose) divengano divinatori del destino» 241.

Il collezionista aspira alla totalità ed è capace di ritrovarla in ogni oggetto in suo possesso, quindi si ricollega al discorso iniziale circa la passione micrologica di Benjamin; anche il collezionista è predisposto a un'attenzione per il dettaglio, in quanto questo, secondo lui, è capace di rivelare l'universo nel microcosmo.

Il collezionista riunisce gli oggetti o per affinità o per successione temporale, ma come sottolinea Hannah Arendt la sua classificazione non sarà mai rigorosa, innanzitutto perché egli tende a distruggere il contesto nel quale il suo oggetto originariamente era inserito per sottolineare la sua unicità e autenticità all'interno di un tutto frammentato242. E inoltre questa classificazione non sarà mai completa, la

o passato, ma comunque migliore poiché le cose non sono obbligate a possedere un'utilità. Inoltre paragona il collezionista al flâneur perché a quest'ultimo le cose si rivelano nel loro significato recondito, ovvero svelano la loro vera immagine passata.

240 F.G Friedmann, Da Cohen a Benjamin. Essere ebrei tedeschi, Edizione la Giuntina, Firenze, 1995,

pp. 57-58.

241 Ibidem, p. 938, (Oº, 7).

totalità243 non verrà mai raggiunta, poiché tutto ciò che viene raccolto, e catalogato,

rappresenta solo un frammento.

Oltre al Konvolut H, presente ne I passages di Parigi specificamente dedicato alla figura del collezionista, Benjamin affronta nel saggio dal titolo Eduard Fuchs, il

collezionista e lo storico – pubblicato nel 1937 su richiesta della Scuola di

Francoforte, e in particolar modo di Horkheimer – uno studio appunto su Eduard Fuchs244. Nel saggio Benjamin sostiene che «il collezionista usa la propria passione

come la bacchetta del rabdomante, che gli permette di scoprire nuove fonti»245 o di

scoprire nuove prospettive con le quali osservare un medesimo oggetto. Fuchs si sentì sempre agli antipodi dello spirito che regnava nei musei sotto Guglielmo II, in quanto questi miravano a esporre prevalentemente pezzi grossi e famosi, ma per Fuchs in questo modo si avrebbero avuto solo immagini incomplete della cultura del passato246. Eduard Fuchs condivideva con la figura del collezionista di Benjamin

due principi: innanzitutto entrambi concordano con l'idea che ogni singolo componente di una collezione sia in grado di offrire un compendio in miniatura dell'intero; e inoltre considerano le cose comunemente disprezzate. Comunque lo scopo principale di questo breve saggio rimane mostrare la teoria materialistica dell'arte e quindi delineare il ruolo del materialista storico; e possiamo notare che il compito svolto dal collezionista, e dallo stesso straccivendolo, ricorda lo scopo del materialista storico, il quale è interessato alla salvazione degli oggetti dall'oblio attraverso l'abbandono epico della visione storicistica, e attraverso il ricordo e la memoria pratica dell'azione. Infatti il materialista storico, secondo Benjamin, dovrebbe rappresentare una precisa e particolare esperienza del passato, presentandola nella sua unicità, come esperienza originaria247.

243 Questo rifiuto per la totalità caratterizza anche il pensiero di Benjamin come ci ricordano le parole

di Adorno: « Egli non avversa solo il preteso soggettivismo estremo, ma lo stesso concetto di

soggettivo. […] L'interiorità non è per lui soltanto una dimora di opacità e di torbido autoappagamento, ma altresì il fantasma che impedisce l'immagine possibile dell'uomo: dovunque egli le contrappone l'esteriorità corporea. Invano pertanto si cercheranno in lui concetti come autonomia, ma anche come totalità, vita, sistema, tutti inerenti all'ambito della metafisica soggettiva. (presente in T.W. Adorno, Profilo di Walter Benjamin, in Prismi, Einaudi, Torino,

1972, p. 241).

244 Eduard Fuchs nacque nel 1870, fu uno storico marxista, un politico, uno studioso dell'arte e un

collezionista. Fu il fondatore di un innovativo archivio della storia dell'arte, infatti la sua collezione raggruppava raccolte di caricature, di arte erotica e di arte legata ai costumi e alle mode di determinate epoche.

245 W. Benjamin, Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, presente in L'opera d'arte nella sua

riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Einaudi, Torino, 2000, p. 112.

246 Ibidem, pp. 112-113. 247 Ibidem, pp. 82-84.

3.2 Il montaggio

Benjamin mostra i frammenti raccolti attraverso una specie di scienza filologica. Ma cosa intende quando parla di filologia?

[…] il commento a una realtà (poiché qui si tratta del commento, di una interpretazione nei particolari) richiede tutt'altro metodo di quello a un testo. In un caso la scienza fondamentale è la teologia, nell'altro la filologia. 248

Filologia non viene intesa da Benjamin come una semplice scomposizione degli elementi del testo, o come una scienza che studia la lingua. Per Benjamin filosofia e filologia sono un tutt'uno. La filosofia della conoscenza si rappresenta nella filologia e la filologia esprime la filosofia, come sostiene Giovanni Gurisatti «la prima è l'anima della seconda, e la seconda è l'espressione della prima, e tale rapporto è assolutamente simultaneo»249. Il filologo, secondo Benjamin, non deve restituire

l'unitarietà del testo, il suo senso, ma ne deve scoprire le fratture. Filologia non restituisce il significato del testo, ma la eccede producendo un surplus di senso. Infatti il metodo benjaminiano, di impronta filologica, non si basa su una semplice interpretazione ma su una costruzione sviluppata attraverso la tecnica del montaggio che consiste nell'erigere una costruzione usando come tasselli i piccoli elementi, «ritagliati con precisione. Nello scoprire nell'analisi del piccolo momento singolo il