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Ogni progetto di architettura, più o meno complesso, racchiude al suo interno un insieme di metodi grafici di rappresentazione connessi gli uni agli altri e finalizzati a comunicare una forma, un’idea, un’intenzione. Dallo schizzo su carta al plastico in scala ridotta, dal disegno elettronico al clone digitale, dal rendering all’animazione, lo scopo è il medesimo: visualizzare il proprio progetto e riuscire a comunicare le proprie inten- zioni nel processo di realizzazione.

Naturalmente ogni fase progettuale dall’ideazione alla costruzione ne- cessita di informazioni e di apparati grafici differenti. Il disegno è il primo strumento progettuale di visualizzazione che consente di vedere il risultato finale prima che l’opera sia realizzata ed è in grado di accom- pagnarla lungo tutto l’iter progettuale. La tecnica di rappresentazione si è evoluta nei secoli accogliendo all’interno di un solido patrimonio storico nuovi mezzi di comunicazione, trasmissione e archiviazione dati. Fino agli anni ’70 del Novecento gli strumenti basilari erano la matita, il foglio di carta, la gomma, il tavolo da lavoro; successivamente hanno lasciato il posto a un monitor, un mouse e una tastiera, integrando tutti questi ʹattrezziʹ in un unico strumento: il personal computer. Al suo in- terno nei software grafici ritroviamo gli strumenti antichi sotto forma di icone, ognuna delle quali predisposta per un’azione specifica. In pochi secondi si hanno a disposizioni fogli, matite, penne, linee rette e curve, tabelle e comandi per modellare, scolpire, tagliare con una precisione scientifica10.

Mancando il contatto con tali strumenti creativi, sicuramente c’è un ap- proccio completamente diverso; davanti a noi abbiamo uno schermo il- luminato e, inevitabilmente, i metodi della rappresentazione ne hanno subito il fascino in positivo o in negativo.

Il disegno ha sempre rappresentato l’architettura sul piano dell’imma- gine utilizzando proiezioni di linee, tracciati, chiaroscuri, colori che sta- bilivano una corrispondenza stretta con l’oggetto osservato. Come

supporto per la mente, in un modello grafico, è l’idea che si concre- tizza, è l’interpretazione della realtà esterna e soprattutto è la tradu- zione bidimensionale di ciò che osserviamo. Con l’era digitale il disegno ha ridefinito i suoi confini di applicazione adattandosi alle più diverse forme di linguaggio e aprendo la strada ad una serie di inter- pretazioni e potenzialità.

Il disegno digitale bidimensionale non è altro che il prodotto di un tec- nigrafo elettronico, che realizza ʹcontorniʹ grazie a ʹprimitive graficheʹ quali la linea, il poligono, la circonferenza... che spesso richiedono, per il loro tracciamento, valori numerici medesimi a quelli necessari per disegnarli con la matita o il compasso sulla carta. Si ottengono piante, prospetti, sezioni, assonometrie e prospettive del tutto simili, nel metodo, a quelle realizzate tradizionalmente. Gli strumenti utiliz- zati sono diversi, ma l’obiettivo da raggiungere è lo stesso: la rappre- sentazione dell’architettura attraverso un linguaggio chiaro e universale, così come l’ha codificato Gaspar Monge tra Settecento e Ottocento. I disegni digitali, chiamati 2d, acquistano precisione, ripro- ducibilità, flessibilità, ma comunicano le stesse informazioni dei loro antecedenti cartacei. Lo schermo coincide con il foglio elettronico in cui sono presenti linee di sezione, linee di proiezione, assi e segni gra- fici che rientrano nel codice classico del linguaggio grafico, anche se il concetto di rapporto di scala è molto differente11.

Un’innovazione più sostanziale avviene nel modulo tridimensionale12

che riprende la caratteristica capacità di dominare lo spazio nelle tre componenti della scienza della rappresentazione. Precedentemente l’idea spaziale veniva illustrata attraverso assonometrie e prospettive che indagavano all’interno degli spazi, fornendo su un supporto bidi- mensionale l’idea della tridimensionalità, successivamente concretiz- zata sui modelli fisici in scale opportune.

Attraverso il computer è possibile costruire un progetto ʹspazialmenteʹ, operando come se si stesse costruendo un plastico, si può aprire e ri- chiudere, montare e smontare semplicemente muovendo il mouse. Il clone digitale permette di analizzare e controllare nuovi interventi, di restituire, attraverso macchine a controllo numerico, il modello com- puterizzato ʹscolpendoʹ la materia o simulando manufatti andati di- strutti o parzialmente incompleti, non trascurando la possibilità di

11Nel disegno digitale non si dise-

gna sul supporto finale, ma su un fo- glio virtuale i cui grazie allo strumento zoom è possibile in pochi secondi passare dal particolare alla visione generale mettendo in discus- sione il livello di dettaglio e lo spes- sore delle linee. Diventa più difficile decidere cosa rappresentare e come rappresentarlo se non è chiaro il fine della rappresentazione.

12Per modellazione tridimensionale

si intende l’insieme dei metodi, al- goritmi e programmi che consen- tono di definire un oggetto nello spazio tridimensionale. Si crea un modello numerico e non un insieme di rappresentazioni dell’oggetto.

ottenere svariate immagini del manufatto, oggetto di analisi. Le viste ortogonali, assonometriche o prospettiche ottenibili semplicemente clic- cando le icone presenti all’interno del software, pur privando l’osserva- tore di ogni costruzione geometrica, rendono sicuramente immediata la percezione dell’oggetto. Ogni studio preliminare del punto di vista per poter ottenere la miglior vista possibile viene annullato in quanto è pos- sibile ruotare continuamente il modello per generare infinite angolature, spesso anche insignificanti. Alla posizione fissa dell’osservatore alber- tiano si contrappongono ora infiniti punti di vista, non sempre necessari per descrivere e per comprendere la forma del progetto.

Non bisogna però dimenticare che quello che il computer ci permette di visualizzare è comunque un’immagine sul monitor e quindi un’im- magine sul piano. Lo schermo è il piano di proiezione, il piano asso- nometrico o prospettico in cui si proietta, anche se privo di riferimenti, l’immagine dell’oggetto considerato. Di conseguenza il rendering13,

spesso risultato finale di un progetto, è effettivamente un’immagine, così come l’animazione è un insieme di fotogrammi, cioè immagini, che poste in rapida successione ci danno l’impressione del movimento. Dall’immagine, dunque, si plasma un modello virtuale e da questo si ritorna inevitabilmente all’immagine. Molti software di modellazione sono utilizzati proprio per ottenere innanzitutto un disegno, un insieme di linee o ʹpunti coloratiʹ su una superficie, al fine di rappresentare un’intenzione progettuale.

L’immagine contemporanea, pur sottostando ai tradizionali metodi rap- presentativi, si carica di ulteriori significati. L’arte e l’architettura rom- pono i confini della rappresentazione esplorando nuove dimensioni che avvicinano il fruitore a sensazioni tattili, acustiche e olfattive. L’era di- gitale non si esprime solo attraverso un insieme di pixel, ma anche per mezzo di un’immagine associata a materiali, suoni, profumi che rendono l’esperienza visiva completa.

Dougles Rushkoff definisce tale cambiamento, o meglio, impatto tra- volgente come un nuovo Rinascimento definendolo propriamente ʹIl ri- nascimento digitaleʹ.

Come in passato, durante il Quattrocento, i principi della perspectiva

naturalis vengono tradotti in un modello spaziale fondendo il piano

scientifico con quello creativo, nel ventunesimo secolo tutte le tecnolo-

13Il rendering è una rappresenta-

zione, di solito prospettica, di un og- getto virtuale a cui vengono assegnate caratteristiche di colore, materiale, grammatura. Vengono predisposte delle luci virtuali per il- luminare la scena e dei punti di vista per ʹguardareʹ l’oggetto al pari di uno studio fotografico.

gie e il sapere digitale sono diventati parte integrante della rappresenta- zione, modificando il rapporto tra arte e uomo, tra arte e architettura, tra uomo e società. Se lo spazio rinascimentale è visto e dominato in termini prospettici, il nostro tempo lo è in termini digitali. Se con la prospettiva gli artisti erano in grado di ingannare l’osservatore, con l’illusione tri- dimensionale del supporto pittorico bidimensionale, oggi, noi siamo in grado ugualmente di illudere il nostro occhio mediante la realtà virtuale, il cyberspazio, la video arte.

“Si sta ricreando per molti aspetti, con le ovvie differenze, quel partico- lare momento di dipendenza e di scambio che vide la ricerca architetto- nica, a partire dalla metà del Quattrocento, confrontarsi con l’orizzonte rivoluzionario dischiuso dalla ʹinvenzioneʹ della prospettiva. Oggi i limiti estremi della spazialità e i paradigmi più avanzati della visualità sono suggeriti dalla ʹvideo arteʹ, un sistema ormai vasto di espressioni diverse che si pone come l’asintoto al quale tende, nelle sue forme più speri- mentali, il disegno architettonico quando è immerso nel campo dinamico dell’energia informatica”14.

Ma se la prospettiva ha portato a una nuova cultura spaziale ed è stata definita da Erwin Panofsky una “forma simbolica della realtà”, nell’era digitale è presente una forma simbolica in grado di assolvere lo stesso ruolo e di espri- mere un innovamento sostanziale in ambito culturale, filosofico, artistico? Nell’attuale passaggio epocale tra il ʹvecchio mondoʹ retto dalle ferree regole prospettiche e dalla scienza proiettiva di G. Monge al ʹnuovoʹ caratterizzato da un uso pressante del digitale i metodi della rappresen- tazione e della comunicazione hanno dovuto adeguarsi al un linguaggio ʹibridoʹ, dallo sconfinamento nelle geometrie non euclidee, alle geome- trie frattali, alle interazioni tattili e acustiche.

La concetto stesso di ʹrappresentazioneʹ della realtà cambia, non è più legata a un foglio da disegno ma si estende a più dimensioni in cui l’esperienza percettiva è completa.