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I LAVORATORI DELL’INDUSTRIA

Nel documento Rurali polesani nelle terre del Reich (pagine 63-66)

L’INIZIO DEL RECLUTAMENTO SECONDO IL POLESINE FASCISTA

3.5. I LAVORATORI DELL’INDUSTRIA

La Germania non richiama verso le sue terre solo volontari che prestino il proprio servizio nell’agricoltura, ma anche operai, in particolare personale impiegato nell’edilizia, per i cantieri della Bassa Sassonia della Volkswagen di Stadt-des-Kdf-Wagens, la odierna Wolfsburg, e nella acciaieria del Konzern Hermann-Goring-Werke a Salzgitter.230 (si prevedono circa 10.000 operai231)

Già a partire dal 1938 si hanno i primi contatti tra gli operai italiani e la Germania, con l’indiretto scopo di favorire i futuri scambi di manodopera: il regime, infatti, concedeva agli operai viaggi premio all’estero da spendere nell’ ”amica” Germania, al fine di conoscere un paese molto simile alla Patria natia per principi e stabilità.232 Nel maggio 1938 si conclude in Italia il primo viaggio di 30.000 lavoratori tedeschi che visitano la Penisola con gite e viaggi d’Istruzione. Il Polesine fascista annuncia, nell’articolo apparso il 26 maggio del 1938, che si terrà a breve un viaggio simile per contraccambiare la “gradita visita” dei camerati tedeschi. Si tratterebbe quindi di reciproci scambi, e non viaggi culturali, che hanno lo scopo della reciproca conoscenza e del consolidamento dei rapporti di due popoli

229

B. Mantelli,” Camerati del lavoro”, cit., p.137-138.

230

B. Mantelli,” Camerati del Lavoro”, cit., p.232-234.

231 Lavoratori italiani in Germania, in “Il Polesine Fascista”, 24 novembre 1940, p.3. 232

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che hanno in comune ideali analoghi.233 Questi viaggi hanno durata settimanale e le destinazioni sono le più grandi città industriali tedesche: Berlino, Monaco, Norimberga, Stoccarda e Friburgo:

…La durata di ogni viaggio è di otto giorni durante i quali i lavoratori avranno occasione di conoscere i luoghi più caratteristici della Germania, alcuni tipici stabilimenti industriali e le più importanti realizzazioni del nazionalsocialismo.234

I primi contingenti, che portano manodopera edile volontaria oltre il Brennero, si completano quasi parallelamente ai convogli che accompagnano i braccianti, nel 1938, ma essi sono meno propagandati, in quanto il loro ingaggio non avviene tramite la mediazione/organizzazione dello stato. Almeno nei primi mesi, il reclutamento degli operai si può considerare solo il frutto delle trattative delle associazioni di categoria italiane e tedesche: il CFLI (Confederazione Fascista Lavoratori Industria) per l’Italia e la DFA (Deutsche Arbeitfront) per la Germania.

Gli operai differiscono dai braccianti volontari sia per tipo, che per la durata del contratto: in principio gli accordi riservati agli operai non prevedono un’assunzione che superi i tre mesi lavorativi, a differenza dei nove mesi di base dei rurali. Il salario orario stabilito è di

0,74 marchi per un capo-cantiere e di 0,54 marchi per un semplice manovale235, in ogni caso

quasi il doppio rispetto alla paga italiana per le stesse mansioni. Oltre al buon rendimento, derivato dal lavoro edile in Germania, l’ingaggio per i lavoratori edili si rivela quindi molto conveniente sia dal punto di vista economico, che personale.

Gli studi di Mantelli parlano di 6.000 operai italiani, inviati in Germania solo nella prima annata, provenienti dalle provincie settentrionali con un forte tasso di inoccupazione come: Belluno, Bergamo, Trento, Treviso e Udine. La provincia di Rovigo, oltre alle provincie di Vercelli, Padova, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Venezia e Forlì, inizia a collaborare con la Confederazione Fascista dei lavoratori dell’Industria nella primavera del 1939236, quando viene inviato il primo contingente di operai polesani.

I lavoratori dell’industria sono spinti dall’avventura in Germania soprattutto per specializzarsi e per guadagnare il più possibile. La Germania per molto tempo rappresenterà una potenza pressoché irraggiungibile dal punto di vista meccanico e tecnologico e molti testimoni italiani sono impressionati dall’organizzazione del lavoro nel Reich e dal suo essere all’avanguardia nell’ingegneria meccanica.237

Insieme al vantaggioeconomico e all’esperienza maturata in un Paese nettamente superiore

a livello tecnologico, che di certo sono i primi elementi che fungono da calamita per le migrazioni, anche la giusta classificazione del lavoro attira la massa. A differenza dei

233 I viaggi in Germania dei lavoratori dell’industria, in “Il Polesine Fascista”, 26 maggio 1938, p.4. 234

Ibidem.

235

B. Mantelli, “Camerati del lavoro”, cit., p.235.

236 B. Mantelli, “Camerati del lavoro”, cit., pp.237-240. 237

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lavoratori tedeschi, che sono tutti assunti nell’industria con qualificazione, i lavoratori italiani risultano sprovvisti di ogni titolo, anche del più generico. Così, per favorire il loro inserimento, i sindacati attribuiscono ai partenti qualifiche prima di partire. Questo inquadramento ha un immediato beneficio a livello economico, in quanto viene riconosciuto e adeguatamente retribuito.238

Gli ammessi a tale espatrio sono operai senza limite d’età. Il Governo italiano sancisce che possano partire anche i lavoratori abili al servizio militare, purché di età superiore ai 30 anni, e non stabilisce limiti di età agli operai dichiarati riformati o parzialmente idonei o che siano in congedo in quanto aventi quattro o più figli a carico. Anche in questo caso, si tratta di un impiego temporaneo, non compatibile con la chiamata alle armi fino a trenta giorni dopo il rimpatrio.239

A partire dal 1940 i protocolli che stabiliscono una nuova ondata migratoria di operai dell’industria diventano sempre più dettagliati e pretenziosi: nell’agosto del 1940 si richiedono 60.000 trasferimenti in Germania, operai da adoperare nel settore dell’edilizia e dell’industria estrattiva, siderurgica e metallurgica 240; e nel 1941241 54.000 operai, una cifra più bassa, ma sempre rilevante. I lavoratori dell’industria italiana mandati in Germania costituiscono il 77% dei Fremdarbeiter che prestano la loro opera nel settore secondario nel Reich, questo perché il popolo italiano, a differenza della manodopera russa o polacca, presenta una certa specializzazione, anche se non paragonabile con l’esperienza tedesca. Il polo chimico di Montecatini e le provincie di Vicenza e Treviso sono le aree più affannate alla ricerca di offerte di lavoro per la Germania, prima che si diffonda un marcato rifiuto all’emigrazione, nella primavera del ‘41, a causa del susseguirsi di notizie sulle cattive condizioni dei lavoratori in Germania, sul vitto scarso e sul pericolo di bombardamenti. L’Italia, dal suo canto non vanta un alto numero di operai specializzati e gli stessi industriali italiani scoraggiano, e in qualche modo ostacolano, la partenza della loro forza lavoro qualificata, il cui numero è già fortemente diminuito a causa della chiamata alle armi. L’unico modo che gli industriali hanno per proteggere la produzione è l’invio della manovalanza più scarsa.242 Dalla metà del ‘41 il reclutamento degli operai diventa forzoso e obbligato e i futuri partenti spesso vengono estratti a sorte, sorteggiati tra gli occupati ancora celibi.243

238

M. Fincardi, Operai e Operaie in Sahariana Blu, in Emigranti a passo romano: operai dell'Alto Veneto e Friuli nella Germania hitleriana”, cit., pp.22-23.

239 C. Bermani, Al lavoro nella Germania di Hitler, cit., pp.81-82 240

Lavoratori italiani in Germania,in “Il Polesine Fascista”, cit., p.3

241

C. Bermani, Al lavoro nella Germania di Hitler, cit., pp.81-82

242

Ibidem. 243

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Nel documento Rurali polesani nelle terre del Reich (pagine 63-66)