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Sappiamo che il d. lgs. 231/2001, ai fini dell’ascrizione della responsabilità a carico dell’ente richiede che essa origini dalla commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di un reato- presupposto, da parte di un soggetto legato al medesimo da un rapporto funzionale, e che possa essere elevato nei confronti dell’ente stesso un rimprovero in termini di colpevolezza di organizzazione. In particolare, per quanto attiene al criterio soggettivo di imputazione – la c.d. colpa di organizzazione – occorre distinguere l’ipotesi in cui il reato-presupposto sia materialmente realizzato da un soggetto che si trovi in posizione apicale, dall’ ipotesi in cui l’illecito sia posto in essere da un soggetto sottoposto all’altrui direzione; poiché, a seconda che il reato sia commesso da un apicale o da un subordinato, muta la disciplina dell’onere probatorio: qualora l’illecito sia realizzato da un apicale spetterà alla persona giuridica, al fine di andare esente da responsabilità, dimostrare di aver ottemperato a tutta una serie di adempimenti indicati all’art. 6, al contrario, qualora il reato sia commesso da un sottoposto, sarà, ex art. 7, la pubblica accusa a dimostrare il deficit organizzativo che ha favorito la realizzazione del medesimo.

Pertanto, in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, laddove, all’interno di un ente ci si sia avvalsi dell’istituto della delega di funzioni, si pone l’esigenza, ai fini di individuare, in concreto, se

debba essere applicato l’art. 6 oppure l’art. 7, di capire se il delegato debba essere considerato un apicale o un subordinato.

Secondo parte della dottrina, il delegato dovrebbe sempre essere qualificato come apicale, poiché, anche quando egli non rivesta ab

origine una posizione apicale, ma si collochi a un livello

gerarchicamente subordinato, per effetto della delega verrebbe pur sempre ad assumere formalmente e sostanzialmente un ruolo di vertice, con conseguente applicazione dell’art. 6.30

Tale soluzione sarebbe alquanto penalizzante per gli enti collettivi, i quali per sperare di andare esenti da responsabilità, dovrebbero cimentarsi nel tentativo di fornire la prova, pressoché diabolica, della fraudolenta elusione del modello organizzativo.31

Una seconda soluzione, propugnata da un autorevole giudice della Suprema Corte, in chiave del tutto opposta, consiste nel qualificare ordinariamente il delegato sottoposto all’altrui direzione, con conseguente applicazione dell’art.7.32

Anche questa tesi non è del tutto convincente, perché finirebbe per considerare sottoposto anche l’amministratore di una società perché sottoposto al controllo del Consiglio di Amministrazione.33

Interessante appare una terza impostazione, la quale ritiene che non si possa adottare una soluzione generalizzante, come avviene nelle tesi

30 T. VITARELLI, La disciplina della delega di funzioni, cit., p. 56. 31 F. D’ALESSANDRO, La delega di funzioni, cit., p. 1162. 32 C. BRUSCO, La delega di funzioni, cit., p. 2769.

sopra esposte, ma che spetterà al giudice, di volta in volta, verificare l’effettiva natura delle funzioni trasferite. Qualora quest’ultime afferiscano ad una posizione apicale, troverà applicazione nei confronti del delegato l’art. 6, viceversa, il delegato sarà considerato un subordinato e, pertanto, si applicherà l’art. 7.34

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