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La delega di funzioni nel settore di tutela della salute e della sicurezza del lavoro: la positivizzazione dell'elaborazione giurisprudenziale.

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

LA DELEGA DI FUNZIONI NEL SETTORE DI TUTELA DELLA

SALUTE E DELLA SICUREZZA DEL LAVORO:

LA POSITIVIZZAZIONE DELL’ELABORAZIONE

GIURISPRUDENZIALE

Relatore:

Candidato:

Chiar.mo Prof. Alberto Gargani

Federica Marselli

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SOMMARIO

INTRODUZIONE ……….. V

CAPITOLO I

L’INDIVIDUAZIONE DEL SOGGETTO PENALMENTE RESPONSABILE ALL’INTERNO DELLE ORGANIZZAZIONI COMPLESSE: IL RUOLO CRUCIALE DELLA POSIZIONE DI

GARANZIA

1. Origini della delega di funzioni: la divisione del lavoro…………. 2 2. Delega di funzioni e diritto penale dell’impresa………... 5

2.1. La ripartizione dei compiti nelle moderne realtà

imprenditoriali. Esigenze sottese………..…... 5 2.2. L’individuazione dei soggetti responsabili nelle imprese….. 11

2.2.1. Le problematiche sottese all’individuazione dei

soggetti responsabili………..12 2.2.2. I reati propri e le posizioni di garanzia………..13 2.2.3. I criteri di selezione dei garanti ……… 28 3. Delega di obblighi di garanzia e successione nella posizione

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CAPITOLO II

L’ELABORAZIONE GIURISPRUDENZIALE E DOTTRINALE IN MATERIA DI DELEGA DI FUNZIONI

1. Premessa ……… 39

2. Il modello giurisprudenziale di delega ……….. 40

2.1. I requisiti di validità della delega ……….. 40

2.1.1. Le dimensioni dell’impresa ………. 42

2.1.2. La forma della delega e la prova della sua esistenza ... 46

2.1.3. L’idoneità professionale del delegato ……….. 51

2.1.4. L’autonomia decisionale e finanziaria del delegato … 57 2.1.5. Il difetto di ingerenza del delegante nell’esercizio dell’attività delegata………... 60

2.1.6. L’accettazione della delega. La necessità che non vi sia stata richiesta di intervento da parte del delegato… 62 2.1.7. La mancata conoscenza dell’eventuale negligenza o della sopravvenuta inidoneità del delegato... 64

2.1.8. L’obbligo di vigilanza attribuito al delegante ………. 65

3. Effetti della delega elaborati dalla dottrina ………... 67

3.1. La teoria funzionalista ………... 68

3.1.1. Osservazioni critiche ………... 71

3.2. La teoria formale-civilistica ……….. 74

3.2.1. Osservazioni critiche ………... 78

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4. Delega di funzioni e principio di affidamento………...… 83 5. Effetti della delega secondo la giurisprudenza ……….. 88

CAPITOLO III

EVOLUZIONE LEGISLATIVA IN MATERIA DI DELEGA DI FUNZIONI: DAL D. LGS. 626/1994 AL D. LGS. 81/2008

1. Il nuovo volto del diritto penale del lavoro ………... 93 2. La delega di funzioni in materia di sicurezza del lavoro alla

luce del d. lgs. 81/2008 e del decreto ‘correttivo’………. 97 2.1. Il riconoscimento legislativo dell’istituto della delega di

funzioni ……….. 97 2.2. Una preliminare distinzione concettuale: atto di

investitura in ruoli funzionali e delega di funzioni ……….. 100 2.3. Esercizio di fatto di poteri direttivi ……….. 106 2.4. Gli “attori” della delega (titolari e destinatari del potere

di delega) e la questione della subdelega ………. 109 2.5. Le funzioni datoriali non delegabili ……… 116 2.6. Le condizioni di ammissibilità della delega di funzioni …. 120 2.6.1. I requisiti di carattere formale ………... 121 2.6.1.1. La forma ……… 121 2.6.1.2. L’accettazione per iscritto della delega ……. 127 2.6.2. I requisiti di carattere sostanziale ………...128

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2.6.2.1. La competenza tecnica del delegato ………. 128

2.6.2.2. L’autonomia decisionale e di spesa del delegato ………. 132

2.7. La pubblicità della delega ……… 139

2.8. L’irrilevanza delle dimensioni dell’impresa ……… 143

2.9. Specificità della delega ……… 146

2.10. Il residuo obbligo di vigilanza del datore di lavoro e gli effetti di tale nuova previsione sull’efficacia della delega di funzioni ……….. 149

CAPITOLO IV LE INTERSEZIONI TRA LO STATUTO NORMATIVO DELLA DELEGA DI FUNZIONI E LA DISCIPLINA DELLA RESPONSABILITA’ COLLETTIVA 1. Premessa ……….. 156

2. La responsabilità amministrativa degli enti: i presupposti …….. 157

3. Le modalità di attuazione dell’obbligo di vigilanza. Il riferimento ai compliance programs ………... 167

4. I riflessi della delega sulla qualificazione dell’autore del reato... 176

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INTRODUZIONE

All’indomani del terribile incendio, sviluppatosi nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, nello stabilimento torinese della Thyssen-Krupp, provocando la morte di sette operai, il legislatore italiano ha approvato il d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 – noto come Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro – al fine di assicurare al lavoratore una più efficiente ed efficace gestione della sicurezza e dell’igiene dei luoghi in cui egli presta la propria opera.

A tale testo normativo va il merito indiscusso di conferire, finalmente, all’istituto, di matrice giurisprudenziale, della delega di funzioni, una specifica e puntuale disciplina legislativa.

Il trasferimento di funzioni, sviluppatosi principalmente sul terreno della sicurezza del lavoro, consente, nell’ambito dell’organizzazione aziendale, di distribuire poteri e relativi doveri in modo da garantire un più efficace adempimento degli obblighi prevenzionistici.

Il presente elaborato ripercorre la disciplina dell’istituto della delega di funzioni, dalle sue origini fino alla tanto attesa ed auspicata elaborazione legislativa.

La nostra analisi prenderà le mosse dalla ricerca delle ragioni sottese all’istituto in questione. Dopo aver ravvisato alla base della delega un’esigenza di razionalizzazione dei sistemi organizzativi, la nostra indagine proseguirà affrontando la questione dell’individuazione dei

(9)

soggetti responsabili all’interno delle organizzazioni complesse, la quale appare quantomeno problematica. A tal fine un ruolo fondamentale svolge l’istituto della posizione di garanzia.

Proseguiremo, soffermandoci sull’elaborazione giurisprudenziale della delega di funzioni, esaminando i requisiti di validità del trasferimento enucleati dalla giurisprudenza ed i possibili effetti che una delega, validamente conferita, produce sul piano della responsabilità penale. In particolare, prenderemo in esame le tesi dottrinali che si sono divise il campo fino all’entrata in vigore del d. lgs. 81/2008, che ha preso posizione netta in ordine alla efficacia della delega.

Focalizzeremo poi l’attenzione sulla consacrazione legislativa dell’istituto, che vede un primo stadio significativo nell’approvazione dell’art. 1, comma 4 –ter del d. lgs. 626/1994 – il quale, mediante l’individuazione di una serie di poteri non delegabili, consente all’interprete di dedurre a contrariis la delegabilità degli adempimenti ivi non ricompresi – fino ad arrivare alla analitica positivizzazione, nel 2008, ad opera del Testo Unico, dei caratteri della delega, i quali saranno approfonditi, alla luce anche dei più recenti orientamenti applicativi e delle novità legislative.

La trattazione si chiuderà con l’esame di alcuni aspetti della tematica della responsabilità degli enti – introdotta nel nostro ordinamento dal d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità

(10)

associazioni anche prive di personalità giuridica” – utili a

considerarne, successivamente, il collegamento con il trasferimento di funzioni all’interno dell’impresa, avuto riguardo, in particolare, all’adempimento dell’obbligo di vigilanza.

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CAPITOLO I

L’INDIVIDUAZIONE DEL SOGGETTO

PENALMENTE RESPONSABILE ALL’INTERNO

DELLE ORGANIZZAZIONI COMPLESSE:

IL RUOLO CRUCIALE DELLA POSIZIONE DI

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1. Origini della delega di funzioni: la divisione del lavoro.

La divisione del lavoro fa da presupposto alla nascita della delega di funzioni1, istituto giuridico, oggetto del presente elaborato, che data la sua diffusione nella prassi aziendale, quale strumento di organizzazione dell’impresa, costituisce una tematica penalistica di grande interesse e attualità.

L’importanza della divisione del lavoro venne, per la prima volta messa in risalto dal filosofo ed economista scozzese, fondatore dell’economia politica, Adam Smith2 (1723-1790), nel 1776, nella sua celebre opera la Ricchezza delle Nazioni.

L’autore, utilizzando il famoso esempio della ripartizione dei compiti in una fabbrica degli spilli di modestissimo rilievo3, tratto da un

1 La connessione tra delega di funzioni e divisione del lavoro è evidenziata

da tutta la dottrina.

2 Adam Smith affrontò in maniera sistematica i processi che riguardano la

produzione, la distribuzione e il consumo delle merci e le leggi che li governano; spiegò perché nelle società moderne la ricerca che ciascun individuo fa del proprio tornaconto personale può essere compatibile con il benessere collettivo: è la teoria della “mano invisibile” del mercato e della concorrenza.

3 «Un operaio non addestrato a questo compito che la divisione del lavoro

ha reso un mestiere distinto, e non abituato ad usare le macchine che vi si impiegano, all’invenzione delle quali è probabile abbia dato spunto la stessa divisione del lavoro, applicandosi al massimo difficilmente riuscirà a fare uno spillo al giorno e certo non arriverà a farne venti. Ma, dato il modo in cui viene svolto oggi questo compito, non solo tale lavoro nel suo complesso è divenuto un mestiere particolare, ma è diviso in un certo numero di specialità, la maggior parte delle quali sono anch’esse mestieri particolari. Un uomo trafila il metallo, un altro raddrizza il filo, un terzo lo taglia, un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia all’estremità dove deve inserirsi la capocchia; fare la capocchia richiede due o tre operazioni distinte; inserirla è un’attività distinta, pulire gli spilli è un’altra, e persino metterli nella carta è un’altra occupazione a sé stante; sicché l’importante attività di fabbricare uno spillo viene divisa, in tal modo, in circa diciotto distinte operazioni, che, in alcune manifatture, sono tutte compiute da mani diverse, sebbene si diano casi in cui la stessa persona ne compie due o tre. Io ho visto una piccola manifattura di questo tipo dove erano impiegati soltanto

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articolo dell’Encyclopedie di Diderot e D’Alambert, individuava proprio nella divisione del lavoro, nella specializzazione delle mansioni la causa principale del progresso4, dell’incremento della produttività.

Secondo Smith, l’aumento della produttività derivante dalla divisione del lavoro era da attribuire a tre diverse circostanze.

In primis, al fatto che, concentrandosi l’attività di ogni singolo operaio

su una specifica operazione, divenendo quest’ultima l’occupazione della sua vita, aumentava la sua destrezza, la sua abilità.

Smith mette in luce un secondo vantaggio derivante dalla divisione del lavoro: il risparmio di tempo, nel senso che si riducono i tempi morti, che inevitabilmente finirebbero per crearsi nel passaggio da una mansione all’altra, laddove fosse un unico artigiano a svolgere in sequenza tutte le fasi di lavorazione di un prodotto.

dieci uomini e dove alcuni di loro, di conseguenza, compivano due o tre operazioni distinte. Ma, sebbene fossero molto poveri e perciò solo mediocremente dotati delle macchine necessarie, erano in grado, quando ci si mettevano, di fabbricare, fra tutti, circa dodici libbre di spilli al giorno. In una libbra ci sono più di quattromila spilli di formato medio. Quelle dieci persone, dunque, riuscivano a fabbricare, fra tutti, più di quarantottomila spilli al giorno. Si può dunque considerare che ogni persona, facendo la decima parte di quarantottomila spilli, fabbricasse quattromilaottocento spilli al giorno. Se invece avessero lavorato tutti in modo separato e indipendente e senza che alcuno di loro fosse stato previamente addestrato a questo compito particolare, non avrebbero potuto fabbricare neanche venti spilli al giorno per ciascuno, forse neanche un solo spillo al giorno, cioè, certamente neanche la duecentoquarantesima parte, e forse neanche la quattromilaottocentesima parte di quello sono attualmente in grado di fare, grazie a un’adeguata divisione e combinazione delle diverse operazioni», v.

A. SMITH, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Isedi, Milano, 1976, p. 9.

4«La causa principale del progresso nelle capacità produttive del lavoro,

nonché della maggior parte dell’arte, destrezza e intelligenza con cui il lavoro viene svolto e diretto sembra sia stata la divisione del lavoro», v. A.

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Infine, ravvisava un vantaggio in termini di semplificazione del lavoro, grazie all’utilizzazione di macchinari che riproducono le operazioni, che consentivano, dunque, ad un solo uomo di fare il lavoro di molti e, se vogliamo, di “alleviare la fatica”.

Dopo aver evidenziato i vantaggi derivanti dalla divisione del lavoro, Adam Smith in un noto passaggio della Ricchezza delle Nazioni ne “denuncia” gli effetti deleteri sui lavoratori5.

Smith sottolinea che la suddivisione dell’attività lavorativa assicura una maggiore produttività, ma, al contempo, può degenerare in un processo di alienazione dell’operaio, concetto del quale tratterà ampiamente nel XIX secolo il filosofo economista scozzese Karl Marx nella sua opera Manoscritti.

Con l’avvento della Rivoluzione Industriale le prime forme di settorializzazione dell’attività lavorativa culminano con il modello di Taylor, la c.d. catena di montaggio.

Il fenomeno dell’alienazione del singolo addetto alla catena di montaggio è stata efficacemente rappresentata nel 1936 da Charlie Chaplin nel film da lui diretto ed interpretato Tempi moderni.

5 «Con lo sviluppo della divisione del lavoro, l’occupazione della stragrande

maggioranza di coloro che vivono di lavoro, cioè della gran massa del popolo, risulta limitata a poche semplicissime operazioni, spesso una o due. Ma ciò che ferma l’intelligenza della maggioranza degli uomini è necessariamente la loro occupazione ordinaria. Un uomo che spende tutta la sua vita compiendo poche semplici operazioni, i cui effetti oltretutto sono forse sempre gli stessi o quasi, non ha nessuna occasione di applicare la sua intelligenza o di esercitare la sua inventiva a scoprire nuovi espedienti per superare difficoltà che non incontra mai. Costui perde quindi naturalmente l’abitudine a questa applicazione, e in genere, diviene tanto stupido e ignorante quanto può esserlo una creatura umana», v. A. SMITH, Indagine sulla natura, cit., p. 9.

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Assistiamo ad una evoluzione delle forme di organizzazione aziendale, fino ad arrivare, con l’avvento della società moderna, della società del rischio, a modelli sofisticati, in cui la divisione del lavoro non riguarda più solo il momento strettamente esecutivo, ma, come vedremo meglio in seguito, la sfera decisionale, dando luogo a forme di decentramento funzionale.

2. Delega di funzioni e diritto penale dell’impresa.

2.1. La ripartizione dei compiti nelle moderne realtà imprenditoriali. Esigenze sottese.

Data la complessità raggiunta dalla struttura dell’impresa organizzata in forma moderna ed il conseguente moltiplicarsi delle fonti di pericolo e dei beni sottoposti a tutela dalla legislazione 6 , l’imprenditore-datore di lavoro, crescendo la mole, la complessità tecnico-fattuale e l’eterogeneità degli adempimenti, i quali, inevitabilmente, richiedono competenze e conoscenze differenziate, spesso non è in grado da solo di ottemperare agli obblighi che gravano su di lui.

Pertanto, si rende necessaria la cooperazione di più soggetti, alcuni dei quali già indicati dalla normativa speciale insieme alle relative

6 G. TONA, Delega e responsabilità penale, in F. CARINGELLA – R.

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funzioni, altri, invece, liberamente scelti dai vertici tra le varie figure di collaboratori7.

Di fronte alla moderna realtà imprenditoriale è prassi costante che il datore di lavoro affidi adempimenti gestionali a dipendenti dell’azienda di vario livello o a soggetti esterni, stante l’impossibilità concreta che il datore assolva personalmente a tutti i compiti di gestione; ed, a maggior ragione, visto che senza un’articolazione funzionale che distribuisca i compiti e divida il lavoro non vi è alcun fenomeno di attività economica organizzata, come impone l’art. 2082 cod. civ.8.

«Dire organizzazione è dire divisione del lavoro, ripartizione di

compiti e valorizzazione di competenze differenziate».9

Si pone, dunque, l’esigenza per l’impresa moderna, indipendentemente dalla sua grandezza, affinché possa assolvere i compiti richiestili, sia sul piano esecutivo sia su quello amministrativo, di ricorrere a forme di decentramento organizzativo. Ciò vale, in particolare, per l’organizzazione della prevenzione, della sicurezza e dell’igiene, data l’importanza dei beni e degli interessi coinvolti.

Il fenomeno di ripartizione organizzativa viene comunemente chiamato ‘delega di funzioni’10.

7

T. VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale, Giuffrè, Milano, 2006, p. 11.

8 «E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica

organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi»

9 C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale d’impresa, in Riv. trim.

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La delega di funzioni consiste, in termini generali, nel trasferimento, in linea di principio non definitivo e non liberatorio, di poteri e relativi doveri da un soggetto, che ne è titolare ab origine, ad un altro soggetto, il cui omesso o negligente adempimento può dar luogo a responsabilità penale. Il trasferimento di funzioni comporta, dunque, un incremento della sfera dei garanti.

Gli studi in materia originano nel settore della sicurezza del lavoro, ambito in cui per la rilevanza dei beni in gioco, quali la vita, la salute e l’integrità fisica dei lavoratori e per il conseguente copioso novero di obblighi prevenzionistici, di non facile adempimento, finalizzati alla tutela di tali beni, la delega di funzioni è vista come una necessità, date le sue capacità di aumentare in concreto i tassi di sicurezza e di abbattere le perdite economiche relative agli infortuni sul lavoro11. Dunque, il carattere necessario della delega è evidenziato in particolar modo con riferimento a settori nevralgici dell’ordinamento, quale appunto quello della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, caratterizzato dalla presenza di numerose prescrizioni prevenzionistiche in capo all’imprenditore-datore di lavoro.

10In luogo del termine “delega” qualcuno preferisce utilizzare l’espressione

“trasferimento di funzioni” [cfr. A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel

diritto penale dell’impresa, Nardini, Firenze, 1985], per meglio differenziare

l’istituto, anche sul piano linguistico, dalla semplice “delega di operazioni esecutive”, la quale non comporta il passaggio di facoltà decisionali al delegato.

11 A. SCARCELLA, La delega di funzioni, in B. DEIDDA – A. GARGANI (a

cura di), Reati contro la salute e la dignità del lavoratore, Giappichelli, Torino, 2012, p. 99.

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La delega di funzioni, in questa prospettiva, serve ad assicurare una concreta attuazione dei compiti propri dell’imprenditore, il quale avvalendosi delle cognizioni e delle specifiche competenze tecniche dei suoi collaboratori, “colma” eventuali proprie carenze ed ovvia alla impossibilità concreta di seguire direttamente ogni aspetto della vita aziendale.

Il trasferimento della “corona di poteri e doveri” da un soggetto, che ne è titolare ab origine, ad un altro soggetto, in grado quest’ultimo, data la sua vicinanza all’interesse protetto, di esercitare un maggiore e più puntuale controllo, assicura un più capillare adempimento degli obblighi prevenzionistici, pur rimanendo il soggetto titolare ab

origine, garante, di fronte all’ordinamento, dell’effettivo funzionamento di tale mezzo di adempimento, e, dunque, dell’adempimento stesso12.

La delega deriva dal mandato civilistico e si collega all’organizzazione quale strumento necessario per assolvere i compiti dell’impresa, che, data la loro complessità ed eterogeneità, non possono essere più accentrati esclusivamente nel vertice.

L’istituto della delega di funzioni, rappresenta, pertanto, sempre più l’unico modo, potremmo dire l’ “ultima chance”, per adempiere efficientemente ai molteplici obblighi imposti dall’ordinamento

12 D. PULITANO’, Posizioni di garanzia e criteri d’imputazione personale nel

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penale13, in quanto, assicurando una più ampia partecipazione all’attività di impresa, colma la “distanza” di regola esistente tra potere formale e potere reale, tra i vertici aziendali e le fonti di pericolo, nonché il deficit di competenze tecniche specifiche degli obbligati ex lege14, nel tentativo di assicurare una maggiore tutela dei beni esposti al rischio di impresa15 e, al contempo, di evitare che quest’ultimo degeneri in rischio penale16.

Sostanzialmente, la delega di funzioni risponde ad esigenze di articolazione organizzativa e funzionale dei sistemi imprenditoriali, proprio nel tentativo di assicurare un più efficace adempimento, in particolare, degli obblighi prevenzionistici.

L’istituto della delega di funzioni in materia penale non va confuso con l’omonimo istituto previsto per il diritto societario dall’art. 2381 cod. civ.17, sebbene sembri che il primo sia stato costruito sulla falsariga del secondo18.

13

T. PADOVANI, Diritto penale del lavoro. Profili generali., II ed., Franco Angeli, Milano, 1983, p. 66; D. PULITANO’, Posizioni di garanzia, cit., p. 182; C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale dell’impresa, cit., p. 137; A. ALESSANDRI, Impresa (responsabilità penali), (voce) in Dig. Disc.

Pen., XI, Torino, 1996, p. 211; E. PALOMBI, La delega di funzioni, in AA.

VV., Trattato di diritto penale dell’impresa, a cura di Di Amato, I, Padova, 1990, p. 279.

14 T. VITARELLI, Profili penali della delega di funzioni, Giuffrè, Milano, 2008,

p. 3.

15 A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 211.

16 V. MONGILLO, Delega di funzioni e diritto penale dell’impresa nell’ottica

dei principi e del sapere empirico-criminologico, in Riv. trim. dir. pen. econ.,

2005, p. 339.

17 «Salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio

di amministrazione, ne fissa l’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all’ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri.

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L’art. 2381 cod. civ. prevede la possibilità per il consiglio di amministrazione di una società, se lo statuto o l’assemblea lo consentono, di delegare proprie attribuzioni, con alcune specifiche esclusioni di cui al comma 4, ad uno o più dei suoi membri.

Dunque, si tratta di una delega interna all’organo amministrativo, di una redistribuzione dei compiti all’interno del consiglio di amministrazione19, che deve essere espressamente autorizzata o dallo statuto o dall’assemblea dei soci.

La delega di funzioni in senso stretto, invece, trascende l’ottica consiliare e consiste nel trasferimento di funzioni, ad esempio datoriali, anche in difetto di previsioni statutarie e a soggetti, anche estranei alla compagine sociale, privi della qualifica prevista dalla norma extra-penale.

Se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti.

Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.

Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420-ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501-ter e 2506-bis.

Gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società o dalle sue controllate.

Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società».

18 T. VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale, cit., p. 18. 19 C. PEDRAZZI, Gestione d’impresa e responsabilità penali, in Riv. soc.,

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2.2. L’individuazione dei soggetti responsabili nelle imprese.

A fronte di un fatto penalmente rilevante verificatosi nell’esercizio di un’impresa lecita20, si pone l’esigenza di ascrivere la relativa responsabilità in capo ad un soggetto-persona fisica, ad un individuo in carne ed ossa, così come vuole uno dei principi cardine dell’ordinamento penale, sancito e garantito a livello costituzionale, inderogabilmente, dall’art. 27, comma 1, Cost.21, il principio della personalità della responsabilità penale.

Nell’operazione di selezione ed individuazione dei soggetti penalmente responsabili l’istituto della delega di funzioni riveste, come vedremo, un ruolo centrale, evitando inaccettabili responsabilità ‘di posizione’.

Tuttavia, così come ci suggerisce la terminologia utilizzata, ‘delega’, gli accertamenti circa l’esistenza di un’effettiva articolazione funzionale nell’impresa attiene ad un momento distinto e logicamente successivo alla fase, preliminare, dell’individuazione ‘dei soggetti responsabili’.

La delega di funzioni, in sostanza, dà per risolta la fase preliminare circa l’identificazione, nel contesto della struttura organizzativa di impresa, della persona fisica destinataria del precetto penale e coinvolge i riflessi, sul piano della responsabilità, dell’incarico che il

20 Poiché, se l’attività dell’impresa fosse illecita, si parlerebbe non di

criminalità di impresa, bensì di criminalità organizzata e l’inquadramento normativo e le problematiche suscitate sarebbero differenti, v. A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 194.

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soggetto penalmente obbligato già individuato conferisce a terzi per lo svolgimento dei compiti lui attribuiti dall’ordinamento.

Pertanto, è logicamente e cronologicamente doveroso, in primo luogo, affrontare la tematica della “individuazione dei soggetti responsabili nelle imprese”.

2.2.1. Le problematiche sottese all’individuazione dei soggetti responsabili.

La ricostruzione delle responsabilità penali all’interno delle organizzazioni complesse non è affatto agevole.

In primis, perché il diritto penale classico, costruito in forma mono-soggettiva (un offensore e un offeso, individui in carne ed ossa), si trova a confrontarsi con una entità complessa, quale, appunto, l’impresa, le cui dinamiche e la cui struttura possono oscurare l’individuazione dell’autore del fatto22.

All’interno dell’impresa non è facile distinguere i contributi degli individui che vi operano, a causa del processo storico di sempre più marcata “spersonalizzazione”23, che ha interessato la sua attività,

22 A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 198.

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facendola apparire all’esterno come un insieme di contributi non immediatamente distinguibili24.

Inoltre, questa operazione è resa ancora più gravosa dalla presenza nel diritto penale dell’impresa di reati propri, ossia, in generale, di reati suscettibili di essere realizzati solo da determinati soggetti, a cui, dunque, consegue la problematica individuazione del soggetto titolare della qualifica; su tale figura criminosa si innesta l’istituto della delega di funzioni, determinando così una scissione tra l’originaria qualifica extra-penalistica e l’esercizio della corrispondente funzione avente rilievo penalistico, in quanto l’imprenditore-datore di lavoro trasferisce la propria ‘corona di poteri e doveri’ ad altri soggetti che non hanno la qualifica richiesta per l’integrazione del reato, con indubbie ricadute sul piano delle responsabilità penali25.

2.2.2. I reati propri e le posizioni di garanzia.

Il reato proprio è il prototipo di illecito nel diritto penale dell’impresa, ramo del diritto penale che ha a che fare con la sicurezza del lavoro. In particolare, si parla di reato proprio ogni volta che la fattispecie incriminatrice postula in capo al soggetto attivo il possesso di

24 A. ALESSANDRI, Parte generale, in AA.VV., Manuale di diritto penale

dell’impresa, ed. ridotta, Bologna, 2003, p. 54; A. ALESSANDRI, Il primo comma dell’art. 27 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di M.

Branca-A. Pizzorusso, Bologna, 1991, p. 141.

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particolari requisiti, naturalistici o giuridici, di qualità26, come, ad esempio, la qualifica di datore di lavoro, quella di imprenditore o, ancora, quella di amministratore.

Nel reato proprio la qualifica assume il ruolo di elemento costitutivo: ossia, se la condotta fosse realizzata da un soggetto non in possesso della qualifica, risulterebbe lecita o irrilevante (come ad esempio accade nel reato di bancarotta, cd. reato proprio esclusivo), o ancora, determinerebbe la configurabilità di un diverso titolo di reato (ad esempio, peculato/appropriazione indebita, cd. reato proprio non esclusivo)27.

La qualità o lo “status” del soggetto attivo esprime una particolare relazione esistente tra il bene giuridico tutelato, l’interesse protetto, e il soggetto qualificato, il quale si troverebbe in una posizione privilegiata, in quanto, vi sono beni giuridici che possono essere lesi soltanto o maggiormente da persone aventi particolari requisiti.

Vi sono reati che, pur apparendo reati comuni28, dato che il legislatore utilizza, per designarne il soggetto attivo, l’espressione “chiunque”, sono, di fatto, dei reati propri, in quanto non sono suscettibili di essere realizzati ed integrati da tutti i consociati indistintamente, ma soltanto da una cerchia ristretta di essi; sostanzialmente, soltanto da coloro che

26 E. VENAFRO, Reato proprio (voce), in Dig.Disc.Pen., XI, Torino, 1996,

337.

27 E. VENAFRO, Reato proprio, cit. p. 337.

28 I reati comuni sono suscettibili di essere realizzati da chiunque, senza

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si trovano in una particolare situazione, da coloro che sono qualificati da uno specifico legame fattuale o giuridico con il bene.

Il riferimento qui è al reato omissivo29, la cui ratio sta in esigenze prevenzionistiche, nel senso che l’ordinamento penale pone in capo a determinati soggetti obblighi di azione per tutelare i beni in gioco, data la loro fondamentale importanza, come accade appunto nell’ambito della sicurezza del lavoro.

La responsabilità penale da illeciti d’impresa ha in prevalenza natura omissiva.

I reati omissivi possono essere distinti in due tipologie, i reati omissivi propri e i reati commissivi mediante omissione30 (o reati omissivi impropri)31.

In entrambi i casi, la responsabilità penale sorge dalla violazione di un obbligo giuridico32 posto in capo al soggetto attivo: di agire, nei reati omissivi propri, di impedire il verificarsi di un evento in senso naturalistico, nei reati omissivi impropri.

29 L’omissione consiste nel mancato adempimento di un obbligo di agire

imposto da una norma di legge. L’omissione è un concetto normativo, nel senso che è riconoscibile soltanto tramite il riferimento ad una norma giuridica, la quale prescrive il compimento di un’azione considerata doverosa dall’ordinamento giuridico.

30 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Giuffrè, Milano,

1979.

31 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Giuffrè, Milano, 1983; per una

approfondita disamina del reato omissivo improprio v. F. SGUBBI,

Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Cedam,

Padova, 1975.

32 L’aggettivo “giuridico” sta a significare che si tratta di un obbligo la cui

fonte è rinvenibile nella legge. La dottrina maggioritaria ritiene che la fonte di tale obbligo può essere rintracciata anche nei contratti (sia tipici che atipici) o nella precedente azione criminosa. Alcuni autori, tra cui ANTOLISEI, aggiungono ulteriori fonti, la negotiorum gestio e la consuetudine.

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Dunque, in entrambe le situazioni il pilastro su cui si fonda la responsabilità è l’obbligo giuridico, il quale svolge altresì una importante funzione selettiva dei soggetti che possono essere chiamati a rispondere dell’omissione, dal momento che l’obbligo grava esclusivamente su determinati soggetti, ovvero su coloro che, in ragione del particolare rapporto con il bene protetto, risultano essere suoi destinatari, ossia i titolari della posizione di garanzia33.

La posizione di garanzia rappresenta, come vedremo nel prosieguo, il fondamento dei presupposti della responsabilità omissiva, in particolare della responsabilità per mancato impedimento dell’evento. Il tradizionale criterio utilizzato dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria, non solo italiana, per tracciare la linea di demarcazione tra le due forme di illecito omissivo è quello che fa leva sulla necessaria presenza o meno di un evento come requisito strutturale del fatto di reato34.

In particolare, i reati omissivi propri35 consistono nell’omissione di un’azione richiesta da una norma penale, senza che sia necessario che a ciò consegua un evento36, ad esempio l’omessa installazione dolosa

33 AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, II ed., Monduzzi, Bologna,

2000, p. 58.

34 G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 7 ed.,

Zanichelli, 2014, p. 619. Altra parte della dottrina, ritiene, invece, preferibile operare la distinzione tra reati omissivi propri e reati omissivi impropri sulla base della diversa tecnica di tipizzazione; il reato omissivo improprio è carente di una previsione legislativa espressa, a differenza del reato omissivo proprio che è direttamente configurato come tale dal legislatore penale.

35 I reati omissivi propri sono reati di mera condotta.

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di dispositivi antinfortunistici, ex art. 437 cod. pen., o ancora, l’omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro ex art. 451 cod. pen.37.

I reati omissivi impropri 38 , invece, consistono nel mancato impedimento di un evento lesivo tipico da parte di un soggetto che aveva l’obbligo giuridico di impedirlo.

Quest’ultima categoria criminosa, alla quale sono da ricondurre la maggior parte degli illeciti verificatisi nell’ambito dell’impresa, non è tipizzata, non è espressamente regolata dal legislatore nelle disposizioni di parte speciale, a differenza del reato omissivo proprio39; bensì, è ricavabile dal combinato disposto tra la clausola generale di equivalenza sancita dall’art. 40, comma 2, cod. pen.40 e le singole fattispecie di parte speciale41, concepite in origine dal legislatore come fattispecie commissive (es. omicidio, lesioni personali, etc.), che verranno in rilievo volta per volta, poiché

37 L’art. 437 c.p. e l’art. 451 c.p. rivestono un ruolo centrale nella normativa

penale attinente alle cautele antinfortunistiche. Per molti anni, prima dell’entrata in vigore dei decreti presidenziali degli anni ’50, sono state le uniche disposizioni inerenti alla prevenzione antinfortunistica per gli aspetti penalistici, rappresentando i cardini del microsistema penale che assumeva come specifico oggetto l’integrità e l’incolumità delle persone operanti nei luoghi di lavoro. Per una approfondita disamina degli articoli sopra citati, v. A. ALESSANDRI, Cautele contro disastri o infortuni sul lavoro (omissione o

rimozione), in Dig. Disc. Pen., vol. II, Torino, 1988, p. 145.

38 I reati omissivi impropri sono reati di evento.

39 Nei reati omissivi propri l’obbligo giuridico di attivarsi è cristallizzato nella

stessa fattispecie incriminatrice, la quale incorpora, al contempo, l’obbligo di agire e il suo destinatario, e la sanzione in caso di inosservanza di detto obbligo.

40 “Non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire,

equivale a cagionarlo.”

41 Non tutti i reati commissivi di parte speciale possono essere tradotti in

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contenenti l’evento che il soggetto ha “cagionato” con la sua condotta inerte o difforme da quella richiesta.

Come è stato opportunamente osservato da autorevole e consolidata dottrina42, il giudizio di equivalenza tra l’agire e l’omettere presuppone che il soggetto obbligato rivesta una posizione di garanzia nei confronti del bene protetto.

Pertanto, ad avviso di tale indirizzo, affinché si configuri una posizione di garanzia (Garantenstellung), oltre alla titolarità dell’obbligo giuridico di impedire e alla relativa efficacia probabilmente impeditiva dell’azione doverosa, è necessario che il garante disponga dei concreti poteri di intervento, impeditivi dell’accadimento lesivo43.

Dunque, l’incombenza in capo ad un soggetto di un obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo in funzione di tutela del bene e il riconoscimento da parte dell’ordinamento dei poteri giuridici necessari all’adempimento del predetto obbligo di agire e alla salvaguardia dell’integrità del bene sono condizioni imprescindibili e necessarie affinché si configuri in capo al soggetto una posizione di garanzia.

42 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit.; G.

GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit.; T. PADOVANI, Diritto penale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 137; G. A. DE FRANCESCO, Diritto penale. I

fondamenti, Giappichelli, Torino, 2011, p. 188.

43 Circa la necessaria correlazione tra “potere di agire” ed “obbligo di

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Le Garantenstellung, pur consistendo sempre in un vincolo di tutela, cd. “tutela rafforzata”44, tra determinati soggetti ( i garanti) ed un bene protetto, stante l’incapacità, totale o parziale, del titolare di proteggerlo adeguatamente ed autonomamente45, possono essere distinte in posizioni di garanzia fondate su obblighi di protezione e posizioni di garanzia fondate su obblighi di controllo46.

All’interno delle organizzazioni complesse rivestono un ruolo di centralità le posizioni di controllo.

Le posizioni di controllo, a differenza di quelle di protezione, che sono volte alla protezione di un determinato bene giuridico, al quale offrono una tutela a 360° (ossia nei confronti di tutti i pericoli che lo minacciano), quale che sia la fonte da cui promanano, consistono nel presidiare una fonte di pericolo, affinché quest’ultima non possa determinare effetti pregiudizievoli nei confronti dei soggetti che possono interagire con la medesima.

Dunque, nelle posizioni di controllo il rapporto si instaura non tra garante e bene, come avviene, invece, nelle posizioni di protezione, bensì tra garante e fonte di pericolo, dal momento che, il compito del garante è rivolto in primo luogo a neutralizzare una concreta fonte di

44 Si parla di ‘tutela rafforzata’ in quanto è volta a riequilibrare la situazione

di inferiorità in cui versano certi soggetti.

45 G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, 3 ed.,

Zanichelli, Bologna, 1995, p. 549.

46 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 132;

diversamente da G. FIANDACA, che in linea con la dottrina penalistica tedesca sposa la bipartizione funzionale delle posizioni di garanzia, G. GRASSO enuclea una terza ed autonoma classe di obblighi di garanzia, fondata sull’obbligo di impedire gli altrui reati, v. G. GRASSO, Il reato

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pericolo in modo da salvaguardare l’integrità di tutti i beni giuridici che possono, in vario modo, risultare coinvolti47, fino a comprendere, secondo la giurisprudenza, la protezione dei lavoratori dalle attività criminose di terzi48.

L’importanza delle posizioni di controllo, specie nell’ambito della disciplina antinfortunistica, è giustificata dal fatto che la moderna attività di impresa, valutata nel suo aspetto dinamico, espone a rischio un’enorme varietà di beni giuridici. Le proiezioni offensive che scaturiscono da tale attività escono “dalle mura della fabbrica”, hanno ricadute nocive su cerchie sempre più vaste di individui49, i quali sono privi del potere giuridico, talvolta anche fattuale, di intervenire sui fattori di rischio50.

Secondo l’opinione più diffusa, la posizione di controllo consiste nell’affidamento ad un garante della tutela dei beni altrui esposti ad una determinata fonte di pericolo, sulla quale il garante medesimo ha poteri di disposizione e di organizzazione, rientrando nella sua sfera di signoria, fattuale e giuridica51, sul presupposto che il titolare del bene

47 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 189. 48 Cass. Civ., sez. LL, 17 luglio 1992, n. 8724, in Riv. giur. lav., 1992, II, p.

988; Cass. Civ., sez. LL., 6 settembre 1988, n. 5048, in Mass. giur. lav., 1988, p.648.

49 A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 196.

50 T. VITARELLI, Profili penali della delega di funzioni, cit., p. 107.

51 I. LEONCINI, L’obbligo di impedire l’infortunio, in F. GIUNTA - D.

MICHELETTI (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di

lavoro, Giuffrè, Milano, 2010, p. 107; T. VITARELLI, Profili penali della delega di funzioni, cit. p. 107.

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giuridico minacciato non è in grado da solo di proteggerlo adeguatamente52.

Sostanzialmente, affinché si configuri la posizione di garanzia in questione, debbono verificarsi due condizioni: che il titolare del bene giuridico esposto al pericolo versi nella impossibilità di difenderlo autonomamente e che il garante sia in grado di “signoreggiare” la fonte di pericolo, adottando le misure necessarie atte a neutralizzarla. Dunque, l’incolumità del soggetto minacciato finisce, necessariamente, col dipendere dalle cautele predisposte da chi ha sotto il proprio controllo la cosa pericolosa53.

Non vi è dubbio che ad essa sia riconducibile la posizione del datore di lavoro, designato, dalle diverse leggi e pronunce giurisprudenziali54 che si sono succedute nel tempo in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, come il principale garante della sicurezza.

Il datore è chiamato a presidiare le fonti di pericolo, da cui possono scaturire rischi per la vita e l’integrità fisica dei lavoratori, adottando, ad esempio, cautele e strumenti antinfortunistici in rapporto all’utilizzazione di un macchinario pericoloso per l’incolumità altrui. Nel paradigma della posizione di controllo su fonti di pericolo rientrano anche casi, frequenti nell’ambito del sistema prevenzionistico, in cui il garante è obbligato ad impedire l’agire

52 I. LEONCINI, L’obbligo di impedire l’infortunio, cit. p. 107. 53 G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 651.

54 Tra le varie pronunce, Cass. Pen., sez. IV, sent. 21 dicembre 2010 n.

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illecito di un terzo, sul cui operato è tenuto a vigilare e che, a seconda dell’ambito in cui si innesti la posizione di garanzia in esame, versi in uno stato di incapacità, per cui non è in grado di governare in modo responsabile il proprio comportamento55.

Il tratto caratteristico di tale posizione di garanzia, volta ad impedire che il soggetto sottoposto alla vigilanza commetta azioni pregiudizievoli della vita e dell’incolumità fisica altrui, è rappresentato dall’attività di contrasto, di interferenza del garante, il quale deve intervenire per interrompere e neutralizzare un processo causale innescato dalla condotta criminosa del terzo, limitando così la libertà di autodeterminazione di costui56.

Secondo l’opinione prevalente 57, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, il mancato impedimento dell’altrui reato da parte del garante da luogo ad una responsabilità concorsuale tra garante e terzo nel reato commesso da quest’ultimo, ad un concorso mediante omissione in reato commissivo.

55 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 193. 56 T. VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale, cit., p. 342. 57 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 176 e ss.;

G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 139 e ss.; M. ROMANO,

Commentario sistematico, I, III ed., Giuffré, Milano, 2004, p. 379; L. BISORI, L’omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 1339 e ss.; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Giappichelli,

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È possibile, secondo autorevole dottrina58, ravvisare nell’art. 41 Cost.59 il fondamento costituzionale del sistema di tutela penale della sicurezza ed igiene del lavoro.

L’art. 41 Cost. sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata e, al contempo, riconoscendo nell’impresa una fonte di pericoli, non solo per coloro che prestano lavoro al suo interno, ma anche per la salute pubblica, pone limiti allo svolgimento della stessa, consistenti nel rispetto della sicurezza, libertà e dignità dei singoli.

Anche nella legislazione ordinaria riscontriamo disposizioni dalle quali è dato desumere la posizione di garanzia del datore di lavoro-imprenditore.

In primo luogo l’art. 2086 cod. civ.60, che individua nel datore di lavoro il “capo dell’impresa” e gli conferisce il compito di controllare le fonti di pericolo esistenti all’interno della stessa, comprensivo del

58 C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale dell’impresa, cit., p.

128; D. PULITANO’, Igiene e sicurezza del lavoro (tutela penale), in Dig.

Disc. pen., Torino, 1992, VI, p. 104; A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 201. Contra, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 237, per l’eccessiva

indeterminatezza della norma, che non indica né il soggetto che dovrebbe assumere il ruolo di garante, né definisce l’impegno da questo assunto.

59 «L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

60 «L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente

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dovere di impedire la commissione di reati da parte dei suoi collaboratori61.

Più espressivo nella ricerca della fonte dell’obbligo di garanzia del datore di lavoro è l’art. 2087 cod. civ.62, che ha sempre rappresentato, e continua tutt’ora a rappresentare il referente normativo sul quale viene fondata l’esistenza di un obbligo di protezione a carico del datore di lavoro63.

In particolare, l’art. 2087 cod. civ. prescrive all’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

In sostanza, in capo all’imprenditore-datore di lavoro incombe una posizione di garanzia originaria, riassuntiva di poteri e obblighi di prevenzione su di lui incombenti, tra i quali la predisposizione delle misure e delle cautele finalizzate a prevenire gli infortuni e le malattie professionali dei lavoratori.

Secondo autorevole dottrina64, l’art. 2087 cod. civ. costituisce l’espressione del limite posto dall’art. 41, comma 2, Cost. al libero esercizio dell’attività economica, la quale in primo luogo deve

61 Scorge nell’art. 2086 c.c. la fonte della posizione di garanzia

dell’imprenditore-datore di lavoro, T. PADOVANI, Diritto penale del lavoro, cit., p. 71.

62 «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure

che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

63 D. MICHELETTI, I reati propri esclusivi del datore di lavoro, in F. GIUNTA

– D. MICHELETTI (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei

luoghi di lavoro, Giuffrè, Milano, 2010, p. 209.

64 V. per tutti, G. MARANDO, Il sistema vigente della sicurezza del lavoro,

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salvaguardare la salute di tutti gli individui, in particolare i lavoratori, coinvolti dall’attività imprenditoriale.

Per molti anni, l’art. 2087 cod. civ. è stato invocato dalla giurisprudenza nelle decisioni circa l’accertamento della responsabilità penale del datore di lavoro, quale parametro di valutazione del dovere di diligenza che incombe sul datore di lavoro nel campo della sicurezza.

Sostanzialmente, la giurisprudenza faceva riferimento a tale articolo per definire le regole cautelari cui l’imprenditore c.d. modello si sarebbe dovuto conformare, la cui eventuale trasgressione avrebbe dato origine ad una ipotesi di colpa generica.

A partire dalla seconda metà degli anni ’50, con l’avvento della ricca legislazione prevenzionistica, caratterizzata da una marcata settorialità, l’art. 2087 cod. civ., grazie alla sua portata generale, è in grado di colmare le residuali lacune del diritto positivo ed anche di adattarsi al progresso tecnico.

In tema di infortuni sul lavoro, sostanzialmente, affinché si configuri la responsabilità del datore è sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato a causa dell’omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all’imprenditore dall’art. 2087 cod. civ. finalizzati ad una efficace tutela dell’integrità fisica del lavoratore. Vedremo che, la legislazione speciale antinfortunistica, a partire dalla seconda metà degli anni ’50 e compiutamente con il d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, noto come Testo Unico in materia di salute e sicurezza

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nei luoghi di lavoro, con l’intento di assicurare un più efficace ed efficiente adempimento degli obblighi prevenzionistici, predispone, una pluralità di centri di imputazione della responsabilità, creando così, in sostanza, ulteriori posizioni di garanzia, accanto a quella principale del datore di lavoro, garante degli interessi dei dipendenti e, in generale, di tutti coloro che operano nell’ambito dell’impresa65. Basti pensare all’art. 299 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 8166, che consacra a livello positivo la suddivisione dell’obbligo di sicurezza fra datore di lavoro, dirigente e preposto.

I precetti antinfortunistici prevedono a carico di ciascuna figura una determinata quota di fattispecie contravvenzionali proprie, più precisamente reati omissivi di pericolo, volti ad anticipare la tutela dei beni in gioco di fronte a situazioni tipiche di rischio connaturate all’attività lavorativa.

Dunque, la normativa antinfortunistica individua quali responsabili della sicurezza ed igiene del lavoro, oltre al datore di lavoro, altri soggetti, quali i dirigenti ed i preposti, puntualizzando così il generico obbligo di prevenzione sancito dall’art. 2087 cod. civ., creando un

65 Nella seconda metà degli anni ’50 sono state emanate una serie di

norme, tra cui vale la pena menzionare il d.P.R. 547/1955 in materia di prevenzione degli infortuni e il d.P.R. 303/1956 in materia di prevenzione dell’igiene del lavoro, che hanno regolato la prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro, sostanzialmente, per oltre cinquanta anni, fino all’entrata in vigore del d. lgs. 81/2008, il quale ha portato rilevanti innovazioni al quadro della sicurezza del lavoro, tra cui, in particolare, una assai rilevante ai fini della mia indagine: il T.U. 81/2008 definisce puntualmente l’istituto della delega di funzioni, oggetto del mio elaborato.

66 «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1,

lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti».

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“sistema di sicurezza” in ogni luogo di lavoro, concentrandosi sempre le scelte strategiche, le scelte di fondo che debbono orientare l’organizzazione aziendale nel vertice67.

Vedremo poi nel prosieguo che, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, occorre distinguere il fenomeno della investitura in ruoli funzionali tipizzati dalla legge, quali appunto quello di datore di lavoro, dirigente e preposto, e la vera e propria delega di funzioni, che comporta il decentramento dei poteri decisionali e delle relative responsabilità dal soggetto che ne è titolare

ope legis ad altro soggetto.

La singola Garantenstellung può presentare, dunque, carattere originario, ove essa sorga direttamente dalla legge in capo ad un determinato soggetto, oppure derivato, qualora sia il risultato di un effettivo trasferimento delle funzioni di garante, della corona di poteri e doveri, dal titolare originario ad un altro soggetto, cd. delega di funzioni 68.

Dunque, in quest’ultimo caso il garante derivato si affianca al garante originario, nel senso che costui rimane titolare della propria posizione di garanzia, il suo obbligo non si estingue, ma muta di contenuto, in quanto, a seguito della delega, non consiste più nella gestione diretta e nel controllo della fonte di pericolo, ma nella vigilanza sull’operato del delegato.

67 D. MICHELETTI, Reati propri esclusivi del datore, cit., p. 215.

68 T. VITARELLI, Profili penali della delega di funzioni, cit., p. 106; I.

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Laddove il garante originario non adempia correttamente ed efficacemente a tale obbligazione, dell’illecito, dovrà risponderne, in forma concorsuale, insieme al delegato, in quanto non ha impedito con il proprio comportamento omissivo l’evento lesivo che aveva l’obbligo giuridico di impedire, in virtù della clausola di equivalenza di cui all’art. 40, comma 2, cod. pen.69.

2.2.3. I criteri di selezione dei garanti.

Dalle considerazioni fin qui svolte emerge che i reati propri e ad essi assimilati portano in superficie vere e proprie posizioni di garanzia70 e che, sostanzialmente, la ricerca della persona fisica penalmente responsabile entro l’ente organizzato si traduce nella ricerca del garante.

Circa i criteri per l’individuazione del soggetto responsabile nell’ambito delle imprese, del garante originario, la giurisprudenza, per molti anni, ha oscillato tra due posizioni estreme.

Il primo orientamento, c.d. criterio formale, ancora le responsabilità nel vertice dell’impresa, dunque, nel legale rappresentante dell’ente.

69 A. SCARCELLA, La delega di funzioni, cit., p. 93. 70 A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 201.

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Si è osservato che lo stesso art. 41 Cost. orienta verso il vertice dell’impresa, ricollegando all’ “iniziativa” l’obbligo di farsi carico degli interessi sovraordinati alla sfera economica71.

Il secondo orientamento, c.d. criterio funzionale, invece, blocca l’indagine al puro momento fattuale, imponendo, cioè, di guardare alle mansioni svolte in concreto, il cui esercizio è stato la “causa” prossima dell’evento lesivo, determinando così uno scivolamento delle responsabilità verso il basso72.

Si assiste, dunque, in entrambe queste posizioni, ad un rischioso processo di semplificazione nell’accertamento delle responsabilità, con indubbi vantaggi dal punto di vista probatorio, dal momento che, essendoci sempre un vertice ed una base, l’applicazione del peso sanzionatorio è senz’altro garantita, ma si paga, per contro, il prezzo di uno scarsissimo rispetto del canone della personalità della responsabilità penale sancito dall’art. 27, comma 1, Cost.73, laddove la condotta del singolo sia riferibile, in realtà, ad una “politica di impresa”, e della quale costui altro non è che un mero esecutore74. Entrambi gli orientamenti in questione, chiamando in causa, l’uno, il legale rappresentante, l’altro, l’ultimo anello operativo, sono accumunati dalla scelta di non confrontarsi con il dato

71 C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale d’impresa, cit., p. 137. 72 A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 197; AA. VV., Manuale di diritto penale

dell’impresa, cit., p. 59.

73 AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, cit., p. 59; A.

ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 198 e ss.; T. PADOVANI, Diritto penale del

lavoro, cit., p. 47.

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dell’organizzazione che connota l’attività di impresa, la quale assicura il perseguimento degli obiettivi imprenditoriali e una miglior protezione agli interessi antagonisti.

Gli orientamenti in questione danno vita a forme diverse, ma sostanzialmente omologhe, di c.d. responsabilità di posizione75. Dunque, per non incorrere in tali rischi, la soluzione più corretta è quella di tener conto sia delle indicazioni formali sia di quelle funzionali, dunque sia della qualifica formalmente spettante al soggetto, sia delle funzioni concretamente svolte, c.d. teoria organica76.

Occorre, in primo luogo, individuare a quale delle funzioni in cui si articola l’impresa è riferibile il deficit di sicurezza o di garanzia. Dopo di che è necessario guardare all’organigramma aziendale, alle norme interne della struttura organizzativa, per individuare la persona fisica titolare della funzione alla quale è riferibile il deficit di sicurezza e di garanzia, colui cioè che può governare, “signoreggiare” la stessa, in virtù dei poteri che normalmente gli sono conferiti 77. Dunque, dal momento che la funzione è impersonale, per rendere “personale” il rimprovero è indispensabile ripercorrere la struttura aziendale e, in questo modo, risalire alla posizione alla quale è

75 A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 198.

76 A. SCARCELLA, La delega di funzioni, cit., p. 92. 77 A. ALESSANDRI, Impresa, cit., p. 205.

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conferito l’autonomo potere di controllare i fattori che hanno cagionato l’offesa78.

Di regola, alla conclusione di questo primo livello dell’indagine, risultano coinvolti i vertici dell’impresa, in quanto i poteri di gestione e di organizzazione degli uomini e dei mezzi sono conferiti ai soggetti che rivestono posizioni apicali all’interno dell’azienda79.

In giurisprudenza è, invece, dominante il ricorso al criterio che fa leva sulle mansioni in concreto svolte80, cd. principio di effettività.

Questo orientamento è avvallato, peraltro, dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 81.

Secondo le Sezioni Unite, l’identificazione dei soggetti obbligati deve fondarsi non sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, benché si lasci pur sempre in capo al vertice la responsabilità per i difetti strutturali.

78 AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, cit., p. 61. 79 AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, cit., p. 62.

80 Cass., 20 aprile 1989, in Riv. pen., 1990, p. 182, «in tema di infortuni sul

lavoro, l’individuazione dei soggetti destinatari della relativa normativa deve essere operata sulla base dell’effettività e concretezza delle mansioni e dei ruoli svolti»; Cass., 22 marzo 1989, in Riv. pen., 1990, p. 89, «in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro l’individuazione dei destinatari dell’obbligo di attuare le norme di sicurezza va fatta con riferimento alle mansioni disimpegnate n concreto e non alla qualificazione astratta del rapporto esistente tra i diversi soggetti».

81 Cass., sez. un., 1 luglio 1992, in Riv. pen., 1993, p. 177: «La

individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull’igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale). […] così, per i difetti strutturali […] la responsabilità non può che essere individuata nel soggetto posto al vertice dell’Ente, mentre le deficienze inerenti all’ordinario buon funzionamento di carattere occasionale delle strutture stesse […] vanno riferite ai titolari dei servizi, cui è attribuita piena autonomia tecnica e funzionale dalla normativa vigente».

(42)

Dunque, si ritiene debba rispondere della violazione delle norme antiinfortunistiche non solo colui il quale non le osservi o non le faccia osservare essendovi istituzionalmente tenuto, ma anche chi, pur non avendo nell’impresa una veste istituzionale formalmente riconosciuta, si comporti di fatto come se la avesse e impartisca ordini nell’esecuzione dei quali il lavoratore subisca danni per il mancato rispetto della normativa a presidio della sua sicurezza82.

Dopo aver individuato la persona fisica tenuta a garantire gli interessi penalmente tutelati nell’ambito dell’attività di impresa, occorre verificare se costei abbia conferito ad altri l’incarico per lo svolgimento dei compiti a lei attribuiti dall’ordinamento.

L’indagine potrebbe bloccarsi al primo livello, laddove si tratti di obblighi di garanzia che abbiano natura strettamente personale, che richiedano cioè un adempimento manu propria da parte del soggetto titolare originario83. Da quest’ultima considerazione è possibile ricavare che la funzione delegata debba rientrare nel novero di quelle trasferibili84.

Dunque, come abbiamo già affermato in precedenza, la tematica della delega di funzioni si colloca su un livello distinto ed ulteriore rispetto a quello, preliminare, dell’individuazione del garante primario, del

82 Cass., sez. IV, 18 dicembre 2002, in C.E.D. Cass., n. 226339.

83 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 200; F.

MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 5 ed., Cedam, Padova, 2007, p. 164.

(43)

destinatario del precetto penale o dell’obbligo giuridico di cui all’art. 40, comma 2, cod. pen..

La delega è stata individuata, rispetto a strutture complesse, quali quelle imprenditoriali, come lo strumento per meglio organizzare l’attività lavorativa e gli obblighi in materia di sicurezza, ripartendo, dunque, anche le relative responsabilità.

In questo modo, si rende possibile identificare i soggetti che, pur avendo le possibilità concrete per intervenire in materia di sicurezza, abbiano tenuto un comportamento negligente, imprudente o imperito; a tali soggetti, quindi, è possibile rimproverare la colpa e addebitare la conseguente responsabilità penale, recuperando, a parere della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, il canone di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, comma 1, Cost., ed evitando così di punire soggetti a titolo di responsabilità oggettiva, sulla base della mera posizione ricoperta.

3. Delega di obblighi di garanzia e successione nella posizione di garanzia.

Nell’area tematica del trasferimento di posizioni di garanzia si possono distinguere due tipologie di casi, il trasferimento di obblighi

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