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L'INFORMATIVA SULLA CORPORATE GOVERNANCE: UN'ANALISI EMPIRICA.

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione pag. 1

Capitolo primo

La Corporate Governance nel sistema di comunicazione dell'azienda

1.1 L'evoluzione del termine Corporate Governance 6

1.2 L'evoluzione storica del dibattito sulla Corporate Governance 7

1.3 La concezione allargata di Corporate Governance 19

1.4 La molteplicità degli interessi che convergono nell'impresa 28

1.5 Il modello di Corporate Governance italiano 43

1.5.1 Le novità introdotte dalla riforma Draghi in tema di Corporate Governance 48

Capitolo secondo Un approfondimento nel Codice di Autodisciplina 2.1 Introduzione 54

2.2 Il Codice italiano di autodisciplina 58

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Capitolo terzo

La metodologia della ricerca empirica

3.1 Introduzione pag. 86

3.2 Obiettivi e caratteristiche osservate 87

3.3 Il campione analizzato 88

3.4 Gli aspetti della governance esaminati 96

3.4.1 Sintesi del questionario utilizzato 109

3.5 Il Decreto Legislativo 231/2001 110

3.5.1 Il regime di responsabilità amministrativa prevista a carico delle persone giuridiche, società ed associazioni 110

3.5.2 L’adozione del Modello di organizzazione, gestione e controllo quale esimente della responsabilità amministrativa dell’ente 115

3.5.3 Identificazione, collocazione e funzionamento dell’Organismo di vigilanza 117

3.5.4 Funzioni e poteri dell’Organismo di vigilanza 118

3.5.5 Flussi informativi nei confronti dell’Organismo di vigilanza 120

Capitolo quarto I casi analizzati 4.1 Informativa sugli azionisti 124

4.2 Informativa sul Consiglio di amministrazione 127

4.3 Informativa sul Collegio sindacale 147

4.4 Informativa sul sistema di controllo interno 153

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Capito quinto Conclusioni e Sintesi

5.1 I risultati della ricerca empirica pag. 164 5.2 Conclusioni 172

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Introduzione

In anni recenti, ed in particolare nell'ultimo decennio, si è fortemente sviluppato il dibattito sulla corporate governance.

Ciò è avvenuto in concomitanza e in stretta connessione con la notevole evoluzione della normativa d'impresa, nonché di quest’ultima, originando, nei decenni precedenti, una rilevante crescita dimensionale sfociata nell'affermazione della grande impresa e nel conseguente frazionamento della proprietà.

Proprio la significativa crescita dimensionale delle imprese, l'inasprimento della concorrenza ma soprattutto la scoperta di gravi reati societari, di scandali finanziari che hanno colpito importanti imprese, nonchè la straordinaria evoluzione dei mercati finanziari e l’importanza da questi attributi al tema in questione, rappresentano alcuni dei molteplici fattori che hanno originato un notevole aumento di interesse per la problematica in oggetto.

Con l’espressione corporate governance si indica, in senso stretto, l’insieme di istituzioni e regole, giuridiche e tecniche, finalizzate ad assicurare un governo d’impresa efficiente e, nello stesso tempo, corretto nei confronti di tutti i soggetti interessati alla vita dell’impresa stessa, con particolare attenzione alla tutela degli azionisti di minoranza; in senso più ampio, si fanno rientrare nella corporate governance, anche le condizioni che si creano nel sistema economico nel quale le imprese si trovano ad operare.

Tuttavia ad oggi, ancora non siamo giunti ad una definizione di corporate governance unica, ad evidenza della complessità che tale termine contiene e della sua continua dinamicità: costituisce infatti, un dibattito destinato a rinnovarsi continuamente, poiché, da un lato, l'attività economica continuerà a svolgersi in condizioni di razionalità limitata, e dall'altro lato, continuerà il processo di invenzione e di sperimentazione di nuove modalità di organizzazione e svolgimento dell'attività economica.

In tal senso, questa tesi si pone come obiettivo quello di offrire un quadro d'insieme dei principali elementi e caratteristiche che contraddistinguono la

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corporate governance, in riferimento alla rilevanza di quest'ultima ai fini di un corretto, armonioso e proficuo sviluppo dell'attività impreditoriale, cercando poi di ritrovare se tali elementi risultano essere presenti all'interno delle realtà operative di società quotate in Borsa.

In particolare nel primo capitolo ci siamo posti l'obiettivo di fornire un quadro d'insieme dell'ampia problematica che tale tema assume oggi, evidenziandone le fasi di sviluppo, le diverse sfaccettature che possono essere osservate nonché i molteplici interessi che all'interno dell'impresa convergono e che spesso risultano essere non coincidenti; approfondendone lo sviluppo dell'esperienza italiana, assolutamente peculiare per matrice storica e situazione attuale, e le tendenze evolutive in atto.

Il secondo capitolo è stato interamente dedicato alla descrizione del Codice di Autodisciplina per le società quotate, emanato da Borsa Italiana S.p.A., il quale rappresenta un importante punto di riferimento per tutte le società, al fine di incentivarle a seguire un modello di governance tendente a garantire la massima tutela degli interessi di tutti gli shareholder, nonché alle motivazioni che hanno spinto all'adozione di un Codice unitario.

L'approccio italiano, in linea con la prassi internazionale, si basa sull'autonomia statutaria, vista l'impossibilità di definire un unico ed ottimale modello da seguire in tutte le situazioni; ogni impresa quindi, utilizzando il Codice, ha la possibilità di verificare le proprie caratteristiche di trasparenza ed accountability, attraverso una chiara e visibile disclousure, sul proprio modello di corporate governance. Un approfondimento in merito, ci è sembrato quindi dovuto, visto che tutte le società quotate o che si accingono ad entrare nel mercato borsistico, hanno quale punto di riferimento il Codice in discorso.

Nel terzo capitolo abbiamo quindi, evidenziato la modalità con la quale è stata condotta la ricerca empirica; sono state individuate le società prese ad esame, selezionate in ciascun segmento/mercato in cui risulta suddiviso il Mercato Telematico Azionario. La scelta delle società esaminate è avvenuta in modo casuale.

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Abbiamo riportato gli aspetti della governance che hanno rappresentato oggetto di indagine, soffermandoci in particolare, sull'analisi della composizione azionaria, sul Consiglio di amministrazione, sul Collegio Sindacale, sul sistema di controllo interno ed infine sul sistema etico.

Nel successivo capitolo, sono stati riportati i casi analizzati, a seguito dell’analisi effettuata sulle dodici società selezionate nei diversi segmenti borsistici, evidenziando le peculiarità riscontrate in ognuno di essi o le eventuali divergenze, offrendo così una analisi sintetica, dei principali aspetti della governance scaturenti dall'esame dei documenti societari, delle stesse.

L'ultimo capitolo è stato dedicato all'esposizione dei risultati ottenuti dalla ricerca empirica e alle conclusioni, cercando di fornire un quadro di sintesi del lavoro che è stato svolto nel precedente capitolo.

Abbiamo quindi verificato l'importanza che la governance riveste per tutte le società, nonché l'informativa che esse sono tenute a fornire ai soggetti esterni all'azienda, al fine di comprendere le complesse dinamiche che regolano la vita aziendale, evidenziando se sussistono differenze tra le società individuate, in ragione non soltanto delle specificità che caratterizzano ognuna di queste, ma anche in relazione al diverso segmento in cui risultano quotate.

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Capitolo primo

La Corporate Governance nel sistema di comunicazione

dell'azienda

Sommario – 1.1 L'evoluzione del termine Corporate Governance; 1.2 L'evoluzione storica del dibattito sulla Corporate Governance; 1.3 La

concezione allargata della Corporate Governance; 1.4 La molteplicità degli interessi che convergono nell'impresa; 1.5 Il modello di Corporate Governance italiano; 1.5.1 Le novità introdotte dalla riforma Draghi in tema di Corporate Governance.

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1.1 L'evoluzione del termine Corporate Governance

“Governance” è una parola che ha una lunga storia. Essa deriva dalla radice latina “gubernare”, che significa “guidare” o “governare”, e viene utilizzata in Gran Bretagna sin dal XIV secolo, per indicare saggezza e senso di responsabilità.

La parola “governance” indica sia l’azione, sia il metodo di governo, ed è proprio in questo secondo significato che viene utilizzata con riferimento alle imprese. L’utilizzo dell’espressione “corporate governance” è, viceversa, relativamente recente e si fonda sull’analogia tra il governo degli enti locali e nazionali e il governo delle imprese.

Si ritiene che il termine “corporate governance”, sia stato utilizzato per la prima volta da Richard Eells, per indicare “la struttura e il funzionamento della politica aziendale”.

Attorno al 1985, l’espressione corporate governance era usata quasi esclusivamente nel mondo anglosassone e richiamava una problematica molto critica ma piuttosto circoscritta, ossia la problematica della configurazione e del funzionamento dei Consigli di Amministrazione (Board of Directors) delle grandi imprese quotate in borsa e, in particolare, delle imprese nelle quali si era in larga misura o totalmente compiuta la cosiddetta “separazione tra proprietà e management”.

Tale termine inizia ad essere utilizzato diffusamente, solamente nel corso degli anni Ottanta, quando alcuni avvenimenti attirano l’attenzione degli accademici di varie discipline, degli esponenti dell’industria e della finanza e dei rappresentanti del mondo politico sugli argomenti che esso sottende, fino ad arrivare, successivamente, a coprire una problematica molto più ampia, includendo anche i temi degli assetti proprietari ed estendendosi a tutti i tipi di imprese quotate o meno, con o senza azionisti di controllo.

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1.2 L’evoluzione storica del dibattito sulla Corporate Governance

Nonostante gli studi sulla corporate governance siano un fenomeno relativamente recente, che ha conosciuto un rapido sviluppo durante gli ultimi decenni del XX secolo, gli imprenditori e gli amministratori di aziende hanno sempre dedicato grande attenzione al tema del governo delle imprese.

La progettazione delle strutture e dei meccanismi di governo ha assunto rilevanza nel momento in cui tali persone hanno iniziato a condurre i loro affari attraverso entità legali, dotate di personalità giuridica, ed ha accresciuto enormemente la sua criticità quando le dimensioni delle imprese sono diventate così grandi da costringere i proprietari del capitale di rischio a delegare l’attività di gestione a manager stipendiati.

All’inizio del XIX secolo, gli imprenditori conducevano i loro affari attraverso varie forme giuridiche alternative, nessuna delle quali consentiva la garanzia della responsabilità limitata per i debiti della società.

L’impossibilità di avvalersi della responsabilità limitata per le obbligazioni della società, limitava notevolmente l’interesse degli investitori a partecipare al capitale di rischio di imprese; in questo periodo, cioè, il ruolo di conferente di capitale di rischio e quello di amministratore dell’impresa, coincidevano nella figura del socio gestore o dell’imprenditore.

La situazione si modifica verso la metà del XIX secolo, quando l’ordinamento giuridico consente agli imprenditori di creare delle entità legali dotate di propria personalità; si tratta di società1 che possono assumere la titolarità di diritti e di responsabilità legali che precedentemente erano attribuite solo alle persone fisiche, e che sono distinte e indipendenti da quelle degli azionisti che temporaneamente ne possiedono le quote di capitale di rischio.

1 “Corporate Governance” a cura di Alessandro Zattoni. “Tali società sono in grado di acquistare la

proprietà di beni, redigere contratti con terze parti, citare ed eventualmente essere citate in giudizio, avere una durata superiore alla vita di coloro che ne detengono le azioni in un dato momento ecc.. Le società di capitali si caratterizzano inoltre per attribuire agli azionisti un insieme articolato di diritti che comprende la responsabilità limitata all'entità del capitale conferito, il diritto di voto in alcune importanti decisioni aziendali e il diritto a ricevere una quota del rendimento residuale derivante dall'esercizio dell'attività economica aziendale...”

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L’introduzione della società di capitali rappresenta un’innovazione giuridica di fondamentale importanza nella storia dell’economia, perché consentendo agli azionisti la garanzia di responsabilità limitata sui debiti dell’impresa, permette agli imprenditori di acquisire con maggiore facilità le risorse finanziarie necessarie per alimentare la crescita e lo sviluppo delle imprese.

Un ulteriore avvenimento che contribuisce ad attribuire criticità al tema delle modalità di governo delle imprese è la decisione di alcune società statunitensi e britanniche, di quotare le loro azioni sul mercato dei capitali, generando due conseguenze significative: da un lato si registra un ampliamento notevole, del numero degli azionisti che partecipano alla società, dall’altro si affievolisce o si annulla completamente, il loro legame con l’imprenditore e il team manageriale che gestisce l’impresa.

Nasce così la moderna società ad azionariato diffuso, public company, che si caratterizza per la separazione della figura degli azionisti che conferiscono capitale di rischio da quella dei manager che gestiscono l'impresa. La frammentazione della struttura proprietaria tra un elevato numero di risparmiatori, che non hanno alcun potere di gestione sulla società, e l'affermarsi di una classe di manager professionisti, che assume le decisioni più importanti per la vita economica dell'impresa, danno origine al fenomeno della separazione della proprietà (del capitale di rischio) dal potere di controllo dell'impresa. Il diritto di proprietà viene diviso in due parti: il diritto di godimento del rendimento residuale e il diritto di controllo, attribuiti rispettivamente, agli azionisti e ai manager2.

Il problema del governo societario diventa quindi evidente, poichè le persone che gestiscono le risorse finanziarie altrui, non svolgono solitamente il loro compito con la stessa attenzione che vi dedica il proprietario.

2 La separazione tra proprietà e controllo mette in discussione le fondamenta stessa della teoria della “mano invisibile” formulata da Adam Smith, secondo cui gli imprenditori devono perseguire il loro profitto individuale perchè tale comportamento, in un regime di libero mercato, consente di massimizzare il benessere della collettività. Corporate Governance. Alessandro Zattoni.

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Negli anni Settanta, l'attenzione degli studiosi e dell'opinione pubblica, si concentra su tre diversi temi:

negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, i risultati di una ricerca empirica3

e il fallimento di alcune grandi società, spingono gli organi di vigilanza sulla borsa e sulle società quotate a richiedere una maggiore indipendenza dei consiglieri e a incentivare l'introduzione dei comitati di controllo (audit committee);

in Europa il processo di armonizzazione del diritto societario a livello comunitario, è al centro dell'attenzione degli esponenti del mondo industriale e politico e, in particolare la proposta di quinta direttiva che ha per oggetto la configurazione degli organi di governo, scatena un vivace dibattito tra i rappresentanti delle diverse nazioni; tale direttiva invita le imprese degli Stati membri della Comunità Europea, ad abbandonare la struttura del consiglio di amministrazione a un livello (unitary o one-tier board) per adottare la struttura a due livelli (two-tier board), tipica dell'esperienza tedesca ed olandese. Nella prima ipotesi, il ruolo predominante di gestione e controllo è nelle mani del Board4, con direttive formulate dai rappresentanti5 del management (executive) e degli azionisti6 (non executive directors or outisde directors), in modo unitario

3 Tale ricerca empirica è stata realizzata da Myles Mace ed ha per oggetto la composizione e il funzionamento dei consigli di amministrazione delle grandi imprese. Lo studio evidenzia che le aziende valutano i proprio consiglieri sulla base del loro prestigio personale (ornaments on a

corporate Christmas tree) e non del contributo che essi possono fornire al funzionamento efficace del

consiglio. Specularmente, i consiglieri vivono la nomina a un consiglio di amministrazione come un riconoscimento formale e non come un compito da svolgere con diligenza. Corporate Governance. Alessandro Zattoni.

4 Funzioni e compiti del Board sono di natura strategica, ossia di formulazione delle strategie e guida del management nei suoi piani operativi, di controllo sull'operato manageriale volto a raggiungere l'obiettivo del soggetto economico d'impresa, di sostegno e potenziamento del grado di accountability della società nelle sue relazioni esterne.

5 Tale espressione è solitamente utilizzata per identificare il management che assolve a funzioni rappresentative dell'impresa nei suoi rapporti con il mercato, e che assume, inoltre, il ruolo di presiedere il Consiglio di amministrazione.

6 Al contrario degli executive, si considerano non executive or outside directors, i soggetti che non partecipano, almeno in modo diretto e personale, alla proprietà del capitale d'impresa, la cui presenza assicura un opportuno equilibrio nella scelta dei piani aziendali, essendo orientati, in modo più

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ed esecutivo. I consigli a due livelli, prevedono la presenza di un consiglio di sorveglianza (supervisory board7) che ha l'incarico di nominare i membri del consiglio esecutivo e di controllarne l'operato, e di un consiglio esecutivo (executive board), che ha il compito di gestire l'impresa. Tuttavia tale direttiva non riesce a completare il proprio iter procedurale, essendo ostacolata da molti Stati membri della CEE, i quali sostengono l'assenza di ogni ragione per modificare la struttura dell'organo di amministrazione, poiché il consiglio a un solo livello, con la contemporanea presenza di consiglieri esecutivi e non esecutivi indipendenti, rappresenta la soluzione migliore per garantire il governo efficace dell'impresa;

infine, nei principali paesi industrializzati si diffonde una corrente di pensiero volta ad ampliare le responsabilità sociali delle imprese e ad affermare una nozione allargata di stakeholder che includa, oltre agli azionisti, i dipendenti, i fornitori, i clienti, i finanziatori, lo Stato e la collettività in senso lato.

Infatti, un forte fenomeno che ha acceso il dibattito sui temi della corporate governance, nel corso degli anni Settanta, ha per oggetto il ruolo ricoperto dalle grandi multinazionali all'interno dei vari paesi in cui esse operano.

In particolare, all'inizio degli anni Settanta, si afferma una corrente di pensiero che attacca il principio liberista secondo cui le imprese devono creare valore per gli azionisti perchè, così facendo, esse contribuiscono ad alimentare lo sviluppo economico e sociale della collettività. Secondo coloro che contestano questa impostazione, l'orientamento alla massimizzazione del profitto e alla creazione di valore economico per gli azionisti, comporta alcune conseguenze negative per la collettività.

trasparente degli altri manager-proprietari, a razionalizzare con efficacia ed efficienza le politiche di razionalizzazione dell'impiego delle risorse d'impresa.

7 I compiti del supervisory board possono essere assimilati al ruolo degli auditor, organi di controllo di natura interna o esterna preposti alla vigilanza di manager e amministratori e consistono nel dirimere eventuali conflitti sul loro operato.

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In particolare, esso incentiva e giustifica il compimento di atti irresponsabili sotto il profilo dell'inquinamento ambientale, dello sfruttamento del lavoro minorile, della tutela della salute dei dipendenti e in generale, della collettività in senso lato.

Questo atteggiamento “irresponsabile” del mondo industriale, è stato tollerato nei primi decenni del secondo dopoguerra, poiché si riteneva che lo sviluppo economico rappresentasse l'obiettivo prioritario a cui tutti gli altri dovevano essere sottomessi, ma è stato poi abbandonato in seguito, portando alla richiesta di una più intensa attività di regolamentazione dell'attività economica da parte dello Stato.

Il dibattito è particolarmente acceso nei paesi anglosassoni, dove è più radicato il principio della massimizzazione del valore per gli azionisti:

- negli Stati Uniti, l'American Bar Association e il Corporate Roundtable, prendono pubblicamente posizione sul tema, ed il Governo interviene direttamente nel dibattito istituendo un'agenzia federale preposta alla tutela e alla protezione dell'ambiente naturale (Environmental Pretection Agency) e approvando una legislazione che regolamenta il comportamento delle aziende statunitensi all'estero (il Foreign Corrupt Practices Act);

- in Gran Bretagna, vari comitati espressivi degli interessi dei rappresentanti del mondo industriale e finanziario, elaborano rapporti che invitano le imprese ad adottare una concezione più ampia degli stakeholder.

In entrambi i paesi, tuttavia, la gran parte delle proposte volte ad allargare la responsabilità sociale dell'impresa nei confronti dei soggetti che sono influenzati dalle sue azioni, viene accantonata e, alla fine, si riafferma il principio della creazione del valore azionario come guida delle decisioni dell'impresa.

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Nei primi anni Ottanta, il dibattito sulla corporate governance, sembra perdere lentamente di interesse soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove i governi Reagan e Thatcher portano avanti una politica economica liberista che riafferma la responsabilità dei consiglieri nei confronti degli azionisti e ribadisce il principio della massimizzazione del profitto come criterio giuda delle imprese; politica che genera come conseguenza, la liberalizzazione di molti settori, come quello del trasporto aereo, che fino ad allora erano stati rigidamente regolamentati dalla normativa.

Alla fine degli anni Ottanta, tuttavia, alcuni avvenimenti contribuiscono a riaccendere l'interesse dell'opinione pubblica e del mondo dell'industria e della finanza, sui temi di corporate governance.

In particolare, nella maggior parte dei paesi industrializzati, il dibattito sulle modalità di governo delle aziende, è collegato al verificarsi di alcuni scandali finanziari che colpiscono numerose grandi imprese e società finanziarie, mettendo in luce l'eccessiva influenza del top management e dell'amministratore delegato, sulle decisioni prese dal consiglio, riaffermando la necessità di creare dei meccanismi di controllo e di contrappeso, volti ad attribuire maggiore peso ai consiglieri non esecutivi.

Tuttavia le soluzioni proposte in questo periodo, sono molto simili a quelle suggerite nel decennio precedente e convergono verso l'aumento del numero dei consiglieri esterni, l'introduzione di comitati con responsabilità su temi specifici e la separazione della figura di presidente e di amministratore delegato.

Nel corso degli anni Novanta, l'espressione “corporate governance” valica il confine degli studiosi e degli uomini d'affari e si impone all'attenzione generale dei politici e dell'opinione pubblica.

L'intensificarsi di alcune delle dinamiche che avevano caratterizzato il decennio precedente e la nascita di nuovi fenomeni economici, contribuiscono a consacrare definitivamente la corporate governance, come disciplina di studio per gli accademici e come oggetto di regolamentazione per i politici.

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Gli avvenimenti che portano alla ribalta il tema delle modalità di governo delle imprese durante gli anni Novanta, coinvolgono numerosi paesi a livello mondiale ed hanno per oggetto:

- la caduta del regime socialista sovietico;

- la privatizzazione di interi settori dell'economia di diverse nazioni;

- il crescente peso degli investitori istituzionali nel capitale di rischio delle grandi imprese;

- il fallimento improvviso di alcune primarie società industriali e finanziarie;

- la progressiva integrazione dei mercati finanziari internazionali; - la realizzazione di alcune grandi operazioni di acquisizione.

Un primo avvenimento che nel corso di questi anni, contribuisce ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sul tema della corporate governance, riguarda l'improvviso crollo politico ed economico dell'Unione Sovietica e degli Stati ad essa collegati.

Questo evento sancisce definitivamente la superiorità dei sistemi economici basati sulla libera iniziativa individuale e apre la discussione su quale sia il modo migliore per gestire la transizione da un'economia pianificata centralmente dallo Stato, a un'economia fondata sul libero mercato. Tuttavia, tale cambiamento è risultato tutt'altro che semplice: si richiedeva l'introduzione di importanti modifiche nei sistemi di governo e di gestione delle imprese privatizzate, nelle infrastrutture economiche e legali nonché nei valori e negli atteggiamenti delle persone che devono far funzionare il sistema, indispensabili al fine di incentivare e tutelare la libera iniziativa privata.

Un secondo evento che assume rilevanza nel corso degli anni Novanta, è rappresentato dall'imponente processo di privatizzazione e di liberalizzazione di interi settori dell'economia nazionale intrapreso da alcuni paesi del mondo

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industrializzato, realizzando così, con ritardo rispetto al Governo britannico e statunitense, una politica economica liberista.

Il dibattito in questo caso ha riguardato, non solo il ruolo dello Stato all'interno del sistema economico, ma anche il tipo di assetto proprietario da attribuire alle imprese privatizzate:

• per quanto concerne il primo aspetto, il fallimento dell'intervento pubblico in alcuni importanti settori dell'economia nazionale, ha contribuito a fare prevalere una concezione dello Stato inteso come regolatore del sistema economico e come garante della correttezza del comportamento delle imprese private;

• in merito al tipo di assetto proprietario da attribuire alle imprese privatizzate, da un lato si sono schierati coloro che sostenevano l'opportunità di favorire la creazione di una struttura azionaria simile a quella delle public companies anglosassoni per agevolare la nascita di forme di democrazia azionaria, dall'altro coloro che preferivano cedere una quota significativa delle azioni ad un limitato numero di soggetti ritenuti idonei a perseguire l'efficienza aziendale e a difendere l'interesse nazionale.

Un evento strettamente connesso al precedente e che trova anch'esso la sua origine nei decenni precedenti, è il crescente peso assunto dagli investitori istituzionali nel capitale azionario delle grandi imprese quotate dei principali paesi industrializzati.

A metà degli anni Novanta, i fondi pensione e i fondi comuni di investimento controllavano una quota rilevante degli investimenti realizzati in paesi come il Lussemburgo, l'Olanda, la Svizzera; nazioni di ridotte dimensioni caratterizzate dalla presenza di importanti centri finanziari, o come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, le cui grandi imprese risultano essere caratterizzate da una struttura azionaria molto frammentata. Essi hanno avuto un ruolo significativo, ma

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comunque minore in paresi come la Germania, la Francia e l'Italia, dove non vi è una larga presenza di fondi pensione.

Il crescente peso degli investitori istituzionali nella compagine azionaria delle grandi imprese quotate, è originato dalla sempre maggiore tendenza delle famiglie, ad affidare i propri risparmi alla gestione di intermediari specializzati, al fine di diversificare il rischio finanziario che grava sui loro investimenti; al contempo, la continua crescita del portafoglio gestito dagli investitori istituzionali, impone a tali soggetti di acquisire ingenti pacchetti azionari delle principali imprese quotate nei vari mercati azionari e li mette nelle condizioni di esercitare una grande influenza sulle scelte degli organi di governo delle imprese partecipate; tutto ciò rende tuttavia, la possibilità di disinvestire non sempre facile ed economica.

Per effetto di queste dinamiche, i gestori dei fondi comuni di investimento, si vedono costretti a passare da una strategia di uscita (exit), ad una di dialogo (voice), la quale prevede la creazione di canali di comunicazione e la partecipazione alle assemblee degli azionisti, al fine di influenzare le decisioni aziendali su materie di fondamentale importanza come la composizione del consiglio di amministrazione, la struttura retributiva dei consiglieri di amministrazione, la trasparenza delle informazioni fornite al mercato ecc.

Sul finire degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta, il fallimento di alcune importanti società e la scoperta di gravi reati societari commessi dai vertici di tali imprese, alimentò il dibattito sulle modalità di governo delle imprese portando, in numerosi paesi industrializzati, alla nascita di comitati, composti da autorevoli esponenti del mondo industriale e finanziario, incaricati di elaborare dei codici di condotta sui temi di corporate governance: nasce nel 1999 il Codice di autoregolamentazione delle società quotate nel nostro Paese. I numerosi codici di autodisciplina, emanati nei diversi Paesi, condividono l'obiettivo di progettare una struttura di governo che limiti i rischi di abuso di potere del top management, o degli azionisti di controllo, ai danni degli investitori non coinvolti nella gestione aziendale; anche se il loro contenuto non

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coincide perfettamente, almeno per quanto concerne le raccomandazioni principali, essi convergono verso un assetto di governo che enfatizza il ruolo dei consiglieri esterni, la creazione di comitati di controllo composti prevalentemente da consiglieri indipendenti e la separazione del ruolo di presidente del consiglio di amministrazione e di amministratore delegato.

Un altro fenomeno che contribuisce ad alimentare il dibattito su tale tema, nel corso degli anni Novanta, è rappresentato dalla progressiva integrazione dei mercati finanziari internazionali in un unico mercato globale; tale fenomeno è il risultato di dinamiche che riguardano sia il fronte della domanda, sia quello dell'offerta di risorse finanziare, in particolare:

- per quanto concerne il lato della domanda, le grandi imprese di ogni paese si rivolgono al mercato internazionale dei capitale alla ricerca di fonti di finanziamento che gli possano garantire le risorse necessarie per alimentare il processo di crescita;

- sul fronte dell'offerta di capitali, viceversa, gli investitori istituzionali, soprattutto quelli di matrice anglosassone, sono continuamente alla ricerca di nuovi mercati e di nuovi strumenti per poter investire la crescente quantità di risorse finanziarie raccolte dai risparmiatori.

Il processo di convergenza dei mercati nazionali dei capitali in un unico mercato globale, presenta tuttavia anche qualche rischio, che si manifesta quando la crisi finanziaria che colpisce alcuni paesi emergenti (quelli dell'Est Europa o del Sud America) si propaga rapidamente in tutto il sistema economico mondiale.

Le frequenti crisi finanziarie che caratterizzano gli anni Novanta, convincono i rappresentanti di alcuni importanti organismi internazionali, come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (OCSE) e le Nazioni Unite, che la soluzione di tali

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problemi, non può essere legata soltanto ad interventi di tipo macroeconomico, ma deve passare anche attraverso una riforma della corporate governance volta a garantire una maggiore tutela ai diritti degli azionisti di minoranza.

Infine, l'ondata di fusioni e di acquisizioni che aveva caratterizzato le imprese americane e britanniche nel decennio precedente, coinvolge numerose imprese europee: nel nostro paese il primato spetta all'acquisizione di Telecom Italia da parte di Olivetti, per un importo superiore a 50 milioni di euro.

Le acquisizioni realizzate in questo periodo, riguardano sia imprese localizzate nello stesso paese, sia imprese che hanno la loro sede giuridica in paesi diversi (cross-border); queste operazioni introducono per la prima volta nell'Europa continentale uno strumento, tipico dei sistemi capitalistici di stampo anglosassone, che si riteneva non potesse essere utilizzato per regolare il comportamento di imprese come quelle europee, caratterizzate da strutture azionarie piuttosto concentrate.

Ancora più sorprendente risulta essere, il comportamento delle autorità politiche nazionali che, a differenza del passato, mantengono un certo distacco e non si oppongono al passaggio del controllo di importanti società nazionali, nelle mani di imprese concorrenti straniere.

L'elevata dimensione e numero di operazioni realizzate in questo periodo, all'interno del vecchio continente, spinge l'Unione Europea ad interessarsi dell'elaborazione di una normativa comunitaria sulle offerte pubbliche d'acquisto.

Anche nei primi anni del nuovo millennio, il dibattito sulla corporate governance, è stato alimentato dal verificarsi di alcuni episodi che hanno spinto, ancora una volta, gli accademici ed i rappresentanti del mondo politico ed economico, ad interrogarsi su quale sia il modello migliore di governo delle società industriali e degli intermediari finanziari.

In particolare, tali episodi hanno avuto per oggetto l'ascesa e il declino del valore dei titoli della new economy e l'ennesima ondata di scandali societari che ha coinvolto alcuni grandi imprese in numerosi paesi industrializzati.

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Il primo avvenimento che ha colpito emotivamente ed economicamente il pubblico dei risparmiatori, è rappresentato dalla bolla speculativa legata all'ascesa e al rapido declino delle quotazioni delle imprese della new economy; l'analisi delle cause che si celano dietro a questo fenomeno, non può limitarsi a considerare l'eccessivo ottimismo di numerosi imprenditori e venture capitalists nei confronti delle potenzialità insite nelle nuove tecnologie legate a Internet, ma deve coinvolgere altri soggetti che hanno tratto un enorme guadagno dall'ascesa della quotazione di tali titoli; tra questi vi sono:

1 gli azionisti delle società (imprenditori, manager, imprese industriali, società di venture capital, banche, singoli finanziatori, ecc.) che hanno alimentato i corsi azionari per poter lucrare ingenti capital gains;

2 gli intermediari finanziari che hanno collocato sul mercato le azioni delle società a valori molto elevati, nonostante le loro prospettive reddituali e finanziarie fossero in alcuni casi incerte, pur di percepire le ingenti commissioni di collocamento;

3 le società finanziarie che hanno continuato ad attribuire prezzi di riferimento (target prices) in costante crescita ai titoli azionari di società che spesso non avevano un utile netto, o addirittura un utile operativo, positivo ecc.

Più recentemente, l'opinione pubblica è stata scossa dal fallimento improvviso e dagli scandali finanziari che hanno colpito alcune importanti imprese di grandi paesi; questi episodi hanno contribuito a mettere in luce, come il sistema dei controlli in atto non sia stato in grado di evidenziare per tempo, le pratiche illegali intraprese dal top management di tali aziende.

I reati di cui sono stati accusati gli amministratori e i manager di queste imprese sono numerosi e comprendono, tra gli altri, falso in bilancio, l'espropriazione illecita di fondi aziendali, la realizzazione di operazioni con parti correlate a condizioni diverse da quelle di mercato, l'insider trading.

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Questi episodi hanno colpito l'opinione pubblica poiché hanno riguardato imprese di primo piano, alcune delle quali considerate addirittura eccellenti, causando un ingente danno patrimoniale a numerose categorie di stakeholder (azionisti, obbligazionisti, altri finanziatori, dipendenti, ecc.).

In Italia hanno fatto soprattutto scalpore, i casi Cirio e Parmalat.

La conseguenza più grave di questi episodi di cattiva gestione, non è il danno patrimoniale inferto ai risparmiatori che avevano comprato le obbligazioni e le azioni delle società che sono fallite, ma la perdita di fiducia degli stessi e della collettività, verso gli esponenti del mondo industriale e finanziario e verso tutti i soggetti e le autorità preposte a vigilare sulla correttezza del comportamento delle imprese.

Per evitare che la sfiducia dei risparmiatori, già minata dalla bolla speculativa della new economy, sfociasse in una drastica riduzione delle risorse finanziarie investite a vario titolo nelle imprese, le autorità nazionali e internazionali, hanno introdotto, o stanno rapidamente elaborando, nuove norme volte ad attribuire maggiori responsabilità civili e penali, alle persone che si macchiano di reati societari; obiettivo ultimo della riforma, è sempre quello di tutelare maggiormente l'interesse di coloro che finanziano le imprese, senza poterne indirizzare il comportamento.

La storia quindi dimostra, che la realizzazione di un'efficace processo di governo richiede, sia la riforma della normativa e degli organi di vigilanza, al fine di creare un contesto istituzionale favorevole all'affermarsi di alcuni principi generali di buona gestione, sia l'attivazione spontanea da parte delle imprese, di comportamenti volti a rispettare tali principi.

1.3 La concezione allargata della Corporate Governance

In seguito alla disamina dei principali accadimenti che hanno influito sull'evoluzione dei modelli di corporate governance, possiamo evidenziare come

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si siano insinuate due diverse scuole di pensiero in relazione a tale tematica; si parla in particolare di una concezione ristretta8 o allargata della corporate governance.

La concezione allargata della corporate governance, intende porre rimedio ai limiti che caratterizzano una concezione ristretta, la quale circoscrive il problema delle modalità di governo delle imprese alla mera composizione e al funzionamento dei consigli di amministrazione, considerando gli interessi degli stakeholder, diversi dagli azionisti, come un vincolo esterno che assume rilevanza solo al verificarsi di determinate circostanze.

Tale concezione supera i limiti della visione ristretta estendendo la propria attenzione a tutti gli stakeholder dell'impresa e considerando i vari elementi, interni ed esterni all'azienda, che ne condizionano il processo di governo.

I numerosi studi che hanno analizzato i vari tipi di capitalismo, sono emblematici di una concezione allargata della corporate governance, non limitandosi, infatti, ad analizzare la struttura azionaria e le caratteristiche del consiglio di amministrazione delle grandi imprese quotate, ma adottando una visione sistemica e allargata che il ha portati a considerare il condizionamento che numerose variabili esercitano sul processo di governo economico.

Gli studi fondati su una concezione allargata di corporate governance, hanno evidenziato che:

- il tema della separazione della proprietà e del controllo, è specifico delle

grandi public companies anglosassoni. La struttura azionaria delle grandi imprese che operano nei principali paesi industrializzati, è infatti molto

8 La concezione ristretta della corporate governance è fortemente condizionata dalle caratteristiche che il dibattito sul governo delle imprese ha assunto nei sistemi capitalistici anglosassoni, all'interno dei quali l'attenzione è concentrata sulle modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione delle grandi corporations che sono caratterizzate da un assetto proprietario riconducibile al modello della

public company. Secondo questa concezione gli azionisti sono la categoria di stakeholder che ha il

diritto di controllo sull'impresa poiché essi, in qualità di possessori dei diritti residuali sul flusso di reddito prodotto, hanno un forte interesse che sia massimizzata l'efficienza e la ricchezza prodotta nel lungo periodo. Gli azionisti esercitano il diritto di controllo esprimendo il loro voto su alcune decisioni importanti e nominando i membri del consiglio di amministrazione come garanti del loro interesse. Corporate Governance. Alessandro Zattoni.

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più concentrata e vede spesso al suo interno al presenza di un azionista o di una coalizione di azionisti di controllo;

- le imprese non possono limitarsi a perseguire la soddisfazione

dell'interesse degli azionisti e la massimizzazione del valore azionario, ma devono soddisfare le attese di numerosi stakeholder. Esse devo soddisfare, primariamente, gli interessi di coloro che vi apportano un contributo ulite allo svolgimento efficiente dell'attività economica, e di coloro che sono influenzati o possono influenzare l'attività stessa;

- la normativa che si è sviluppata a livello nazionale, contribuisce a definire

i rapporti di forza tra i diversi stakeholder dell'impresa; così, ad esempio, in alcuni paesi, i prestatori di lavoro possono nominare dei loro rappresentanti negli organi di governo economico delle grandi imprese;

- ogni modello di corporate governance è composto da un elevato numero

di variabili tra loro interdipendenti, le quali sono il risultato del lento processo di evoluzione delle istituzioni (economiche, sociali, culturali, legali ecc.) che regolano il comportamento e i valori delle persone che operano all'interno di un dato contesto geografico. L'inerzia e la rigidità che caratterizzano le istituzioni alla base di un determinato modello, rendono lunghi e difficoltosi i processi di cambiamento e vincolano fortemente la direzione degli stessi.

In sintesi, la concezione ristretta della corporate governance si concentra sull'analisi della composizione, della struttura e del funzionamento degli organi e delle strutture formali (in particolare del consiglio di amministrazione), delle imprese ad azionariato diffuso, al fine di individuare le caratteristiche di tali organi che favoriscono la creazione di valore per gli azionisti. Essa, trascurando gli interessi degli altri stakeholder dell'istituto, e delle numerose variabili interne ed esterne all'impresa che ne influenzano il processo di governo, adotta una visione limitata che considera solo una piccola parte dei processi di corporate governance.

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Nel secondo caso, si parla invece di concezione “allargata” nel senso che, questa da un lato considera come rilevante l'interesse di numerosi stakeholder diversi dagli azionisti e dall'altro sostiene che i processi di corporate governance comprendono, oltre alle strutture e ai meccanismi interni all'impresa (come l'assemblea degli azionisti, il consiglio di amministrazione ecc.) altri importanti meccanismi, quali:

il comportamento di istituti esterni, come l'autorità di controllo sulla borsa, le società di revisione ecc.;

il funzionamento dei mercati in cui essa opera, come il mercato dei prodotti finiti e dei fattori produttivi, il mercato finanziario ecc.;

i valori e le consuetudini che caratterizzano la cultura nazionale;

la normativa relativa ai diritti e ai doveri delle diverse categorie di soggetti che partecipano all'impresa.

Oggi quindi, affrontare il tema della corporate governance significa trattare una problematica che assume connotati diversi a seconda del contesto con riferimento al quale essa è affrontata; non a caso, non esiste un'unica definizione di corporate governace generalmente accettata e valida per qualsiasi Paese, ma le accezioni attribuite a tale espressione variano a seconda del contesto considerato.

La corporate governance può essere intesa, con i limiti propri di ogni semplificazione, come l'insieme dei meccanismi di “governo e controllo delle imprese”.

Il “governo”, peraltro, ha sempre costituito oggetto di attenzioni ben superiori rispetto al “controllo”, almeno fino agli anni più recenti, quando il tema del controllo è assurto agli onori delle cronache nazionali e internazionali, in seguito al manifestarsi di noti crac economico-finanziari.

Occorre preliminarmente sottolineare, che un sistema dei controlli può variamente articolarsi in funzione delle specifiche caratteristiche aziendali; basti pensare al differente contesto normativo entro cui lo stesso si trova ad operare, al

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modello di governance adottato (tradizionale, monistico, dualistico), nonché alle numerose variabili (dimensione, settore ecc.) che suggeriscono od impongono la presenza di una pluralità di organi di controllo, ed eventualmente di regulators, nonché di procedure di controllo adeguate alle peculiarità delle singole fattispecie.

Qualora si desideri individuare i principali attori del sistema dei controlli, appare di immediata evidenza che i soggetti potenzialmente interessati sono molto numerosi:

- la proprietà e il top management, impegnati nella definizione

delle linee di indirizzo del controllo;

- i regulators, Borsa, Consob, Antitrust ecc.;

- il comitato per il controllo interno e il comitato per la

remunerazione istituiti in seno al Consiglio di Amministrazione;

- il collegio sindacale, ovvero a seconda dei modelli di

governance, il consiglio di sorveglianza o il comitato di controllo;

- la funzione di internal auditing;

- l'Organismo di Vigilanza ai sensi del D.Lgs. 231/01; - la società di revisione o il revisore contabile.

Nell’ambito dell’ampio dibattito, sviluppatosi in questi anni, sulla corporate governance, il controllo interno ha rappresentato uno dei temi più trattati, sia in ambito operativo che fra gli studiosi di matrice giuridica ed economica.

Il sistema di controllo interno può essere definito, come un insieme di meccanismi, procedure e strumenti, “controlli”, predisposti dalla direzione per assicurare il conseguimento degli obiettivi aziendali.

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Esso è tipicamente strutturato al fine di assicurare il perseguimento di tre principali obiettivi: l’efficacia e l’efficienza dei processi informativi, decisionali ed operativi, la trasparenza gestionale, il rispetto delle norme in vigore9.

Nelle varie definizioni di corporate governance proposte in questi ultimi anni, sia in ambito nazionale che internazionale, il controllo è quindi stato frequentemente considerato un elemento fondamentale per l’efficace governo dell’azienda.

La creazione di un efficace sistema di controllo aziendale, contribuisce a migliorare la qualità delle decisioni ed il flusso di economicità che deriva dalle operazioni di gestione; un'azienda con un ottima idea imprenditoriale, validamente perseguita sotto il profilo dell'attività di business rischia infatti, di compromettere la qualità competitiva e/o l'efficienza, se non attiva un valido sistema di controllo interno.

Negli Stati Uniti, il dibattito sulla corporate governance, dura ormai da vari decenni.

Tra le varie iniziative intraprese negli USA, nel 1985 è stato costituito un comitato, il Commitee of Sponsoring Organisation (COSO), composto da prestigiose associazioni professionali americane, con lo scopo di analizzare le cause delle frodi manifestatesi in alcune società nel corso degli anni Ottanta. La Treadway commission costituita in seno al COSO, ha rilevato che in molti casi, i comportamenti fraudolenti erano stati perpetrati a causa delle carenze nei controlli interni, ravvisando così, la necessità di definire nuove regole per la governance societaria, in modo da ripristinare la fiducia degli investitori e degli altri stakeholders10.

9 Nelle varie definizioni di corporate governance proposte in questi ultimi anni in ambito nazionale ed internazionale, il controllo è frequentemente considerato un elemento fondamentale per l'efficace governo dell'azienda. Il Cadbury Code definisce la corporatre governance come: “the way in which

companies are directed and controlled”; Cfr. Cadbury A. (1993), “Thougts on Corporate

Governance”, in Corporate Governance – an International Reviw, vol. 1, n. 1. 10 Commitee of Sponsoring Organisation (1992), Internal control, op. cit.

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Anche in Italia, si è assistito allo sviluppo di un progetto di corporate governance, il quale ha visto coinvolti numerosi esponenti del mondo accademico e rappresentanti di enti, associazioni e di alcune fra le principali aziende italiane (PCGI “Progetto Corporate Governance per l’Italia”).

Tale progetto intendeva sviluppare uno studio approfondito e completo in grado di fornire i lineamenti di un sistema di governo delle società e, in generale, delle aziende italiane, che aspiri a connotarsi come il sistema di direzione e controllo più valido nel contesto nazionale, tale da indirizzare in modo più mirato il raggiungimento degli obiettivi vitali di efficacia ed efficienza, di trasparenza e di legalità; obiettivi che rappresentano le mete fondamentali dei sistemi di governo delle società in tutti i Paesi a mercato evoluto11. Nel corso della sua attività, tale comitato, ha elaborato un framework12 per l'analisi del controllo interno, che nei suoi elementi di fondo ricalca il modello definito dal Commitee of Sponsoring Organisation.

Da qualche anno, inoltre, la letteratura sta esplorando nuovi sentieri di ricerca, volti a valutare se il grado di efficacia dei meccanismi di corporate governance, possono essere positivamente influenzati dall'implementazione della business ethics.

La responsabilità sociale d'impresa sta pian piano, assumendo sempre più importanza nelle strategie aziendali; oggi disattendere quanto dichiarato, può comportare gravi conseguenze per le imprese coinvolte.

11 Cfr. Coopers&Lybrand (1997), Il sistema di controllo interno. Progetto corporate governance per

l'Italia, Il Sole 24 Ore, Milano.

12 I principali aspetti che emergono dal progetto sono costituiti dai seguenti elementi:

• identificazione di cinque variabili (ambiente di controllo, valutazione dei rischi, attività di controllo, informazione e comunicazione, monitoraggio) fra loro interdipendenti che nel loro insieme costituiscono il sistema di controllo interno;

• la concezione del controllo come un'attività diffusa nell'organizzazione a cui partecipano con ruoli e responsabilità, ovviamente differenti, gli amministratori, i sindaci, il management, gli organi di staff ed il personale operativo;

• il riferimento a tre obiettivi (l'economicità della gestione, l'attendibilità delle informazioni ed il rispetto delle norme e dei regolamenti in vigore) rispetto ai quali valutare il grado di efficacia del sistema in esame.

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L'approccio della corporate social responsibility (CSR)13, può basarsi su due alternative: può fondarsi sulla fissazione di norme, con annesso sistema di incentivi/sanzioni, con l'obbligo di certificazioni e così via, o può rappresentare un approccio volontario da parte delle imprese, che vada oltre la compliance normativa, attraverso cui le aziende stesse, consapevoli della convenienza di tale scelta, si impegnano ad internalizzare buone pratiche gestionali di CSR.

La preferenza, anche in Italia verso la responsabilità sociale delle imprese privilegia la seconda alternativa.

L'enfasi su buone pratiche di CSR da parte delle imprese, risulta essere un importante fattore di competitività, sia per le stesse individualmente considerate, che per il sistema cui appartengono. Infatti un approccio costruttivo e attento alle richieste/aspettative degli stakeholder di un'impresa, fa sì che questi diano vita a un contesto certamente più favorevole per le sue esigenze di crescita e di competitività nel medio-lungo periodo.

Così facendo, l'impresa si rapporta meglio anche con le esigenze dell'ambiente e del territorio socio-economico cui appartiene, ricevendone in cambio un rafforzamento della prospettiva di sostenibilità dei suoi processi e delle sue attività. Inoltre, l'immagine e la reputazione di un'impresa sono fattori sempre più determinanti ai fini della sua competitività, in quanto i consumatori chiedono informazioni sempre più dettagliate riguardo alle condizioni di produzione di beni e servizi e ai loro effetti sullo sviluppo sostenibile, ricompensando con le

13 Secondo l'organizzazione statunitense, Business for Social Responsibility (BSR), responsabilità aziendale o corporate citizenship (cittadinanza d'impresa) significa “Gestire un'impresa in maniera

tale da soddisfare o superare costantemente le aspettative etiche, legali, commerciali e pubbliche che la società ha nei confronti delle aziende.”

Al fine di diffondere l'idea della cittadinanza d'impresa e la pratica della responsabilità sociale, il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in occasione del suo intervento al World Economic Forum di Davos il 31 gennaio 1999, lanciò l'iniziativa Global Compact (Patto Globale). La fase operativa del Patto, venne inaugurata il 26 luglio 2000 durante un incontro presso la sede delle Nazioni Unite tra leader aziendali, sindacali e rappresentanti di ONG. La Commissione europea, sulla base del processo di consultazione avviato con la presentazione del Libro verde (documento per stimolare i dibattiti sulla CSR in Europa), ha ribadito che “il concetto di responsabilità sociale delle

imprese significa essenzialmente che esse decidono volontariamente di contribuire a una società migliore e a un ambiente più pulito”, cioè “l'integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate” Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli

obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là, investendo di più nel capitale umano, nell'ambiente e nei rapporti con gli stakeholder. Corporate Governance. Elio Borgonovi. Fonte Perrini, 2003.

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loro consuetudini, le imprese che adottano pratiche socialmente ed ecologicamente responsabili.

Una possibile chiave di lettura della responsabilità sociale, è connessa alle modalità tramite cui le relazioni con i diversi stakeholder diventano parte integrante dei meccanismi del governo d'impresa; ad esempio attraverso una più ampia governance che arrivi a ricomprendere nel proprio campo d'azione non solo i meccanismi che regolano le relazioni tra investitori e manager, ma anche quelle “impresa-stakeholder”.

La responsabilità sociale, pertanto, si qualifica non solo come un approccio innovativo al “fare impresa”, ma diviene anche un nuovo modello di gestione delle relazioni, in grado di realizzare un corretto bilanciamento tra dimensione sociale, economica e ambientale dello sviluppo, orientando quest'ultimo verso condizioni di migliore sostenibilità.

Si tratta, cioè, di adottare una prospettiva strategica e attuativa ampia, che consenta di ricondurre a sistema le istanze dei differenti stakeholder group secondo una logica di responsabilità condivisa che produca una migliore competitività.

In realtà quindi, parlando di corporate governance, non possiamo limitare l'analisi al consiglio di amministrazione.

Infatti, pur riconoscendo la centralità di questo nei processi di governo delle imprese, gli studi sulla corporate governance non possono ignorare l'importanza che assumono altri elementi interni come i sistemi di controllo interno o i sistemi retributivi, ed esterni alle imprese quali, la normativa economica, il funzionamento dei vari mercati in cui l'impresa opera, l'efficienza del mercato per il controllo societario, la cultura e le consuetudini che influenzano il comportamento delle persone.

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1.4 La molteplicità degli interessi che convergono nell'impresa

Il governo d'impresa, nella sua natura di sistema di relazioni, esprime l'insieme dei principi e delle regole su cui si basa il coordinamento e il controllo di poteri e ruoli all'interno dell'impresa.

Le modalità con cui questi ultimi si estrinsecano in assetti di partecipazione al capitale investito nell'impresa, consentono di definire i rapporti tra i soggetti, gli equilibri di interessi e dei poteri, che nelle loro interconnessioni influenzano in modo determinante le condizioni di funzionamento del complesso aziendale in termini di efficacia, efficienza e competitività.

I sistemi di corporate governance sono la risultante dell'adeguata coesistenza di questi differenti elementi, in un contesto di ricerca della legittimazione all'esercizio del potere economico, attuato, comunque, nel rispetto di forme di democrazia decisionale.

Non a caso il Cadbury Report14 definisce un sistema di corporate governance come “l'insieme delle istituzioni e delle regole (giuridiche e tecniche), la cui combinazione e interazione tende ad equilibrare in modo trasparente e corretto gli interessi di coloro che danno vita alla coalizione d'impresa”.

Nelle società quotate, caratterizzate da un'elevata concentrazione del capitale in assetti istituzionali stabili, che o in virtù del capitale di rischio in loro possesso, ovvero per l'influenza dominante sulle politiche aziendali da perseguire, guidano l'impresa nel suo ciclo vitale, il Board rappresenta ed unifica i diversi interessi presenti nell'impresa15; i problemi tipici del governo d'impresa, generati dalla

14 Fondamentale codice di Best prectice inglese nato per iniziativa della London Stock Exchange (autorità di gestione del mercato azionario), del Financial Reporting Council (autorità di controllo sull'informazione societaria), della Confederation of British Industry (associazione delle imprese industriali) e della Accountancy Profession (associazione dei professionisti della contabilità societaria).

15 “In una visione di razionalità economica un po' semplicistica si può ipotizzare una relazione di

causalità lineare del tipo seguente: 1. dato un certo ambiente economico e tecnologico; 2. ogni impresa tende ad adottare una strategia coerente con tale ambiente scegliendo certe dimensioni, certi mercati, certe gamme di prodotti; 3. la strategia scelta richiede un certo insieme di contributi, posseduti da certi soggetti che, in cambio, ricevono certe ricompense; 4. raccogliendo quei contributi

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separazione tra proprietà e controllo, non assumono particolare rilevanza nella definizione delle strategie aziendali, considerando l'unitarietà di intenti in esse comunque riscontrabili. Ciò risulta essere vero, nelle imprese caratterizzate dal cosiddetto capitalismo familiare e istituzionale, in cui gruppi di matrice familiare o costituiti da investitori istituzionali, concentrano nelle proprie mani, la proprietà del capitale e il diritto di indirizzare l'impresa16 attraverso il Board che ne costituisce la diretta emanazione; in esse è possibile individuare una proprietà forte, consolidata e coesa, in termini sia di obiettivi da raggiungere, che di cultura condivisa.

Tuttavia, nell'attuale contesto aziendale, caratterizzato dal fatto che la separazione tra proprietà e controllo17 d'impresa costituisce sempre più una regola e non un'eccezione, in società in cui il legame tra portatori di capitale e responsabilità direttiva è ormai labile, i diversi sistemi di corporate governance evidenziano quali siano le caratteristiche soggettive e oggettive, i diversi interessi strategici e operativi, che, con diversa incidenza, confluiscono e convergono nell'impresa. Tale caratteristica morfologica del tessuto sociale d'impresa, rende problematica la possibilità di conciliare le diverse culture e il differente modo di intendere il valore, traslando così dal Board ai manager la responsabilità di definire ed attuare un'efficace ed efficiente gestione aziendale; in questo caso è essenziale permettere al management di rappresentare nelle sue funzioni, tutti gli interessi della vasta e diversificata proprietà, espressi nel momento di incontro tra le diverse esigenze di tutti i partecipanti attivi alla vita dell'impresa, cioè l'assemblea dei soci.

Nei fatti, la corporate governance guarda alle relazioni che legano il management e la proprietà di una società, nonché quelle tra gli azionisti di

da quei soggetti e soddisfacendoli con certe ricompense l'azienda configura il proprio assetto istituzionale”. G. AIROLDI, Gli assetti istituzionali d'impresa: inerzia, funzioni e leve, op. cit., pag.

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16 A conferma di quanto detto, l'evidenza empirica e la dottrina aziendale riscontrano in questi sistemi le caratteristiche dell'One Tier system, tipico dell'Insider System.

17 A tal proposito: “La dissociazione tra il possesso della ricchezza e il reale esercizio delle capacità

imprenditoriali costituisce la principale causa della separazione tra proprietà e controllo”. S.

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maggioranza e di minoranza. Si tratta di una disciplina in parte obbligatoria, in parte volontaria, che viene applicata nella sostanza, nella misura in cui esprime valori condivisi dal contesto sociale di riferimento.

Tradizionalmente, la corporate governance è stata associata all'esigenza di assicurare a coloro che realizzano un investimento finanziario (principal), una sufficiente garanzia di tutela rispetto a coloro che sono stati incaricati di gestirlo (agent).

Il punto è che le relazioni che un'impresa intrattiene, sono molto più articolate e complesse di quelle che si instaurano tra investitori e manager e riguardano non meno importanti interlocutori: l'impresa fonda la propria probabilità di successo sulla qualità delle proprie relazioni con gli stakeholder.

Le imprese, per la concreta realizzazione dell'attività economica, richiedono il contributo di numerosi stakeholder: i conferenti di capitale di rischio, i conferenti di capitale di prestito, i fornitori di materie prime e di servizi, i prestatori di lavoro, i clienti, lo Stato, la collettività locale ecc., ciascuno dei quali apporta, all'interno dell'impresa, un'ampia gamma di contributi e riceve in cambio ricompense di vario genere.

Con riferimento ad una società di capitali che svolge un'attività economica di tipo industriale, possiamo individuare:

- i clienti richiedono un prezzo basso, la puntualità delle consegne, un'elevata qualità del prodotto, la garanzia del prodotto stesso, l'assistenza tecnica in caso di guasti, suggerimenti nella scelta del prodotto, tempi e forme di pagamento flessibili, e così via; in cambio offrono il pagamento del prezzo pattuito, informazioni su problemi riscontrati nell'utilizzo del prodotto, indicazioni utili sulle funzioni che il prodotto dovrebbe svolgere, una pubblicità gratuita attraverso il passaparola ecc.;

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- i fornitori chiedono il pagamento puntuale delle fatture, un'attesa di continuazione del rapporto, una collaborazione per la progettazione del prodotto, informazioni sull'utilizzo del bene ecc.; in cambio offrono una certa quantità di bene, l'impegno a rispettare i tempi di consegna, la garanzia di una determinata qualità di prodotto, la riservatezza su alcune informazioni relative all'azienda cliente, ecc.;

- i finanziatori di capitale di prestito richiedono il pagamento periodico della cedola di interessi, informazioni tempestive e affidabili sull'andamento dell'impresa, il rimborso a scadenza del capitale prestato, garanzie sul patrimonio dell'azienda o dei soci, ecc.; in cambio offrono una somma di denaro per un certo periodo di tempo, informazioni sulle forme tecniche di finanziamento, consulenza nei momenti di tensione finanziaria dell'impresa ecc.;

- i dipendenti richiedono una remunerazione periodica, incentivi legati al raggiungimento di determinati risultati, relazioni sociali intense e positive, la garanzia di stabilità dell'impiego, la sicurezza personale sul luogo del lavoro, la possibilità di apprendere nuove competenze ecc.; in cambio offrono il loro contributo lavorativo per un certo numero di ore, competenze tecniche, la disponibilità ad apprendere e ad acquisire nuove competenze ed abilità, la riservatezza nel trattamento delle informazioni sensibili ecc.;

- gli azionisti richiedono una remunerazione periodica sotto forma di dividendi, l'attesa di aumento del valore del titolo nel corso del tempo, informazioni dettagliate e tempestive in merito all'andamento economico e finanziario della società, il diritto a intervenire in assemblea ecc.; in cambio offrono una somma di denaro sotto forma di capitale di rischio, un giudizio

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sull'appropriatezza del valore del titolo, la partecipazione alle assemblee per indirizzare la volontà sociale ecc.;

- lo Stato e la collettività locale richiedono il rispetto della normativa, il pagamento dei tributi, il rispetto dell'ambiente, un contributo allo sviluppo economico e sociale ecc.; in cambio offrono autorizzazioni a compiere determinante attività, infrastrutture economiche e sociali, servizi pubblici ecc.

Le aziende devono cercare di bilanciare il valore del contributo che gli stakeholder offrono e delle ricompense che essi ricevono; infatti, coloro che ritengono di non essere adeguatamente ricompensati per il contributo che forniscono all'impresa, tendono a ridurre l'impegno e l'attenzione che dedicano alla realizzazione della prestazione a essi assegnata, oppure, in casi estremi, abbandonano l'impresa per trasferirsi in un'altra che offre loro una relazione giuridica più vantaggiosa. Si evidenzia quindi, strettamente collegata tra loro, la centralità del problema del governo economico e del contemperamento degli interessi nelle aziende di produzione.

Rientrano allora, nelle problematiche di ogni sistema di corporate governance, i meccanismi di distribuzione dei poteri di indirizzo strategico e le regole di espressione formale e/o informale dei rapporti aziendali. Queste ultime esistono tra i diversi soggetti portatori di interessi nel governo d'impresa e sono originate dalla disomogeneità degli obiettivi dagli stessi, perseguiti nel divenire d'impresa.

Consegue quindi, che le imprese che ottengono performance soddisfacenti nel lungo periodo, sono quelle che riescono a creare un sistema di diritti e di obblighi che consente loro non solo di attrarre gli stakeholder che possiedono le competenze e le risorse desiderate, ma anche di garantire ad essi un equilibrio dinamico tra i contributi forniti e le ricompense ricevute.

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Tuttavia il perseguimento del miglior risultato possibile contemporaneamente, per tutti gli stakeholder, è ostacolato da un insieme di condizioni suddivisibili in due classi:

- la difficoltà di stimare il contributo fornito dal singolo stakeholder alla produzione complessiva dell'impresa: il mercato valuta solo il costo opportunità del fattore produttivo impiegato, spetta quindi all'impresa stimare il valore creato dalle singole risorse utilizzate. Tale stima è tutt'altro che immediata, in quanto il valore creato dai singoli contributi forniti, si unisce allo svolgimento di attività complementari per l'ottenimento del risultato finale;

- la tensione verso comportamenti opportunistici ed egoistici da parte di alcuni soggetti presenti nell'azienda: in questo caso sono molte le situazioni che possono essere riscontrate, tutte riconducibili al prevalere dell'interesse di alcuni soggetti (manager, azionisti, clienti ecc.) su quello degli altri e sul bene comune aziendale; ad esempio gli azionisti di maggioranza possono preferire di mantenere il controllo dell'impresa pur danneggiando la competitività della stessa e il suo sviluppo di lungo periodo; i manager che dirigono l'azienda possono decidere di finanziare operazioni di crescita interna ed esterna al fine di aumentare le dimensioni dell'impresa, anche se queste operazioni non migliorano la competitività ed il valore di lungo periodo ecc.

Si sono quindi sviluppate, due diverse teorie: la creazione di valore per gli azionisti e la creazione di valore per gli stakeholder.

Secondo la prima impostazione molto diffusa all'interno della comunità industriale e finanziaria di gran parte dei paesi industrializzati, i diritti di governo

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economico devono essere attribuiti ai conferenti di capitale di rischio, e l'impresa deve porsi l'obiettivo di massimizzare il ritorno per gli azionisti.

Tale assunzione viene supportata da due diverse motivazioni:

1) i conferenti di capitale di rischio sono l'unica categoria di stakeholder che, a differenza delle altre, è remunerata solo in via residuale. Infatti mentre tutte le altre categorie di stakeholder percepiscono una retribuzione periodica stabilita contrattualmente, i primi, in cambio del capitale conferito all'impresa, ottengono delle azioni che attribuiscono loro il diritto a ricevere una determinata percentuale del risultato reddituale, che l'impresa realizza dopo aver retribuito tutti gli altri fornitori di fattori produttivi;

2) gli investitori, e in particolare gli azionisti, sono più facilmente soggetti ad espropriazione da parte del management. Infatti i conferenti di capitale, nel momento in cui attribuiscono all'impresa le loro risorse finanziarie, mettono a repentaglio tutto il loro investimento, mentre gli altri fornitori di fattori produttivi continuano a possedere le risorse (materiali e immateriali) che apportano all'impresa, avendo di conseguenza, un maggiore potere contrattuale in caso di negoziazione ex post. Gli azionisti effettuano quindi, un investimento destinato a durare quanto la vita dell'impresa e, in caso di liquidazione le loro pretese sono soddisfatte per ultime.

All'interno di questa impostazione teorica, l'attribuzione dei diritti di controllo ai conferenti di capitale di rischio è motivata dalla volontà di creare forti incentivi al miglioramento della performance aziendale e all'ottenimento di un'impresa governata al fine di massimizzare il valore azionario.

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