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RICORDI DI UN CAPPELLANO AL LAVORO

Nel documento Rurali polesani nelle terre del Reich (pagine 75-78)

LA CHIESA E LE MIGRAZION

3.8. RICORDI DI UN CAPPELLANO AL LAVORO

Uno dei religiosi che avrà contatti con gli operai e rurali veneti collocati nella zona di Magdeburgo, dove sono dislocati anche i polesani, sarà P. Luigi Zonta. Nato il 9 agosto 1918 a Mussolente (Vicenza), egli parte il 14 aprile 1942 come “cappellano al lavoro”,

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L. Zonta, Piccoli fatti di … Storia, in “Dossier di pastorale migratoria”, cit., p.41.

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L. Zonta, Piccoli fatti di … Storia, in “Dossier di pastorale migratoria”,cit., p.53.

286 L. Zonta, Piccoli fatti di … Storia, in “Dossier di pastorale migratoria”, cit., p.6 287

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appena pochi mesi dopo la sua ordinazione a prete. Egli fa parte della congregazione scalabriniana, che storicamente si occupa di seguire le missioni all’estero.

A inizio novecento il clero scalabriniano è saldamente radicato nelle Americhe e segue gli emigrati italiani che cercano fortuna nel nuovo continente. Con l’avvento del fascismo, che tenta di creare il suo impero coloniale, si aprono per questi sacerdoti anche le vie dell’Africa e in seguito della Germania. I rinforzi per il Reich vengono esplicitamente richiesti dall’allora responsabile dell’assistenza religiosa Mons. Antonio Giordani alla Congregazione Scalabriniana, tradizionalmente preparata in tale compito e quindi avvantaggiata nelle missioni all’estero.

Zonta viene ingaggiato per la Germania subito dopo aver ottenuto il passaporto e parte proprio come un soldato con la valigie di cartone, materiale prettamente autarchico, contenente la divisa e l’altare.

Dal memoriale di Zonta appare tra le informazioni e le annotazioni più rilevanti l’organizzazione delle visite agli operai che è fortemente limitata dalle lunghe distanze:

Ebbi la fortuna di trovare una carta geografica della zona molto particolareggiata; molti boschi, prati molte strade, due tronconi di ferrovia e tante linee tratteggiate che volevano dire: piste! Questa volta mi toccherà fare l’indiano!Potevo disporre di un’auto e una moto, ma per colpa del rigido inverno russo, le pompe di benzina era chiuse. La zona comprendeva il Brandeburgo e la Posnania (oggi Polonia), attraversata dal fiume Oder; era quasi tutta completamente agricola, serre e “Gemeindegutsverwaltungen”, cioè fattorie statali…E sulla carta cominciai a segnare le località che dovevo visitare; misurare le distanze, raggrupparle secondo le strade o piste possibili; alla fine riempii la carta di tanti segni e di quante domeniche potevo disporre. Un piccolo calcolo matematico mi convinse che dovevo trasformare in domeniche tutti i giorni feriali, se volevo visitare tutti.288

Proprio a causa delle enormi distanze ricoperte Zonta, egli verrà soprannominato “der Laufer”, il marciatore. Egli racconta dello sforzo quotidiano per raggiungere le aziende agricole, tutte sparse in un vasto territorio, e di come fosse difficile trovare i mezzi per raggiungerle: egli calcola una media di 5 o 6 chilometri per raggiungere le varie fattorie, con strade spesso impervie e rese impraticabili da eventi atmosferici. Solo il passaggio di qualche carretto poteva alleviare la fatica e accorciare le distanze. La giornata tipo del cappellano al lavoro era quindi scandita dai lunghi tempi che occorrevano per il raggiungimento di uno scaglione dei lavoratori all’altro. Per le visite periodiche alle aziende agricole, che dovevano essere preventivamente annunciate ai datori di lavoro, con annunci bilingue, venivano concesse due ore di pausa per la messa e confessioni:

La settimana incominciava con lo spedire avvisi alle fattorie ed anche ad un po’ di riposo. Al martedì prendevo il treno per la fattoria più vicina ad una stazione; di solito distante qualche chilometro, che dovevo affrontare a piedi; stavo attento anche a qualche carretto che andasse da quelle parti. All’arrivo, il solito cerimoniale: saluti al padrone, alla cuoca, e preparativi per la S. Messa; qualunque sistemazione era buona: sotto il portico, in cucina all’aperto ecc… I padroni concedevano un paio d’ore di pausa straordinaria; mentre gli operai si preparavano, io cominciavo le confessioni. Quando le fattorie erano vicine, le riunivo in un punto centrale;arrivavano su carri e trattori cantando “ll mazzolin di fiori” o la campagnola”seguiva la cena con tanta allegria, ma poi io dovevo ripartire per un’altra fattoria per

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la Messa del mattino…Durante il giorno mi fermavo sotto una pianta, raccoglievo qualche frutto ed aspettavo l’ora di presentarmi al nuovo incontro.289

Zonta racconta anche di approfittare della lunghezza delle giornate per recarsi, durante le ore serali, nella fattoria in cui dovrà prendere servizio il giorno seguente:

Al Nord il chiarore del tramonto dura fino alle 23.00; fattami indicare la direzione, attraverso campi e boschi per arrivare, anche se tardi, alla nuova fattoria, dove tutti aspettavano il mio arrivo. Confessioni fino all’una di notte, qualche ora di sonno su un pagliericcio, e all’aurora l’altra Messa, colazione e poi via di nuovo per altre fattorie.

Colpisce anche il racconto di piccoli fatti quotidiani, in cui traspaiono trucchetti ingegnosi per ovviare ai disagi quotidiani, come la comunione con marsala, procurato dalla moglie dell’ambasciatore italiano, per ovviare alla mancanza di vino.290

Un altro fattore molto menzionato dai cappellani al lavoro e condiviso dagli operai, (ne abbiamo testimonianza anche nei racconti dei rurali polesani che appaiono nel Polesine

Fascista), sono le condizioni meteorologiche che spesso sono avverse e che rendono

difficoltoso sia il lavoro dei rurali, che lavorano comunque sotto le intemperie, sia gli spostamenti dei cappellani addetti all’assistenza spirituale:

Le camminate al chiaror del sole al tramonto non sempre finivano bene; quando pioveva buio o fango rendevano difficile l’avanzata…Al Nord le nuvole avevano una strana abitudine: arrivavano a volo radente, gonfie di pioggia, ma prima di prendere quota la scaricavano sui campi e sul malcapitato che si trovava al loro passaggio291

Don Pietro Turinetto, è un altro sacerdote che si trova a fare assistenza agli operai italiani dal marzo 1941 e dalle sue memorie anch’egli descrive le lunghe distanze che separavano un campo all’altro accompagnate spesso dalle pessime condizioni meteorologiche:

Nel mese di novembre 1944 malgrado il freddo ed il cattivo tempo percorsi in bicicletta quindicimila chilometri per portare i conforti religiosi agli operai ed internati che erano costretti a lavorare al fronte per la costruzione di trincee.292

Ricordi certamente sgradevoli, soprattutto per i missionari in Germania, il cui dovere principale è salvaguardare il buon costume e la salvezza delle anime degli operai, riportano invece una realtà quotidiana non molto dedita a preservare la razza, specialmente tra gli operai poco più che adolescenti, stipati in piccoli spazi:

Le abitazioni dei “lager” sono per lo più delle baracche affastellate di brande a castello, con spazi a mala pena sufficienti per respirare. Pigiati insieme, il comportamento non è certamente dei migliori per garantire la virtù, specialmente dei giovanissimi, i cui occhi sono spesso testimoni di situazioni scabrose e disturbati da quelle figurine di donne nude appese alla spalliere degli emancipati! Tutto questo ti tormenta l’anima.293

La narrazione del clero scalabriniano, che in principio raccontava solo di lunghe distanze, di rapporti ambigui tra i camerati e delle frequenti intemperie, cambia drasticamente dopo il 1943. La vita quotidiana diventa per Zonta sempre più problematica. Viene proibito ai

289 L. Zonta, Piccoli fatti di … Storia, in “Dossier di pastorale migratoria”, cit., p.14. 290

L. Zonta, Piccoli fatti di … Storia, in “Dossier di pastorale migratoria”, cit., p.13

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L. Zonta, Piccoli fatti di … Storia, in “Dossier di pastorale migratoria”, cit., p.15.

292 L. Zonta, Piccoli fatti di … Storia, in “Dossier di pastorale migratoria”,cit., p.50. 293

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cappellani di celebrare messa e lo stesso Zonta dice che le condizioni dei campi erano così misere da non essere nemmeno dignitose per le funzioni:

il ritorno a casa era sempre un’incognita; al pomeriggio s’andava in cerca di qualche alloggio o campo d’italiani, ma ormai molti erano stai distrutti, altri trasferiti in periferia. Alla sera, dopo cena, avevo due ore di tempo libero in attesa del bombardamento notturno.294

Dopo il ‘43 anche questi sacerdoti fanno parte delle “Badogliotruppen” e sono anch’essi costantemente vittime del sospetto tedesco. Parallelamente al clima di angoscia e terrore, cresce anche il loro valore all’interno dei campi di lavoro: i cappellani continuano a fare da intermediari tra le autorità, cercando di non corrodere il già fragile equilibrio esistente e se possono cercano di aiutare gli operai materialmente, fornendo loro qualche piccola scorta di cibo o semplicemente dando loro informazioni riguardo parenti italiani internati, come ricorda Don Pietro Turinetto:

A me, che ero il cappellano civile era assolutamente proibito ogni contatto con gli internati. Molti operai civili avevano tra gli Internati militari il fratello, il padre o un parente e perciò si rivolgevano a me per rintracciarli. Io per via amichevole mi procurai la pianta dei campi internati e l’elenco dei prigionieri. Bastava che mi si desse il nome dell’internato che si voleva cercare ed io lo trovavo subito con indirizzo esatto e fornivo anche istruzioni circa il modo per trovarlo.295

Nel documento Rurali polesani nelle terre del Reich (pagine 75-78)