Non esistono evidenze scientifiche generalizzabili che dimostrino che l’utilizzo della tecnologia nella didattica determini mediamente un miglioramento dell’apprendimento. In particolare, gli studi sul carico cognitivo hanno dimostrato che le differenze nei livelli di apprendimento con o senza tecnologie sono determinate dalle metodologie d’uso e dalla qualità delle interazioni che
51 Gagné è ritenuto una sorta di precursore dell’instructional design. Nel suo testo Le condizioni
dell’apprendimento, Roma, Armando, 1973, pp. 354 sgg., individua nove funzioni relative ai
momenti dell’insegnamento (o instructional) che possono essere utilizzati per la pianificazione delle strategie educative: 1) attirare e controllare l’attenzione; 2) informare il soggetto dei risultati attesi; 3) stimolare il ricordo delle capacità prerequisite pertinenti; 4) presentare gli stimoli inerenti al compito di apprendimento; 5) fare da guida all’apprendimento; 6) fornire il
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comportano52. In sostanza l’uso delle nuove tecnologie non genera automaticamente apprendimento, bensì sono i processi e i modi d’uso a determinare i risultati di apprendimento nel soggetto. Esistono contesti in cui le tecnologie si collocano rispetto all’apprendimento come strumenti di facilitazione e di stimolo per l’attivazione di processi cognitivi superiori nei quali ancora una volta è l’atteggiamento didattico però a fare la differenza. Peraltro nel campo della didattica speciale e della disabilità le tecnologie si collocano come strumenti prioritari per garantire nella maggioranza dei casi l’accesso alla conoscenza, all’autonomia ed alla partecipazione sociale contribuendo alla crescita della qualità della vita delle persone.
Calvani nell’ambito del quadro concettuale della ricerca Evidence Based Education (EBE)53 afferma che “… non è la tecnologia che incide sulle forme interne dell’apprendimento e non è lecito attribuirle tale aspettativa. Le differenze sono prodotte dalle metodologie e in particolare come dice Hattie, dalla qualità delle interazioni che esse comportano…” (Calvani, 2012, p. 52). Ma all’interno di un’efficacia media complessivamente modesta, come emerge dal fatto che l’uso delle tecnologie per apprendere non comporta alcuna differenza statisticamente significativa per l’apprendimento stesso, in quanto l’Effect Size (ES)54
rimane al di sotto di una soglia significativa in tutte le tipologie di impiego tecnologico, ad esclusione dei video interattivi, vi sono circostanze che rendono più efficace il ricorso ad esse: l’uso del computer appare più utile quando si vuole offrire una molteplicità di approcci e di piste di apprendimento, quando l’insegante è stato formato sull’uso del computer come tool, quando lo studente ne ha il controllo, quando è ottimizzato l’apprendimento tra pari e l’uso del feedback. Oltre a ciò, secondo Calvani
52
Hattie, in A.Calvani. Per un’istruzione evidence based. Erickson, Trento, 2012, p. 52
53 Cfr. nota 32, cap. 3, par. 3.3.2
54 L’Effect Size (ES), usato per valutare l’efficacia della variabile sperimentale, è un indice che
misura quanto è grande una differenza tra i risultati del gruppo sperimentale e del gruppo di controllo. Tale differenza si calcola in rapporto alla Deviazione Standard o sigma (la deviazione standard è una misura della dispersione della media che indica quanto i dati di una distribuzione di raccolgono o si allontanano dal valor medio). L’ES diventa rilevante se è superiore a 0,4. Questi dati sono presentati nel lavoro di Hattie (2009) che ha sintetizzato circa 800 meta-analisi relative ai risultati degli apprendimenti di soggetti in età scolare.
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“…vi sono molte ragioni che giustificano il ricorso alle tecnologie, che vanno al di là della loro eventuale diretta efficacia sui risultati dell’apprendimento: possono rappresentare strumenti indispensabili per individualizzare i percorsi, per raccogliere risorse, per dar vita a comunità di educatori, per ampliare le possibilità di accesso e di espressione, per stimolare nuove idee sull’istruzione…” (Calvani, 2012, p. 53).
In particolare nel campo degli allievi con bisogni educativi speciali, con DSA e disabilità, vi sono ambiti per i quali l’impiego delle tecnologie è di assoluta priorità, perché non sarebbe possibile in alcun modo l’accesso alla conoscenza, come nei casi di deficit sensoriali e motori. Inoltre possono contribuire anche a migliorare indipendenza, produttività, inserimento lavorativo e partecipazione sociale aumentando le forme di comunicazione, di scambio e in generale nel migliorare la qualità della vita e l’inclusione sociale. In tali situazioni, quindi, la logica della comparazione sperimentale, metodologia su cui si basa l’EBE, presenta alcune problematiche, come il caso dell’educazione speciale, in quanto “…si rendono più difficili indagini sperimentali con gruppi di controllo data l’ampia variabilità dei problemi che i soggetti presentano che rende complicata se non impossibile la definizione di gruppi omogenei, rendendo necessario ricorrere ad altre metodologie, come disegni centrati su singoli soggetti o metodi misti…” (Calvani, 2012, p.24).
Al di là delle criticità specifiche del settore, secondo Calvani “…se possiamo dunque dimostrare che le tecnologie contribuiscono a migliorare qualche aspetto del contesto e della vita scolastica, senza effetti controproducenti sugli apprendimenti, sarebbe poco sensato contrastarne l’impiego…” (Calvani, 2013, p. 55), soprattutto in un’ottica di politica inclusiva. Infatti, l’utilizzo delle tecnologie può portare numerosi vantaggi sul piano della comunicazione, condivisione, conservazione e gestione di risorse didattiche interne alla scuola. Il fatto poi che i contenuti diventino manipolabili, editabili, individualizzabili in rapporto ai diversi livelli di difficoltà di apprendimento, appare oggi una delle opportunità maggiori che le tecnologie offrono alla scuola. A ciò si aggiunge
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l’ampliamento delle opportunità relazionali ed informative per mezzo della rete; un insegnante, infatti, può dialogare in modo personalizzato con i propri allievi tramite strumenti del web 2.0 (blog, mobile,….). Più in generale strategie didattiche basate sull’e-learning 2.0 possono conseguire qualche risultato nel senso di favorire e-inclusion, e-partecipation, anche se al momento le evidenze non sono decisive.
Quanto finora descritto riguarda tutti gli studenti, non soltanto gli allievi disabili, con BES o con DSA; con il rischio, però, di inserire ulteriori elementi di esclusione per questi ultimi, se non venissero rispettate le opportune norme di accessibilità ed usabilità dei software, definite peraltro a livello internazionale.
La classificazione ICF-CY prevedendo tutti gli aspetti delle TIC finora analizzati, suggerisce che per superare la disabilità può occorrere ben più che un semplice strumento; spesso si tratta di un mix di misure di sistema e di tecnologie assistive in cui la composizione di questi due elementi è differente da una persona all’altra o da un contesto all’altro. Si potrebbe perciò chiamare “assistive solution” un’ampia gamma di dispositivi, servizi, strategie e pratiche concepite ed applicate per migliorare i problemi affrontati da persone con disabilità (Andrich, 2003)55.
55 Association for the Advancement of Assistive Technology in Europe (AAATE) 2003,
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