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La molteplicità degli interessi che convergono nell'impresa

Il governo d'impresa, nella sua natura di sistema di relazioni, esprime l'insieme dei principi e delle regole su cui si basa il coordinamento e il controllo di poteri e ruoli all'interno dell'impresa.

Le modalità con cui questi ultimi si estrinsecano in assetti di partecipazione al capitale investito nell'impresa, consentono di definire i rapporti tra i soggetti, gli equilibri di interessi e dei poteri, che nelle loro interconnessioni influenzano in modo determinante le condizioni di funzionamento del complesso aziendale in termini di efficacia, efficienza e competitività.

I sistemi di corporate governance sono la risultante dell'adeguata coesistenza di questi differenti elementi, in un contesto di ricerca della legittimazione all'esercizio del potere economico, attuato, comunque, nel rispetto di forme di democrazia decisionale.

Non a caso il Cadbury Report14 definisce un sistema di corporate governance come “l'insieme delle istituzioni e delle regole (giuridiche e tecniche), la cui combinazione e interazione tende ad equilibrare in modo trasparente e corretto gli interessi di coloro che danno vita alla coalizione d'impresa”.

Nelle società quotate, caratterizzate da un'elevata concentrazione del capitale in assetti istituzionali stabili, che o in virtù del capitale di rischio in loro possesso, ovvero per l'influenza dominante sulle politiche aziendali da perseguire, guidano l'impresa nel suo ciclo vitale, il Board rappresenta ed unifica i diversi interessi presenti nell'impresa15; i problemi tipici del governo d'impresa, generati dalla

14 Fondamentale codice di Best prectice inglese nato per iniziativa della London Stock Exchange (autorità di gestione del mercato azionario), del Financial Reporting Council (autorità di controllo sull'informazione societaria), della Confederation of British Industry (associazione delle imprese industriali) e della Accountancy Profession (associazione dei professionisti della contabilità societaria).

15 “In una visione di razionalità economica un po' semplicistica si può ipotizzare una relazione di

causalità lineare del tipo seguente: 1. dato un certo ambiente economico e tecnologico; 2. ogni impresa tende ad adottare una strategia coerente con tale ambiente scegliendo certe dimensioni, certi mercati, certe gamme di prodotti; 3. la strategia scelta richiede un certo insieme di contributi, posseduti da certi soggetti che, in cambio, ricevono certe ricompense; 4. raccogliendo quei contributi

separazione tra proprietà e controllo, non assumono particolare rilevanza nella definizione delle strategie aziendali, considerando l'unitarietà di intenti in esse comunque riscontrabili. Ciò risulta essere vero, nelle imprese caratterizzate dal cosiddetto capitalismo familiare e istituzionale, in cui gruppi di matrice familiare o costituiti da investitori istituzionali, concentrano nelle proprie mani, la proprietà del capitale e il diritto di indirizzare l'impresa16 attraverso il Board che ne costituisce la diretta emanazione; in esse è possibile individuare una proprietà forte, consolidata e coesa, in termini sia di obiettivi da raggiungere, che di cultura condivisa.

Tuttavia, nell'attuale contesto aziendale, caratterizzato dal fatto che la separazione tra proprietà e controllo17 d'impresa costituisce sempre più una regola e non un'eccezione, in società in cui il legame tra portatori di capitale e responsabilità direttiva è ormai labile, i diversi sistemi di corporate governance evidenziano quali siano le caratteristiche soggettive e oggettive, i diversi interessi strategici e operativi, che, con diversa incidenza, confluiscono e convergono nell'impresa. Tale caratteristica morfologica del tessuto sociale d'impresa, rende problematica la possibilità di conciliare le diverse culture e il differente modo di intendere il valore, traslando così dal Board ai manager la responsabilità di definire ed attuare un'efficace ed efficiente gestione aziendale; in questo caso è essenziale permettere al management di rappresentare nelle sue funzioni, tutti gli interessi della vasta e diversificata proprietà, espressi nel momento di incontro tra le diverse esigenze di tutti i partecipanti attivi alla vita dell'impresa, cioè l'assemblea dei soci.

Nei fatti, la corporate governance guarda alle relazioni che legano il management e la proprietà di una società, nonché quelle tra gli azionisti di

da quei soggetti e soddisfacendoli con certe ricompense l'azienda configura il proprio assetto istituzionale”. G. AIROLDI, Gli assetti istituzionali d'impresa: inerzia, funzioni e leve, op. cit., pag.

37.

16 A conferma di quanto detto, l'evidenza empirica e la dottrina aziendale riscontrano in questi sistemi le caratteristiche dell'One Tier system, tipico dell'Insider System.

17 A tal proposito: “La dissociazione tra il possesso della ricchezza e il reale esercizio delle capacità

imprenditoriali costituisce la principale causa della separazione tra proprietà e controllo”. S.

maggioranza e di minoranza. Si tratta di una disciplina in parte obbligatoria, in parte volontaria, che viene applicata nella sostanza, nella misura in cui esprime valori condivisi dal contesto sociale di riferimento.

Tradizionalmente, la corporate governance è stata associata all'esigenza di assicurare a coloro che realizzano un investimento finanziario (principal), una sufficiente garanzia di tutela rispetto a coloro che sono stati incaricati di gestirlo (agent).

Il punto è che le relazioni che un'impresa intrattiene, sono molto più articolate e complesse di quelle che si instaurano tra investitori e manager e riguardano non meno importanti interlocutori: l'impresa fonda la propria probabilità di successo sulla qualità delle proprie relazioni con gli stakeholder.

Le imprese, per la concreta realizzazione dell'attività economica, richiedono il contributo di numerosi stakeholder: i conferenti di capitale di rischio, i conferenti di capitale di prestito, i fornitori di materie prime e di servizi, i prestatori di lavoro, i clienti, lo Stato, la collettività locale ecc., ciascuno dei quali apporta, all'interno dell'impresa, un'ampia gamma di contributi e riceve in cambio ricompense di vario genere.

Con riferimento ad una società di capitali che svolge un'attività economica di tipo industriale, possiamo individuare:

- i clienti richiedono un prezzo basso, la puntualità delle consegne, un'elevata qualità del prodotto, la garanzia del prodotto stesso, l'assistenza tecnica in caso di guasti, suggerimenti nella scelta del prodotto, tempi e forme di pagamento flessibili, e così via; in cambio offrono il pagamento del prezzo pattuito, informazioni su problemi riscontrati nell'utilizzo del prodotto, indicazioni utili sulle funzioni che il prodotto dovrebbe svolgere, una pubblicità gratuita attraverso il passaparola ecc.;

- i fornitori chiedono il pagamento puntuale delle fatture, un'attesa di continuazione del rapporto, una collaborazione per la progettazione del prodotto, informazioni sull'utilizzo del bene ecc.; in cambio offrono una certa quantità di bene, l'impegno a rispettare i tempi di consegna, la garanzia di una determinata qualità di prodotto, la riservatezza su alcune informazioni relative all'azienda cliente, ecc.;

- i finanziatori di capitale di prestito richiedono il pagamento periodico della cedola di interessi, informazioni tempestive e affidabili sull'andamento dell'impresa, il rimborso a scadenza del capitale prestato, garanzie sul patrimonio dell'azienda o dei soci, ecc.; in cambio offrono una somma di denaro per un certo periodo di tempo, informazioni sulle forme tecniche di finanziamento, consulenza nei momenti di tensione finanziaria dell'impresa ecc.;

- i dipendenti richiedono una remunerazione periodica, incentivi legati al raggiungimento di determinati risultati, relazioni sociali intense e positive, la garanzia di stabilità dell'impiego, la sicurezza personale sul luogo del lavoro, la possibilità di apprendere nuove competenze ecc.; in cambio offrono il loro contributo lavorativo per un certo numero di ore, competenze tecniche, la disponibilità ad apprendere e ad acquisire nuove competenze ed abilità, la riservatezza nel trattamento delle informazioni sensibili ecc.;

- gli azionisti richiedono una remunerazione periodica sotto forma di dividendi, l'attesa di aumento del valore del titolo nel corso del tempo, informazioni dettagliate e tempestive in merito all'andamento economico e finanziario della società, il diritto a intervenire in assemblea ecc.; in cambio offrono una somma di denaro sotto forma di capitale di rischio, un giudizio

sull'appropriatezza del valore del titolo, la partecipazione alle assemblee per indirizzare la volontà sociale ecc.;

- lo Stato e la collettività locale richiedono il rispetto della normativa, il pagamento dei tributi, il rispetto dell'ambiente, un contributo allo sviluppo economico e sociale ecc.; in cambio offrono autorizzazioni a compiere determinante attività, infrastrutture economiche e sociali, servizi pubblici ecc.

Le aziende devono cercare di bilanciare il valore del contributo che gli stakeholder offrono e delle ricompense che essi ricevono; infatti, coloro che ritengono di non essere adeguatamente ricompensati per il contributo che forniscono all'impresa, tendono a ridurre l'impegno e l'attenzione che dedicano alla realizzazione della prestazione a essi assegnata, oppure, in casi estremi, abbandonano l'impresa per trasferirsi in un'altra che offre loro una relazione giuridica più vantaggiosa. Si evidenzia quindi, strettamente collegata tra loro, la centralità del problema del governo economico e del contemperamento degli interessi nelle aziende di produzione.

Rientrano allora, nelle problematiche di ogni sistema di corporate governance, i meccanismi di distribuzione dei poteri di indirizzo strategico e le regole di espressione formale e/o informale dei rapporti aziendali. Queste ultime esistono tra i diversi soggetti portatori di interessi nel governo d'impresa e sono originate dalla disomogeneità degli obiettivi dagli stessi, perseguiti nel divenire d'impresa.

Consegue quindi, che le imprese che ottengono performance soddisfacenti nel lungo periodo, sono quelle che riescono a creare un sistema di diritti e di obblighi che consente loro non solo di attrarre gli stakeholder che possiedono le competenze e le risorse desiderate, ma anche di garantire ad essi un equilibrio dinamico tra i contributi forniti e le ricompense ricevute.

Tuttavia il perseguimento del miglior risultato possibile contemporaneamente, per tutti gli stakeholder, è ostacolato da un insieme di condizioni suddivisibili in due classi:

- la difficoltà di stimare il contributo fornito dal singolo stakeholder alla produzione complessiva dell'impresa: il mercato valuta solo il costo opportunità del fattore produttivo impiegato, spetta quindi all'impresa stimare il valore creato dalle singole risorse utilizzate. Tale stima è tutt'altro che immediata, in quanto il valore creato dai singoli contributi forniti, si unisce allo svolgimento di attività complementari per l'ottenimento del risultato finale;

- la tensione verso comportamenti opportunistici ed egoistici da parte di alcuni soggetti presenti nell'azienda: in questo caso sono molte le situazioni che possono essere riscontrate, tutte riconducibili al prevalere dell'interesse di alcuni soggetti (manager, azionisti, clienti ecc.) su quello degli altri e sul bene comune aziendale; ad esempio gli azionisti di maggioranza possono preferire di mantenere il controllo dell'impresa pur danneggiando la competitività della stessa e il suo sviluppo di lungo periodo; i manager che dirigono l'azienda possono decidere di finanziare operazioni di crescita interna ed esterna al fine di aumentare le dimensioni dell'impresa, anche se queste operazioni non migliorano la competitività ed il valore di lungo periodo ecc.

Si sono quindi sviluppate, due diverse teorie: la creazione di valore per gli azionisti e la creazione di valore per gli stakeholder.

Secondo la prima impostazione molto diffusa all'interno della comunità industriale e finanziaria di gran parte dei paesi industrializzati, i diritti di governo

economico devono essere attribuiti ai conferenti di capitale di rischio, e l'impresa deve porsi l'obiettivo di massimizzare il ritorno per gli azionisti.

Tale assunzione viene supportata da due diverse motivazioni:

1) i conferenti di capitale di rischio sono l'unica categoria di stakeholder che, a differenza delle altre, è remunerata solo in via residuale. Infatti mentre tutte le altre categorie di stakeholder percepiscono una retribuzione periodica stabilita contrattualmente, i primi, in cambio del capitale conferito all'impresa, ottengono delle azioni che attribuiscono loro il diritto a ricevere una determinata percentuale del risultato reddituale, che l'impresa realizza dopo aver retribuito tutti gli altri fornitori di fattori produttivi;

2) gli investitori, e in particolare gli azionisti, sono più facilmente soggetti ad espropriazione da parte del management. Infatti i conferenti di capitale, nel momento in cui attribuiscono all'impresa le loro risorse finanziarie, mettono a repentaglio tutto il loro investimento, mentre gli altri fornitori di fattori produttivi continuano a possedere le risorse (materiali e immateriali) che apportano all'impresa, avendo di conseguenza, un maggiore potere contrattuale in caso di negoziazione ex post. Gli azionisti effettuano quindi, un investimento destinato a durare quanto la vita dell'impresa e, in caso di liquidazione le loro pretese sono soddisfatte per ultime.

All'interno di questa impostazione teorica, l'attribuzione dei diritti di controllo ai conferenti di capitale di rischio è motivata dalla volontà di creare forti incentivi al miglioramento della performance aziendale e all'ottenimento di un'impresa governata al fine di massimizzare il valore azionario.

Tuttavia vi sono delle assunzioni sottostanti il principio di creazione di valore per gli azionisti, le quali possono essere così riassunte:

- la massimizzazione del valore per gli azionisti conduce alla

massimizzazione del valore complessivamente creato dall'impresa e, di conseguenza, rappresenta un obiettivo valido anche dal punto di vista della società nel suo complesso. Tale affermazione si fonda sull'assunzione che la relazione tra l'impresa e coloro che forniscono i fattori produttivi (ad eccezione degli azionisti) sia regolata attraverso la stipulazione di contratti completi che specificano diritti e doveri di ogni contraente in ogni possibile contingenza futura;

- i mercati finanziari sono efficienti, cioè attribuiscono alle

azioni il loro reale valore, e, di conseguenza, la performance azionaria di un'impresa è la migliore misura possibile del valore creato per gli azionisti. Questa affermazione si fonda sulla teoria dei mercati dei capitali efficienti, la quale sostiene che i prezzi delle attività finanziarie, dipendono dalle aspettative degli investitori e dal buon uso che essi fanno delle informazioni disponibili;

- l'obiettivo di massimizzare il valore azionario consente di

disciplinare il management, perchè lo incentiva a perseguire una sola misura di performance orientata al futuro. Tale affermazione si fonda sulla convinzione che il management debba perseguire con determinazione un unico obiettivo, poiché l'attribuzione di diversi obiettivi, gli consentirebbe di evitare qualsiasi forma di responsabilità;

- i manager e gli amministratori tendono a massimizzare il

valore azionario dell'impresa se la loro retribuzione è fortemente collegata al valore delle azioni sul mercato.

Secondo i modelli del comportamento umano sviluppati dagli studiosi di economia e di finanza aziendale, le persone perseguono esclusivamente il loro interesse individuale e sono motivate principalmente da incentivi di natura monetaria.

Al contrario di questa prima impostazione, la teoria degli stakeholder (stakeholder theory) e la teoria della responsabilità sociale dell'impresa (corporate social responsibility), si sono sviluppate solo negli ultimi decenni del secolo scorso.

Tuttavia già molti anni prima, alcuni studiosi avevano contrastato l'affermazione dominante secondo cui le imprese devono sacrificare l'interesse di tutti gli stakeholder al perseguimento della massimizzazione del ritorno economico degli azionisti.

Gli amministratori e i manager non devono soddisfare unicamente l'interesse degli azionisti, ma devono maturare un senso di responsabilità sociale verso i prestatori di lavoro, i fornitori, i consumatori e la collettività in generale. La società infatti, non può accettare che l'attività economica sia perseguita solo per conseguire fini privati, ma deve richiedere che essa sia svolta in modo da salvaguardare l'interesse di tutti coloro che vi partecipano, anche se questo significa limitare i diritti degli azionisti.

L'origine di tale approccio possono essere fatte risalire ai primi anni Trenta, durante la depressione, quando la General Electric identifica quattro principali gruppi di stakeholder: gli azionisti, i prestatori di lavoro, i clienti e la collettività in generale.

Nel 1950 l'amministratore delegato della Sear's definisce la classifica dei primi quattro soggetti in ordine di importanza in ogni business, ed afferma che l'impresa deve soddisfare in modo efficace gli interessi ed i bisogni di tutte le categorie di soggetti se vuole generare un ritorno soddisfacente per gli azionisti.

Tuttavia solo verso la fine degli anni Sessanta, negli studi di management si inizia ad utilizzare il termine “stakeholder” e si creano le condizioni per l'affermazione di una teoria della responsabilità sociale dell'impresa.

Nasce così per l'impresa l'esigenza di incorporare nella funzione obiettivo della stessa, l'interesse di altri soggetti interni o esterni.

La teoria degli stakeholder, sostiene che il management deve considerare esplicitamente l'interesse dei numerosi stakeholder che forniscono un contributo all'impresa o che sono influenzati dalle sue decisioni.

Così come avviene nella teoria della creazione di valore per gli azionisti, anche in questo caso si riconosce un ruolo centrale ai top manager, poiché essi non solo hanno il diritto-dovere di contrattare, direttamente o indirettamente, con tutti gli altri stakeholder, ma hanno anche il potere di influenzare le decisioni dell'impresa.

Secondo questa impostazione teorica, il management deve porsi l'obiettivo di mantenere in equilibrio tutti gli interessi e le aspettative che convergono nell'impresa, e per fare ciò deve gestire le relazioni tra l'impresa ed i suoi stakeholder, a tre diversi livelli:

1. il livello razionale, nel quale deve comprendere chi sono i portatori di interessi e quali aspettative hanno nei confronti dell'impresa;

2. il livello di processo, in cui deve analizzare i processi aziendali utilizzati per interagire esplicitamente o implicitamente con i diversi stakeholder, valutando inoltre la loro coerenza con le attese dei portatori di interessi; 3. il livello transazionale, nel quale deve analizzare sia le modalità di

interazione che l'impresa adotta con i propri stakeholder, sia la loro coerenza con quanto emerso nelle precedenti fasi di analisi.

La capacità dell'impresa di gestire in modo efficace e coerente i tre livelli di analisi, può essere definita come la capacità di gestire le attese dei portatori di interessi (stakeholder management capability).

Terminata la fase di analisi della situazione esistente, i vertici aziendali devono formulare la strategia che intendono intraprendere nei confronti dei vari stakeholder dell'impresa: le alternative a disposizione sono molteplici e variano lungo un asse che vede, da un lato, la strategia di sacrificare tutti gli interessi che convergono nell'impresa al fine di massimizzare il ritorno economico per gli azionisti e, dall'altro, al strategia di intraprendere solo azioni che sono condivise e supportate da una grande maggioranza, se non dalla totalità, degli stakeholder. La teoria degli stakeholder infine, rigetta le ipotesi implicite, formulate nella teoria della creazione di valore per gli azionisti.

Tipici e ricorrenti sono i casi relativi alle divergenze tra gli azionisti di maggioranza18 e di minoranza19, dovute ai differenti intenti imprenditoriali, alle divergenze tra portatori di capitale e manager e, più in generale, tra diversi stakeholder.

Gli azionisti di maggioranza, infatti, hanno l'obiettivo di consolidare, nella gestione dell'impresa, il loro ruolo di dominio strategico e di stabilire gli obiettivi strategici ed operativi, limitando le interferenze esterne; quelli di minoranza, non potendo partecipare in modo decisivo alle sorti aziendali, mirano al potenziamento degli strumenti di vigilanza sull'attività di impresa, al fine di verificare che questa tenda all'integrità e alla massimizzazione del valore aziendale.

Nel caso di delega delle decisioni da parte degli azionisti di maggioranza al management, il conflitto si sposta sull'operato manageriale e sulle sue azioni di massimizzazione del valore del capitale aziendale.

La combinazione e la conciliazione, difficili ma realizzabili, delle azioni strategiche volte al raggiungimento di obiettivi differenti, ma non necessariamente sempre in contrasto, producono effetti diversi sullo sviluppo economico e sociale dell'impresa, i cui estremi sono senza dubbio identificabili

18 I cosiddetti major shareholder, definiti spesso anche come lo zoccolo duro d'impresa, tipicamente espresso da partecipazioni a carattere familiare, oppure da investitori istituzionali attivi, con controllo assoluto del capitale anche per mezzo di patti di sindacato.

nella massima stabilità derivante dalla concentrazione assoluta della proprietà o nella massima variabilità originata dal frazionamento della proprietà aziendale. Le relazioni strutturali e le logiche di funzionamento del complesso aziendale si manifestano nei ruoli e nelle responsabilità funzionali degli organi sociali d'impresa, riscontrabili in tipologie di strutture a un livello (one-tier system), oppure in quelle a due livelli (two-tier system).

Nella prima ipotesi, tipica di alcuni importanti paesi europei, il ruolo predominante di gestione e controllo è nelle mani del Board con direttive formulate dai rappresentanti del management (executive) e dagli azionisti, in modo unitario ed esecutivo.

Nel two-tier system, si realizza la divisione delle responsabilità fra un organo di supervisione non esecutivo, il supervisory board (i cui compiti possono essere assimilati al ruolo degli auditor, organi di controllo di natura interna o esterna