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Paul Chan, originario di Hong Kong, da tempo residente a New York, si dedica a un'arte ricca di riflessioni filosofiche, sulla politica, religione, morale e in generale sullo stile di vita contemporanea. All'immaterialità delle sue installazioni corrispondono messaggi concreti, indirizzati ai visitatori e quindi alla società.

La sua arte, basata sulla precisione del disegno, sulla cura del quadro quasi fosse una fotografia, sul movimento dell'immagine al pari di un video, oscillando tra disegni a carboncino, collages, animazioni, esplora aspetti tra loro contrastanti: pieni e vuoti, luci e ombre, bianco e nero, costruzione e distruzione, velocità e immobilità, creando atmosfere sur- reali e oniriche.

Tra le opere più interessanti non solo per il contenuto, ma anche per le modalità di comunicazione, hanno suscitato ammirazione The 7 Lights68,

animazioni che alludono ai sette giorni biblici della creazione, dall'alba al tramonto (fig. 3.47).

In bilico tra il tema sacro e profano, l'artista proietta delle immagini su pavimenti, muri, angoli, richiamando, in chiave metaforica, ciò che quo- tidianamente vediamo in televisione o sul web.

Il fascio luminoso cade su qualsiasi parete in contatto col nostro spazio. La forma trapezoidale o triangolare, in evidente deformazione anamor- fica perché i raggi proiettanti normalmente non sono perpendicolari alla superficie accogliente, viene spesso rappresentata volutamente con la classica intelaiatura dei serramenti, esplicito riferimento alla teoria ri- nascimentale della finestra prospettica.

La metafora della finestra-quadro ha sempre ricoperto un ruolo privile- giato nell’immaginario collettivo, avendo avuto grande diffusione nel- l'ambito della teoria estetica per molti secoli e mantenendo aperta tuttora la riflessione su tale interessante complessità interpretativa.

Rispetto alla ormai consolidata tecnica di rappresentazione prospettica, basata sull’intersezione della piramide visiva con un piano interposto tra l’oggetto reale e il punto di vista, nelle opere di Chan è evidente che il centro di proiezione coincide con la fonte luminosa e con il software d’animazione che genera le sagome nere fluttuanti, mentre l’intersezione della piramide visiva è rappresentata dalla forma trapezoidale, collocata

68La parola Lights è barrata da una

linea che allude, come fosse un rag- gio luminoso, al confine luce/ombra e quindi alla tensione tra gli opposti.

sul piano di calpestio o sulla parete, spesso coincidente con l’immagine stessa di una finestra, entro cui scorrono le forme. Manca l'oggetto di proiezione, ma le ombre proiettate permettono di ricostruire la sua con- sistenza tridimensionale.

Paul Chan gioca sul paradosso di tale dispositivo ottico; crea infatti un flusso in movimento all'interno delle sue ʹfinestreʹ cercando di catturare lo sguardo del visitatore con una narrazione verosimile, ma è pura illu- sione, non esistono ʹfinestreʹ reali e la luce, apparentemente simile a quella che filtra naturalmente, è artificiale, generata da un proiettore di- gitale a soffitto (fig. 3.48). Se da un lato è chiaro il tentativo di recuperare un topos della tradizione pittorica occidentale, dall'altro Chan ammette che a lui interessa di più il tema della luce, concentrandosi sull'effetto successivo della finestra, su quello che accade nello spazio con la pre- senza di un'apertura, anche se nelle sue opere le finestre sono solo vir- tuali. Il cono/piramide luminoso, attraversando l'oscurità della stanza, di solito completamente buia, varia colorazione scandendo il tempo e rispettando le innumerevole sfumature che sono presenti in natura nel- l'arco di una giornata. In questo caleidoscopio cromatico che varia dal rosso sanguigno al giallo oro, dal verde intenso al grigio-bianco neutro, cominciano a comparire delle ombre scure in progressivo movimento. Le forme-oggetti sono nere, ombre proiettate di una realtà che possiamo intuire e si stagliano in ʹcontro luceʹ, allargandosi ben oltre i confini della ʹfinestraʹ e richiamando alla memoria le immagini viste all’interno della caverna platonica o la The Shadow Dance, l’incisione nel trattato di Sa- muel van Hoogstraten.

Pur fluttuando nella luce, provenendo dal proiettore, le ombre sfilano nel pavimento o nelle pareti e si rendono visibili sulla superficie in cui sono proiettate: nascono, si uniscono, si spezzano e muoiono nelle ʹfi- nestreʹ trapezoidali, triangolari e circolari, in cui l'osservatore può cam- minare, toccare, interagire col proprio corpo diventando esso stesso oggetto di proiezione, ombra in movimento, partecipe al moto ascensio- nale della rappresentazione (fig. 3.49).

Col passare dei minuti le forme cambiano velocità e, vittime del peso di gravità, precipitano violentemente sui limiti del riquadro, passando dal- l'elegante ed etereo volo a una disastrosa e inaspettata caduta.

pestre, in cui sono presenti alberi o porzioni di essi e sui rami ombre di uccelli che spiccano il volo, poi, a una migrazione di massa, segue uno scenario popolato da forme urbane, tralicci della corrente, antenne, pali della luce, automobili, biciclette, telefonini, lettori MP3. Oggetti elet- tronici e tecnologici, alludenti ai quadri di Thomas Hart Benton, con- quistano la scena, attribuendo un'orientazione prima inesistente.

3.47

3.48

3.47 P. Chan, 1stLight, Courtesy

Greene Naftali, New York 2005. 3.48 P. Chan, 5th Light, Courtesy

Precedentemente infatti il visitatore non assume una posizione stabi- lita, un punto di vista privilegiato nell’osservazione, vaga attorno alla ʹfinestraʹ di luce in cui non sembra esserci una disposizione cardinale, un sopra e sotto, un lato destro e sinistro (fig. 3.51). Gli oggetti mec- canici sembrano equilibrare la scena, ma appena ci posizioniamo in modo tale da vederli correttamente e coerentemente, come appaiono nella realtà, l'autore ci inganna nuovamente contraddicendo i principi gravitazionali e facendoli ʹcadereʹ verso l'alto in una curiosa inversione cielo-terra. Tutte le forme inanimate, estensioni tecnologiche dei nostri sensi, come l'IPod o gli occhiali, fluttuano nell'aria procedendo in di- rezione opposta a quella che noi ci aspettiamo.

Con i veicoli di trasporto si attua un'accelerazione della scena e, in un crescendo, l'autore ci prepara all'arrivo delle sagome umane. Compare un corpo, poi seguito, in rapida successione, da altri. A differenza degli oggetti, tali ombre non seguono la lievitazione verso l'alto, ma viag- giano in senso opposto e quindi ʹcadonoʹ verso il basso (fig. 3.50). I primi lenti voli lasciano il posto a suicidi e omicidi che annunciano l'attesa Apocalisse, ma quando il ritmo è pressante e incalzante in un vorticoso movimento di forme e colori, la scena si svuota e la narra- zione lascia il posto alla sola luce, inizio di una nuova era.

3.49

3.49 P. Chan, 2ndLight, Courtesy

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3.50 P. Chan, 1stLight, Courtesy

Greene Naftali, New York 2005. 3.51 P. Chan, 4thLight, Courtesy