COVID-19 e diseguaglianze di genere: l’impatto della pandemia sulle donne
2. La qualificazione delle misure restrittive
Al pari delle più note convenzioni regionali a protezione dei diritti fondamen-tali10, il Patto ammette pacificamente che i diritti ivi previsti subiscano restri-zioni in ragione della salvaguardia di interessi statali. Tale possibilità è con-templata anche dagli art. 12 e 21 PIDCP, che, ponendosi rispettivamente a tutela della libertà di movimento e di riunione pacifica, sono in questo caso le disposizioni maggiormente interessate dalle misure di contenimento del virus.
Entrambe consentono allo Stato di limitare tali diritti per esigenze dovute alla legge e alla necessità di salvaguardare la sicurezza nazionale, la moralità collet-tiva e anche la sanità pubblica. In questi casi, la compressione del diritto, di-versamente calibrata a seconda del suo contenuto, risponde a esigenze ordina-rie di ordine pubblico e non necessita di comunicazione alle altre Parti del trattato. È bene evidenziare, inoltre, che tali limitazioni non sono commisurate a una situazione temporalmente delimitata, potendo al contrario divenire an-che permanenti11.
8 La terminologia qui utilizzata, in relazione alle “fasi” di diffusione della pandemia, è quella invalsa nei mezzi di comunicazione di massa, che hanno distinto almeno tre diverse fasi della diffusione del virus sulla base dell’incremento periodico dei contagi e la parallela incisività delle restrizioni ai diritti fondamentali. Più precisamente, per “prima fase” s’intende il periodo com-preso tra i mesi di marzo e giugno 2020, particolarmente critici per gli Stati del continente eu-ropeo e per gli USA; nell’estate del 2020, infatti, in questi Paesi si è registrato un breve allenta-mento delle misure restrittive.
9 Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato dall’Italia con l. 25 ottobre 1977, n. 88.
10 Ci si riferisce sia alla CEDU, adottata a Roma il 4 novembre 1950, entrata in vigore a livello internazionale il 3 settembre 1953, e alla Convenzione americana dei diritti umani, entrata in vigore il 18 luglio 1978 (O.A.S. Treaty Series No. 36).
11 D.MCGOLDRICK,The Interface Between Public Emergency Powers and International Law, in International Journal of Constitutional Law, 2004, p. 383.
Ben distinta è invece l’eventualità della sospensione temporanea dei trattati in situazioni di emergenza, prevista dall’art. 4 PIDCP. Quest’ultimo è appli-cabile solo nel caso in cui per lo Stato non sia possibile fronteggiare una situa-zione eccezionale ed emergenziale se non astenendosi, per una durata limitata a quella dell’emergenza, dall’obbligo di garantire il godimento dei diritti pre-visti dal trattato12. Si intuisce pertanto come la disciplina della deroga, intac-cando tanto incisivamente la protezione dell’individuo, possa facilmente pre-starsi ad abusi da parte dello Stato. Per questa ragione, l’esercizio della facoltà di deroga dei trattati sui diritti umani dovrà non solo risultare proporzionato rispetto all’emergenza13, ma dovrà altresì essere subordinato a specifici requi-siti di natura sia sostanziale che procedurale. Al fine di verificare se la modalità di gestione della pandemia sia in linea con tali presupposti, occorre dunque soffermarsi sulla disciplina relativa alla clausola di deroga prevista dal Patto, mettendone in luce le eventuali peculiarità.
Nello specifico, l’art. 4, par. 1, del Patto prevede che «In caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale», gli Stati possano derogare agli obblighi imposti dal trattato, restando tuttavia impregiudicato il rispetto dell’obbligo di non discrimina-zione per motivi relativi razza, sesso, lingua, religione o origine sociale e di un nocciolo duro di diritti (art. 4, par. 2, PIDCP). Fra questi ultimi, in particolare, figurano il diritto alla vita (art. 6), il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (art. 7), di schiavitù e servitù (art. 8, par. 1 e 2), e i principi di lega-lità e irretroattività in materia penale (art. 15). Inoltre, dal punto di vista pro-cedurale, a ogni Stato viene imposto di comunicare alle altre parti le disposi-zioni oggetto della deroga, unitamente ai motivi per cui si rende necessaria, tramite il Segretario generale delle Nazioni Unite (art. 4, par. 3, PIDCP). Sem-pre a quest’ultimo, gli Stati sono poi obbligati a notificare la cessazione dell’emergenza, che comporterà un’immediata riespansione degli obblighi convenzionali.
12 La possibilità per lo Stato di sospendere la totalità o parte degli obblighi convenzionali trova il proprio fondamento, secondo la dottrina maggioritaria, nella teoria dello stato di necessità. Si vedano, a tal proposito, J.F.HARTMAN, Derogation from Human Rights Treaties in Public Emer-gencies - A Critique of Implementation by the European Commission and Court of Human Rights and the Human Rights Committee of the United Nations, in Harvard International Law Journal, 1981, p. 12; S.BARTOLE,P.DE SENA,V.ZAGREBELSKY (a cura di),Commentario breve alla Con-venzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2012, p. 555.
13 Per una panoramica della prassi al riguardo, si veda P.M. TAYLOR, A Commentary on the International Covenant on Civil and Political Rights. The UN Human Rights Committee's Mon-itoring of ICCPR Rights, Cambridge, 2020, p. 112 ss.
Alla luce di queste premesse, si comprende facilmente la ragione per cui, in particolare nelle primissime fasi dell’emergenza, l’adozione delle misure fi-nalizzate all’isolamento del virus da parte di un gran numero di Stati membri del Patto (fra i quali, ad esempio, quelli menzionati in incipit) abbia inevitabil-mente gettato luce sulla distinzione tra restrizioni ordinariainevitabil-mente ammissibili – e dunque non temporanee e indipendenti da emergenze – e vere e proprie deroghe. Il discrimine tra queste due fattispecie viene normalmente indivi-duato alla luce di una duplice valutazione, relativa sia alle dimensioni dell’emergenza che all’incisività dell’interferenza del potere statale sul diritto in esame.
Per quel che concerne il primo dei profili menzionati, nessun dubbio sem-bra potersi sollevare in ordine alle dimensioni generalizzate dell’emergenza sa-nitaria tuttora in atto. Già nel marzo 2020, alla luce dell’evidenza dei dati re-lativi all’aumento quotidiano dei contagi in ciascuno Stato del mondo14, l’Or-ganizzazione mondiale della Sanità (OMS) constatava che la diffusione del vi-rus avesse dato luogo a una vera e propria pandemia, e che fosse necessaria un’azione incisiva ed urgente15.
Il livello di severità dei provvedimenti restrittivi può essere invece variabile e dev’essere oggetto di una valutazione caso per caso. Per quanto non sia pos-sibile esaminare singolarmente le misure adottate da ciascuno Stato, sembrano doverose alcune considerazioni di carattere generale. Per esempio, per quel che riguarda il modello del total lockdown, adottato a partire dal marzo 2020 dal Governo Conte in Italia, è indubbio che l’interferenza statale sia tale da incidere sulla sostanza – quantomeno – dei diritti di cui agli art. 12 e 22 del Patto. Infatti, secondo quanto stabilito dal Comitato dei diritti umani sul di-ritto alla libertà di movimento16, le restrizioni previste dall’art. 12 PIDCP
«must not nullify the principle of the freedom of movement»), e, per quel che riguarda il diritto di riunione pacifica, che tutte le restrizioni – ancorché con-sentite – dovrebbero essere ridotte al minimo17. Prendendo nuovamente spunto dall’esempio italiano, pare che il quadro normativo abbia superato di
14 Per i dati in tempo reale relativi al numero dei contagi da COVID-19 e dei decessi associati alla malattia, suddivisi per ciascun Paese del mondo, v. www.worldometers.info.
15 OMS, WHO Director-General’s opening remarks at the media briefing on COVID-19, 11 marzo 2020.
16 Comitato dei diritti umani, General Comment n. 27: Article 12 (Freedom of Movement), UN Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.9 del 2 novembre 1999, par. 2.
17 Comitato dei diritti umani, General Comment No. 37: Article 21: right of peaceful assembly:
Revised draft prepared by the Rapporteur, Mr. Christof Heyns on the Right of Peaceful Assembly, bozza adottata durante la 127esima Sessione di lavori del Comitato, 14 ottobre – 8 novembre 2019, www.icnl.org, par. 40-41.
gran lunga tale soglia. I DPCM variamente susseguitisi del tempo hanno infatti sempre maggiormente impattato sulle libertà di movimento e riunione, fino a proibire, per diverse settimane, persino il rientro alla residenza per i cittadini temporaneamente collocati in un diverso comune18.
In tutti i casi in cui l’ingerenza statale integri un tale livello di severità, si esula senz’altro dalle restrizioni ordinariamente ammissibili, con la conse-guenza che a venire in rilievo sono piuttosto i meccanismi di deroga, e dunque di sospensione temporanea del Patto. Del resto, la posizione assunta da nume-rosi Stati – come messo efficacemente in luce dalla retorica di Macron19 – ha equiparato l’emergenza sanitaria innescata dal COVID-19 a quella, grave ed eccezionale, dei conflitti armati, che ricade pacificamente nell’ambito di appli-cazione della deroga ai trattati sui diritti umani20. Nella prima fase della pan-demia, nove Stati sui 47 membri della CEDU hanno d’altronde attivato la pro-cedura ex art. 15 CEDU21, che contiene una clausola analoga all’art. 4 PIDCP, e che menziona espressamente la “guerra” tra i motivi che legittimano l’uti-lizzo della deroga.
3. Considerazioni sulla legittimità delle deroghe motivate dalla