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3. Effetti della delega elaborati dalla dottrina

2.10. Il residuo obbligo di vigilanza del datore di lavoro e

funzioni.

Concluso l’esame dei requisiti di validità della delega sanciti dall’art. 16, comma 1, dobbiamo soffermarci sui possibili effetti che una delega di funzioni, validamente conferita (ossia una delega di funzioni rispettosa di tutte le condizioni previste), produce sul piano delle responsabilità penali.

In particolare, ci si chiede se essa comporti un esonero da responsabilità totale, o soltanto parziale, del delegante e se sia in grado di costituire una nuova posizione di garanzia in capo al delegato.

Sappiamo che, in passato, la dottrina si è a lungo interrogata circa l’efficacia della delega, pervenendo a tra loro opposte soluzioni, esaminate, in modo più approfondito, nel capitolo precedente.

Sostanzialmente, le posizioni dottrinali che si sono divise il campo sono: la teoria c.d. funzionalistica, elaborata da Antonio Fiorella, e la teoria c.d. formale-civilistica, sostenuta in primo luogo da Tullio Padovani.

Nella prima prospettiva, quella c.d. funzionalista, o oggettiva, la delega incide sul piano della tipicità, nel senso che al trasferimento di funzioni consegue che il delegato, in virtù dell’esercizio in concreto delle funzioni riconducibili alla qualifica soggettiva, diventa il

soggetto attivo tipico del reato proprio e l’esclusivo centro di imputazione delle conseguenze illecite, della responsabilità penale, con conseguente liberazione integrale del delegante.110

Nell’impostazione c.d. formale-civilistica, o soggettiva, la delega rileva, rispetto al delegante, sul piano dell’elemento soggettivo, sul piano della colpevolezza.111

In ossequio al principio di inderogabilità del precetto penale, non è possibile mutare, mediante un atto di autonomia privata, il destinatario ‘proprio’ degli obblighi penalmente sanzionati, permanendo, dunque, la posizione tipica d’obbligo in capo al delegante; quest’ultimo non si spoglia della sua originaria posizione di garanzia, la quale, in dipendenza del decentramento, muta di contenuto: non è più richiesto al delegante un adempimento personale e diretto, permanendo un obbligo di vigilare e controllare che il delegato svolga i compiti ad esso attribuiti correttamente e regolarmente e di metterlo nelle condizioni di svolgere tali mansioni.

Dunque, secondo i sostenitori della tesi c.d. formale-civilistica il trasferimento di funzioni non ha piena efficacia liberatoria nei confronti del delegante.

Si è fatta largo anche una ulteriore concezione, c.d. intermedia,112 al fine, abbiamo osservato, di superare i limiti posti dalle sopra citate

110 Il principale sostenitore della tesi c. d. funzionalista è A. FIORELLA, Il

trasferimento di funzioni, cit.

111 Il principale sostenitore della tesi c.d. formale-civilistica è T. PADOVANI,

ricostruzioni dogmatiche, sui quali ci siamo soffermati nel capitolo precedente.

I sostenitori di tale teoria affermano la persistenza di doveri penalmente rilevanti, essenzialmente di vigilanza e coordinamento organizzativo, in capo al delegante, nonostante la costituzione di una nuova posizione di garanzia ‘derivata’ in capo al delegato.

Assistiamo, dunque, ad una moltiplicazione delle posizioni di garanzia, dal momento che, per effetto della delega, sorge in capo al delegato una posizione di garanzia ulteriore, aggiuntiva e derivata rispetto a quella del delegante-garante ordinario.

Il profilo della efficacia penale della delega ha da sempre rappresentato il punctum dolens della materia.

Il T. U. sulla sicurezza ha cercato di dare una risposta risolutiva a questi interrogativi, prevedendo espressamente all’art. 16, comma 3, che «la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo

al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite».

Dunque, sussiste, in capo al delegante, un residuo non delegabile, costituito dal dovere di vigilanza.113

112 Tra i principali sostenitori della tesi c.d. intermedia, D. PULITANO’,

Organizzazione dell’impresa e diritto penale del lavoro, cit.

113 Cass. Pen., sez. IV, 11 febbraio 2010, n. 8641, in Dir. prat. lav., 2010, p.

931: «nell’ambito di una società per azioni […] esiste a carico del datore di

lavoro delegante un residuo non delegabile, costituito dal dovere di vigilanza e da doveri di intervento sostitutivo su situazioni conosciute o che avrebbero dovuto essere conosciute, con la conseguenza che ove non adempia agli indicati obblighi di controllo e intervento sostitutivo e, ove egli non adempia a tali obblighi residuali e, in conseguenza di questa omissione, si verifichi

Il legislatore del 2008, mediante la previsione di cui al comma 3 dell’art. 16, ha stabilito, nero su bianco, che il trasferimento di funzioni non possa comportare l’integrale liberazione del delegante, il quale non potendo disinteressarsi completamente delle problematiche della sicurezza 114, rimane tenuto a vigilare sulla correttezza dell’operato del delegato e la sua eventuale responsabilità si fonderà su una culpa in vigilando.

Pertanto, in questo modo, la legge sembra aver recepito la tesi dottrinale c.d. intermedia, secondo la quale – come già sappiamo – a seguito della delega, sorge una nuova posizione di garanzia (derivata) in capo al delegato, aggiuntiva rispetto a quella originaria del delegante, la quale muta di contenuto, trasformandosi da obbligo di adempimento pieno e diretto al precetto penale in mero obbligo di sorveglianza sull’operato altrui.115

A questo punto, è opportuno volgere lo sguardo alle modalità di diligente adempimento dell’obbligo di vigilanza, che da sempre ha rappresentato un punto critico del diritto penale delle organizzazioni complesse, per la genericità e la vaghezza delle indicazioni dottrinali e

l’evento dannoso, si dovrà ravvisare la colpa nella inosservanza di tali obblighi»; Cass. Pen., sez. IV, 22 ottobre 2009, n. 43951. In dottrina, v. C.

BRUSCO, La delega di funzioni, cit., p. 2784.

114 V. MONGILLO, La delega di funzioni, cit., p. 36.

Tra le varie pronunce della Suprema Corte in materia, v. Cass. Pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 39158, cit.; Cass. Pen., sez. IV, 6 agosto 2015, n. 34289, cit.: «[…] fermo restando che la delega di funzioni, quand’anche

esistesse, non escluderebbe l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite»; Cass. Pen., sez. IV, 31 maggio 2017, n. 27310, cit.

giurisprudenziali circa l’oggetto, l’estensione e i modi della vigilanza esigibile.

In passato, questa indeterminatezza, come emerge da pronunce giurisprudenziali, faceva in modo che, per l’assolvimento dell’obbligo di sorveglianza, residuo ineliminabile del conferimento della delega, al delegante fosse richiesto un intervento personale e diretto, un controllo capillare sul delegato, quasi da divenire una sorta di “uomo ombra”, e, di conseguenza, se vogliamo, sconfinando in quella ingerenza vietata.

Nel 2008 il legislatore è intervenuto nel tentativo di sopperire a questo sistema anacronistico e foriero di incertezze mediante l’adozione di un criterio più razionale, e cioè una sorta di organizzazione del controllo, di razionalizzazione del controllo.

Invero, l’art. 12 del ‘decreto correttivo’ 106/2009 ha introdotto, al comma 3 dell’art.16, una significativa novità: «l’obbligo di cui al

primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’art. 30, comma 4».

In questo modo, il legislatore del 2009, preso atto del fatto che un l’obbligo di vigilanza non può più avere una dimensione esclusivamente personale, richiama quale modello tipico di controllo quel modello di organizzazione e gestione, volto a prevenire la commissione di reati, istituito dal d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, rubricato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle

persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, del quale tratteremo i tratti salienti nel

successivo capitolo, allorquando analizzeremo il collegamento tra l’istituto della delega di funzioni e il d. lgs. 231/2001.