• Non ci sono risultati.

La responsabilità internazionale dello Stato di bandiera

3.4 La responsabilità degli Stati per la violazione degli obbligh

3.4.1 La responsabilità internazionale dello Stato di bandiera

Secondo quanto stabilito dall'articolo 98 (1) della Convenzione di Montego Bay e dalle Convenzioni dell'Organizzazione marittima internazionale del 1974 e del 1979, così come emendate nel 2004, lo Stato di bandiera ha l'obbligo di prestare

64 Cfr. art. 98 (1) CNUDM; Capitolo V, Regolamento 33 (1), Convenzione SOLAS.

65 Cfr. art. 98 (2) CNUDM; Capitolo V, Regolamento 7, Convenzione SOLAS; Capitolo 1.3.2, Convenzione SAR.

soccorso a tutti coloro che si trovino in condizioni di pericolo in mare.

Per quanto riguarda le imbarcazioni che si trovano nelle vicinanze della nave da soccorrere o ricevono una chiamata di aiuto, occorre preliminarmente stabilire, affinché possa sorgere un'eventuale responsabilità se la condotta sia attribuibile o meno allo Stato di bandiera. Sicuramente la condotta è attribuibile allo Stato di bandiera quando l'imbarcazione in questione è una nave militare o una nave in servizio di Stato; il comandante, sul quale ricade l'obbligo di prestare soccorso, è infatti qualificabile come un organo de jure dello Stato e la sua condotta è attribuibile allo Stato di bandiera in virtù dell'articolo 4 del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati per atti internazionalmente illeciti. Inoltre, la condotta viene qualificata come atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale anche qualora il comportamento della persona abilitata ad esercitare prerogative dell'autorità di governo ecceda la propria competenza o contravvenga alle istruzioni impartitegli.66

L'attribuzione della condotta del comandante della nave allo Stato di bandiera non è altrettanto scontata per quanto riguarda invece il caso in cui la nave in questione sia un'imbarcazione privata, poiché in tal caso egli non agisce in qualità di organo dello Stato. Tuttavia, il comportamento di una persona che non è un organo dello Stato ma che è abilitato dal diritto di quello Stato ad esercitare prerogative dell'attività di governo, sarà considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale

66 Art. 7 ILC Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, 2001.

purché, nel caso in questione, la persona abbia agito in tale qualità.67

Pertanto, dovendo stabilire la responsabilità dello Stato di bandiera per l'omissione di soccorso nel caso in cui vi fossero stati dei migranti in pericolo di vita, si potrebbe rispondere in senso affermativo solamente nel caso in cui lo Stato avesse esplicitamente autorizzato il comandante ad esercitare prerogative dell'attività di governo. Tuttavia non sembra che vi sia una simile delega per quanto riguarda l'esercizio dell'attività di soccorso in mare.68 Più precisamente la suddetta attività non è

propriamente qualificabile né come attività di governo, né come attività privata o commerciale, bensì rappresenta un dovere di carattere umanitario, di cui è responsabile esclusivamente il comandante della nave e non si può presumere che la sua condotta sia attribuibile allo Stato di bandiera.

L'esercizio di prerogative dell'attività di governo non è l'unica base giuridica per attribuire la condotta di non-rescue in capo allo Stato di bandiera. Un'ulteriore ipotesi si verifica quando una persona agisce su istruzione, o sotto la direzione o il controllo di uno Stato; in tal caso il comportamento di quella persona viene considerato un atto di uno Stato.69 Solamente nel caso in cui vi

sia una precisa istruzione dello Stato di bandiera al comandante della nave di ignorare la richiesta di soccorso di coloro che si trovano in pericolo ed il comandante la rispetti, la sua condotta

67 Art. 5 ILC Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, 2001.

68 E. PAPASTAVRIDIS, op.cit., p. 18.

69 Art. 8 ILC Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, 2001.

omissiva sarebbe attribuibile allo Stato. Dal momento che la nave in questione rimane pur sempre un'imbarcazione privata, l'attribuzione della condotta allo Stato non comporta di per sé la responsabilità internazionale dello stesso. Affinché ciò sia possibile è necessario che la condotta rilevante costituisca anche una una violazione di un obbligo internazionale vigente per lo Stato. L'articolo 98 (1) della Convezione di Montego Bay, disciplinando il dovere di soccorso del comandante della nave, presuppone che lo Stato di bandiera recepisca il suddetto obbligo all'interno della normativa nazionale

Il comportamento di non ottemperanza all'obbligo di soccorso in mare, anche se attribuibile allo Stato di bandiera, avendo il comandante agito sotto sua istruzione, direzione o controllo, non comporta automaticamente la responsabilità di quest'ultimo. Perché lo Stato di bandiera sia responsabile dell'omissione di salvataggio è necessario che non abbia altresì provveduto a stabilire una norma che disponesse l'obbligo di soccorso in capo al comandante della nave, con il conseguente controllo disciplinare e giurisdizionale a seguito di una sua eventuale violazione.70

3.4.2 La responsabilità internazionale dello Stato

costiero

Per quanto riguarda gli obblighi di diritto internazionale che gravano sullo Stato costiero in materia di soccorso in mare, essi

consistono principalmente nella predisposizione di adeguate misure per il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso nelle aree marine di cui sono responsabili (zone SAR) ed all'attivazione delle stesse nel caso in cui ricevano una chiamata di soccorso da parte di un'imbarcazione nella propria area di assistenza. Gli Stati costieri sono inoltre tenuti alla cooperazione con gli altri Stati per espletare al meglio le operazioni di soccorso. Dal 2006, sugli Stati che hanno aderito alle Convenzioni SOLAS e SAR, grava l'ulteriore obbligo di attivarsi per fare in modo che alle persone soccorse sia garantito un place of safety.

A differenza di quanto esposto per lo Stato di bandiera, in cui, come si è osservato, non sempre la condotta del comandante in violazione dell'obbligo di soccorso in mare è attribuibile allo Stato stesso, nel caso in cui la stessa violazione sia posta in essere dallo Stato costiero, il comportamento sarà comunque imputabile a quest'ultimo. Infatti, i responsabili dei centri di coordinamento dei soccorsi (Rescue Coordination Centres) sono organi de jure degli Stati costieri e pertanto il loro comportamento è a questi ultimi direttamente imputabile.71

L'adempimento degli obblighi di condotta consistenti nella coordinazione delle operazioni di soccorso e nella cooperazione con gli altri Stati, congiuntamente all'obbligo di risultato, di garantire un place of safety, non consente di formulare alcuna conclusione generale sulla responsabilità degli Stati costieri per l'adempimento delle relative disposizioni.

71 Art. 4 ILC Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, 2001. Cfr. E. PAPASTAVRIDIS, op. cit., p. 19.

La responsabilità internazionale per inadempimento degli Stati costieri sorge nel momento concreto in cui essi falliscono nella coordinazione delle operazioni di soccorso e nella cooperazione con gli altri Stati finalizzata alla garanzia di un place of safety per le persone soccorse.

Un esempio positivo di un comportamento conforme agli obblighi internazionali è stato quelli tenuto dagli Stati coinvolti in occasione del cosiddetto caso Marine I.72 Il 30 gennaio 2007

la Guardia costiera spagnola ricevette una chiamata di aiuto da parte della Marine I, un'imbarcazione partita dalle coste dell'Africa settentrionale, di cui non non era ben chiaro lo Stato di appartenenza. Sebbene la Marine I si trovasse all'interno della zona SAR senegalese, il Senegal richiese alla Spagna di procedere all'operazione di soccorso, affermando di non avere i mezzi necessari per farlo. Il 4 febbraio la Spagna raggiunse la Marine I e, dopo aver messo in salvo le persone a bordo, provvedette alla soddisfazione dei loro bisogni primari. Il porto più vicino al luogo in cui era stato effettuato il soccorso era porto di Nouahdibou, sulle coste della Mauritania, prontamente informato dei fatti dalle autorità senegalesi. Il 12 febbraio Spagna e Mauritania riuscirono a raggiungere un accordo che permettesse lo sbarco delle persone soccorse nel porto di Nouahdibou, dove vennero svolte le procedure di identificazione e di rimpatrio, sotto il controllo delle autorità spagnole.

Nello specifico caso tutti gli obblighi di diritto internazionale sono stati rispettati. Il Senegal, Stato responsabile della zona

72 K. WOUTERS, M. DEN HEIJER, “The Marine I Case: a Comment”, in

SAR in cui si trovava l'imbarcazione in pericolo ha provveduto a coordinare le operazioni di soccorso ed a richiedere la cooperazione degli altri Stati a tal fine. La Spagna, ricevuta la chiamata di soccorso dalla Marine I e la richiesta da parte dello Stato senegalese di procedere al salvataggio, ha adempiuto al dovere di cooperazione nelle operazioni di soccorso ed all'obbligo di provvedere al soccorso dell'imbarcazione in pericolo. Infine è stato soddisfatto anche l'obbligo di risultato consistente nel fornire un place of safety alle persone soccorse.73

Pertanto non vi è stata alcuna violazione delle norme di diritto internazionale del mare.74

Al contrario, quale esempio negativo della responsabilità internazionale statale, il riferimento è al caso Pinar, in cui si è assistito alla violazione delle norme in materia di salvataggio a tutela della vita in mare.75 Il 16 aprile 2009 la nave Pinar, un

mercantile di nazionalità turca, trasse in salvo, nelle acque del Canale di Sicilia, 154 migranti in procinto di annegare.76 Il

salvataggio avvenne ad una distanza di circa 41 miglia dall'isola di Lampedusa e 114 miglia da Malta. Il Rescue Coordination Center italiano non acconsentì l'ingresso dell'imbarcazione turca, con a bordo i migranti soccorsi, all'interno delle proprie acque territoriali e chiese alla Pinar di dirigersi verso le coste maltesi, dal momento che il salvataggio era avvenuto all'interno della

73 Tutt'altra questione riguarda la conformità del salvataggio delle persone soccorse ed il conseguente sbarco nel porto della Mauritania con le norme un materia di diritti umani ed in particolare a tutela dei rifugiati.

74 Cfr. E. PAPASTAVRIDIS, op. cit., p. 20 ss.. 75 Ivi.

76 R. BARNES, “The International Law of the Sea and Migration Control”, op.

zona SAR di sua responsabilità e sarebbe dunque stato compito di Malta occuparsi dello sbarco delle persone soccorse. Le autorità italiane inoltre aggiunsero di non poter assecondare un eventuale sbarco nel porto di Lampedusa, quale next port of call, poiché lo stesso non rappresentava in quel momento un place of safety, dato l'elevato numero di migranti che già si trovavano sull'isola. Tuttavia, nonostante il netto rifiuto da parte dell'Italia, anche le autorità maltesi negarono l'accesso ai propri porti, giustificando il rifiuto con la vicinanza della Pinar alle coste italiane. Per risolvere la disputa dovette intervenire il Presidente della Commissione europea e l'Italia permise finalmente lo sbarco dei migranti soccorsi a Porto Empedocle, in Sicilia.

Il fondamento dell'insolvenza degli obblighi in materia di search and rescue e, più in generale, dei complicati rapporti che intercorrono tra Italia e Malta, risiede nel fatto che le autorità maltesi non hanno ratificato gli ultimi Protocolli internazionali, stipulati nel 2004 ed entrati in vigore nel 2006, relativi alla suddivisione delle zone di ricerca e soccorso, che sono invece stati sottoscritti dall’Italia.77

A seguito del Pinar case si è constatato il fallimento dello Stato responsabile della zona SAR in cui è stata soccorsa l'imbarcazione in pericolo - Malta - di coordinare efficacemente le operazioni di salvataggio e procurare alle persone soccorse un place of safety. Inoltre, una menzione negativa spetta anche all'Italia che, in quanto Stato costiero, non ha adempiuto in

77 S. KLEPP, “A Double Mind: Malta and the Rescue of Unwanted Migrants at Sea, a Legal, Anthropological Perspective on the Humanitarian Law of the Sea”, in International Journal of Refugee Law, Vol. 23, No. 3, 2011, pp. 549 ss.

buona fede agli obblighi di cooperazione imposti dal diritto internazionale del mare.