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LE ESPERIENZE REGIONALI NELL’OTTICA DELLA LEGGE 328/

CAP 4 LA REGIONE TOSCANA

4.1 LE ESPERIENZE REGIONALI NELL’OTTICA DELLA LEGGE 328/

Il processo di “territorializzazione è diventato effettivo non solo a partire dall’art. 117 Cost. che annovera l’assistenza sociale come materia residuale delle Regioni, ma anche, come abbiamo già evidenziato negli altri capitoli, per la nascita nel nostro ordinamento del principio della sussidiarietà verticale, secondo cui la dimensione istituzionale più vicina ai cittadini è quella che è maggiormente in grado di leggere e interpretare i bisogni della comunità di riferimento e quindi di

realizzarli” (Costa G., 2009:12). “In sostanza, il livello locale per la sua

prossimità ai soggetti in difficoltà sarebbe in grado di tutelare meglio i diritti dei destinatari delle prestazioni sociali” (ivi).

In questo quadro oltre alla Regione diventa sempre più protagonista anche l’Ente Locale, cioè il Comune, in quanto titolare della funzione sociale, proprio perché è più vicino ai cittadini, non a caso infatti è denominato Ente Locale Territoriale.

E’ importante mettere in evidenza che il Federalismo fiscale39 e in

particolare il suo sviluppo, “è legato alla questione che da sempre ha

39 “Il federalismo fiscale può essere definito a diversi livelli di governo sulla base della

suddivisione amministrativa del paese in cui si attua e presuppone che ogni livello di governo provveda con proprie entrate a coprire le spese derivanti dall'adempimento delle proprie funzioni. Il principio secondo cui la spesa di ogni ente pubblico deve essere finanziata da risorse proprie rappresenta un incentivo a una condotta responsabile nell'uso del denaro pubblico e a un impiego più efficiente delle risorse e costituisce, in definitiva, lo stimolo più efficace a contenere la spesa pubblica. Tuttavia, la ripartizione delle entrate tributarie basata sulla distribuzione del gettito delle imposte tra i due livelli di governo dello Stato federale comporta notevoli disparità derivanti dalla diversa capacità fiscale delle regioni. In Italia il disegno di legge delega sul federalismo fiscale è stato approvato dal Consiglio dei Ministri nell'ottobre 2008. Il disegno di legge contiene una delega per dare attuazione all’art. 119 della Costituzione (modificato nel 2001 dalla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione), con cui è stata stabilita l’autonomia di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, con l’attribuzione a tali enti di tributi

interessato i servizi sociali, cioè la penuria delle risorse economiche, secondo cui i Comuni dovranno provvedere a finanziare in modo autonomo i propri interventi assistenziali, attraverso il ricorso alla

pressione fiscale, come sottolinea l’art. 119 c. I, Cost. “ (ivi:13).

Questo processo, che ha avuto inizio intorno agli anni 2000 con la progressiva riduzione da un lato del Fondo Sociale Nazionale e dall’altro del finanziamento degli enti locali, ha reso difficile la progettazione e la erogazione dei servizi da parte dei Comuni. Per tale motivo, ha portato prima le Regioni e successivamente i Comuni a trovare delle soluzioni diverse e alternative per garantire quella che è la loro missione istituzionale, cioè il benessere della comunità.

A causa di questo progressivo processo di decentramento finanziario della spesa socio assistenziale, le Regioni, nell’ambito della loro autonomia, hanno dato origine a welfare assistenziali differenti tra loro

(Costa,2009:13). Bisogna comunque tenere presente che la

differenziazione dei sistemi regionali è connaturata alle scelte legislative effettuate negli ultimi anni che hanno portato al rafforzamento delle autonomie locali e allo stesso tempo anche alla non omogeneità.

La legge quadro 328/2000 ha introdotto lo strumento della programmazione e della progettazione nell’area dei servizi sociali.

Come sostiene Annalisa Gualdani (Costa, 2009:29), è importante

verificare “come il ricorso al metodo della programmazione e progettazione, sia stato recepito dai legislatori regionali, che in seguito alla riforma del Titolo V Cost., si sono dotati di proprie norme sul

sistema integrato di interventi e servizi sociali” (ivi:29).

Infatti se entriamo nel dettaglio esaminando i testi legislativi delle

Regioni a statuto ordinario, come sostiene questa autrice (ivi) emerge

che in generale tutte le Regioni a statuto ordinario hanno messo al centro “del sistema il metodo della programmazione “strategica e

partecipata” ”(ivi:29). Strategica perché si tratta di una programmazione

effettuata sulla valutazione della disponibilità di risorse, sulla rilevazione

propri e di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, oltre a un fondo perequativo statale per i territori con minore capacità fiscale” (vedi link: www.treccani.it).

dei bisogni negli ambiti territoriali, e sulla verifica sistematica dei risultati in termini di qualità ed efficacia. Inoltre si tratta di una programmazione partecipata, perché le Regioni attuano sia il principio del raccordo tra i vari enti locali nelle procedure di programmazione, e allo stesso tempo sia il principio dell’integrazione della programmazione regionale e zonale con gli atti di programmazione sanitaria, proprio come evidenzia la legge quadro.

Come abbiamo già sottolineato, la riforma dei servizi sociali mette in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità e del potere di indirizzo.

Infatti, a tal proposito, come già evidenziato, le trasformazioni in corso negli ultimi anni, sia in Europa, che a livello nazionale, hanno riordinato la relazione tra cittadini e istituzioni, modificando i sistemi di welfare, nonché le cornici di riferimento, gli approcci e le logiche nella progettazione e realizzazione degli interventi.

Un aspetto che è strettamente connesso a tutto questo è rappresentato “dall’allargamento delle funzioni di governo ad attori diversi dallo Stato, attraverso la negoziazione territoriale, la quale infatti rappresenta

un’opportunità di democratizzazione del policy making”(Costa G.,

2009:91).

In questo quadro anche le Regioni, seppur con alcune differenze tra loro, hanno dovuto fare uno sforzo per definire gli ambiti della negoziazione e individuare i vari attori che partecipano al policy making, mettendo in evidenza i loro ambiti nonché i loro compiti nel

rispetto delle esigenze del sistema integrato (ivi:92).

Un aspetto di questo, come sostiene Matteo Villa (Costa G., 2009:92)

riguarda ad esempio la partecipazione dei cittadini alle funzioni di governo e alla programmazione locale. Sebbene infatti ogni Regione la proponga in chiave diversa, in generale possiamo affermare che la maggior parte di esse stabiliscano il pieno diritto di ogni individuo in

quanto tale a partecipare. In generale, continua questo autore (ivi:92)

possiamo affermare che le Regioni promuovano la presenza dei cittadini e associazioni a tutti i livelli, tra programmazione, progettazione,

realizzazione, verifica e controllo sia dei piani di zona che dei singoli servizi.

Un’ultima questione da considerare, sempre dal punto di vista delle Regioni, riguarda gli strumenti che regolano le relazioni tra pubblico, privato e i cittadini, nonché tra la domanda e l’offerta dei servizi.

In particolare l’utilizzo e la regolazione degli strumenti denominati

“quasi mercati”40, come l’accreditamento e la gestione dei titoli sociali

(Costa G., 2009:94).

“Entrambi questi strumenti, come già evidenziato, hanno lo scopo di rendere più efficiente la gestione, selezionare qualitativamente gli attori sul lato dell’offerta e infine regolare in modo diverso le relazioni tra pubblico, privato e cittadini e quindi tra domanda e offerta dei servizi” (ivi:94). In generale emerge che la maggior parte delle Regioni considera lo strumento dell’accreditamento la condizione necessaria per i soggetti pubblici di instaurare accordi contrattuali con i soggetti del privato profit e non profit, nonché per la partecipazione a istruttorie pubbliche, oppure per erogare prestazioni attraverso la concessione dei titoli sociali. Questi ultimi denominati buono sociale e voucher sociale rappresentano degli strumenti integrativi alle prestazioni tradizionali garantite dai servizi sociali dei Comuni. Questi strumenti vengono erogati per favorire l’assistenza nei confronti di persone o nuclei familiari che si trovano in condizioni di fragilità, attraverso l’aiuto di volontari oppure attraverso l’acquisto di prestazioni professionali erogate da strutture accreditate.

I titoli sociali hanno la finalità di garantire buone condizioni di vita e di cura della persona fragile o del nucleo familiare nel proprio domicilio, evitando, dove è possibile il ricorso alle strutture residenziali.

Secondo questa analisi dei testi legislativi regionali effettuata da Matteo Villa, lo strumento regolativo innovativo e sperimentale della coprogettazione sembra che negli anni in cui questa indagine è stata condotta era poco sviluppata.

Quello che emerge da questo esame, è che “i legislatori regionali si attendono che l’utilizzo di questi strumenti favorisca una maggiore libertà di scelta arrivando, in alcuni casi, a individuare quest’ultima tra i

diritti dei cittadini” (Costa G., 2009 : 95).

Inoltre “sembrano voler rimarcare il ruolo della domanda nell’orientare la programmazione ed enfatizzare il peso del mercato nel governo

dell’intero sistema” (ivi:95).

4.2 LA NORMATIVA REGIONALE TOSCANA PRIMA DELLA