La ricerca artistica del XX secolo, che oscilla tra le avanguardie dell'arte minimalista e concettuale, tra la Land art e l'Arte Povera, tra la Body art e la Video art è caratterizzata da alcune significative esperienze in cui aspetti materiali, percettivi e luminosi si sono fusi assieme nel tentativo di coinvolgere sempre di più l'occhio dell'osservatore, ma in generale tutto il suo corpo, sempre più immerso nella fruizione dell'opera d'arte. Con l'etichetta di arte contemporanea si dichiara la fine dei confini tra- dizioni dell'arte attraverso, sia l'utilizzo di materiali e tecniche alterna- tive, sia un nuovo rapporto tra arte, spazio e ambiente. La sensibilità artistica mira a nuove procedure operative, all'aspetto illusionistico e percettivo dell'opera, al coinvolgimento concreto della realtà quotidiana, all'estensione dello spazio artistico.
È dall'Umanesimo-Rinascimento, dalle felici intuizioni di Brunelle- schi e dai testi critici dell'Alberti che le arti visive cominciano a con- frontarsi con le ragioni della scienza cercando un felice connubio che possa essere di arricchimento per il mondo artistico. Proprio la scienza della visione, migliorando gli arbitrari strumenti della rappresenta- zione, garantì al lavoro dell'artista verosimiglianza fenomenica e di- gnità intellettuale prima inesistenti. Nonostante prima del XV secolo le parole di Vitruvio, in epoca augustea, attribuissero all'architetto sa- peri scientifici quali la matematica, geometria, astronomia, medicina, per molto tempo il divario tra arte e scienza rimase incolmabile. Avvicinandoci ai nostri secoli, a partire dall'età del positivismo, la pittura
nuovamente si misura con la scienza della percezione e dell'ottica. Seurat e con lui divisionisti e neoimpressionisti sostenevano che l'immagine pittorica segue leggi specifiche basate sul prodotto dei colori, accostati gli uni agli altri. L'occhio è in grado di integrare i vari pigmenti resti- tuendo coerenza ai soggetti rappresentati. In un clima di fermento indu- striale, di riproducibilità tecnica, di ansia di velocità, l'opera d'arte segue i fondamenti scientifici della visione e dell'applicazione all'arte dei pro- cedimenti propri della nascente tecnologia, rifiutando l'idea simbolica e romantica dell'arte. Allo stesso tempo cresce il desiderio di investigare sulle ragioni oggettive del guardare, del percepire, dell'illuminare, del- l'ingannare otticamente e di creare - come sostiene Umberto Eco - ʹopere aperteʹ23.
L'avanzare sicuro e prepotente della fotografia e del cinema in un clima di grande fermento futurista e costruttivista ha permesso lo sviluppo delle sperimentazioni di Lazlo Moholy-Nagy nel campo visivo. Materiale privilegiato era la luce, elemento insostituibile nei suoi lavori fotografici e nella light painting.
Nel testo The new vision (1930) Moholy-Nagy ha considerato che “...la pittura con la luce è un autentico capitolo nelle utopie artistiche...”. Grande protagonista degli anni '20, l'artista ungherese riflette su un nuovo modo di concepire la fotografia e, in generale, le immagini, sulla composizione della materia e dello spazio, fatti di luci, forme, colori, suoni, superfici e volumi. Soprattutto affina tecniche fotografiche in grado di fissare fenomeni luminosi non percepibili all'occhio umano, modifica cineprese, pellicole, proiettori, schermi, interrogandosi su come proiettare immagini su schermi concavi e convessi o come portare il ci- nema fuori dalle sale cinematografiche, proiettando sulle città, sulle nu- vole, sulla nebbia, coinvolgendo gli spettatori. Sicuramente le sue considerazioni sulla luce, come elemento compositivo principale del- l'arte, e sulla pittura, come composizione pura del colore e della luce, influenzarono autori successivi come Dan Flavin, James Turrell, Olafur Eliasson e i numerosi autori della videoarte e delle videoinstallazioni. Moholy-Nagy era convinto che la pittura dovesse abbandonare la rap- presentazione per abbracciare la configurazione del colore, producendo immagini e forme geometriche astratte, nate da luce proiettata sulla tela come sul cinema. La superficie bidimensionale dei suoi quadri era si-
23Cfr. U. Eco, Opera aperta, Bom-
piani, Milano 2000 (1962). L'autore propone una visione dell'arte con- temporanea in cui si intrecciano mu- sica seriale, letteratura sperimentale, pittura informale e arte cinetica.
nonimo anche di schermo di proiezione, transitando dalla pittura di pig- mento alla pura configurazione di luce; pittura e cinema si fondevano assieme, cercando di estendere i limiti della visione naturale.
Il suo libro, Pittura Fotografia Film mira a superare la visione tradizio- nale della pittura, sfruttando consapevolmente il medium cinematogra- fico per i continui ʹgiochi di luce proiettata con un riflettoreʹ.
Sicuramente le riflessioni, agli inizi del Novecento, di Moholy-Nagy vengono riprese da Lucio Fontana e innovativa è la sua installazione per la XI Triennale di Milano (1951). Un arabesco fluorescente di 200 metri vibra nell'aria evocando il movimento picassiano di una torcia trascinata nell'aria. Fontana, a partire dalla metà del Novecento, realizza numerosi ambienti animati da tubi di luce al neon, aprendo la strada a una vera e propria proliferazione di sperimentazioni e ricerche sulla luce artificiale da parte di vari gruppi (GRAV, MAC, Gruppo Zero, Gruppo N, Gruppo
T) appassionati di arte visuale e cinetica.
Le intuizioni di Gianni Colombo, all'interno del Gruppo T a Milano hanno dato vita a spazi totalmente destabilizzanti adoperando con con- sapevolezza il mezzo elettrico (proveniva da una famiglia di industriali dell'elettricità) e ottenendo risultati legati all'alterazione e manipolazione dell'oggetto. Tutte le neoavanguardie del dopoguerra, che racchiudevano produzioni artistiche collettive, miravano all'astrazione geometrica, a meccanismi azionati elettricamente, a movimenti reali o virtuali al fine di produrre immagini o installazioni studiate per sfruttare l'interazione tra l'occhio del visitatore e la forza perturbante dell'immagine, in conti- nua evoluzione. La tecnologia applicata doveva dimostrare quanto era imprevedibile il campo della percezione.
Il cambiamento sostanziale che avviene con l'avvento del XX secolo ri- guarda il passaggio dalla visione ʹpercettivaʹ della realtà a quella ʹinter- pretativaʹ in cui si perde la funzione imitativa dei canoni del passato a favore di una assoluta libertà espressiva.
Lo storico Ernst Gombrich ammette come il ʹgesto creativo del XX se- colo supera quello dell'ʹocchio che osservaʹ. L'arte tradizionale, trionfo di forme e colori, piace per il bello, per l'equilibrio dei soggetti, per le sfumature dei colori, mentre l'arte contemporanea si qualifica attra- verso il concetto che esprime. L'aspetto estetico viene posto in secondo piano, cercando di avvicinare l'osservatore il prima possibile al signi-
ficato più intimo. Grandi artisti-intellettuali come Marcel Duchamp, De Chirico... privilegiavano come soggetti della rappresentazione forme comuni, banali, a volte inutili, ben lontani dal ʹbuon gustoʹ per attribuire loro significati forti e provocanti.
Si afferma sempre di più una tendenza all'impersonalità, a una fred- dezza emozionale, a un'esaltazione dell'oggettualità e fisicità del- l'opera, a una riduzione del linguaggio pittorico non solo in ambito europeo, ma anche americano. Grandi protagonisti sono Robert Mor- ris, Dan Flavin, Sol LeWitt, Frank Stella, Barnett Newman... in cui si alternano lavori di pittura/scultura con quelli ambientali.
Le opere minimaliste privilegiano semplici volumi geometrici, mo- nolitici, organizzati in forme seriali i cui materiali sono di tipo indu- striale ed edilizio (pannelli in legno, lastre di acciaio inossidabile o alluminio anodizzato, plexiglas, compensato, vetro, mattoni, travi, tubi al neon...). Le installazioni, su superfici orizzontali o verticali, sono strettamente connesse all'ambiente ospitante in modo che le ca- ratteristiche fisiche dello spazio espositivo diventano tutt'uno con l'oggetto artistico, dialogando con suoni e colori. Il rapporto tra l'opera e il contesto, in cui il visitatore rimarrà intrappolato da una serie di relazioni spaziali e volumetriche, anticiperà le successive ri- cerche dell'arte ambientale, in cui, superata la concezione di opera autonoma, svincolata dallo spazio circostante, l'attenzione si sposta verso la dimensione ambientale, parte integrante dell'elaborazione creativa. L'ambiente stesso fornisce spunti di riflessione per la Land-
art, è la natura che garantisce i mezzi fisici dell'opera attraverso ma-
teriali come terra, rocce, sabbia, ghiaia. Gli artisti si avvalgono di forme geometriche primarie, di segni artificiali scavati che sono de- stinati ad essere distrutti dagli agenti atmosferici per ricomporre l'equilibrio iniziale. Ciò che rimane del carattere estremamente effi- mero di tali opere sono spesso fotografie o filmati presenti nei musei, immagini di qualcosa che necessariamente è andato perduto e su cui riflettere per il processo operativo e per l'esperienza in situ.
Autori noti sono Smithson, De Maria, Christo, Serra, Turrell, Ross, le cui opere, spesso di dimensioni ciclopiche, inseguono senza sosta il dialogo tra terra e cielo, giocando sull'impatto emozionale generato dal contrasto o dall'unione tra luce naturale e artificiale.