Dalla lettura del decreto 231/2001 si evince che il modello di responsabilità degli enti si fonda su determinati presupposti.
Anzitutto, la responsabilità dell’ente non sorge in rapporto a qualunque reato, ma soltanto in seguito alla commissione di uno dei reati espressamente elencati nella Sezione III del Capo I del d. lgs. 231/2001, c.d. reati-presupposto.3
Il reato-presupposto deve essere materialmente realizzato da una persona fisica inserita nella struttura dell’ente, che sia legata a quest’ultimo da un rapporto funzionale, nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso (c.d. criterio di imputazione oggettivo).
Inoltre, a carico dell’ente deve poter essere elevato un rimprovero in termini di colpevolezza di organizzazione (c.d. criterio di imputazione soggettivo).
Quanto al criterio oggettivo di imputazione della responsabilità, l’art. 5, comma 1, d. lgs. 231/2001 stabilisce che «l’ente è responsabile per
i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone
3 Il legislatore del 2001 annovera tra i reati-presupposto dalla cui
commissione può scaturire la responsabilità dell’ente: indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (art. 24); delitti informatici e trattamento illecito dei dati (art. 24 –bis); delitti di criminalità organizzata (art. 24 –ter); concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità o corruzione (art. 25); falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (art. 25 –bis); delitti contro l’industria e il commercio (art. 25 –bis.1); reati societari (art. 25 –ter); delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art. 25 –quater); pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25 –quater.1); delitti contro la personalità individuale (art. 25 –quinquies); abusi di mercato (art. 25 –
sexies); omicidio colposo o lesioni colpose gravi o gravissime, commessi
con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (art. 25 –septies); ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (art. 25 –
octies); delitti in materia di violazione del diritto d’autore (art. 25 –novies);
induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 25 –decies); reati ambientali (art. 25 –undecies); impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25 –
che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)».
Dunque, il legislatore, ai fini della ascrizione della responsabilità in capo all’ente, richiede l’esistenza di un particolare rapporto organico, anche di fatto, tra l’autore materiale del reato ed il soggetto collettivo. Sostanzialmente, il reato-presupposto deve essere posto in essere da un soggetto che, all’interno dell’impresa, riveste una posizione apicale (art. 5, comma 1, lett. a), d. lgs. 231/2001) oppure da un soggetto ad esso subordinato (art. 5, comma 2, lett. b), d. lgs. 231/2001).
Inoltre, l’art. 5, comma 1, richiede che l’ente di appartenenza tragga un interesse o un vantaggio dalla commissione dell’illecito.4
Quale sia il significato e la valenza da attribuire al binomio ‘interesse o vantaggio’ costituisce uno dei profili sostanziali del d. lgs. 231/2001 più dibattuti, ed ha portato a diverse tesi interpretative. In particolare, non è chiaro se si tratti di due coefficienti autonomi e complementari o di un criterio di imputazione unitario.
4 Per una più ampia disamina del criterio oggettivo di imputazione della
responsabilità, v. A. ASTROLOGO, Brevi note sull’interesse e il vantaggio
nel D. Ivo n. 231/2001, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2006, n. 1, p. 187.
Dai lavori preparatori emerge chiaramente la volontà del legislatore – avvallata anche dalla giurisprudenza maggioritaria5 – di attribuire, valorizzando il dato letterale, alle espressioni ‘interesse’ e ‘vantaggio’ un significato autonomo e distinto.6
Più specificamente, la tesi della valenza alternativa intende l’interesse in senso soggettivo, quale preordinazione del reato ad un’utilità per l’ente, da valutarsi ex ante, mentre, invece, individua nel vantaggio un requisito oggettivo, da intendersi quale utilità o beneficio effettivamente conseguito dall’ente per effetto della consumazione del reato, pertanto, da verificarsi ex post.7
Considerata l’alternatività dei criteri, per fondare la responsabilità dell’ente sarà sufficiente che si accerti la ricorrenza di uno soltanto di essi.
L’introduzione, ad opera dell’art. 9 della l. 123/2007, delle fattispecie colpose di omicidio e lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela dell’igiene e della sicurezza sul
5 Ex multis, Cass. Pen., sez. IV,5 giugno 2013, n. 24559, House Building
S.p.A, in www.italgiure.giustizia.it; Cass. Pen., sez. V, 4 marzo 2014, n. 10265, Banca Italease S.p.A., in www.italgiure.giustizia.it; Cass. Pen., Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp, in
www.italgiure.giustizia.it: «i criteri dell’interesse e del vantaggio sono
alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato […] mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito».
6 In dottrina, vi è chi preferisce interpretare i due termini «come una endiadi
che addita un criterio unitario», v. D. PULITANO’, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri di imputazione, in Riv. it. dir.e proc. pen., fasc. 2,
2002, p. 425.
7 A. GARGANI, Delitti colposi commessi con violazione delle norme sulla
tutela della sicurezza sul lavoro: responsabile “per definizione” la persona giuridica?, in AA. VV., Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, p.
lavoro nella ‘rosa’ dei reati-presupposto ha creato problemi di applicazione de criterio di imputazione dell’interesse e del vantaggio – strutturalmente concepiti per i reati-presupposto di natura dolosa – dal momento che da tali eventi potranno derivare solo conseguenze negative per l’ente di appartenenza.
La giurisprudenza, al fine di superare il problema, ha proposto di valutare la sussistenza del requisito dell’interesse o vantaggio non con riferimento all’intera fattispecie di reato, ma alla sola condotta tenuta dalla persona fisica nello svolgimento della sua attività per l’ente stesso, inosservante delle norme cautelari, volte a prevenire il verificarsi di un infortunio.8
Dunque, seguendo la ricostruzione in questione, in ambito colposo, l’interesse o vantaggio dell’ente viene tradotto in termini di un risparmio di spesa, derivante dal mancato impiego delle risorse economiche per conformare l’attività produttiva alle norme
8 V., ex multis, Trib. Torino, sez. I, 10 gennaio 2013, in www.penalecontemporaneo.it., con nota di T. TRINCHERA, Infortuni sul
lavoro e responsabilità degli enti ex d. lgs. n. 231/2001: un’altra sentenza di assoluzione. Disorientamento interpretativo o rigoroso garantismo?; Cass.
Pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343, cit.: «i concetti di interesse e
vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico […]. Tale soluzione non determina alcuna difficoltà di carattere logico: è ben possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia posta in essere nell’interesse dell’ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio. […] Tale soluzione non presenta incongruenze: è ben possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali o strategie dell’ente. A maggior ragione vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l’ente».
precauzionali, o di un risparmio di tempo, per l’esplicazione dell’attività produttiva.9
Affinché un fatto illecito si possa addebitare direttamente all’ente, occorre, inoltre, accertare la sussistenza di un collegamento soggettivo tra il reato-presupposto e l’ente stesso, descritto agli artt. 6 e 7 del d. lgs. 231/2001.
In particolare, per la configurabilità di una responsabilità in capo alla persona giuridica è necessaria la sussistenza di una colpa di organizzazione, consistente nel poter rimproverare all’ente la mancanza o il carente funzionamento dei modelli di organizzazione – i c.d. compliance programs del sistema statunitense – volti a prevenire, o quantomeno minimizzare, il rischio della commissione di reati.10
Gli articoli 6 e 7 distinguono a livello di “imputazione soggettiva”, rispettivamente, i reati commessi da soggetti collocati in posizione apicale all’interno dell’ente dai reati commessi da soggetti sottoposti all’altrui direzione,11 prevedendo un diverso regime probatorio della colpa di organizzazione.
L’art. 6, che disciplina l’ipotesi di realizzazione del reato da parte di un soggetto in posizione apicale, pone in capo all’ente l’onere di
9 R. BRICCHETTI – L. PISTORELLI, Responsabili anche gli enti coinvolti, in
Guida al dir., 2007, n. 35, p. 41; Trib. Torino, sez. I, 10 gennaio 2013, cit.
10 C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle
società, Giuffrè, Milano, 2002, p. 333.
11 G. DE VERO, La responsabilità dell’ente collettivo dipendente da reato:
criteri di imputazione e qualificazione giuridica, in G. GARUTI (a cura di), Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato,
dimostrare che la commissione dell’illecito non sia imputabile a carenze organizzative e di controllo interno.
In particolare, l’art. 6, comma 1, stabilisce che «se il reato è stato
commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che: a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;12 c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di vigilanza».
La disposizione in esame, dunque, introduce un’inversione dell’onere della prova della colpevolezza dell’ente: laddove il reato-presupposto sia commesso da un soggetto titolare del potere di rappresentanza e amministrazione – pertanto, in virtù del rapporto di c.d. immedesimazione organica esistente tra il soggetto agente e l’ente di appartenenza, espressivo della voluntas societatis – la persona giuridica, al fine di andare esente da responsabilità, dovrà provare tutta una serie di adempimenti, specificati nell’art. 6, comma 1, lett.
12 A norma dell’art. 6, comma 4, negli enti di piccole dimensioni, tali compiti
a), b), c), d), utili a scagionarla dal rimprovero di una colpa di
inefficiente organizzazione.
Infatti, l’ente non sarà chiamato a rispondere dell’illecito, qualora riesca a dimostrare: l’efficace adozione ed attuazione di modelli di organizzazione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; l’affidamento ad un organismo interno all’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sull’osservanza dei suddetti modelli (il riferimento qui è al c.d. organismo di vigilanza); la realizzazione del reato da parte di soggetti che hanno fraudolentemente eluso i modelli di organizzazione e di gestione; l’omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di vigilanza e di controllo regolarmente costituito.
Solo con il soddisfacimento di tutte e quattro le suddette condizioni l’ente potrà essere ritenuto esente da colpa.
Tuttavia, è stato osservato in dottrina che questa disciplina, al contempo dettagliata e lacunosa, rischia di tradursi in una sorta di
probatio diabolica per l’ente “imputato”.13
In estrema sintesi, il fulcro del sistema di ascrizione della responsabilità degli enti è costituito dalla predisposizione di efficaci modelli di organizzazione e gestione, finalizzati a prevenire la commissione di reati all’interno dell’ente, la cui previa adozione ed efficace attuazione determina l’esenzione da responsabilità dell’ente.
13 S. GENNAI – A. TRAVERSI, La responsabilità degli enti, Giuffrè, Milano,
L’art. 6, delinea, poi, al comma 214, quelli che sono i caratteri essenziali ed indefettibili che tali modelli debbono presentare, affinché possano utilmente adempiere la loro funzione, ossia quella di minimizzare il rischio-reato.15
Sostanzialmente, affinché il modello di organizzazione sia idoneo, all’ente è richiesto di effettuare un’attività di mappatura del rischio- reato, sulla base delle risultanze della quale, introdurre appositi meccanismi procedimentali per la formazione e l’attuazione dei vertici aziendali, per la gestione delle risorse finanziarie e per la trasmissione delle informazioni all’organismo di vigilanza; l’efficace attuazione del modello è poi assicurata dalla predisposizione di un sistema sanzionatorio disciplinare.16
L’art. 7, prende in esame l’ipotesi in cui il reato-presupposto sia commesso da un subordinato.
In particolare, l’art. 7, comma 1, stabilisce che «nel caso previsto
dall’articolo 5, comma 1, lettera b), l’ente è responsabile se la
14 L’art. 6, comma 2, dispone che i modelli organizzativi debbano rispondere
alle seguenti esigenze: «a) individuare le attività nel cui ambito possono
essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello».
15 G. DE SIMONE, I profili sostanziali della responsabilità c.d.
amministrativa degli enti: la “parte generale” e la “parte speciale” del d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in G. GARUTI (a cura di), Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Cedam, Padova, 2002, p. 108.
commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza».
Dunque, il reato-presupposto commesso da un soggetto subordinato sarà ascrivibile all’ente di appartenenza qualora la sua commissione sia stata agevolata dal mancato adempimento degli obblighi di vigilanza e controllo.
Il legislatore, con l’intento di meglio definire il comportamento in concreto richiesto all’ente, dispone, al comma successivo, che non sussiste inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza, con conseguenze esonero da responsabilità, laddove «l’ente, prima della
commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi».
Pertanto, l’ente, al fine di prevenire la commissione di reati e non incorrere in responsabilità, dovrà adottare ed efficacemente attuare – analogamente a quanto disposto nell’art. 6, comma 1, lett. a), in relazione ai reati commessi dai soggetti in posizione apicale – un modello di organizzazione e gestione e predisporre un controllo sull’osservanza e l’adeguatezza del modello stesso.
Provare la mancata adozione e l’efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione sarà onere della pubblica accusa.
3. Le modalità di attuazione dell’obbligo di vigilanza. Il