Nella dimensione dell’ecoturismo, che predilige i valori della natura e dell’ambiente, si inserisce il
fenomeno della “ricettività o ospitalità diffusa”
366. Questa si riferisce ad una serie di ipotesi diverse,
364 Così testualmente, Cass., 5 febbraio 2007, n. 2477, cit. La passi negoziale, tuttavia, consente di rilevare che spesso nella
vendita frazionata di un immobile, con destinazione turistico–ricettiva, il costruttore-venditore riserva a sé, o ad una società destinata ad esercitare l’attività di ospitalità, la proprietà di quasi tutte le parti comuni dell’edificio. Sorge, a questo punto, il problema se anche in tali ipotesi sussiste il regime condominiale: da un lato un nucleo essenziali di cose comuni permane, dall’altro vi è la tendenza nella prassi ad escludere positivamente l’applicabilità della disciplina condominiale. Infatti, si privilegia l’applicabilità della disciplina della comunione ordinaria (in essa le deliberazioni assembleari di ordinaria amministrazione sono assunte con il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti calcolata secondo il valore delle quote, mentre nel condominio è sempre necessario anche un quorum soggettivo). Più in generale, la gestione della cosa comune consente un maggiore spazio all’autonomia privata nell’ambito della comunione ordinaria rispetto al regime condominiale. È da dubitarsi, però, che sussistendo parti comuni dell’edificio, i contraenti possano escludere l’applicazione del regime condominiale. Diverso è il caso in cui si escluda in toto la sussistenza di proprietà comuni fra i singoli proprietari esclusivi. Ipotesi questa teorica, in quanto l’esclusione convenzionale della proprietà comune di tutti i beni o servizi essenziali presupporrebbe da un lato una proprietà superficiaria e dall’altro la costituzione di una serie di servitù connesse alla utilizzazione dei beni e servizi indispensabili per l’uso delle proprietà esclusive. La questione rileva anche perché alcune norme in regime di condominio non sono derogabili attraverso regolamenti contrattuali, dal momento che l’art. 1138 c.c. non distingue in ordine alla genesi, contrattuale o assembleare, del regolamento nel prevedere che esso comunque non possa derogare a talune disposizioni necessariamente applicabili.
365 Vedi sul punto, T. GALLETTO, Le residenze turistico alberghiere. Proprietà frazionata, rapporti condominiali e regolamenti contrattuali,
99
tradizionali o innovative, in cui non vi è una struttura realizzata appositamente per l’alloggio dei turisti,
bensì l’utilizzo di immobili preesistenti ma con determinate caratteristiche, diverse a seconda della
tipologia, e situate in specifiche zone, costiere, montane, centri storici, aree rurali, ecc. Il viaggiatore è
messo nelle condizioni, cioè, di percepire l’autenticità del luogo, vivendolo non come turista, ma da
“abitante temporaneo”. Tale tipo di ricettività viene svolta in «unità abitative localizzate nello stesso
centro storico o nelle immediate vicinanze, ovvero in più borghi, nuclei o edifici singoli dello stesso
comune ovvero in più comuni»
367. L’idea è originale del legislatore italiano
368, anche se vi sono altre
strutture europee e extraeuropee, che pur avendo proprie caratteristiche, condividono l’obiettivo del
recupero e dell’utilizzazione di immobili per contribuire a risanare il patrimonio edilizio
369.
Un tratto comune unisce tutte le varie ipotesi di ricettività diffusa, anche quelle straniere, esso è
costituito dal collegamento delle varie strutture in catene, o altre formule associative, che conferiscono
un’immagine unitaria e facilmente identificabile, con criteri di classificazione uniformi. La disciplina
applicabile a tale tipo di ospitalità è diversa a seconda che si tratti di struttura alberghiera, con più rigidi
e numerosi adempimenti, o di ospitalità non alberghiera, con gestione più snella o obblighi meno
gravosi, secondo le disposizioni della normativa di riferimento (agriturismo, affittacamere, B&B). La
stessa struttura poi può essere considerata alberghiera o extralberghiera a seconda delle dimensioni: le
residenze d’epoca, ubicate in immobili di particolare pregio storico-architettonico o di notevole livello
366 Vedi sul punto, F. MORANDI, La disciplina regionale dell’albergo diffuso, in Dir. Turismo, 2008, 18.
367 Art. 4, lett. b), nn. 1 e 2, l. reg. Liguria, 7 febbraio 2008, n. 2. Anche la l. reg. Friuli-Venezia Giulia, 16 gennaio 2002, n. 2,
fanno riferimento ad alberghi diffusi situati in più comuni.
368 L’idea nasce negli anni Ottanta, con la ristrutturazione di alcuni paesi della Carnia, a seguito del terremoto, si iniziò ad
utilizzare borghi disabitati come villaggi turistici.
369 La utilizzazione turistica delle Pousadas regional portoghesi risale al 1942, nate per ospitare i viaggiatori nel rispetto delle
tradizioni locali. Le pousadas historicas sono situate in edifici storici, come castelli o antiche dimore, altre, invece, in edifici di pregio paesaggistico, ispirate ai luoghi di sosta medievale, che accoglievano viandanti e pellegrini. I Paradores spagnoli, invece, sono situati nelle città storiche o di interesse artistico e culturale, o in luoghi di particolare bellezza naturale: alberghi tipici, spesso di proprietà o a gestione pubblica, ubicati in castelli, ex convento o antichi palazzi, con arredamenti intonati allo stile della costruzione. I Solares, poi, sono caratterizzati dall’ospitalità nell’abitazione del gestore, un castello o una casa di campagna, che riflettono le tradizioni portoghesi. Essi fanno parte dell’Associazione del turismo dell’abitazione, presente in cinque paesi europei, con lo scopo di mantenere il patrimonio culturale e tradizionale del Portogallo. Vi sono tre tipologie di
Solares: casas antigas, dall’architettura del XVII-XVIII secolo e il mobilio autentico; quintas & herdades, edifici rurali e fattorie;
casas rusticas, case coloniali di campagna. Le tipologie transalpine sono, invece, costituite dalle Gîtes de France, chambre d’hôte,
meublés de tourisme (si tratta di affitti di appartamenti o camere ammobiliati e attrezzati, situati in campagna o villaggi) e le
Relais & châteaux. Questa catena è stata fondata nel 1954 a Parigi, in 43 paesi, caratterizzata dalle 5 “C” (carattere, charme, calma, cortesia e cucina). Ognuno dei Relais & châteaux ha il suo stile, sia esso castello, dimora storica, abbazia, antico monastero, quindi il suo carattere. Il piacevole aspetto sia all’interno che all’esterno di ogni struttura conferisce lo “charme”. La posizione è importante per garantire ai clienti calma e riposo; la cortesia si sintetizza nella costante qualità dell’accoglienza e in un servizio sempre attento. La cucina mira alla qualità, ricercatezza e tradizione. Infine esistono gli Inn cluster (gruppo di locande) americani. Analoga finalità di conservazione delle tradizioni hanno i Ryokan, alberghi in stile tradizionale che corrispondono alle case tipiche giapponesi, patrimonio culturale in via di estinzione, nei quali anca però l’elemento dell’autenticità, che caratterizza le altre tipologie, dato che viene solo riprodotta in un diverso contesto una tradizione e un costume. La mancanza di autenticità consiste nel fatto che il Ryokan riproduce in modo fedele, ma non è l’originale casa giapponese. Nei Ryokan la stanza è spoglia, priva di mobili e letti (i letti tradizionali, futon, vengono apparecchiati dopo la cena, disponendo materassini, coperte e cuscini) ma con una nicchia in cui vengono esposte sculture, calligrafie o composizioni di fiori. Sono mantenuti gli elementi tradizionali, come il bagno all’esterno della camera, il giardino con un padiglione dedicato al rito del tè, porte scorrevoli che danno su una loggia, rifiniture interne in legno.
100
artistico, che solo se superano un particolare numero di posti letto si considerano alberghi, con
l’applicazione delle relative norme
370.
A differenza delle altre strutture, l’albergo diffuso è un albergo
371, almeno nella formulazione dei
testi legislativi
372.
Il tema costituisce un interessante progetto di marketing territoriale
373: l’albergo diffuso viene
considerato un albergo orizzontale, struttura ricettiva unitaria, situata in un centro storico, con camere e
servizi dislocati in posti diversi, seppure vicini tra di loro, che agevola un contatto più diretto con i
residenti, contribuendo all’offerta di una vacanza caratterizzata dalla “autenticità”
374. Le caratteristiche
essenziali dell’albergo diffuso concernono la gestione unitaria dell’attività imprenditoriale, la presenza di
più edifici separati ma non distanti
375con servizi comuni centralizzati, l’ubicazione degli immobili in un
ambiente autentico, che consente l’integrazione dell’ospite nella realtà culturale e tipica del luogo
376.
370 Cfr. l. reg. Toscana, 23 marzo 2000, n. 42; l. reg. Umbria, 4 aprile 1990, n. 13.
371 Di contraria opinione P. SCALETTARIS, L’albergo diffuso, in Arch. Locazioni, 2007, 131, che esaminando alcune fattispecie di
albergo diffuso, ritiene trattarsi di locazione turistica, poiché detto contratto è stipulato per soddisfare esigenze turistiche in relazione alle quali l’unica prestazione che deve essere in ogni caso fornita è quella dell’alloggio. Tutti gli altri sono servizi opzionali, eventuali, legati alla richiesta dell’interessato.
372 I testi legislativi attribuiscono questa denominazione «agli alberghi caratterizzati dalla centralizzazione in un unico stabile
dell’ufficio ricevimento, delle sale di uso comune e dell’eventuale ristorante ed annessa cucina e dalla dislocazione delle unità abitative in uno o più stabili separati, purché nel centro storico del Comune e distanti non più di 200 mm. Dall’edificio ove sono ubicati i servizi principali». Art. 25, l. reg. Sardegna, 12 agosto 1998, n. 27, (Disciplina delle strutture ricettive extra alberghiere). Di analogo regime la l. reg. Friuli – Venezia Giulia, (16 gennaio 2002, n. 2, art. 64), secondo la quale gli alberghi diffusi sono costituiti da unità abitative dislocate in uno o più stabili separati, integrate tra loro da servizi centralizzati quali uffici di ricevimento, sala ad uso comune, ristorante-bar, in un unico stabile. La l. prov. Trento prevede un numero minimo di unità abitative dislocate in edifici diversi, integrate tra loro da servizi centralizzati ed organizzate attraverso la valorizzazione di più immobili esistenti: sono assicurati requisiti minimi di ospitalità, il servizio di prima colazione, servizi di somministrazione di alimenti e bevande. (L. reg. Trento, 15 novembre 2007, n. 20). Altre leggi contengono solo norme relative alla possibilità di rientrare in progetti o bandi di finanziamento. L. reg. Friuli-Venezia Giulia, 23 gennaio 2007, n. 1, art. 7, co. 135, «Al fine di incentivare forme di fruibilità turistica mirate alla valorizzazione dell’originalità ambientale e culturale dei territori della pianura, della collina e della costa, con particolare riguardo alle zone lagunari, l’Amministrazione regionale è autorizzata a finanziare progetti di sviluppo turistico che prevedano un aumento qualitativo e quantitativo dell’offerta ricettiva mediante investimenti su nuove strutture anche nella forma dell’albergo diffuso». A livello comunitario v. l’iniziativa in favore dello sviluppo rurale finanziata dal Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia Leader. V. anche i POR (Programmi operativi regionali) che prevedono agevolazioni a favore della riqualificazione e del completamento dell’offerta turistica da realizzare nell’ambito del Progetto integrato regionale (PIR), Rete ecologica.
373 Tra i più autorevoli studiosi: G. DALL’ARA, L’albergo diffuso, in DALL’ARA, DI BARTOLO, MONTAGUTI,Modelli originali di
ospitalità nelle piccole e medie imprese turistiche, Milano, 2000; ID., L’albergo diffuso un’idea che piace, in Riv. Turismo, 2002, 24. L’interesse per questa tipologia di ospitalità è testimoniata anche dalla presenza dell’ADI, associazione nazionale alberghi diffusi: www.alberghidiffusi.it.
374 Tale formula si è rivelata particolarmente adatta per borghi e paesi caratterizzati da centri storici di interesse artistico ed
architettonico, che in tal modo possono recuperare e valorizzare vecchi edifici chiusi e non utilizzati. Il turista sceglie l’albergo diffuso per la sua capacità di riflettere, nella propria struttura, l’architettura locale, i costumi e lo stile di vita dell’area, in maniera personalizzata. V. amplius, G. DALL’ARA, L’albergo diffuso, cit. Non mancano voci critiche di chi vede il progetto spesso ridotto ad un elenco di “case da affittare per le vacanze”, gestito da un’unica agenzia, ma in modo separato dal godimento degli altri beni culturali ed ambientali presenti sul territorio: M. LAVECCHIA, I. MACAIONE, A. SICHENZE,
Progetto e turismo delle città-natura, in Dodicesimo rapporto del turismo italiano, 2003, Firenze, 2003, 424. È stato tuttavia rilevato che tali critiche possono essere rivolte ai “paesi-albergo”, cioè alle reti di case sparse e non all’albergo diffuso: così G. DALL’ARA, L’albergo diffuso, cit.
375 Sul punto, cfr. F.MORANDI, La disciplina regionale dell’albergo diffuso, cit. L’autore parla di distanza ragionevole, quale quella
che consente l’uniforme utilizzazione dei servizi comuni da parte di tutti gli ospiti, ovunque allocati.
376 Cfr. G. DALL’ARA, Il fenomeno degli alberghi diffusi in Italia e in Sardegna, Relazione II Convegno nazionale sull’Albergo diffuso,
101
L’albergo diffuso se situato in un borgo o paese, come parte di un sistema turistico, dà vita al
“borgo albergo”: entità che incide significativamente sull’economia del sito e sull’attività turistica.
Questa è rivolta non solo a soddisfare le esigenze del viaggiatore, ma anche di tutta la comunità locale,
incentivata alla permanenza in quei luoghi
377.
L’ospitalità diffusa è spesso associata ad un itinerario turistico, volto a recuperare e a sviluppare
aree rurali, a sostenere produzioni agricole ed artigiane ed a valorizzare borghi, centri storici ed aree
naturali
378, come è ben rappresentato dalle normative legislative che si occupano della materia
379.
377 La l. reg. Calabria ha previsto provvidenze per il progetto paese-albergo, allo scopo di agevolare la permanenza delle
comunità locali nei centri abitati minori suscettibili di sviluppo turistico (cfr. art. 1, l. reg. Calabria 8 aprile 1988, n. 11 (Provvidenze per lo sviluppo turistico dell’entroterra. Progetto paese-albergo).
378 V. M.E.LA TORRE, Gli itinerari turistici nel quadro normativo comunitario, nazionale e regionale: strategia di ecoturismo, in Dir.
Turismo, 2007, 221, e più diffusamente in ID., I contratti di ospitalità, in F.DELFINI e F.MORANDI (a cura di), I contratti del
turismo dello sport e della cultura, in Trattato dei contratti, diretto da P. RESCIGNO e E. GABRIELLI, cit., 107.
379 Cfr. l. reg. Liguria, 21 marzo 2007, n. 13, (Disciplina degli itinerari dei gusti e dei profumi di Liguria, delle enoteche
102
Capitolo terzo.
La disciplina unitaria nel settore dell’ospitalità (o dei contratti con finalità turistiche).
1.
I contratti con finalità turistica.
La disamina delle varie tipologie di ospitalità consente di verificare se esiste una categoria unitaria
di contratti con finalità turistica, a cui ricondurre i diversi negozi già analizzati, ai fini non soltanto
sistematici, ma anche metodologici, per estendere a tutti la medesima disciplina o meglio principi e
norme fondanti. Si potrbbe delineare una unica tipologia contrattuale, cui ricondurre fattispecie diverse
già esistenti o anche emergenti, che consenta una tutela comune per il viaggiatore - turista, soggetto più
debole nel mercato turistico nazionale e internazionale.
Va indagato, quindi, se è possibile estendere a tutti i contratti la medesima disciplina, in presenza
di unico comune denominatore che a tutte si riferisca e che tutte qualifichi.
Quest’operazione non risulta semplice poiché riguarda una realtà, quella turistica in generale e
della ricettività
380in particolare, complessa e multiforme, ove sorgono continuamente esigenze nuove,
bisogni e interessi sempre più sofisticati e difficili da soddisfare
381. Un tale lavoro potrà avvenire solo
indagando sulla causa del contratto turistico e di tutte le sue multiformi fattispecie, quale elemento
identificante che collega le varie species al genus, il cui prototipo è il contratto di viaggio, cogliendo le
differenze specifiche che contraddistinguono i vari contratti riconducibili alla categoria.
Il panorama da esplorare è vario e mutevole. La precedente legge quadro per il turismo
382, infatti,
distingueva dodici categorie tipologiche, tra strutture ricettive alberghiere (albergo, motel, villaggio-
albergo, residenze turistico alberghiere), e extralberghiere (campeggi, villaggi turistici, case per ferie,
ostelli, alloggi agrituristici, appartamenti per vacanze, rifugi alpini, affittacamere). La legge vigente
383,
invece, ha preferito non restringere in una categoria fissa una realtà economica proprio perché
mutevole, lasciando alle Regioni il potere di individuare le varie imprese turistiche operanti nel settore.
380 Per “ricettività” si indica la disponibilità di alloggi e ricoveri in generale: così il progetto della legge quadro abrogata (l. 17
maggio 1983, n. 217). La definizione non è stata riportata nel testo definitivo della legge, che si è limitata a definire le imprese turistiche come quelle che «svolgono attività di gestione di strutture ricettive ed annessi servizi turistici» (art. 5). Vedi sul punto G. ALPA, Sub artt. 5, 6, 7, in Commentario alla legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione
dell’offerta turistica, a cura di ALPA e CHITI, in Leggi civ. comm., 1984, 1180.
381 Per le varie forme di turismo cfr. M.MALO, Tipologie di turismo e discipline di settore, in V.FRANCESCHELLI e F.MORANDI ( a
cura di ), Manuale del diritto del Turismo, cit., 190.
382 Cfr. artt. 6 e 7 l. 17 maggio 1983, n. 217, abrogata dall’art. 11, n. 6, l. 29 marzo 2001, n. 135 «Riforma della legislazione
nazionale del turismo».
103
Tradizionalmente i contratti sono stati distinti in relazione alla forma, al momento perfezionativo
dell’accordo, per il tipo di effetti giuridici prodotti, per il legame tra le prestazioni, ecc. Ma queste
distinzioni sono state considerate «attualmente inadeguate»
384, sia per la crescita della legislazione
settoriale di origine comunitaria, che ha introdotto nuovi fenomeni contrattuali e diverse forme di
tutela
385, sia per la maggiore complessità e specificità di moderne operazioni economiche, non
riconducibili alle tradizionali classificazioni dei contratti. Da qui il sorgere di un “nuovo diritto dei
contratti”, più vicino alle esigenze, agli interessi e alle tutele delle parti deboli del mercato, più adeguato
a rispondere alle nuove e più complesse pratiche commerciali, di derivazione comunitaria e anche
internazionali, più vicino alla realtà e alle peculiarità del “caso concreto”
386.
La materia contrattuale tende più di ogni altra ad adeguarsi ai mutevoli bisogni socio-economici e
a trasformarli in schemi negoziali operativi, aperti e adeguati a soddisfare gli interessi concreti delle
parti, giovandosi di criteri di classificazione destinati a crescere e mutare nel tempo. E ciò in virtù del
potere di autonomia contrattuale concessa ai privati nel creare nuove figure negoziali (ex art. 1322, 2 co.
c.c.), «mediante quella standardizzazione sociale che, spesso, precede la disciplina legislativa»
387.
384 L’espressione è di E. GABRIELLI, Il contratto e le sue classificazioni, in Tratt. dei contrati, diretto da P. RESCIGNO e E.
GABRIELLI, I, Torino, 2006, 43. In senso critico sulla distinzione tra contratti tipici e atipici vedi P.PERLINGIERI, Il diritto
civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 351 e ID., Nuovi profili del contratto, in Riv.
critica dir. privato, 2001, 234. L’autore disapprova tale classificazione per diversi motivi: innanzitutto vi sono nuove forme di patologie che richiedono una disciplina non più individuabile in base alla riconduzione al tipo, bensì in base alla rispondenza al caso concreto; il giudizio di meritevolezza, ispirandosi sempre più al giudizio di proporzionalità, si riferisce oggi sia ai contratti tipici che atipici; la struttura non concorre all’individuazione del tipo, poiché la stessa funzione può essere realizzata mediante più strutture; la forma della manifestazione qualunque essa sia non concorre all’individuazione del tipo; né l’oggetto del contratto è decisivo per l’individuazione del tipo, ma concorre a delimitarne la portata e la disciplina. È, quindi, la funzione ad incidere sull’identificazione del contratto, è la causa a qualificare il contratto, non l’oggetto, né la forma o la struttura. Invece, rivaluta il ruolo del contratto nell’era della globalizzazione F. GALGANO, Le fonti del diritto nella società post-
industriale. Sociologia del diritto, 1990, 158. Per l’autore «il contratto è il principale strumento di innovazione giuridica, con valenza universale, poiché è chiamato a prendere il posto prima occupato dalla legge, la cui autorità si arresta ai confini dello Strato, perdendo l’antica capacità regolatrice della società»; ID., Pubblico e privato nell’organizzazione giuridica. Contratto e impresa, 1985, 357.
385 «La disciplina dei contratti del consumatore, del contraente debole, sconvolge la teoria classica della nullità e rafforza
l’idea che il concreto assetto degli interessi esige, anche sotto il profilo patologico, una disciplina che si desume non già dalla mera riconduzione al tipo, ma dalle peculiarità del caso», testualmente: P.PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale
secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., 352.
386 Cfr. V. ROPPO, Il contratto del duemila,cit.; F. GALGANO, Il contratto, Padova, 2007. G. DE NOVA, Il contratto per una voce, in
Riv. dir. privato, 2000, ritiene, invece, che non possa più parlarsi del contratto come figura generale. Contra E. NAVARRETTA, Il
contratto e l’autonomia privata, in AA. VV., Diritto privato, I, Torino, 2003, 206; A. FEDERICO, Profili dell’integrazione del contratto, Milano, 2008. Tra i due modelli di contratto tradizionale, quello di derivazione liberale, negoziato da contraenti esperti e simmetrici e quello tra professionista e consumatore, è stato individuato il terzo contratto, in cui vengono a confrontarsi due imprenditori, uno in posizione di dominanza, l’altro di soggezione economica: GITTI E VILLA (a cura di), Il terzo contratto, Bologna, 2008. Sul punto, v. anche diffusamente E.MINERVINI, Status delle parti e disciplina del contratto, in Il diritto dei consumi
realtà e prospettive, in Consumatori oggi, collana diretta da M. BESSONE E P. PERLINGIERI, 2007, 73, e in Obbligazioni e contratti,
2008, 8. L’autore precisa che i contratti del consumatore cedono il posto ai contratti con asimmetria di potere contrattuale. Il dato unificante la categoria può individuarsi non in una rigida caratterizzazione soggettiva, giuridica o socio-economica delle parti, ma nella debolezza di un contraente rispetto all’altro. Accanto al contratto tradizionale e al contratto del consumatore vi sarebbe un “terzo contratto”, caratterizzato dalla presenza di un imprenditore che necessita di tutela nei confronti di un